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Autore: Keiko    24/06/2011    4 recensioni
“A te non dà fastidio?”
“Cosa? Che mia sorella sposi un Malfoy?”
“Non un Malfoy, Daphne, Draco.”
Pansy Parkinson non era mai stata una di quelle ragazzine pronte a cederti il passo: lei stava sempre avanti, accanto ai vincitori. Accanto a quelli come lei. Daphne Greengrass era quella che invece stava sempre sulla seconda linea e che al Ballo del Ceppo del quarto anno era andata con Goyle, non con Draco Malfoy. Persino quel castoro della Granger era riuscita a farsi accompagnare al ballo da uno come Krum, uno che a Hogwarts era l’indiscusso idolo di ogni studente. Pansy non aveva mai fatto l’errore di dare per scontato che Draco sarebbe stato suo per sempre – quando, invero, non lo era mai effettivamente stato – ma si era aspettata una lotta alla pari, non certo una decisione che la mettesse alle strette senza venire presa in considerazione in una questione che, a suo avviso, la riguardava molto da vicino. E Pansy Parkinson non era certo una persona che potevi fare a meno di guardare.
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Astoria Greengrass, Daphne Greengrass, Draco Malfoy, Pansy Parkinson | Coppie: Draco/Pansy
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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A Sweet Revenge © 2011 (17 novembre 2010)>
Disclaimer. Tutti i personaggi di Harry Potter appartengono a J. K. Rowling, agli editori inglesi e ai distributori internazionali che detengono i diritti sull'opera. Questa storia è stata redatta per mero diletto personale e per quello di chi vorrà leggerla, ma non ha alcun fine lucrativo, né tenta di stravolgere in alcun modo il profilo dei caratteri noti.
Nessun copyright si ritiene leso.



“She's bad, but not enough”
(“Spread your love”, Black Rebel Motorcycle Club)


“Perché proprio Astoria, Daphne? Sarebbe stato più corretto da parte tua dirmi come stavano realmente le cose anziché mandare avanti tua sorella.”
“Sono cose di mia sorella, Pansy.”
La riccia aveva posato la propria tazza da tè senza avere il coraggio di guardare negli occhi l’amica di sempre: quella con cui aveva condiviso ogni istante di vita degli ultimi dieci anni, a occhio e croce. Di sette era certa, gli altri erano sembrati volare in modo strano.
“In un modo che non è Hogwarts, Daphne.”
Le aveva detto Pansy, sbuffando, una volta conseguiti i G.U.F.O. in quello che rimaneva della Scuola di Magia più famosa del Mondo Magico.
“Mi dispiace ma non è colpa mia. E lo sai benissimo.”
“Se fossi stata tu, a sposare Draco, sarebbe stato diverso.”
“Solo perché sono la tua migliore amica?”
“Si.”
Non era realmente così, ma era più semplice accettare la verità di essere stata sconfitta dalla propria rivale in amore che – per sette lunghi anni – era stata anche la sua confidente, piuttosto che dall’ultima arrivata per errore nelle loro esistenze.
“A te non dà fastidio?”
“Cosa? Che mia sorella sposi un Malfoy?”
“Non un Malfoy, Daphne, Draco.”
Pansy Parkinson non era mai stata una di quelle ragazzine pronte a cederti il passo: lei stava sempre avanti, accanto ai vincitori.
Accanto a quelli come lei.
Daphne Greengrass era quella che invece stava sempre sulla seconda linea e che al Ballo del Ceppo del quarto anno era andata con Goyle, non con Draco Malfoy.
Persino quel castoro della Granger era riuscita a farsi accompagnare al ballo da uno come Krum, uno che a Hogwarts era l’indiscusso idolo di ogni studente.
Pansy non aveva mai fatto l’errore di dare per scontato che Draco sarebbe stato suo per sempre – quando, invero, non lo era mai effettivamente stato – ma si era aspettata una lotta alla pari, non certo una decisione che la mettesse alle strette senza venire presa in considerazione in una questione che, a suo avviso, la riguardava molto da vicino.
