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Autore: bitchyheartkiller    10/03/2006    5 recensioni
Il racconto di una chiave ed un vampiro. Eterni.
Genere: Dark, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Dawn Summers, William Spike
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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ASHES TO ASHES, MOUTH TO MOUTH


PREFAZIONE
 
E se fosse lo stesso vacillare od annegare nel proprio cordoglio?
Se l’importanza di essere diversi fosse solo apprezzata da chi lo è realmente?
Questa è la storia di un cataclisma fuggito a se stesso,un cumulo di ombre e raggi che uccidono.
Il viaggio di due entità estranee al mondo ma comunque parte di esso.
La loro colonna sonora è musica inquieta mentre si fanno il bagno nelle lacrime e ridono fino a riformarle.
La favola di un’alba e un tramonto che si cercano costantemente.
Il racconto di una chiave ed un vampiro.
Eterni.






ENJOY THE SILENCE (cap.1)

Una cascata di capelli di seta castana copre un viso senza espressione. Pozze cerulee procedono,opache,verso direzioni incerte mentre ciglia d’inchiostro si muovono impercettibilmente. Inerme. Sconvolta. Soffocatamente diafana. Stesa immobile sul cemento bagnato,tra tavole di legno spezzate, i piedi nudi,freddi. Il vestito che le hanno imposto d’indossare ancora sulle sue carni,unica certezza di ciò che è successo.
Tutto il peso del mondo sulle sue spalle. Tutta la colpa del mondo nella sua gola. Un respiro trattenuto. Un tonfo al cuore. Una stretta allo stomaco in procinto di rimettere. Immagini di una morte prematura vivono nella sua mente. E sa che sono i pochi ricordi reali che possiede. I più cruenti. I più tristi. La sua vita è iniziata con la morte. Ironico. Cinicamente criptico. Maledisce il destino sadico che ha scelto lei come sua eterna vittima. Dall’alba dei tempi. Dall’alba. Dawn. Pensa che forse è tutto collegato,che hanno unito i fili in maniera talmente pignola da creare una matassa perfetta. Inaccettabile. Guarda il corpo statico della sorella davanti a lei. Capelli biondi scompostamente adagiati sul maglioncino bianco che aveva deciso di mettere prima della battaglia. Una mano sul torace,sotto il seno minuto,l’altra sulle casse da frutta su cui è distesa. “Su cui è morta” dice una voce dentro di lei. “Per te” ripete quella voce. E lei sa. Ora finalmente comprende lo schema generale. Il fruscio degli alberi provocato dalla brezza d’inizio estate. Il moto degli insetti. Le risate delle persone,le loro lacrime. Il mare con la sua risacca. E la morte. Sempre e comunque eterna ma non per forza reale ed etimologicamente valida. Ne è la prova la sagoma dell’uomo raggomitolato ,non troppo lontano da lei,nel suo lungo spolverino di pelle nera. Le mani con le nocche sanguinanti sul suo viso affilato. I capelli scompigliati d’ un colore improbabile. Biondo-fluo. Industriale. Decolorato. Sospiri senz’aria. Singhiozzi d’acqua salata. Iridi blu diventate perle bagnate. Un vampiro. Capace di piangere e di non accorgersi dell’alba che sta proiettando luce in un momento così buio. Sempre e costantemente l’alba. Lei,in grado di cambiare il corso liquido della notte. In grado di aprire portali. Dawn. Scuote il pensiero,uccide la memoria. Corre verso di lui per ricordargli il sole. Per farlo andare via. Per salvarlo. Perché ora c’è solo lui. Gli altri non esistono. Gli altri non capiscono. “Spike” chiama,sperando in una risposta. Anche sussurrata,anche grezza,poco raffinata,ma reale. Ma lui è un muro di silenzio. Nervoso e pulsante. E allora lo scuote,gli prende le spalle tra le mani magre e urla. Straziante. Stanca. Continua a urlare. Per lui. Per svegliarlo dal suo autodistruttivo torpore. Per lei. Per la sua perdita. Per il suo nulla,la sua non-esistenza. Un battito di ciglia. Un tremito involontario. “Briciola?”