Storie originali > Epico
Segui la storia  |       
Autore: CowgirlSara    10/03/2006    7 recensioni
Fanfiction partecipante alla 20° edizione del concorso di EFP. - La mia "personale" versione del primo incontro tra Patroclo e Achille, all'ombra di un Destino che li unirà fino alla morte.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Seconda e ultima parte della storia

Seconda e ultima parte della storia. Ho visto che l’avete letta in tanti, mi farebbe piacere sapere cosa ne pensate, anche solo per sapere com’è andato il mio primo esperimento yaoi (infatti, le ff su Alexander le ho scritte dopo). Spero che la conclusione non vi deluda.

Buona lettura.

 

- II parte -

 

Era una sera quieta e la luce di una grande luna piena frugava tra gli ulivi; Patroclo non si sentiva molto di compagnia, per quello aveva deciso di sgattaiolare dalla casa per andare a sedersi sulla riva del limpido ruscello, che scorreva tra gli alberi. Ora sgranocchiava svogliatamente una mela, concentrandosi sull'allegro scorrere dell'acqua. La giornata non era stata delle migliori, in senso fisico e morale, per questo si sentiva stanco. Era riuscito a farsi prendere da un senso d’inadeguatezza che, di solito, provava solo alla presenza di suo padre; non sapere minimamente che cosa fare era opprimente. Staccò l'ultimo pezzo di mela, poi gettò il torsolo nel ruscello.

"Sei triste?" Gli domandò una voce bassa e profonda, ben conosciuta; si voltò sorridendo stentatamente, come diavolo faceva a comparirgli sempre alle spalle senza farsi sentire?

Achille gli sedette accanto e prese ad osservare anche lui il ruscello; il ragazzo gli rivolse un'occhiata che doveva essere fuggevole, ma i suoi occhi rimasero incatenati alla sua figura illuminata dalla luna... Santi numi, la sua bellezza a volte è veramente sconvolgente... La sua pelle serica, illuminata dai lattei raggi della luna, diveniva quasi opalescente, i suoi capelli chiari ricadevano in morbidi ricci argentei e risplendevano nell'ombra, gli occhi di mare rilucevano come stelle.

In quell'istante, però, Achille si voltò verso di lui con sguardo interrogativo, e Patroclo ricordò di non aver ancora risposto alla sua domanda. Chinò gli occhi, imbarazzato.

"Non sono triste, sono solo stanco." Mormorò.

"Bene, mi sarebbe dispiaciuto molto trovarti triste..." Ribatté l'altro con estrema dolcezza; Patroclo lo guardò, piacevolmente stupito dal tono usato.

"Scusa." Affermò il ragazzo, dopo alcuni attimi di silenzio; Achille l'osservò aggrottando le sopracciglia, non capiva perché si scusasse.

"Perché?" Gli chiese.

"Beh, oggi pomeriggio ti ho messo in imbarazzo..."

"No, sono io che.." Si affrettò ad intervenire lui, mettendosi in ginocchio vicino all'amico seduto sull'erba.

"Non hai nemmeno nuotato." Dichiarò sconsolato Patroclo. "Mi pare di aver capito che ti piace molto farlo, scusami anche per quello..." Continuava a parlare guardandosi i calzari.

"Non è un problema, davvero." Lo interruppe sereno Achille. "Lo farò domani." Aggiunse posandogli le mani sulle spalle; Patroclo alzò lo sguardo su di lui, si guardarono un attimo negl'occhi, poi entrambi sorrisero.

"La prossima volta che decido di affrontarti, ti prego, riportami alla ragione prima che sia tardi." Disse Patroclo, dopo che si furono rimessi in piedi.

"Come vuoi." Rispose l'amico, sorridendo divertito.

I due ragazzi s'incamminarono verso la casa, si stava facendo tardi; fatti alcuni passi lungo il ruscello, però, vista l'oscurità dovuta ad una nuvola che passava davanti alla luna, Patroclo mise un piede in fallo e cadde seduto nell'acqua bassa.

"Cazzo!" Imprecò, passandosi una mano bagnata tra i capelli.

"Ahahahahaha!!" Achille, invece, era scoppiato a ridere, osservando la sua ridicola posizione alla luce di una luna di nuovo splendente.

"E tu aiutami, invece di ridere come un idiota!" Gli urlò indignato.

Con ancora le lacrime agli occhi per le risate, Achille si avvicinò e gli porse la mano.

"Scusami, ma è stato troppo divertente!" Gli disse, mentre Patroclo afferrava il suo polso per tirarsi su; ma, quando fu a metà della risalita, invece di spingersi con le gambe per rialzarsi del tutto, fece leva sul braccio sbilanciando Achille, che perse l'equilibrio e cadde a pancia in giù nell'acqua.

"Ahahahah! Adesso rido io!" Esclamò il ragazzo soddisfatto, pur essendo ricaduto anche lui; nel frattempo Achille aveva risollevato il viso dall'acqua e lo guardava con occhi che non promettevano nulla di buono.

"Se ti prendo..." Minacciò ringhiando.

"Uh, sei anche permaloso! Mamma mia!" Ribatté divertito l'altro, cominciando a scappare verso la riva; Achille lo inseguì.

Lo afferrò per le ginocchia, facendolo cadere con la faccia sull'erba, Patroclo si girò e gli schizzò la faccia, ormai era chiaro che il gioco si faceva duro. Achille lo tirò per le gambe e lo fece andare con la testa sott'acqua, lui tornò subito su, tirandogli una grossa manata d'acqua. Continuarono a schizzarsi per un po', ridendo e divertendosi come bambini, finché non crollarono esausti sull'erba.

Solo dopo qualche minuto Patroclo si accorse di avere la mano di Achille ferma sull'addome; lo guardò: era a faccia in giù e con il capo voltato dall'altra parte. Il ragazzo prese un sospiro più profondo e poi mise la sua mano su quella dell'amico, stringendola delicatamente.

"Che fai?" Gli domandò Achille, senza girarsi.

"Niente..." Rispose Patroclo leggermente imbarazzato; l'altro ragazzo si alzò sui gomiti e, finalmente lo guardò.

"Che ci sta succedendo?" Era maledettamente serio.

"Non lo so, vorrei capire, ma non ci riesco." Ammise con sincerità Patroclo.

"Ma noi siamo amici, o cosa?" Chiese il ragazzo dagl'occhi di mare, sembrava rivolto più a se stesso che all'altro, fissava chissà cosa davanti a se.

"In questo momento sarei più propenso per il cosa..." Rispose poco seriamente Patroclo.

"Smettila di fare lo scemo!" Sbottò il Pelide.

