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Autore: Roev_Chan    26/06/2011    2 recensioni
"Ffamran camminò a passo deciso verso una delle celle dove venivano rinchiusi i prigionieri e si fermò davanti a una delle porte blindate. Tese un respiro profondo e girò la chiave nella serratura."
La storia di come il Giudice Ffamran se ne andò da Archades, abbandonando la patria e la famiglia per cercare qualcosa che non conosceva: la libertà.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Balthier, Fran
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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 Ffamran camminò a passo deciso verso una delle celle dove venivano rinchiusi i prigionieri e si fermò davanti a una delle porte blindate. Tese un respiro profondo e girò la chiave nella serratura.
 
 
Un paio di settimane prima, Ffamran era stato convocato presso le prigioni di Archades per l’interrogatorio di un nuovo prigioniero. Le guardie lo scortarono in una sala vuota, con un tavolo e due sedie posti al centro, e gli dissero di attendere. Appena le guardie se ne andarono, Ffamran si tolse l’elmo della sua armatura da Giudice. Aprì gli occhi blu e si passò una mano tra i capelli castani: l’aria che tirava dentro quella stanza lo soffocava e la sua armatura contribuiva pure. Avrebbe voluto togliersela, ma fu costretto a coprirsi il volto con l’elmo appena sentì bussare.
-Avanti.- Disse sotto quell’elmo che, oltre a toglierli il respiro, dava alla sua voce un tono quasi metallico. Le guardie entrarono trascinando il prigioniero, coperto da stracci e con in testa altrettanti stracci per impedirgli di vedere . Un’altra guardia arrivò con un grosso sacco e lo appoggiò al tavolo.
-Questa è la refurtiva del prigioniero.- Disse al Giudice mentre gli altri due soldati Imperiali facevano sedere il medesimo, bloccandogli le braccia e le gambe contro la sedia. Ffamran ordinò ai soldati di andarsene e questi obbedirono. Il Giudice afferrò il sacco con gli oggetti del prigioniero, mentre quest’ultimo cercava di dimenarsi dalla sedia, che lo tratteneva tenendogli bloccate le gambe e le braccia con una magia, ma ogni volta che tentava di liberarsi inutilmente, si piegava in due gemendo dal dolore. Era questo che i soldati imperiali facevano: ogni volta che era necessario interrogare un prigioniero, applicavano una magia sulla sedia, in modo che quando avrebbe tentato di liberarsi, questa l’avrebbe fatto soffrire in modo da calmarlo. Ffamran estrasse dal sacco un arco e delle frecce, osservandoli con attenzione,  poi li appoggiò sul tavolo; infilò di nuovo la mano nella sacca e questa volta estrasse una boccettina con un liquido violaceo all’interno. La aprì e annusò il contenuto, per poi sboccare dalla puzza: Tralcio di Morlboro. Il Giudice guardò ancora all’interno della sacca e notò anche la pelliccia azzurra bluastra degli Hellhound, una zanna di Geodrago e tante erbe mediche. Il tutto gli portò a un suolo luogo su tutta Ivalice dove avrebbe potuto trovare tutta quella roba: la Giungla di Golmore. Poi lasciò perdere il sacco e scoprì il volto del prigioniero. Ammutolì, lasciando cadere dalle mani lo staccio che copriva il suo volto. Era solo una ragazza con i capelli bianchi, la pelle scura e le orecchie da coniglio: una Viera del villaggio di Eruyt. Dai numerosi lividi, intuì che era stata torturata e picchiata molto. Lei aprì piano gli occhi rossi e, appena vide il Giudice davanti a lei, scattò inferocita, facendolo retrocedere di qualche passo.
-Sporco Imperiale.- Lo accusò. Ffamran la guardò con sguardo compassionevole, ma la Viera non poteva vedere i suoi occhi per colpa dell’elmo, e quindi gli sembrò del tutto inespressivo. Il Giudice si ricompose.
-Come ti chiami?- Le chiese. Lei non rispose –Cosa ci fai ad Archades?- Ancora niente. Ad ogni domanda che Ffamran le faceva, le non accennava a rispondergli. Dopo un po’, aprì la bocca, seccata.
-Non sono affari tuoi.- Gli disse solo. Lui rimase per un attimo a guardarla.
-Va bene.- Concluse lui, così fece chiamare le guardie e, mentre la portavano via, coprendole di nuovo il volto, il Giudice si rivolse a loro –Trattatela con riguardo, la interrogherò di nuovo.- Nient’alto. Ffamran se ne andò dalle prigioni e si tolse immediatamente l’elmo, respirando profondamente. Si sentiva in colpa per quella ragazza Viera, voleva riuscire a comunicare con lei, in qualche modo. Così, passò altri due giorni a interrogarla, sempre ponendole domande personali.
-Perché ti ostini così tanto? Sai già che non ti risponderò mai.- Gli disse il terzo giorno, sempre con tono di sfida e con occhi colmi di odio e indifferenza. Ffamran alzò le spalle e la sua armatura produsse il rumore metallico delle giunture che si strusciavano le une addosso alle altre.
-Voglio solo aiutarti.- Le disse solo, e la fece di nuovo portare via. Il quarto giorno non parlò di nuovo, e il quinto, appena entrate nella sala, dopo che le guardie se ne andarono lasciandoli di nuovo da soli, fu la prima a parlare.
-Mi chiamo Fran.- Disse distogliendo lo sguardo dal Giudice, che la guardò perplesso per poi ricomporsi e risponderle.
-Io sono Ffamran Mid Bunansa.- Si presentò.
-Come mai tutta questa cordialità?- Chiese lei.
-Non ero io quello che dovrebbe fare domande, qui dentro?- Fran fece un leggero sbuffo, seccata.
-Voi Imperiali siete tutti uguali.-
-Siamo uguali solo per l’armatura, intendi.- Rispose subito Ffamran –Hai per caso visto qualcuno disposto ad aiutarti, qui dentro?- Di nuovo, la Viera non rispose, rimanendo impassibile –Pensaci, Fran.- Concluse Ffamran; e la fece portare via per l’ennesima volta. Per due giorni, il Giudice si prese una pausa e rimase chiuso nelle sua stanza a pensare, senza moltissimo successo. Il giorno dopo, tornò da Fran.
-Te lo ripeto di nuovo, Fran: io voglio aiutarti, però se non collabori non so come fare.- Le spiegò, sbrigativo –Io sono un Giudice, te ne sarai accorta da un po’ di tempo.- Lei annuì.
-E mi sono accorta anche che sei diverso da tutti quegli altri soldati.- Intervenne la ragazza. Ffamran non seppe che rispondere, così si limitò a giocherellare con la zanna del Geodrago che era tra gli oggetti della ragazza –Io me ne sono andata dal mio villaggio. Volevo partire per girare il mondo, volevo cercare la libertà.- Fece una breve pausa –E invece mi sono trovata in catene in questa sporca città dell’Impero.- Disse secca.
-Archades è una città abitata solo da huma.- Spiegò Ffamran.
-Non mi importa. Voglio solo andarmene da qui.- Rispose tristemente. Altri cinque giorni passarono, e Ffamran e Fran passarono quei giorni a raccontare qualcosa di loro, a parlare e scambiarsi brevi opinioni. La cosa durò fino al sesto giorno, quando Ffamran si stava recando al laboratorio di suo padre, il Dottor Cidolfus Demen Bunansa, detto anche Dottor Cid, appena rientrato da una missione nella città perduta di Giruvegan. La porta del suo studio era semi aperta; Ffamran si tolse l’elmo e sbirciò dentro, sgranando gli occhi blu vedendo il padre sghignazzare perverso e a parlare con qualcuno che non c’era. Era già da un tempo che lo vedeva in quello stato, ogni tanto. Il sanità mentale del Dottor Cid era appesa a un filo, e sarebbe esplosa appena quel filo si fosse spezzato. Poi, Ffamran lo udì chiaramente parlare.
 -Devo riportare le redini della storia nelle mani dell'uomo.- Poi scoppiò in una risata pazza. Il Giudice rimase pietrificato. A vedere suo padre ridotto in quello stato, gli si spezzava il cuore. Si rimise l’elmo in testa, si voltò e se ne andò dal laboratorio camminando svelto mentre il mantello dell’armatura gli svolazzava di qua e di là.
-Tu non sei mio padre.- Fece gelido mentre camminava, dirigendosi verso la sua stanza.
 