. Ed incontra i suoi occhi. Zaffiri scuri. Squarciano come pugnali. Fanno innamorare o producono odio con lo stesso furore. E poi la sua voce. Una vibrazione bassa,ruvida con inflessioni morbide,dolci e un accento straniero più appuntito. Più inglese. Scaccia l’ipnosi. Deve portarlo via,trascinarlo se necessario,ma non farlo bruciare. Non lui. Non ora. Non in quel luogo già scena di un altro delitto. “Spike,ti prego,vieni via,andiamo via”. Non riconosce la sua stessa voce. Troppo flebile. Tremante. Rotta da quel pianto che non è ancora arrivato. E non capisce il perché. Ancora fermo,immobile sulle sue ginocchia. “Ti prego alzati,Spike,alzati per favore. È l’alba,non vedi,tra poco il sole ti raggiungerà e andrai a fuoco,e io ho bisogno di te,lo capisci,mi capisci cazzo?”. È un attimo,lungo un secolo,ed è in piedi. Camminano insieme,sorreggendosi a vicenda,in un silenzio rilassante. In una bolla si sapone di confortevole ignoranza. “L’ignoranza è estasi”. Fottuta voce. Suono ignobile,fuori luogo. Verità morbosa però. Arrivano a casa che è giorno. Sono passati per le fogne. Lui non reggeva più i raggi che gli penetravano la pelle. Anche se avrebbe voluto guardare di nuovo il sollevarsi del sole. Sono nell’atrio ormai da venti minuti,immobili,incollati. Quella casa ricorda loro di lei. Si immaginano che apparirà dalla cima delle scale da un momento all’altro. Farà un ghigno trattenuto a Spike un sorriso radioso a Dawn. Ma quest’ultima non è toppo sicura di questo. Non dopo quella notte. A quel pensiero la mente reagisce,si scompone. Trema un attimo per quella inflessione dal suono metallico. Respira a fondo,lei che può. Strattona il suo compare per la manica della giacca. La sua seconda pelle. Bottino di guerra. Un altro tempo. Un’altra cacciatrice. Quando non le amava ma le uccideva. Ritorna alla realtà,si volta,alza il sopracciglio sinistro,quello con la cicatrice,un altro trofeo. “Possiamo riposarci ora Briciola? Possiamo dormire?”. Velluto viola le sue corde vocali,il loro parlare. E non può negarglielo. Perché anche lei vorrebbe stare sotto lenzuola di cotone facendo finta che non sia successo niente. Lo capisce e glielo concede. Fa un cenno col capo,la sua bocca non riesce ad aprirsi in tempo. Le prende la meno. Necessità di contatto. Di sentire ancora. Gliela stringe. Caldamente fredda. Perlacea. Elegante. Anche con le unghie smaltate di nero. Soprattutto con le unghie smaltate di nero. Le scale per la sua camera. L’unica ancora utile. Le altre saranno presto coperte di una sottile polvere,si dice. Mantello della mancanza. Carburante del ricordo. Lui si toglie il lungo soprabito e i pesanti anfibi. Anche i suoi movimenti sono spenti ed ora sembra veramente morto. Come dovrebbe essere da molto più tempo. Si sdraiano sul letto. Il torace di lui contro la sua schiena,le sue mani sulla sua vita in un abbraccio disperato. Il viso cesellato nell’incavo del collo. Colonia, tabacco e il suo odore. Ghiandole olfattive che registrano ogni profumo. Una catarsi. Ma questa non è una rappresentazione teatrale. È un pugno in faccia. Baci soffici seguono la giugulare. Bisogno estremo. Ed è allora che finalmente arrivano le lacrime. Lame pungenti che scivolano roventi sulle guance bianche. Fino a raggiungerlo. Fino a stuprare anche lui. Un essere ultracentenario. La fa voltare. Battiti di un cuore morto. Si sente nuda sotto il suo sguardo. Così triste. L’avvolge cullandola tra il tessuto leggero delle lenzuola porpora. Ora il suo viso è proiettato tra i suoi pettorali senza più vita. E piange via il dolore. Piange fino ad addormentarsi. E così anche lui.