"Ascolta..." Gli mormorò, avvicinando la testa alla sua. "Io penso che siamo solo due ragazzi un po' confusi, so soltanto che quando sono con te sto bene, anche se mi fai venire dei dubbi che mai avevo avuto prima. Cosa c'è tanto da pensare? Staremo a vedere cosa ne verrà fuori." Concluse il discorso con un sorriso dolce; Achille lo fissò per alcuni istanti.

"Dunque sostieni che dovremmo seguire il nostro istinto?" Gli domandò poi.

"Uhum." Annuì Patroclo.

"Seguire i propri desideri a volte può essere pericoloso..." Mormorò allora Achille, scostandogli delicatamente i capelli bagnati dal viso, quasi con una carezza, mentre lo guardava serio.

"Non questa volta, credimi." Sussurrò il ragazzo castano, fissandolo negli occhi.

Si guardarono per alcuni, infiniti, attimi, complice la luce argentata della luna piena, entrambi preda di confuse emozioni, ancora più confuse pulsioni, e dei battiti accelerati dei loro cuori; poi Achille, che aveva fermato la sua mano sul collo di Patroclo, lo attirò a se, senza incontrare resistenza, e posò le proprie labbra sulle sue.

Fu un bacio piuttosto lungo e appassionato; si abbracciarono, stesi sull'erba della riva, passando le mani l'uno nei capelli dell'altro, mentre le reciproche lingue esploravano bocche assetate di emozioni. Il momento era dilatato come un’eco.

Quando si separarono, Patroclo si sollevò sulle braccia per guardarlo in faccia; si scambiarono uno sguardo imbarazzato, poi il ragazzo distolse gli occhi, non riuscendo però a trattenere una risata divertita.

"Perché ridi?" Domandò stupito Achille.

"No, è che... è assurda questa cosa! Ahahah!" Rise ancora Patroclo. "Io, che venendo qua mi chiedevo cosa avrei fatto al posto tuo, con tutte queste donne intorno, mi ritrovo a baciare proprio l'unico uomo! Troppo divertente! Ahahahah!"

"Non ci trovo nulla di divertente..." Replicò imbarazzato Achille, voltando il capo.

"Non hai senso dell'umorismo, tu." Disse l'altro, mentre posava la testa sul suo addome; il Pelide sgranò gli occhi, dandogli un'occhiata imbarazzata. "Se dovessi prenderla sul serio, sarebbe un bel problema..." Sussurrò poi, socchiudendo gli occhi; Achille sorrise dolcemente, poi abbracciò la sua testa e gli carezzò i lunghi capelli castani. Rimasero così, stesi sull'erba, illuminati dalla luna.  

 

La luce del sole ferì gli occhi di Patroclo, appena la tenda fu scostata; il ragazzo sollevò lentamente le palpebre, e la prima cosa che vide, nella luce chiara e fresca del mattino, fu Achille, con le braccia appoggiate sul davanzale della finestra, nudo. Sorrise, stropicciandosi il naso.

"Buongiorno." Mormorò poi; Achille si voltò con un sorriso. "Questa non è camera mia." Aggiunse Patroclo, accorgendosi del grande letto e dell'arredamento prezioso della stanza.

"No, è la mia." Rispose l'amico, sedendosi sul bordo del letto; e ancora una volta, Patroclo si trovò ad ammirare il suo corpo perfetto.

"Non ho fatto qualcosa di cui mi possa pentire, vero?" Gli domandò, distogliendo l'attenzione da quella pelle liscia e candida.

"Assolutamente no, e comunque non te lo avrei permesso." Ribatté Achille, sistemandosi una ciocca di capelli dietro l'orecchio; ogni più piccolo gesto lo rendeva desiderabile, era un capolavoro.

"Bah, il fatto è che non mi ricordo di essermi addormentato qui..." Guardò sotto il lenzuolo. "...nudo." Aggiunse alzando gli occhi sull'altro ragazzo.

"Sarà perché già dormivi, quando ti ci ho portato." Replicò retorico Achille, con un mezzo sorriso; Patroclo rispose sbuffando e coprendosi il viso con l'avambraccio. "Hai fame?" Gli chiese allora; lui tolse il braccio, i suoi vivi occhi nocciola brillarono.

"Da morire!" Rispose allegramente.

"Allora vestiti." Gli consigliò Achille, che, dopo essersi messo in piedi, stava indossando un lungo abito bianco panna.

"Ma che fai?" Disse Patroclo, sollevandosi a sedere sul materasso. "Ti vesti ancora da donna?"

"Per favore." Replicò serio l'altro, girandosi verso di lui. "Sai che non posso farne a meno."

"E' solo tua la scelta." Dichiarò Patroclo, fissandolo negl'occhi; Achille chinò il capo, continuando a vestirsi.

Scesero a fare colazione, recandosi direttamente nella cucina; le figlie di Licomede li osservavano stupite scambiarsi sorrisi complici, mentre Achille mangiava come una fanciulla non dovrebbe mai fare, sotto lo sguardo divertito di Patroclo. Durante la mattinata vennero anche a sapere che Ulisse era sceso al porto; Patroclo si meravigliò che non lo avesse avvertito, ma Achille replicò che, forse, semplicemente non lo aveva trovato, visto che dormiva in camera sua. Il ragazzo rimase perplesso.

 

La risposta ai suoi dubbi, Patroclo l'ebbe quella sera: Ulisse rientrò a casa di Licomede con due carri carichi di merci. Il ragazzo e Achille osservarono la scena dalla balconata che dava sul cortile interno; il falso mercante annunciò l'arrivo delle sue mercanzie, quella sera le avrebbe mostrate agli abitanti della casa. Patroclo s'insospettì, non era uno stupido e conosceva Ulisse abbastanza bene da sapere che il re di Itaca aveva in mente qualcosa; si voltò verso Achille, ma sembrava che l'altro non si fosse curato molto delle novità. Avrebbe scoperto tutto solo dopo cena.

Il grande salone era illuminato riccamente ed invaso da stoffe, casse di gioielli, oggetti rari e preziosi; il padrone di casa era disteso sul suo lungo sedile, circondato dalle figlie. Un po' in disparte, appoggiata ad una colonna c'era Altea, vicino a lei Patroclo.

"Guardate!" Annunciò Ulisse, indicando la mercanzia. "Guardate, che meraviglie vi ho portato!" Continuò con fervore. "Sete e lini, intessuti di perle e d'oro, come usa sulla sponda orientale del Ponto Eusino, legni profumati e incensi dal sud, gioielli tanto belli che nemmeno la regina di Argo ne possiede!" Continuò, ma non gli era sfuggito lo sguardo scettico della *fanciulla* dagli occhi color oceano e il suo sorrisetto sardonico. "Non ti piacciono queste stoffe... Altea?" Domandò, sottolineando il nome; lei rispose solo increspando leggermente un lato delle sue perfette labbra. "Eppure questo colore ti dona..." Riprese, posandogli sulla spalla un panno dai cangianti colori rosa; lei lo spinse via piano, facendolo cadere a terra, sempre con la stessa espressione indecifrabile. Patroclo li guardava preoccupato. "Preferisci forse il verde mare, Altea? Ho anche quello..." Ma lei lo ignorò, scostandosi con eleganza, mentre le altre fanciulle si assiepavano intorno ai prodotti con risolini entusiasti.