E Pansy Parkinson non era certo una persona che potevi fare a meno di guardare.
“Allora spiegami com’è accaduto, Daphne.”
Pansy aveva posato la tazza in fine porcellana bianca sul piatto, senza staccare il proprio sguardo da quello dell’amica.
“Potresti chiederlo ad Astoria, sarebbe più corretto.”
“E’ corretto chiederlo alla mia migliore amica, non alla futura moglie di Draco.”
“Pansy, come posso…”
“Sei la primogenita della famiglia Greengrass, sai come funzionano le cose nella tradizione dei Purosangue tanto quanto me. Me lo devi.”
La sua era una supplica camuffata da ordine perentorio, e Daphne aveva sorriso trasportata dalla nostalgia degli anni a Hogwarts, delle confidenze sussurrate sino a notte fonda nel dormitorio delle ragazze, delle ridicole prese di posizioni nei confronti della Granger e di quegli stupidi dei Grifondoro. Se non ci fossero stati loro, però, del Mondo Magico forse non sarebbe rimasto nulla.
“Astoria era come ogni ragazzina dei Serpeverde, Pansy. Tutte erano invaghite di Draco, era un po’ il sogno di ognuna di noi. Un Malfoy è… è come un principe azzurro, credo. Sai, io ho capito che non sono mai stata innamorata di lui. Era una proiezione che avevo del mondo degli adulti, la mia: i Malfoy sono tra le famiglie Purosangue più importanti – se non la più importante – ed era normale sperare di essere viste da lui. Draco era come il figlio primogenito di un re.”
“E questo quando l’hai scoperto?”
Daphne aveva abbassato lo sguardo sulla propria tazza da tè, riprendendo a mescolare l’ennesima zolletta di zucchero che vi aveva immerso.
“Ingrasserai con tutto quel dolcificante.”
“Non sarà per così poco. E poi non mi devo sposare io.”
“Goyle non ha ancora chiesto la tua mano?”
Daphne aveva scrollato con vigore la chioma di riccioli di un biondo slavato, sorridendo all’amica.
“Vedi, è stato al Ballo del Ceppo. Quando ti ho vista al fianco di Draco ho capito che il mio posto non sarebbe mai stato con lui. La tua felicità mi ha fatto capire che non era ciò che desideravo per me. Tu eri raggiante, fiera. Io, se fossi stata al fianco di Draco, non avrei brillato di così tanta luce.”
“E allora perché non hai fermato Astoria? Scusami.”
Pansy si era corretta immediatamente, posando la propria mano su quella di Daphne: le ferree tradizioni dei Purosangue non erano cambiate negli anni, e non sarebbe certo stato il capriccio di una figlia maggiorenne a ostacolare i piani di padri-padrone.
“E’… Astoria è felice, Pansy. E ti prego, non accusarmi. Mi stai chiedendo di scegliere tra la tua felicità e quella di mia sorella.”
“Non ti sto chiedendo nulla.”
“Mi stai chiedendo di raccontarti cose che… che non mi appartengono.”
“Lei è innamorata di lui?”
“Sì. Sin da quando ha messo piede a Hogwarts. Te l’ho detto: Draco era il sogno di ogni ragazzina.”
“E Draco? Draco è innamorato di tua sorella?”
“Draco Malfoy non si confiderebbe nemmeno con l’Oscuro Signore in persona, Pansy.”
“L’hai visto con Astoria, però. E tu sei sempre stata un’ottima osservatrice. Anche con Blaise, sei stata tu ad accorgerti di tutto. E’ innamorato di tua sorella?”
La pausa che si era imposta Daphne poteva essere sufficiente a diradare ogni dubbio, ma Pansy aveva bisogno di avere sulla prima pagina della sua storia quella disfatta plateale, quella sconfitta violenta e fastidiosa eppure quasi scontata.
Perché se un uomo per quasi dieci anni non ti dice “ti amo” allora non te lo dirà mai.
E con ogni probabilità non ti ha mai nemmeno amata.
“Mi dispiace.”
“Non sei tu che devi dispiacerti.”
“Cosa pensi di fare ora?”
