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Autore: Geil_Flynn    24/06/2011    4 recensioni
"- Lo sai che la mamma mi ha detto cosa significa il tuo nome?
Aidha lo guardò sorpresa.
- E cosa significa?
- Colei che parte, ma che non ritorna.
La ragazza non distolse lo sguardo, nonostante sentiva i suoi occhi riempirsi di lacrime. Il viso del fratello era di una semplicità disarmante.
- Dimmi ancora perché ce ne andiamo.
Aidha si concesse qualche secondo per riflettere e Omar la lasciò fare. Come si spiegano certe cose ad un bambino?
- Avevamo dei problemi in Libia."
20 giugno, giornata mondiale del rifugiato. In onore a questa giornata, e come augurio di buona fortuna per tutti.
Genere: Malinconico, Slice of life, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Aidha va

 

Il mare azzurro si stendeva fino all’orizzonte, liscio e piatto. Piccole onde di schiuma bianca lo increspavano appena. Il fruscio dell’acqua e il gorgogliare dello scafo della nave cullavano dolcemente le persone sul barcone.

Aidha teneva stretta la coperta in cui era raggomitolato il suo fratellino Omar. Non l’aveva mai lasciata, per tutte le otto ore di viaggio. Era infeltrita e tutta sporca. Se si guardava bene, si poteva notare una macchiolina di sangue tra le fibre della lana. Erano ancora a Tripoli, e Aidha era caduta sull’asfalto della città, sbucciandosi un ginocchio. Aveva urlato talmente tanto, che Papa era corso in strada, spaventato a morte. L’aveva avvolta nella coperta e l’aveva stretta a sé, nel tentativo di calmarla. Si sentì triste. Omar non avrebbe mai avuto ricordi della Libia. Si morse il labbro, trattenendo una lacrima.

Il barcone arrancava, Aidha poteva sentire tutti i più piccoli ingranaggi scricchiolare, cigolare e sospirare. Il macchinista aveva ordinato di stare fermi e immobili, di muoversi il meno possibile, o sarebbero definitivamente affondati. Aidha percepiva un formicolare alla gambe che la faceva impazzire.

C’era chi dormiva, attorno a lei, c’era chi, con un piccolo manuale, studiava Italiano. Alcuni parlottavano tra di loro, piano. Alcuni scrivevano lettere che avrebbero spedito appena arrivati, ai parenti, alle fidanzate che si erano lasciati alle spalle.

- Aidha… - lei sussultò, e si chinò sul fagottino che giaceva sulle sua ginocchia.

- Omar! Ti sei svegliato? – il bambino annuì, stropicciandosi gli occhi.

- Non ho più sonno. – replicò poi, con una vocina piccola piccola.

- Ma cosa dici? Ti sei addormentato due ore fa ed eri esausto.

Lui scrollò il capo e si arrampicò su di lei, posando la testa sul suo seno. Lei lo abbracciò.

- Lo sai che la mamma mi ha detto cosa significa il tuo nome?

Aidha lo guardò sorpresa.

- E cosa significa?

- Colei che parte, ma che non ritorna.

La ragazza non distolse lo sguardo, nonostante sentiva i suoi occhi riempirsi di lacrime. Il viso del fratello era di una semplicità disarmante.

- Dimmi ancora perché ce ne andiamo.

Aidha si concesse qualche secondo per riflettere e Omar la lasciò fare. Come si spiegano certe cose ad un bambino?

- Avevamo dei problemi in Libia.

- Va bene. – Aidha sapeva che Omar si sarebbe accontentato di quella risposta ancora per poco, ma rimase in silenzio, e lo strinse più forte, posandogli un bacio sui ricci scuri. Pianse.

- Dimmi anche dove stiamo andando.

Cacciò indietro i singhiozzi e biascico la parola “Italia” con le labbra premute sulla sua tempia. Lui annuì.

Weman hemnna! – un urlò si alzò dal mare e in pochi istanti tutte le persone a bordo si alzarono in piedi. (“Eccola!”)

Lâ! Lâ! Lâ! Telbacla fimaka aidihem! – gridò il macchinista, dal suo scarso metro di altezza, ma con la sua vocina non riuscì a sovrastare il brusio dei passeggeri.  (“No! No! No! Rimanete seduti!”)

Anche Aidha si mise in piedi, tenendo in braccio Omar.

- Aidha! Omar! – il piccolo sembrò risvegliarsi al suono di quel timbro di voce e strillò anche lui:

- Mamma!