Percorse alcuni passi, con aria distratta, come se nulla di quello che vedeva la interessasse; Patroclo ne seguiva ogni spostamento, cominciava ad intuire dove voleva arrivare Ulisse, ma quello che lo preoccupava di più era pensare che Achille, invece, lo aveva capito benissimo e lo stesse assecondando.

Un ultimo sensuale passo avvicinò Altea ad un grosso baule aperto; lanciò uno sguardo e un sorriso retorico ad Ulisse, poi chinò gli occhi sul contenuto dello scrigno. Vi erano gioielli, bracciali, collane e orecchini, ed altri oggetti preziosi, come pugnali intarsiati, scacciamosche finemente decorati, fibbie d'oro.

"Preferisci forse i gioielli, Altea?" Le chiese Ulisse; Patroclo fece un passo verso di loro, mentre lei sollevava dal baule un fodero di cuoio decorato da fili d'oro e pietre preziose, in cui era riposta una spada.

Achille guardò di nuovo Ulisse, e ancora increspò le labbra, mentre gli occhi chiari dell'uomo ebbero un luccichio soddisfatto; Patroclo scosse la testa, abbassando il capo, in quel momento sentiva come se l'inevitabile fosse già successo e l'eco di tutto un destino già piombato su di loro, tutti loro.

Fu allora che Achille sfoderò la spada, con un sibilo metallico inquietante; le figlie di Licomede sobbalzarono, alcune gridarono, il padrone di casa balzò in piedi. Il giovane puntò la lama alla gola di Ulisse.

"Tu lo sai chi sono io, vero?" Gli domandò minaccioso, ma senza perdere il suo sorrisetto.

"Santi Numi del cielo, che cosa stai facendo!" Gridò Licomede, avvicinandosi; il ragazzo si girò e indirizzò la spada verso di lui, che spalancò gli occhi allibito.

"Taci tu, codardo, non sto parlando con te!" Ribatté deciso Achille, con nella voce tutto il disprezzo represso per anni; le fanciulle urlarono. "Zitte!" Gli ordinò il ragazzo, loro si ritirarono impaurite in un angolo.

Ulisse, nel frattempo, al contrario di Patroclo, sorrideva, non troppo sorpreso dalla personalità che il giovane semidio stava dimostrando in quel salone; quando Achille si voltò di nuovo verso di lui, lo trovò impassibile, con un sorriso furbo e gli occhi scintillanti.

"Tu sai chi sono io." Gli disse.

"Io lo so." Rispose Ulisse. "Ma sei tu che ti devi dichiarare." Aggiunse con calma.

Il ragazzo afferrò la spalla del suo vestito e la strappò con forza, mostrando un torace decisamente maschile; Patroclo si passò una mano sul viso, Ulisse sorrideva soddisfatto e Licomede diventava sempre più paonazzo.

"Io sono Achille, figlio di Peleo." Affermò poi, con sicurezza.

"Tu, tu, stolto!" Cominciò ad urlare il padrone di casa, brandendo l'indice verso Achille. "Non hai il diritto di fare questo, non puoi condannare me e la mia famiglia alle maledizioni di tua madre! Io ti ho ospitato nella mia casa, ti ho campato per anni!" Continuò con espressione isterica.

"Smettila, inutile omuncolo, credi che non sappia il motivo che ti ha spinto ad accogliermi?" Replicò il Pelide, osservandolo con malcelato disgusto. "Mi hai tenuto qui solo per paura, solo il timore dell'ira di mia madre e le sue promesse di prosperità per la tua casa, mi hanno dato un tetto." Aggiunse. "Fosse stato per te, sarei cresciuto per la strada, come un cane randagio."

"Queste accuse sono gratuite!" Protestò Licomede. "Ti ho curato come farebbe un padre!" A quelle parole, Achille prese un lungo respiro, poi si girò verso di l'uomo, con uno sguardo raggelante.

"Non hai idea di quanto false siano le tue dichiarazioni!" Gli gridò con rabbia. "Un padre non mi è mai mancato, e lo sai, tu non sei degno nemmeno di pulirgli i calzari, coniglio!" Licomede tremò, tirandosi indietro; le sue figlie piagnucolarono, nell'angolo dove si erano rifugiate. 

Ulisse e Patroclo si scambiarono un'occhiata, entrambi non erano stupiti da questa dimostrazione di carattere del Pelide, sapevano che lui era come un fuoco sopito, e sarebbe bastato attizzarlo per far esplodere la fiamma che era celata sotto la cenere; adesso il colpo era dato, nessuno lo avrebbe fermato più.

"Fuori da qui, donne!" Gridò Achille, rivolto alle fanciulle, torvo. "Non sopporto più le vostre voci, le vostre frivole risate, le inutili lacrime, USCITE!" Piangendo spaventate, le ragazze si ritirarono nelle stanze interne della casa; lui si girò verso i due falsi mercanti, soddisfatto. "Erano anni che sognavo di farlo." Poi spostò gli occhi sul solo Ulisse. "E ora dimmi, Re di Itaca, che cosa vuoi da me?"

"Anche tu sai chi sono, allora." Affermò l'uomo dai capelli neri.

"Non è stato difficile scoprirlo, mio padre ti conosce." Spiegò Achille. "Adesso parla." Lo incitò poi; Ulisse si mosse, cominciando a spostarsi per la stanza.

"In questi anni ci sono state molte battaglie, che per lo più, ogni regno della Grecia ha combattuto da solo, ora, un simposio dei principi greci, ha firmato un'alleanza." Cominciò a spiegare l'uomo. "Certo, i combattimenti non sono finiti, ma i regni principali sono in pace." Affermò allargando le braccia. "Adesso si prospetta una guerra contro Troia, e abbiamo bisogno di nuove leve, nuovi condottieri per gli eserciti..." Achille ne seguiva i passi, ascoltandolo. "...la leggenda afferma che tu, saresti diventato un guerriero più grande di tuo padre... e lui ha vinto molte battaglie..."

"Dove vuoi arrivare?" Fece il giovane, con un cenno del capo, osservandolo a braccia conserte.

"La domanda giusta è dove vuoi arrivare tu." Replicò Ulisse. "Quanta gloria sei disposto a conquistare, su un campo di battaglia? Questa sarà la più grande guerra mai vista, tutti i più valenti guerrieri di questa generazione vi parteciperanno, è la tua occasione." Rincarò l'uomo, aveva notato l'espressione del ragazzo. "E' il tuo destino, se lasci questa vita, l'alternativa è la guerra, e potresti diventare il più grande eroe che la Grecia abbia mai avuto." Aggiunse, fermandosi ad un passo da lui.