“Quello che non ho fatto per dieci anni.”
“Pansy…”
“Affronterò Draco. L’ho aspettato per dieci anni e sono venuta a sapere del suo matrimonio con Astoria dalla Gazzetta del Profeta. Dalla penna di quel fastidioso insetto di Rita Skeeter. E tu credi che possa perdonare una cosa simile a Draco?”
“Forse non ha trovato il tempo per…”
“Non ha trovato il modo, del resto Draco non ha mai brillato per essere un coraggioso, no?”
“Ora non essere dura con lui. Sei arrabbiata ed è normale ma…”
“Ma? Dov’era Draco quando tutti combattevano? Quando dovevamo essere tra le fila dei Mangiamorte o tra quelle del Ministero? Draco era nascosto nella Stanza delle Necessità. E quei mesi passati a escogitare il modo per far entrare i Mangiamorte a Hogwarts l’hanno reso uno spettro. Te lo ricordi? Aveva il viso pallido ed emaciato, gli occhi febbrili, quel suo sussultare ad ogni rumore. Draco aveva paura persino della sua stessa ombra. Draco non è in grado di uccidere un uomo. Ha paura della morte come un moccioso e la colpa di tutto è di Lucius e Narcissa che l’hanno cresciuto nella bambagia del Malfoy’s Manor. Draco non sarà mai un uomo, Astoria.”
“E tu perché ami una persona così?”
“Perché l’amore non si può indirizzare ma idealizzare. Quando mi sono innamorata di Draco ero troppo piccola per capire certi meccanismi della vita. Lui sembrava bellissimo e forte, pronto a contrastare sempre Potter. Draco era il suo antagonista perfetto lì, dentro le mura di Hogwarts.”
“Solo nei dispetti tra ragazzini di Case rivali, vero?”
“Già. L’incantesimo si è infranto un po’ troppo tardi per me. Me lo sono dovuta far strappare via da tua sorella senza avere la possibilità di combattere per aprire gli occhi. E’ da perdenti e la cosa mi infastidisce alquanto.”
“Non puoi perdere un combattimento a cui non hai preso parte.”
“Sai bene che devo avere l’ultima parola, Daphne.”
“Parlerai con Draco?”
“Mi sembra giusto chiudere la partita. E’ dieci anni che aspetto di prendere quel maledetto boccino, e questa volta ho intenzione di cacciarlo dritto in porta, lontano da me. Ringrazia Astoria da parte mia.”
“Perché?”
“Senza di lei non avrei capito quanto stupido sia essere innamorate di Draco Malfoy.”
Pansy aveva sollevato lo sguardo su Daphne in quel tacito accordo con cui due amiche di vecchia data sanno quando non c’è nulla da aggiungere.
Quello che non sapevano era che Astoria aveva udito tutto, seduta con la schiena appoggiata alla porta della sala da tè.
E forse era giusto che Pansy un po’ la odiasse, che sua sorella non sapesse difenderla e Draco chiedesse l’annullamento del loro fidanzamento per aggrapparsi ancora una volta a Pansy.
Lei non aveva i suoi capelli corvini lunghi e lisci come fili di seta notturna, le labbra piene di un naturale color pesca e il sorriso malizioso. Lei aveva i capelli fitti di boccoli biondi e gli occhi di un pallido verde, il viso puntellato di piccole e chiare efelidi che la facevano apparire ancora l’adolescente che aveva frequentato Hogwarts.
Pensare che Pansy sarebbe andata al Malfoy’s Manor e avrebbe incontrato Draco le faceva male: sentiva una fitta stringerle il petto in una morsa soffocante, un dolore acuto che sembrava dovesse fermarle di colpo il cuore e le dava un senso precario di vertigine anche da seduta.
Astoria Greengrass non aveva mai conosciuto il significato della parola gelosia, un concetto ancora troppo adulto per lei e che poteva avere rilevanza solo in quell’istante preciso, quando qualcosa minacciava una sua proprietà.
Un qualcosa che era una donna finita di una bellezza selvaggia che su di lei non sarebbe mai sbocciata.