Si svegliano che è di nuovo notte. Dopo aver sognato di lei. Sempre e comunque lei. Si trovano nella stessa posizione irrealmente immobile di quando si sono addormentati. Le alza il viso verso il suo. E la bacia castamente sulle fronte. Purezza di un killer. Non esistono più il bianco e il nero. Solo grigio. Grigio madreperla. Raffinato. Si alzano. E non si lasciano mai la mano mentre vanno giù per le scale,verso la cucina. “Non ho molta fame,sai?” dice lei,informandolo. “Come se non lo sapessi” pensa lui preparandole lo stesso la colazione. In un’ora serale non ben delineata. Seduti a tavola a bere cioccolata calda con marshmallows. Come quando c’era ancora sua madre. E quando ancora Spike era solo il cattivo della situazione.Che adorava sua madre. Il circolo vizioso si ricompone. Silenzio. Inscrutabile. Le tazze nel secchiaio. Ci penseranno in un altro momento a lavarle. Ora stanno vivendo in un mondo sospeso. Senza alcuna azione necessaria. Senza alcuno stimolo importante.
Si fanno il bagno. Insieme. “È sbagliato,è sbagliato” si ripetono a vicenda. Ma le parole muoiono tra il vapore d’acqua calda. Troppo. Niente ha più importanza. Svanita la moralità. Tutto è subconscio. Carezze che assorbono il sangue. Puliscono la pelle. Purificano l’anima. Anche se lui non la possiede. Non è mai stato importante. Almeno per Dawn. Soprattutto per Dawn. Si sfiorano come se fossero fatti di fuoco. Dita contro dita. Contro nudità esposte. Non c’è nulla di volgare o di innaturale in quello che stanno facendo. Se stanno facendo poi qualcosa,in fondo. Solo moti leggeri e soffici che lasciano un senso di solletico e di nausea post-realizzazione. Ma le farfalle nello stomaco tradiscono il suo desiderio. E riconosce lo stesso volere negli occhi dell’uomo davanti a lei. Attorno a lei. Ovunque. Ma il pensiero scivola via come è arrivato e distrattamente esce dalla vasca insieme ai suoi padroni. Tenuto al guinzaglio. Tenuti al guinzaglio. Entrambi. Un altro ostacolo insormontabile. Un altro patteggiamento. Per il senno di poi. Per una bugia chiamata etica. Per un mucchio di cazzate.
Si coccolano negli accappatoi di spugna morbida. Si asciugano le gocce e insieme ad esse la loro libido.
Si sono appena vestiti. Lei,un abitino con bretelline sottili che le arriva sopra le ginocchia. Una fine fantasia floreale su campo nero. Lui,il solito completo goth-punk. Sembra urlare sesso con quel look da bello e dannato. E questo non è un tritato modo di dire.
Suonano alla porta. Sguardi che si distolgono. Quasi imbarazzati. Presi per i capelli dalla realtà e sbattuti con forza a terra. “Vado io” ,dice lui con voce stranamente sussurrata. Guarda altrove,nota. Scende da basso con passo lento. Più lento della lentezza. Impaurito dalla paura. Di tornare a vivere. O a non vivere nel suo caso. Impugna la maniglia con gli stessi movimenti a rallentatore. Quasi dolorosi. Sofferti. Sente la sua presenza. Il suo sguardo su di lui e sulla porta che gli sta davanti. Gira un attimo la testa. In cima alle scale un viso s’intromette nella staticità della struttura artificiale. Un cenno col capo e sparisce l’angoscia. Apre la porta,finalmente. Attimi lunghi anni. Pesanti come essi. Faccia a faccia con tutto al gruppo. La Rossa,il Carpentiere,Gilda,l’ex-demone impallinato col sesso e,ovviamente,il vecchio Rupert. Tutti insieme per sapere,dopo ventiquattro ore,come sta Briciola. Fottuti ipocriti. Li fa entrare,accomodare sul divano. Incomincia l’interrogatorio e con esso le accuse,le minacce. Bastardi. E allora lei decide di entrare in scena. Passi azzardati sui gradini. Sguardo fisso sui presenti. Li fa tacere in un momento. Allunga la mano verso Spike. Lui gliela stringe. Non hanno bisogno di nient’altro per capirsi. E per farsi capire. Occhi puntati su di loro,sul loro innocuo contatto. Pietrificati. Li hanno uccisi senza muovere un dito. Bersaglio centrato. Obbiettivo raggiunto. Ora possono illudersi tranquillamente. Possono congelare il loro mondo entro quattro mura e non provare più tristezza. Perché ora comincia il viaggio senza meta. Ma saranno insieme.
  
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