"Il più grande?" Domandò Achille; Ulisse annuì. "Più grande di Perseo?"

"Nemmeno lontanamente paragonabile." Rispose l'uomo.

"Più di Giasone?"

"Molto, molto di più."

"E più di... Eracle?" Stavolta la risposta ci mise un po' di più ad arrivare, sotto lo sguardo incuriosito di Patroclo.

"A quel livello almeno." Precisò Ulisse; Achille fece un sorrisino divertito.

"Bada, che ancora non ho deciso se accettare." Dichiarò il ragazzo.

"La scelta è tua." Affermò l'uomo, allontanandosi e allargando le braccia. "Hai davanti le alternative, ma a questo punto, sappi che rimanere qui sarebbe un peccato nonché uno spreco." Aggiunse tranquillo.

"La mia decisione non dipende solo da me." Precisò Achille, tornando serio. "E sappi che, se decido di accettare, non sarò disposto ad essere comandato, io non sono un cane e non ho padroni." Aggiunse, fissando i suoi occhi verdeblu in quelli trasparenti del suo interlocutore.

"Mah, per quanto mi riguarda..." Ribatté Ulisse, stringendosi nelle spalle. "...da quel punto di vista non ci sono problemi." Concluse allargando le mani; così aveva scaricato la famigerata patata bollente nelle mani di qualcun altro. E gli hai dato una bella gattina da pelare, a quella boriosa vescica di vacca di Agamennone... Pensò Patroclo, sorridendo sotto i baffi.

"Avrai la mia risposta domani al tramonto." Dichiarò Achille, interrompendo i pensieri dell'altro ragazzo, che lo guardò.

"L'aspetterò." Rispose Ulisse; il Pelide annuì, poi gli diede le spalle, allontanandosi.

Patroclo fece per seguirlo, ma fu fermato dalla mano dell'uomo, che si strinse sulla sua spalla; si scambiarono un lungo sguardo, Ulisse scosse il capo, come a volergli dire di non andare.

"Sei sicuro che abbiamo fatto bene?" Domandò il ragazzo, incerto.

"Questa scelta è il suo destino, ma per noi è una necessità." Replicò Ulisse, posando una mano sulla sua spalla. "Il bene di molti viene prima di quello di uno." Aggiunse, poi se ne andò.

Il problema, però, per Patroclo, era che quell'uno fosse Achille, che fosse la sua vita il prezzo da pagare per vincere una guerra, e questo no, non lo poteva accettare.

 

Achille era fermo sulla sabbia, dove l'acqua limpida lambiva i suoi piedi; aveva appena finito di nuotare e si era portato i lunghi capelli bagnati dietro la schiena, ora sembrava in attesa di qualcosa. Pochi istanti dopo, lo specchio di mare davanti a lui, cominciò ad incresparsi, poi a schiumare, finché, lentamente, sorse una figura fatta d'acqua, che si trasformò infine in una persona. Era una donna, molto giovane all'apparenza; conchiglie, coralli e perle le adornavano i capelli, in tutta la loro lunghezza, e anche l'abito, una semplice tunica bianca. Aprì gli occhi, che avevano il colore dell'oceano, e si prese le mani.

"Tu hai già deciso." Affermò poi, guardandolo negl'occhi.

"Sai sempre tutto, tu." Replicò il ragazzo, chinando il capo.

"Mi hai tradito, Achille." Continuò la donna, restando impassibile; lui rialzò gli occhi e la guardò.

"No, non l'ho fatto, madre!" Gridò indignato. "Ho solo preso una decisione da solo, per la prima volta in vita mia non dipendo dal volere degli altri."

"Tutto ciò che ho fatto, è stato per proteggerti Achille." Ribatté Teti.

"La scelta che mi è stata posta davanti, madre, solo io posso farla." Riprese il ragazzo. "La mia vita non ti appartiene."

"Io, ti ho dato quella vita che denigri tanto!" Esclamò la dea, portandosi una mano al petto.

"Non lo faccio, madre!" La sua voce era accorata. "Credimi, sull'amore che ti porto, io ho solo bisogno di dimostrare a me stesso che valgo qualcosa!"

"Con la morte, lo vuoi dimostrare? Perché lo sai, questo è scritto, se combatti morrai, il filo sarà reciso..." Teti lo prese per le braccia.

"Che lo sia." Dichiarò serio lui. "Io non tornerò a fare una vita che mi umilia e degrada, il mio orgoglio non è più disposto ad accettarla."

"Le scelte che ho fatto sono state per il tuo bene." Insisté lei.

"Quante? Quante scelte hai fatto al posto mio?!" Gridò Achille adirato. "Dimmelo, madre! Come hai cambiato la mia vita?!"

"Tu non puoi capire..." Mormorò la dea, scuotendo il capo. "Io volevo portarti con me sull'Olimpo."

"Ma non hai potuto." Disse il ragazzo. "E allora perché non mi hai affidato a mio padre?! Perché mi hai tenuto lontano da lui per anni, affidandomi a gente estranea?! Ha dovuto cercarmi!"

"Non capisci..." Fece ancora Teti, tenendo gli occhi bassi. "...il tuo amore per Peleo ti acceca lo sguardo..."

"E' il tuo odio per lui, che io non capisco." Affermò il ragazzo, interrompendola; la dea rialzò gli occhi su di lui, colta di sorpresa.

"E' un mortale, Achille."

"Anch'io lo sono." Replicò il giovane. "Odi forse anche me?"

"Ma che cosa dici!" Ribatté con veemenza lei, prendendogli il viso tra le mani. "Io ti amo, tu sei mio figlio!"

"E allora, lasciami andare." Rispose lui. "Sciogli quest'ultima catena che mi lega a te, e lasciami vivere la mia vita, lunga o breve che sia, gloriosa o inutile, ma lascia che sia io a sceglierla."

"Come faccio a lasciarti, sei tutto ciò che ho." Sussurrò la dea, abbracciandolo; Achille la strinse a se.

"Lo so, per una dea immortale è arduo rassegnarsi al fatto che suo figlio non lo sia." Mormorò poi, carezzandole i capelli. "Ma non devi avere rimpianti, poiché mi hai dato tutto l'amore che una madre può dare, e so che non mi lascerai, fino alla fine." Aggiunse dolcemente; Teti si scostò leggermente.

"Il mio conforto e il mio consiglio non ti mancheranno mai." Dichiarò, carezzandogli il viso.

"Grazie, madre mia." Disse il ragazzo; lei lo fissò ancora per qualche attimo, poi gli baciò la fronte, infine si allontanò di qualche passo e scomparve come era venuta.