- State bene, piccolini? – il suono arrivava da lontano ma i due ragazzi lo sentivano chiaramente. Sapevano che dovunque Teumi* fosse non poteva muoversi. Era impossibile in mezzo a quell’orda di gente.

- Bene! – disse Aidha ad alta voce.

- Siamo arrivati! – aggiunse la mamma. – Siamo a pochissimi chilometri dalla costa di Lampedusa!

Omar si agitò, cercando di liberarsi dalla morsa della sorella, ma lei lo tenne stretto.

Terikulia, Aidha, terikulia! Teumi! – strillò, dimenandosi, furiosamente. Aidha avrebbe tanto voluto lasciarlo, era così frustrato. Lo si capiva subito, quando era arrabbiato gridava sempre in arabo, la collera lo portava a quel punto. In casa parlavano quasi sempre italiano, o per lo meno Teumi lo faceva. Nonostante sia Aidha che Omar parlassero correttamente arabo, Manaar Teumi** voleva mantenere un legame con le sue radici italiane. Ora stava ritornando indietro. ("Lasciami, Aidha, lasciami! Mamma!")

Una folata di vento scosse i passeggeri del barcone. Il velo di Aidha si mosse e lasciò scoperti i suoi capelli castani. Lei lo rimise al suo posto, con un gesto veloce.

La costa italiana si stagliava sull’orizzonte, e ad Aidha niente era mai sembrato così bello. Il formicolio alle gambe cessò in un istante, il mal di schiena sparì, in qualche oscuro meandro del tempo. Un piccolo sorriso venne affiancato alle lacrime.

Ecco, cosa c’era, oltre l’oscuro orizzonte, che si scorgeva in lontananza a Tripoli, accompagnato dal rumore degli spari. C’era una nuova vita, probabilmente con tanto nuove difficoltà.

Omar era rimasto in silenzio, a bocca aperta. Eccolo, eccolo il Paese di cui Omar avrebbe avuto più ricordi. Era lì, davanti a loro.

Da allora, tutto accadde in fretta. In un secondo il macchinista aveva lanciato la corda della barca sul porto, e degli ufficiali italiani l’avevano presa. La folla si accalcava sull’uscita, per posare i piedi su un nuovo suolo. Aidha fu l’ultima ad uscire, dopo Omar, Teumi e Papa.

Un poliziotto, dagli occhi buoni, l’aveva presa per la vita e l’aveva lasciata sulla banchina del porto.

- Grazie. – aveva detto lei educatamente.

Lui sembrava sorpreso.

- Parli italiano?

- Piuttosto correttamente, sì. – ammise lei, seriosa. L’uomo sembrava ammirato.

- E come ti chiami, bella signorina?

Lanciò uno sguardo all’orizzonte. Lì dietro c’era Tripoli, la sua Tripoli.

La Libia, la sua Libia.

La casa, la sua casa.

Colei che parte ma che non ritorna.

Colei che parte ma che non ritorna.

- Mi chiamo Aidha.

 

* Teumi in arabo significa "mamma"
** Manaar Teumi vuole, di conseguenza, dire Mamma Manaar (Manaar è il nome)  

 

 

Angolino della psicopatica:

Lo so, lo so. Non avrei dovuto postare quest'obbrobrio, ma è stato più forte di me. Anche mia madre è stata una emigrata a suo tempo, e posso solo immaginare cosa voglia dire lasciare tutto in un altro Paese. Ho provato a descrivere questa sensazione, ma non penso di esserci riuscita granché. Dopo che tutto il mondo ha "celebrato" in modo tenerissimo il venti giugno, la giornata mondiale del rifugiato, doveva giungere Alex ha rovinare tutto. E per questo vi chiedo umilmente perdono.

Vorrei precisare alcune cose: Aidha, il nome del mio personaggio femminile, significa veramente "colei che parte ma che non ritorna" e appena l'ho letto ho pensato che fosse perfetto (a parte ad essere incredibilmente bello). Omar... Omar non so cosa significa di preciso, solo mi sembrava... Arabo! :D
Ah, ecco! Le frasi in arabo...

1) per vedere il significato dovete evidenziare tutto il paragrafo.

2) Non essendoci la trasliterazione su Google Traduttore ho provato a farla un po'... fai da te, ma non assicuro nulla. Se c'è qualcuno che parla arabo tra di voi, si faccia avanti! :) 

Commentino (positivo o negativo che sia...?)

Love:

 

 

Alex Jimenez <3

   
 
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