Finché Draco era solo un sogno notturno, un sospiro nascosto nell’ombra o uno sguardo incrociato per sbaglio e subito allontanato abbassando il proprio - tra le mura di Hogwarts - non era mai esistita gelosia verso Pansy o chiunque altra. Ma ora, nascosta come una bambina ad ascoltare le confidenze di sua sorella e con le certezze dettate da un anello al dito della mano destra, il timore di vedere infranto il suo sogno d’amore e l’uomo che amava guardare un’altra donna, le sembrava insostenibile.
Astoria non conosceva il sapore amaro dell’amore rubato ma solo l’ingenuo candore del lieto fine che le si era profilato all’orizzonte come una magia mai vista prima.
Perché Draco Malfoy si era accorto di lei tra decine di altre, a una festa Purosangue come ce n’erano state parecchie negli ultimi anni.
Eppure, quell’anello al dito che brillava di un vivo rosa, ora le pareva assumere i riflessi sanguigni della determinazione di Pansy, di quell’amore che lei aveva distrutto.
Aveva davvero colpe nei confronti di Pansy Parkinson?
Forse si, ma lei di certo non si sarebbe data pena – al suo posto – di informare l’intero stuolo di ragazzine innamorate di Draco del suo fidanzamento. Certo, Pansy non era una qualunque, ma se Draco aveva ritenuto non necessario informarla privatamente non spettava di certo a lei farlo.
D’altra parte, chi era Pansy Parkinson per poter parlare in quel modo del suo Draco?
A quel pensiero le dita si erano richiuse con foga sulla stoffa della gonna del semplice abito che indossava, sino a sgualcirla.
Una rabbia cieca, che le aveva quasi fatto decidere di alzarsi e cacciare Pansy da casa propria: perché lei, una come la Parkinson, non la voleva tra i piedi.
Che fosse ancora innamorata di Draco o lo odiasse dal più profondo del cuore, Astoria pregava che Pansy sparisse dalle loro vite nel minor tempo possibile.
Come gli anni di Hogwarts, come la guerra, come il Marchio Nero… no, quello non se ne sarebbe mai andato. Sarebbe rimasto a vita sul braccio di Draco, indelebile e violento come solo l’errore di un uomo può essere.
Come solo un errore umano può pesare sul futuro di una vita.
Io ho piena fiducia in Draco. E la stupida sei tu, Pansy, che non sei riuscita a tenerti stretta un uomo come lui.
Uno, che in fondo, aveva inciso la propria codardia sul suo avambraccio sino alla morte.


“Lo sai che non cambierà niente, vero?”
“Non è mai cambiato niente, Blaise.”
“E cos’è che ti ha portata ancora qui?”
“Sapere che sarà l’ultima volta. Ogni tanto nella vita occorre riconoscere quando è venuto il momento per farsi da parte.”
Pioveva, eppure sembrava che nemmeno si accorgesse della pioggia che le imperlava i capelli corvini come un manto di stelle sul cielo.
Pioveva, e Pansy Parkinson pensava che fosse da perdenti piangere anche se c’era la pioggia a nascondere le lacrime, per quello si era limitata a sorridere a Blaise Zabini calandosi il cappuccio del pesante mantello di lana sulla nuca.
“Non imparerai mai, Pansy.”
“Ho imparato più io in queste ultime settimane che tu in un’intera vita. Il fatto sia qui al mio fianco ne è la dimostrazione lampante.”
Non era solo la dimostrazione di una cocciutaggine senza pari, la sua, ma di un frenesia che l’aveva spinto a rincorrere un miraggio dai colori sanguigni per anni.
Con Malfoy non aveva mai parlato davvero di Pansy, non ce n’era mai stato bisogno: da sempre intoccabili, in ogni direzione li si guardasse.
A Hogwarts tutta la vita dei Serpeverde era stata scandita dai ritmi degli ordini di Draco e dai capricci di Pansy.
Un bianco e un nero dai contorni talmente nitidi da lasciare senza fiato, ma destinati a dissolversi in un candore ancora più splendente e un nero ancora più conturbante, perché nella vita non sono mai gli opposti quelli che possono attrarsi.