Achille respirò intensamente il profumo del mare; non sperava che Teti avrebbe accettato la sua decisione, ma forse lei già sapeva che lo avrebbe fatto e, conoscendolo, sapeva che l'opposizione sarebbe stata controproducente. Fece un sorriso amaro, poi si voltò; c'era Patroclo, a qualche passo da lui, sulla spiaggia.

"Con chi parlavi?" Gli domandò l'amico, con una strana espressione.

"Non prendermi per pazzo." Rispose Achille. "Era mia madre, tu non puoi vederla." Aggiunse; allora Patroclo sorrise. "Sei qui da molto?" Gli chiese poi.

"Beh, no, sono appena sceso..." Indicò la scogliera. "Ti ho visto ringraziare l'aria e... ho pensato di raggiungerti, ecco." Spiegò.

"Capisco." Annuì il Pelide sorridendo con una punta di tristezza; Patroclo lo guardò negl'occhi.

"Ti ha accordato il suo permesso?" Chiese poi, indicando col capo il mare.

"Sì." Confermò Achille. "Adesso dovrò parlare con mio padre, e sarà più difficile, lei mi potrà seguire, lui no." Aggiunse mesto.

"Vuoi che venga con te?" Si offrì Patroclo; l'amico gli sorrise dolcemente, ed era stupendo quando lo faceva.

"Non è necessario, comunque grazie." Gli rispose, poi gli diede un tenero bacio sulla guancia.

Il ragazzo lo guardò andar via, come sempre turbato dalla sua contraddittoria presenza, da quel contatto così spontaneo eppure strano; da una parte sentiva così naturale, ciò che lo spingeva verso Achille, come se lo avesse sempre cercato, e dall'altra gli sembrava di andare contro le convinzioni che lo avevano animato per anni. Una cosa era certa, più passava il tempo, e meno sapeva fare a meno di lui, il solo pensiero di poter essere presente, il giorno della sua caduta, gli lacerava il cuore. 

 

"Lo sapevo." Affermò Peleo, quando il figlio ebbe finito di esporgli la situazione e comunicato la propria decisione. "L'ho saputo fin da quando ho conosciuto Patroclo, che era arrivato il momento."

"Non lo faccio per lui, ma per me stesso." Replicò Achille.

"So anche questo." Annuì il padre. "E' probabile che sarebbe successo comunque, non possiamo sottrarci al nostro destino, la vita è un percorso che qualcuno ha deciso prima di noi." Aggiunse. "Tu sei stato privilegiato, ti è stata data la possibilità di scegliere il tuo fato, ma io ero consapevole che la scelta sarebbe stata questa, perché tu sei nato per combattere."

Achille ascoltava la parole di suo padre standogli al fianco, col capo chino e gli occhi persi nel luccichio delle onde sotto la scogliera; non sapeva cosa rispondergli, in quel momento aveva solo voglia di piangere, non si era mai sentito così fragile.

"Io ti ho insegnato tutto quello che so." Continuò Peleo, osservando l'orizzonte. "Non ti resta che dimostrare di essere più grande di quanto io sia stato mai, e so che lo farai..." Lo interruppe l'impetuoso abbraccio del figlio; lui lo strinse a se, carezzandogli il capo.

"Non avrò mai parole, per ringraziarti di ciò che ho imparato da te, ma soprattutto..." Mormorò, cercando di trattenere le lacrime. "...per l'amore che mi hai dato, il tuo insegnamento più grande."

"Figlio mio..." Disse l'uomo, commosso. "...io ho combattuto a lungo per te, ma non sono pentito, perché tu mi hai reso orgoglioso, anche con la tua scelta di oggi." Lo scostò da se, tenendolo per le spalle, e gli baciò la fronte.

"Grazie, padre..." Achille si passò una mano sugl'occhi e gli fece un breve sorriso. "...io sono orgoglioso di essere tuo figlio." Anche Peleo sorrise.

"Non ho più lezioni da farti." Affermò allora l'uomo. "Ma un dono invece sì." Il figlio lo guardò incuriosito. "Seguimi."

Andarono in una rimessa a lato della casa, dentro la piccola costruzione c'era un bellissimo carro da guerra; era costruito in legno pregiato e cuoio decorato, i raggi delle grandi ruote sembravano il disegno di punte di stella.

"Questo carro..." Esordì Peleo. "...mi ha portato a molte vittorie, in passato." Achille lo osservava, girandoci intorno, i suoi occhi splendevano. "E' robusto, ma leggero, molto maneggevole, e bene armato..." Si era accorto che il figlio osservava le lame poste sui perni delle ruote. "Ma, soprattutto, è imbattibile se trainato da loro." Il ragazzo alzò gli occhi e vide suo padre indicare due cavalli ricoverati nella stalla ricavata dall'altra metà della rimessa.

"Mi dai Balio e Xanto?!" Chiese incredulo ed entusiasta; l'uomo annuì.

"Conosci la storia di quei due cavalli, vero?" Gli domandò poi.

"Sì, me la narrasti anni fa." Annuì il figlio. "Te li donò Poseidone il giorno delle tue nozze."

"E' così." Confermò il padre. "E da allora non sono invecchiati un giorno." Aggiunse, avvicinandosi alle bestie e carezzando il muso di entrambi. "I magici cavalli del dio dei mari, capaci della stessa velocità nell'acqua, sulla sabbia e sulla roccia..." Annunciò, poi si girò verso Achille, guardandolo negl'occhi. "Fai che ti riportino sempre indietro sano."

"E' un dono troppo grande, non so che dire..." Ammise timidamente il ragazzo.

"E non devi farlo." Ribatté Peleo. "Io sono tuo padre, questa è la mia eredità." Si guardarono negl'occhi, sorridendo.

"Ora devo tornare." Dichiarò infine Achille; il padre lo strinse per le spalle.

"Torna quando sarà il momento di partire, ti darò il carro e ci saluteremo." Affermò l'uomo; il ragazzo annuì, poi, dopo un ultimo sguardo al dono del padre, se ne andò.

 

Un tramonto particolarmente infuocato arrossava l'orizzonte, affascinando lo sguardo di Ulisse, che lo osservava dal balcone della casa di Licomede; Patroclo lo raggiunse.

"E' tornato?" Gli domandò il ragazzo; Ulisse non si girò, ma scosse il capo.

"Lo sto aspettando." Rispose poi.

"Sei deciso..." Commentò Patroclo.

"E' lui che deve esserlo, non sono autorizzato ad intervenire." Affermò l'uomo, continuando a guardare il panorama.

"Ma lo hai fatto." Replicò l'altro; lui si strinse nelle spalle.

"Non mi sembra più di tanto."

"Io non credo che Achille sia del tutto consapevole del fatto che se combatterà perderà la vita." Dichiarò Patroclo, posando le mani sul parapetto del balcone.