 
-Fran, è il momento di levare le tende.- Disse Ffamran aprendo la cella con la chiave che aveva rubato a una delle guardie. La viera guardò il Giudice perplessa.
-Che succede?- Chiese lei, rimanendo seduta sulla vecchia brandina nella cella.
-Succede che sei libera, ecco.- Le buttò il sacco con tutta le refurtiva della ragazza -Indossa la tua armatura.- Le ordinò voltandosi. Fran ci mise qualche minuto, ma si vestì in fretta e riprese la sua sacca con i suoi oggetti. Ffamran le porse l’arco con le frecce e le donò anche una katana -L’ho rubata dall’armeria reale.- Spiegò impacciato –Andiamo.- Le fece guida attraverso il palazzo e, una volta usciti, il Giudice si diresse verso una delle aeronavi parcheggiate all’esterno. Si avvicinò al Moguri Nono, che lo salutò.
-Lord Ffamran, l’aeronave è pronta.-
-E tu? Sei pronto, Nono?- Gli chiese Ffamran.
-Non capisco, Lord Ffamran.- Rispose il Moguri, perplesso. Il Giudice afferrò il Moguri per il vestito e lo fece salire sull’aeronave.
-Vieni anche tu con noi, compare peloso.- Il Moguri si commosse nel vedere il proprio padrone portarlo con sé e la prigioniera Viera -Sei libero, Nono.- Gli disse solo. La bestiola pelosa si infilò nell’aeronave, sprizzando gioia da tutti i pori. Poi,Ffamran si tolse l’elmo da Giudice e lo fece cadere per terra, calciandolo via. Fran lo guardò veramente sorpresa.
-Quanti anni hai?- Gli chiese.
-Diciassette.-
-Sei molto giovane.-
-Lo so.- Fran guardò l’elmo, distante da loro.
-Grazie, Giudice Ffamran.-
-No.- Disse lui. Alzò gli occhi e guardò il cielo stellato, sorridendo soddisfatto –Mi chiamo Balthier.-
   
 
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