Nella vita, ciò che attrae gli esseri umani è sempre qualcosa di profondamente legato alla propria intimità più profonda.
Una parte sconosciuta e selvaggia che sa parlare e vincere le proprie guerre al momento più opportuno e Blaise Zabini, come una pantera, aveva atteso per anni che quella si svegliasse e mostrasse a tutti quanto può essere grande la vittoria di chi, dalla propria, ha la temperanza.


Pansy aveva varcato la soglia del Malfoy’s Manor per l’ultima volta.
Se l’era ripetuto in una litania mentale quasi irritante, durante il tragitto della carrozza in compagnia di Blaise, che non avrebbe mai più rimesso piede in quel posto.
Troppi ricordi, troppi odori e umori e sensazioni che si rincorrevano lungo corridoi e stanze, lungo pagine silenziose ricche di storia.
Della loro storia, un loro che l’aveva fatta sorridere al pensiero, perché un loro – evidentemente – era esistito solo per lei.
Lei soltanto era quella che aveva sempre pensato a entrambi e avrebbe dovuto capirlo nell’istante in cui aveva visto per la prima volta il Marchio Nero sull’avambraccio di Draco, che nella sua vita lei aveva la rilevanza di un soprammobile in porcellana.
“Pansy, non credevo di vederti qui.”
Affabile e mellifluo, Draco la stava attendendo nello studio che un tempo era appartenuto a Lucius, alcuni tomi di pozioni aperti sul pesante tavolo in noce.
“Immagino l’avresti preferito, ma sai che trovo adorabili le sorprese. Mi sono sempre piaciute.”
Aveva lasciato scivolare il mantello intriso di pioggia addosso ad alcune elfe domestiche senza preoccuparsi di dove sarebbe stato portato, sedendosi senza troppe cerimonie sulla poltrona che si trovava di fronte a quella su cui si sedeva Draco.
“Sei sempre stata abile a organizzarle, cosa che non si può certo dire di me.”
“Questa volta però ci sei riuscito e ti devo anche i miei complimenti per l’ottimo colpo di scena, Draco.”
“Non capisco di cosa parli, Pansy.”
“Lo sai benissimo. Sei un codardo di natura ma sei sufficientemente intelligente per capire i sottintesi. E purtroppo per te giochi a carte scoperte con me. Per tua sfortuna ti conosco meglio di quanto io conosca me stessa.”
Draco l’aveva fissata per un istante che doveva sembrare un’eternità agli occhi del mondo, un silenzio leggero a circondarli in contrasto con gli sguardi che si perdevano l’uno nell’altro, in cerca di una verità che sembrava sepolta sotto anni di tentennamenti e indecisioni.
E frasi mai dette come ora.
“Parli di Astoria. Cosa dovevo dirti?”
“Be’, forse che avevi deciso di sposare un’altra. Sarebbe stato quanto meno opportuno recapitarmi via gufo la notizia. O hai sterminato la guferia di casa Malfoy giocando al Mangiamorte?”
Draco si era passato una mano tra i capelli, in quel suo gesto nervoso che Pansy aveva imparato a riconoscere durante gli ultimi anni a Hogwarts, quasi fosse diventato un vezzo comportamentale distintivo del giovane.
“Odio il tuo sarcasmo Pansy. Per cui se volessi risparmiarmelo mi faresti un favore.”
“Veramente non ti devo nulla, men che meno favori, Draco.”
“Allora perché sei venuta da me?”
Quella era una bella domanda: perché era andata al Manor?
Per rivederlo un’ultima volta e rendersi conto di quanto fosse stato stupido aver gettato dieci anni di vita dietro uno come lui?
O solo per vedere cosa era riuscita a portarle via una ragazzina come Astoria?
No.
Voleva solo il rispetto che riteneva di meritare per tutto quello che gli aveva dato.
“Una donna innamorata merita sempre una spiegazione.”
“Quando viene lasciata, ma non è il tuo caso Pansy.”
Non è il tuo caso Pansy, ovviamente: non c’è mai stato nulla di scritto tra noi, vero?