"Oh, ti sbagli." Ribatté Ulisse, voltandosi verso di lui. "Lui lo sa perfettamente, e comunque, probabilmente, moriremo tutti, questa è la guerra." Aggiunse calmo.

"Ma lui..." Mormorò il ragazzo; l'uomo gli posò una mano sulla spalla.

"Patroclo..." Esordì. "...so quanto è difficile pensare alla morte di qualcuno che si ama, io ho una moglie e un figlio, che mi aspettano a casa."

"Non capisco cosa vuoi dire..." Disse Patroclo, evitando il suo sguardo; per un qualche misterioso motivo si sentiva in imbarazzo.

"Vi ho visti ieri mattina..." Il ragazzo continuava a guardare altrove, ma si era irrigidito. "Quando ho trovato il tuo letto vuoto, sono venuto a cercarti, in camera sua..." Il cuore di Patroclo subì un'accelerazione. "...dormivate, non abbracciati, ma tu gli tenevi la mano." Questo non lo ricordava, era quasi sicuro di essere arrossito in quel momento.

"Non è successo niente di quello che puoi pensare!" Replicò con veemeza, alzando gli occhi su Ulisse.

"Io non penso nulla." Affermò l'uomo, allargando le mani.

"E invece sì, perché ci hai visti insieme, nudi a letto, e..." Protestò il ragazzo, sollevando le mani strette a pugno. "Noi siamo solo amici!"

"E calmati!" Lo blandì il re di Itaca. "Io non contesto la vostra amicizia, l'affetto, o qualsiasi cosa vi unisca, è solo che il tuo attaccamento a lui ti ha portato perfino a rinnegare la missione che ci ha portati qui." Spiegò poi. "Per salvarlo saresti disposto a sacrificare una causa in cui credevi."

"Forse non ci credevo poi così tanto..." Commentò Patroclo, col capo chino.

"Forse hai trovato qualcosa che vale più di un ideale." Ribatté tranquillamente Ulisse; lui lo guardò, sorpreso dalla verità di quelle parole. "Ad ogni modo, Achille verrà con noi, perciò sembra che rimarrete insieme, anche se in battaglia." Aggiunse, dandogli una pacca sulla spalla, poi tornò a girarsi verso il balcone. "Sta arrivando." Annunciò.

Patroclo voltò a sua volta lo sguardo verso l'esterno, vide subito l'elegante figura di Achille incedere decisa verso la casa; il ragazzo era confuso, preoccupato e anche un po' imbarazzato, era veramente così palese quello che provava? Si sentì indifeso.

Seguì Ulisse, dopo qualche attimo di smarrimento, e quando arrivarono di sotto, Achille stava entrando nel cortile; li guardò, poi si avvicinò al re di Itaca.

"Togliti dalla faccia quel sorrisino soddisfatto." Gli disse. "Tanto lo sapevi che alla fine avrei accettato." Aggiunse tranquillamente.

"Ho idea che la schiettezza sarà il tuo peggior problema, Achille." Rispose Ulisse, mentre il ragazzo gli passava accanto, camminando verso la casa.

"Tu non ti preoccupare." Ribatté lui, alzando una mano. "I miei problemi li risolvo da solo." Dichiarò salendo le scale.

"Salpiamo domani, prima di mezzogiorno." Gli annunciò Ulisse, girandosi verso di lui.

"Così presto?" Intervenne Patroclo, che fino ad allora era rimasto in silenzio; gli altri due lo guardarono.

"La situazione in Grecia sta precipitando, non abbiamo più tempo." Gli rispose Ulisse.

"Sarò pronto." Annuì Achille, deciso come un generale navigato di fronte alle truppe, poi gli diede di nuovo le spalle e scomparve dentro la casa.

 

Era inutile, quella sera Patroclo non aveva voglia di dormire, benché si sentisse abbastanza stanco; la luna era alta, e lui non sapeva far altro che vagare tra le piante di salvia, rosmarino e alloro, nell'orto di Licomede. Si fermò sbuffando, appoggiato ad un ulivo.

"Non riesci a dormire?" Gli domandò Achille; lo aveva visto arrivare, e come sempre il cuore ora gli batteva più forte.

"A dire il vero, non ci ho nemmeno provato." Rispose il ragazzo.

"Che cosa ti preoccupa?" Gli chiese dolcemente l'amico. "Non sei felice che venga con voi?" Patroclo si girò, posando la fronte contro il tronco dell'albero.

"Sono felice, ma allo stesso tempo non lo sono." Confessò. "Tu mi confondi, io voglio stare con te, ma temo di vederti in una battaglia." Aggiunse, socchiudendo gli occhi.

"Purtroppo credo che sia la mia stessa natura a causare queste contraddizioni, io sono un paradosso vivente." Affermò Achille, poggiando la schiena allo stesso ulivo. "Sono un semidio invulnerabile, i comuni mortali non potranno mai accettarmi del tutto..." Continuò chinando il capo. "...e comunque resto un uomo, che prima o poi morrà, perciò troppo poco per gli dei, non degno di essere accolto nell'Olimpo." Patroclo lo guardò, stupendosi di trovare un'espressione serena. "Per tutti questi motivi, mi sono costruito una specie di mondo mio, dove solo io decido le regole."

"A volte mi fa un po' paura, questo tuo mondo." Mormorò l'altro ragazzo, guardandolo negl'occhi.

"Sei stato tu a decidere di metterci piede, Patroclo." Gli ricordò; lui sbuffò sorridendo, e tornò a posare la fronte contro l'albero. "Oh, su!" Esclamò Achille, abbracciandogli le spalle e posando il mento sulla sua spalla, Patroclo lo guardò. "Lascia i timori, e ti assicuro che insieme conquisteremo il mondo!" Sembrava tranquillo ed entusiasta, sorrideva.

"Se lo dici così, finirò per crederci..." Disse Patroclo.

"Perché? Cosa ci manca?" Chiese Achille, allegro, non lo aveva mai visto così. "Abbiamo ardore, gioventù e forza, e siamo favoriti dagli dei." Aggiunse stringendolo di più, poi rise. "Almeno per il momento, lo siamo." Precisò divertito.

Patroclo lo osservava in silenzio, gli sembrava trasformato, ora era veramente se stesso, senza doversi più preoccupare di mantenere un segreto che di sicuro gli pesava; ed era bello, come non lo aveva mai visto, dolce e deciso, luminoso, con un sorriso irresistibile. Troppo tardi si accorse di essere rimasto imbambolato a fissarlo, senza accorgersi che non parlava più ed ora lo osservava incuriosito; si scambiarono uno sguardo, sorridendo, ma Patroclo voleva di più. Allungò il collo e gli posò un fuggevole bacio sulle labbra; Achille non rimase stupito, e replicò allo stesso modo.

