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Autore: Zils    22/06/2011    1 recensioni
La noia e il desiderio di novità possono portare a star male chi invece la felicità ce l'ha a portata di mano, ma non riconoscendola, arriva a cercarla altrove.
Altrove, dove alcuni incontri possono cambiare la vita.
Altrove, dove c'è il vero dolore.
Altrove, dove ci si ritrova a convivere con la morte.
E dopo, niente sarà più come prima.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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Altrove
Cap. 1
 
 
 
 
Daniele non sapeva quel che faceva.
Era da tempo che un’idea assurda gli balenava nella mente, quella, sempre la stessa, che man mano che i giorni passavano acquistava una sempre più solida concretezza.
Un giorno di metà Settembre, poi, Daniele la trovò così tanto allettante che le diede una maggiore importanza ancora: quel giorno Daniele la portò per la prima volta davvero alla vita, attraverso le parole. Una valanga di parole, la sua, una valanga non per la quantità ma per l’irruenza, che doveva essere voluta, che doveva lasciare il segno su coloro che erano lì, ad ascoltare, attoniti tutti, ma in modo diverso. Parole pronunciate a voce alta, quasi urlate per la troppa frenesia di sputarle fuori, velocemente.
Daniele si divertì a interpretare le espressioni facciali di quei quattro giovani di fronte a lui. Si sentiva in qualche modo importante, vedendoli impressionati da una sua decisione, sapendoli intenti a riflettere su quel qualcosa che per troppo tempo era stato così tanto intimo e segreto.
Marco e Luca sembravano ammirati. Probabilmente lo reputavano, in quel momento, nientemeno che un mitico eroe, da solo col proprio dramma, pronto a compiere una missione di straordinaria importanza.
Il viso di Nicola esprimeva un misto di preoccupazione e tristezza, come se quello fosse un evidente atto di tradimento nei suoi – nei loro – confronti, come se si sentisse abbandonato e un qualche modo irrimediabilmente impotente.
Marta esibiva in volto un sorriso sarcastico agli angoli della bocca colorata, come se mettesse in dubbio ogni parola appena ascoltata e non credesse minimamente che quel progetto sarebbe stato poi sul serio messo in pratica.
Per interi minuti regnò il silenzio, anche se Daniele era certo di sentire innumerevoli tacite domande fluttuare nell’aria, come invisibili bolle di sapone che svanivano una dopo l’altra non appena si urtavano dolcemente tra di loro.
« Dicci  almeno perché lo fai ». Nicola prese l’iniziativa.
« Oh, Nico, solo perché tu non hai il fegato neanche di pisciare, da solo, non vuol dire che tutti debbano essere come te! » insorse Luca, e Marco gli fece eco con una risata canzonatoria.
« Non è questo il punto! Non sarà di certo solamente per spirito d’avventura, un motivo di fondo c’è sicuramente! »
« Andiamo, ragazzi, ma non capite che questa è solo scena? Non farà mai quello che ha detto, o almeno non adesso » s’intromise Marta.
Avevano tutti cominciato a comportarsi come se Daniele non fosse più presente. Quest’ultimo prese a osservarli a lungo.
Luca e Marco, amici inseparabili, fratelli di sangue e di spirito, il primo più grande dell’altro di sette minuti; identica zazzera di capelli castani sulla testa, identico naso aquilino, identico sorriso perenne e vagamente superficiale.
Nicola, occhi neri profondi e intelligenti, bocca piccola dalle labbra sottili e dalla piega all’ingiù, come a palesare una malinconia e sensibilità di fondo presenti nella sua persona.
Le dita lunghe e affusolate di Marta allacciate a quelle di Nicola. Un viso armonioso da eterna bambina dove il rossetto scarlatto sulle labbra e la matita blu intorno agli occhi e sopra le palpebre non contribuivano a renderla più donna come si era sperato, ma piuttosto la facevano sembrare una scolaretta che gioca con i trucchi della mamma.
Daniele si scoprì a non provare alcun affetto nel passare in rassegna le caratteristiche dei suoi amici di sempre, caratteristiche conosciute ormai a memoria. Ogni loro mossa, ogni loro battuta, parola, era sempre troppo scontata, prevedibile. Daniele sentiva su di sé la stanchezza opprimente di chi è convinto che il meglio non debba ancora venire, ma piuttosto si trovi rifugiato nei propri ricordi, ormai irraggiungibili e ingialliti dal tempo che inesorabilmente li porta, pian piano, all’oblio.
Daniele si alzò e abbandonò i suoi amici alle loro chiacchiere, ma non tornò subito a casa.
La notte lo colse seduto su una panchina piena di scritte di una piazzetta deserta. Pensava, Daniele, rifletteva incurante del freddo e di un gatto che all’ombra di un cespuglio lo fissava con gli occhi gialli.
Si incamminò verso casa accompagnato solo dalla luna ghignante lassù e dal vento che, paziente, col suo soffio sembrava guidarlo verso la giusta via.
Mentre saliva le scale la madre gli urlava qualcosa dal piano di sotto, ma lui non la sentì. Era, la sua mente, occupata soltanto da ciò che aveva detto ai suoi amici.
« Ho preparato i bagagli, nella valigia ho messo solo le cose indispensabili. Ho prelevato dalla banca i miei risparmi, me li farò bastare per un po’ di tempo, credo … Vado via. Non chiedetemi dove, perché non lo so ancora, e comunque non lo deve sapere nessuno, tantomeno i miei. Non so neanche per quanto. Voglio solo stare da solo per un po’, vivere nuove esperienze … Lontano da qua ».
  
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