“La chiarezza non è mai stata il nostro forte, di questo te ne devo dare atto.”
“Quindi non capisco perché avresti voluto un trattamento differente rispetto a quello del resto del Mondo Magico.”
Pansy aveva inspirato profondamente, lasciando che l’aria uscisse lentamente dai suoi polmoni sino a svuotarli totalmente: dodici secondi di vuoto, ecco di cosa aveva bisogno.
E li aveva contati tutti, uno a uno.
“Sai essere davvero irritante, Draco. Come mai hai scelto Astoria?”
“Sarà una perfetta signora Malfoy. Rispecchia i canoni della nostra famiglia, non posso permettermi di prendere in moglie una Purosangue qualunque.”
Lei era una qualunque?
Pansy non riusciva a comprendere – o meglio, stentava a mantenere una certa lucidità di pensiero – a quale gioco stesse giocando Draco. Una parte di lei non lo credeva realmente possibile di tanta cattiveria, dall’altro canto sapeva benissimo che Draco possedeva una dote innata – ereditata da Lucius – di riuscire a svicolare dalle peggiori situazioni con la compostezza melliflua dei Malfoy.
“Spero che possiate essere felici, Draco. Tu hai bisogno di una donna ancora acerba che sappia tacere alle tue provocazioni e sostenere con mitezza i tuoi capricci da ragazzino viziato. Hai ragione: non puoi avere nulla di meno per non fare sfigurare la famiglia Malfoy. Avete sfoggiato Narcissa, ora è il turno di Astoria.”
Draco aveva sgranato gli occhi di quel loro brillante grigio che aveva assunto striature dorate a causa del riflesso delle fiamme del fuoco del camino, congiungendo le mani davanti al viso per poi appoggiarvi con delicatezza il mento.
“E’ una provocazione, Pansy?”
“Oserei affermare: un dato di fatto. Io non sarei mai stata una perfetta signora Malfoy. Non so resistere alla tentazione di rispondere alle tue provocazioni né a quelle di tuo padre. Io non so essere mite e docile, né tanto meno comprensiva con i codardi.”
“Non…”
“… dire la verità? E’ scomodo farsi ricordare di aver fatto ammazzare Silente da Severus perché tu non ne eri capace, vero? E poi confidarsi con Pansy, perché lei non ti tradirebbe mai. Io ho la decenza di rispettare i silenzi e i segreti mortali, Draco. E il coraggio di farmi da parte quando serve. Ma ricorda che l’amore che tu hai ricevuto a piene mani e di cui ti sei cibato, prima o poi ti sarà tolto tutto d’un fiato come un veleno amaro. Se sei davvero innamorato di Astoria prega che qualcuno non te la porti via. Non ti auguro nemmeno questo: di scoprire cosa si prova a vedersi rubare ciò che si ama di più al mondo da un perfetto sconosciuto.”
“Non ti facevo così sentimentale.”
“E io non ti ricordavo così finto, Draco. L’essere un adulto ti concede il lusso di prenderti gioco delle persone?”
“Di essere sincero, ma a te la cosa dà fastidio a quanto pare.”
“Non sono la ragazzina che era sempre al tuo fianco a Hogwarts e tu non sei più un idolo irraggiungibile, per me, ma il peggiore degli esseri umani.”
“Perché?”
“Perché il peccato più grande per un uomo è non saper proteggere chi ama.”
“Dovevo proteggere te, Pansy? Da cosa? Dalla Granger?”
E’ la resa finale, questa? Il tuo ammettere di avermi amata in un’altra vita?
No Draco, tu non sai amare altri che te stesso e la famiglia Malfoy, in cui non c’è posto per gli ultimi arrivati.
“No, non dovevi proteggere me. Credi mi sia illusa tu mi abbia amata?”
“Allora con quali pretese sei venuta qui oggi?”
Potrei parlarti di ogni notte che ho passato nel tuo letto o di ogni bacio rubato lungo i corridoi del Manor, all’ombra delle luci soffuse mentre tuo padre studiava qui dentro. Potrei ricordarti ogni pomeriggio passato a cavalcare lungo i sentieri della brughiera sentendo ancora il profumo della pioggia appena caduta. Potrei ricordare all’infinito il motivo per cui sono qui.