Patroclo si girò nelle sue braccia, e cominciarono a baciarsi lentamente; non fu una cosa passionale come l'altra volta, piuttosto un reciproco e paritario scambio di tenerezza. Con le mani di Achille sul viso, Patroclo stava bene, se fosse morto in quel momento, sarebbe morto felice.

Rientrarono a casa quando la notte era già alta, sereni, camminando affiancati e scambiandosi ogni tanto un sorriso; quando furono sulle scale, Patroclo fermò Achille, lui lo guardò interrogativo.

"Sai una cosa?" Gli disse con dolcezza. "Tu devi essere proprio un grande condottiero." L'altro ragazzo lo ascoltava incuriosito, reclinando il capo di lato. "Anche senza armi, qualcosa lo hai già conquistato..." Achille sorrise, con quel misto d'innocenza e decisione che lo rendeva unico, poi lo prese per il collo, avvicinandolo a se, e gli baciò la guancia.

 

Peleo era seduto sul bordo del pozzo, stava pulendo un piccolo scudo, ma era inutile negare che aspettava suo figlio; nel suo animo si agitava un misto di consapevolezza, orgoglio e malinconia che gli attanagliava il cuore. Sarebbe stata l'ultima volta che lo vedeva.

E Achille arrivò, correndo su per la collina; il padre lo accolse alzandosi e incrociando le braccia, ma quando si fermò davanti a lui, le sciolse subito. Il ragazzo aveva il viso arrossato e gli occhi lucidi, il fiatone non gli permetteva ancora di parlare.

"Che succede?" Gli domandò preoccupato Peleo.

"Ho pianto per tutta la strada." Rispose Achille, senza trattenere le lacrime che arrivavano di nuovo; il padre sorrise tristemente e gli posò le mani sulle spalle.

"Sono felice di averti insegnato anche a non nascondere i tuoi sentimenti." Stavolta fu il figlio a fare uno stentato sorriso. "Vieni qui." Gli disse abbracciandolo.

"Non volevo che tu mi vedessi così, ho cercato di smettere..." Mormorò il ragazzo.

"Non temere, il tuo nobile cuore non è una debolezza." Affermò Peleo; Achille lo guardò, con una smorfia e tirando su col naso. "Ora basta lacrime, oggi festeggiamo." Gli diede una pacca sulle spalle e s'incamminò verso la casa.

Il figlio lo guardò allontanarsi, preso ancora una volta dall'immensa ammirazione che aveva per lui e dal magone che gli suscitava il pensiero che quello era il loro ultimo incontro. Stava per seguirlo, ma l'uomo si fermò, posando una mano sulla staccionata che costeggiava il vialetto.

"E' venuta tua madre, ieri sera." Gli riferì; Achille spalancò gli occhi stupito e lo raggiunse correndo.

"Veramente?" Gli chiese. "Che cosa ti ha detto?" Nonostante gli anni passati e la perfetta conoscenza della situazione, lui continuava a sperare in una loro riappacificazione.

"Questa è per lui." Disse Peleo, imitando il tono imperioso della moglie. "Solo questo, nient'altro, poi è andata." Continuava a guardare davanti a se. "E' ancora bella come allora..." Commentò.

"Io... io non capisco..." Mormorò invece Achille.

"Ha portato qualcosa per te." Spiegò allora il padre, ed entrò in casa; il figlio lo seguì.

Peleo si spostò su un lato, vicino al tavolo; al centro della stanza, sopra un tappeto di canapa intrecciata, c'era un'armatura: stava eretta, come se dentro avesse un sostegno, le maglie del gonnellino erano disposte intorno, a cerchio. Era un vero capolavoro, sicuramente di bronzo puro, decorata con smalto bianco e lamine d'oro, splendeva anche in penombra; l'elmo era sovrastato da un cresta di pregiate piume rosse, il fodero e la spada avevano gli stessi disegni del pettorale e dei coprispalle. Achille si avvicinò quasi timoroso, e completamente stupito.

"E' bella, vero?" Gli fece il padre; lui lo guardò, incapace di proferire parola. "L'ho osservata bene, quella corazza non è stata forgiata da mano d'uomo." Dichiarò l'uomo; altro sguardo sorpreso del ragazzo.

"Vuoi dire che..." Suggerì Achille.

"Tu lo sai, tua madre è stata la balia di Efesto." Replicò il padre. "Non credo che lui le avrebbe negato un'armatura preziosa per proteggere suo figlio in battaglia." Il ragazzo tornò a guardare ammirato la corazza.

"Oh, Dei, è bellissima..." Mormorò, sfiorandola appena con le dita; poi sentì la mano di suo padre sulla spalla e si girò a guardarlo.

"Indossala." L'incitò Peleo con un sorriso; il figlio annuì entusiasta.

"Aiutami." Gli chiese poi.

L'armatura forgiata nella fucina degli Dei gli calzava a pennello, nemmeno se gliela avessero costruita addosso gli sarebbe stata meglio; la sentiva leggera, pratica, non impediva i suoi movimenti. Provò a maneggiare la spada, ci riusciva come se il suo corpo fosse libero, e si sentiva potente, un vero condottiero di eserciti; con quella corazza non avrebbe temuto nulla. Lui ed il padre si scambiarono un'occhiata soddisfatta.

"Adesso andiamo fuori." Dissi allora Peleo. "Ho fatto preparare una tavola, sotto i pini." Il figlio annuì e si fece precedere oltre la porta.

Arrivati fuori, si trovarono di fronte, schierati, i guerrieri di Peleo; Achille, sorpreso per l'ennesima volta, si sfilò velocemente l'elmo e sorrise. Considerava molti di quegl'uomini, che avevano contribuito al suo addestramento, come amici, ed era felice di poterli rivedere.

"Siete venuti per salutarmi?" Domandò allegro; il luogotenente di suo padre si fece avanti.

"Noi ti seguiremo, mio signore." Dichiarò deciso, con un sorriso; incredulo, il ragazzo guardò il padre.

"Io non c'entro nulla." Affermò l'uomo stringendosi nelle spalle. "Hanno deciso da soli." Achille tornò a guardare il soldato.

"Chi, meglio di noi, che ti abbiamo istruito, può conoscere il tuo valore Pelide." Riprese orgoglioso. "Gli ultimi guerrieri Mirmidoni sono pronti a tutto per il loro principe."

"Grazie." Disse a quel punto Achille, già fiero di quegl'uomini; il padre attirò la sua attenzione toccandogli il braccio, lui lo guardò.

"Mettili al comando dei reggimenti che ti daranno, e avrai un esercito devoto e implacabile." Gli suggerì saggiamente, il ragazzo annuì. "E ora, brindiamo." Tutti i presenti si riunirono intorno al grande tavolo, e fu versato vino, si levarono canti d'incitamento e risate.

Achille passò tutta la mattinata nella casa di suo padre; quando il sole era già alto, i due si allontanarono dalla casa, facendo una passeggiata lungo la scogliera. Quasi non si parlarono, solo camminarono, affiancati, o tenendosi per le spalle, decisi a godersi per l'ultima volta la reciproca compagnia; Peleo guardava con orgoglio il suo unico figlio, che aveva lottato per veder crescere, Achille osservava un padre che era stato tenero e severo, che gli aveva insegnato tutto ciò che sapeva, e che lui amava sopra ogni cosa. Infine si abbracciarono, rimanendo così per un lungo momento, per imprimere il loro affetto in maniera indelebile nel cuore, come se ce ne fosse bisogno; era arrivato il momento.

Achille rimise l'armatura, infilò l'elmo e salì sul carro, che era già stato preparato; strinse le redini e guardò il padre, che era in piedi, di lato al mezzo. L'uomo sospirò.

"Ricorda sempre i miei insegnamenti." Gli disse infine. "Ascolta il tuo cuore, non accettare compromessi con la tua coscienza, combatti solo se credi in quel che fai... e non ti guardare mai indietro." Aggiunse fissandolo negl'occhi. "Questi sono i miei ultimi consigli."

"Li ascolterò, padre." Annuì il ragazzo; i suoi occhi erano di nuovo lucidi.

"Addio figlio." Salutò infine Peleo; il ragazzo esitò per un momento, prima di rispondere.

"Addio." Mormorò infine, con voce tremante, poi girò il capo, guardando davanti a se, ed incitò i cavalli a partire.

L'uomo seguì con lo sguardo il carro che si allontanava, mentre il vento di mare dalla scogliera gli scompigliava i capelli. Guardava suo figlio scomparire all'orizzonte, uscire dalla sua vita; non si era mai sentito in colpa, per averlo addestrato alle armi, fino a quel giorno...

"Sei contento, ora?" Gli domandò una triste voce di donna, dalle sue spalle; lui si voltò e vide Teti, immobile e splendida come una statua.

"No." Rispose mestamente; avevano negl'occhi le stesse lacrime.

 

"E' in ritardo." Commentò Ulisse che, fermo sulla banchina del porto, guardava il sole con le mani sui fianchi. "Gli avevo detto prima di mezzogiorno..."

"Oh, per tutti i fulmini di Zeus!" Esclamò ridendo Patroclo, che invece stava già sul ponte della nave; l'altro, prima gli lanciò un'occhiata insospettita, poi girò gli occhi nella direzione in cui guardava lui e li spalancò sbalordito.

Un carro da guerra scendeva la collina, diretto verso il porto e, più si avvicinava, più si distingueva la figura che lo conduceva; l'armatura che indossava riluceva investita dai raggi del sole, infastidendo la visione, i cavalli galoppavano come se non ci fosse domani, a breve distanza lo seguivano molti uomini di corsa. Ad Ulisse venne da ridere, doveva immaginarselo che li avrebbe stupiti ancora; scambiò una risata con il ragazzo sulla nave.

Achille fermò il suo carro a pochi metri dalla banchina e discese, affidando le redini ad uno dei marinai di Ulisse, poi si avvicinò al re di Itaca, sfilandosi l'elmo; l'uomo l'osservava con un sorrisetto sardonico.

"Beh, che c'è?" Fece Achille, sorridendo a sua volta. "Credevi che un condottiero non avesse una corazza?" Aggiunse ironico; Ulisse scosse il capo.

"Alla faccia della corazza!" Intervenne Patroclo, sporgendosi dalla prua. "Nessuno ne ha una come quella!" Il Pelide rise, poi gli lanciò l'elmo, che l'altro prese al volo; Patroclo lo osservò compiaciuto per un attimo, infine se lo provò. "Mi va perfetto!" Achille sorrise.

"Ah..." Riprese, tornando a girarsi verso Ulisse. "...non ti preoccupare per i miei uomini e i cavalli, mio padre ha già fatto preparare un'altra nave." Gli annunciò, indicando l'imbarcazione ancorata all'altra banchina, e detto questo, gli diede una pacca sulla spalla e raggiunse Patroclo.

"Ma tu resti qui con noi, vero?" Gli domandò subito l'amico, con lo stesso tono di un bambino, quando gli arrivò accanto; Achille gli sfilò delicatamente l'elmo e sorrise.

"Certo." Annuì con dolcezza; anche Patroclo sorrise. "Allora, non si parte?" Domandò poi ad Ulisse, che era ancora sul pontile.

Il re di Itaca guardò il suo capitano e disse: "Devo rassegnarmi al fatto che questa nave non è più quella di Ulisse, ma ormai quella di Achille principe dei Tessali Mirmidoni." E, con divertita rassegnazione, salì la passerella, l'altro uomo rise.

 

Era quasi il tramonto quando, a remi, si staccarono dal pontile, navigando verso il centro della baia del porto; i marinai stavano ultimando i preparativi per la navigazione. Achille e Patroclo guardavano verso terra.

"Ti mancherà, casa tua?" Domandò il ragazzo castano, accorgendosi dell'espressione indecifrabile dell'altro; l'amico lo guardò, interrogativo.

"No." Negò poi. "Casa è il posto che tuo cuore chiama così. Io non ho una casa, non l'ho mai avuta." Aggiunse Achille. "Io dimoro solo nell'animo delle persone che mi amano." Disse poi, tornando a guardare l'orizzonte.

"Ognuno di noi ha un luogo cui è legato, che gli ha dato le origini." Replicò pacato Patroclo; Achille sollevò le sopracciglia.

"Se è così, quel posto per me è il mare." Rispose poi; l'amico sospirò.

"Non si può vivere senza radici, Achille." Gli disse infine; lui lo guardò di nuovo, con la determinazione negl'occhi.

"Allora me le costruirò." Affermò sicuro. "Adesso basta guardarsi alle spalle..." Aggiunse, prendendo per un braccio Patroclo e facendolo girare su se stesso. "...è venuto il momento di rivolgersi al futuro." Continuò, indicandogli il mare aperto davanti a loro; poi spostò la mano sul suo collo, stringendolo in un gesto affettuoso, e gli sorrise.

Patroclo non aveva davvero più bisogno d'altro, radici e legami erano dimenticati, era pronto a vagare senza mai fermarsi, pur di seguirlo ovunque; gli strinse la spalla, sorridendo a sua volta.

"Alzate le vele!" Ordinò Ulisse alle loro spalle. "Rotta su Argo." 

Achille sentì il vento, che spingeva le vele, accarezzare il suo viso e far muovere i suoi capelli; quel che lasciava era perduto, ma non aveva rimpianti, la sua vita cominciava quel giorno.

 

FINE

 

 

 

 

 

   
 
Leggi le 7 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Epico / Vai alla pagina dell'autore: CowgirlSara