Per reclamare il tuo amore inesistente, o forse c’è davvero stato, in un tempo lontano che chiamiamo adolescenza.
“Solo per dimostrarti come ci si comporta con gli amori finiti. Volevo fossi il primo a saperlo.”
Pansy aveva lasciato scivolare sul tavolino che li divideva una busta bianca che recava semplicemente il nome “Malfoy”.
Draco l’aveva fissata a lungo, incerto se aprirla o meno.
“Non è una strillettera. Puoi aprirla.”
E Pansy gli aveva sorriso, con quella sincerità incoraggiante che l’aveva sostenuto in ogni istante difficile della sua esistenza dall’apparenza perfetta.
E negli ultimi anni di Hogwarts erano stati in misura decisamente superiore rispetto alla rassicurante tranquillità del manor.
“E cos’è?”
“Puoi anche gettarla nel fuoco senza leggerla, se preferisci. Credo di aver fatto abbondantemente il mio dovere.”
Aveva guardato Pansy attentamente, soffermandosi a osservare la curva di quel collo lungo e aggraziato e la palla diafana su cui spiccava un sottile strato d’oro al quale pendeva un piccolo ciondolo d’ambra.
Pansy era bella, la era sempre stata per lui: così diversa eppure complementare, indispensabile.
Aveva aperto la busta e letto il suo contenuto: poche righe essenziali, formali e aggraziate nel perfetto stile di Pansy Parkinson.
Essenziali come sempre, in certe occasioni.
“Hai deciso di farlo davvero?”
“Credo vada premiata la fedeltà di un uomo più di qualsiasi altro gesto. Una dichiarazione d’amore non vale un decimo di una devozione che dura anni.”
“Congratulazioni, Pansy. Hai scelto il cagnolino fedele.”
“E tu la schiava muta. La risposta a tutte le domande è semplice, Draco. Noi due non potremmo mai stare insieme. Siamo due tigri che cercano di convivere nella stessa gabbia. Sarebbe possibile? Pensaci se vuoi, ma sarebbe comunque troppo tardi per tutto e per nulla.”
Pansy si era chinata su di lui, entrambe le mani appoggiate sui braccioli della poltrona e lo sguardo di quel nero violento e disperato fisso nel suo.
Quella donna gli era stata indispensabile come l’aria per anni.
Quando aveva smesso di esserla? Quando aveva scelto Astoria Greengrass, la mite copia di sua madre? Quando aveva scelto la tradizione dei Malfoy a discapito della donna che, davvero, gli aveva concesso di sentirsi uomo quando era solo uno stupido coniglio tra i leoni? Persino Goyle e Tiger avevano avuto più coraggio di lui in ogni scelta e azione.
Quando aveva chinato la testa ancora una volta?
“Ti ho amato davvero, Draco.”
Gli aveva posato un bacio sulla fronte con la dolcezza di un madre.
Con la dolcezza di un addio troppo violento per poter essere ignorato.
“Perché?”
“Perché eri tu, null’altro. Perché ti sei innamorato di Astoria?”
“Perché mi somiglia in fondo.”
“Perché non avete mai saputo affrontare la vita. Siete due codardi, non avete mai dovuto combattere per quello che amate davvero. Per quello che desiderate realmente. Avete lasciato che gli eventi vi portassero da una sponda all’altra della vita e il Destino vi ha sempre sorriso. Siete stati fortunati. Spero che la ruota giri sempre nel senso a te favorevole, Draco.”
“Sposerai davvero Zabini?”
Parole strascicate, la paura cieca di un abbandono, un grido soffocato, l’ultima richiesta di salvarlo ancora una volta dalla sua stessa vita: ecco cosa racchiudeva quella domanda banale per lui.
“Così come tu sposerai Astoria Greengrass. E la differenza tra noi sai qual è , Draco? Che tu questo finale avresti potuto prevederlo. A differenza mia, potevi risparmiarti il colpo di scena.”
   
 
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