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Autore: PattyOnTheRollercoaster    27/06/2011    3 recensioni
L torna alla Whammy's House, indeciso se continuare la sua carriera da detective dopo il caso Kira. Near si dà alla filosofia, Mello alla boxe e Matt continua con l'informatica.
Mentre vanno avanti con le loro vite Ryuk scrive un nome sul Death Note, una ragazza trova un quaderno incastrato nel portatile, qualcuno viene ucciso e qualcun'altro rapito. Un nome viene scritto e un'altro cancellato.
Si dice che il battito d'ali di una farfalla può causare un uragano dall'altra parte del mondo. Se una farfalla può causare questo, allora cosa causerà uno Shinigami annoiato?
[Dal capitolo 6]
“Ryuk”, chiamò L.
Lo Shinigami si avvicinò con passo lento. “Sì?”
“Ci sono altri Shinigami che vanno in giro a dare Death Note alle persone?”
Il mostro scosse la testa, gli occhi fissi sul detective. “Non che io sappia.”
“Sei sicuro?!”, intervenne impetuoso Mello. “Allora come cazzo è possibile che una bambina abbia gli occhi dello Shinigami?”
Genere: Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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cui l'autrice deve un bacio ogni giorno.

What a bored Shinigami can do










Prologo
Four different personalities





Ogni volta la stessa storia. Roger, dopo diversi anni, si era detto che doveva smetterla di preoccuparsi: non ve n’era mai una concreta ragione. Ogni volta, era sempre la stessa storia. L accettava un caso, qualcuno cercava di ucciderlo, e allora Roger dava fuori di matto!, ma nessuno ci andava mai nemmeno vicino. Dopo di che L ritornava alla Whammy’s House, anche solo per un breve periodo, e non faceva altro che vantarsi velatamente di quanto fosse abile, scaltro e intelligente. Certo nel caso Kira aveva realmente rischiato, avevano perso Watari e per di più L aveva pensato bene di coinvolgere anche Near.  Aveva risolto il caso, ma questo non lo avrebbe comunque scagionato dalla freddezza di Roger al suo ritorno.
Mello era andato su tutte le furie. Per due mesi era stato intrattabile e non aveva parlato con nessuno a parte Matt. Tuttavia anche a lui rispondeva in modo sgarbato, gridava per ogni piccola cosa, picchiava i compagni per un non nulla. Finché il caso non fu terminato. Matt, per parte sua, fu felicissimo che la cosa si fosse risolta relativamente presto perché non poteva sopportare Mello in quello stato, così si limitava a giocare con il suo game boy e rinchiudersi nel mutismo ancora più spesso del solito. Non che facesse molto per alleviare lo stato mentale di Mello, anzi la sua totale indifferenza a quella che lui chiamava la più grande ingiustizia del mondo rendeva il ragazzo ancor più collerico.
Quella volta, dopo aver parlato con Roger per lungo tempo della gestione della Whammy’s House, L decise che aveva bisogno di riflettere come si deve. Andava spesso all’orfanotrofio, ma pochi dei bambini sapevano chi lui realmente fosse. Molti credevano che si trattasse di un giovane amico di Watari che ogni tanto andava a trovarlo. Mello e Near sapevano la verità solo perché erano perennemente in lotta per il posto di successore, ed L qualche anno prima aveva espresso il desiderio di parlare con loro faccia a faccia. Quando si erano trovati di fronte il cosiddetto amico di Watari Mello era quasi svenuto. Sapere che aveva avuto di fronte L per tutto quel tempo senza mai scambiarci nemmeno una parola era stato per lui un tremendo affronto. Near era rimasto stupito, ma aveva preferito non darlo a vedere. Per Matt era diverso invece: lui già sapeva, da sempre. Quando L stava per lasciare la Whammy’s House per la prima volta, lui ci era appena arrivato. Non ci era voluto molto per fare due più due e notare che i titoli sui giornali, recanti la buona risoluzione del caso famigerato detective L, coincidevano con il ritorno dello stesso L, il piccolo e per nulla famoso ragazzino della Whammy’s House.
Matt, come i suoi vistosi capelli rivelavano, era di origini irlandesi. I suoi genitori erano due giovani ragazzi profondamente innamorati come solo degli adolescenti possono esserlo, e come tali inesperti e impreparati. Avevano tutti e due solo sedici anni quando lui era nato, arrivato come un fulmine a ciel sereno nelle loro vite spensierate, ma accolto con calore  un pizzico di timore che nessun genitore si è mai risparmiato. Per qualche tempo Matt era rimasto assieme a loro, abbastanza tempo persino per ricordarsi di com’erano, soprattutto i loro volti. Non aveva foto dei suoi genitori, però conservava il vago ricordo di una minuscola casa che odorava perennemente di fritto misto a vino, e quando tentava di immaginarli riusciva a farlo con tratti idealistici mischiati a vaghe consapevolezze: vedeva due ragazzetti dal sorriso facile che lo facevano ridere di continuo. Matt era troppo piccolo per ricordare anche le occhiate cariche di rancore che ogni tanto i due si lanciavano, così come aveva scordato le interminabili ore nelle quali lo lasciavano solo. Rimase con loro quasi fino all’età di sette anni finché un giorno, semplicemente, sparirono. Solo dopo diversi anni Matt si era reso conto che non si era trattato certo di un caso. A loro non era accaduto niente per non farli tornare a casa la sera, non un incidente, non una rapina. E Matt era rimasto nella casa vuota, stranamente fornito di enormi pacchi di panini, dolci, bevande, latte, carne in scatola, patatine, caramelle, prosciutto, e una marea di altri cibi a lunga conservazione per una scorta che sarebbe potuta durare per molto tempo ancora. Si era chiesto dove fossero finiti i suoi genitori. Per la prima settimana. Dopo di che aveva smesso di aspettarli e aveva cominciato a riversare il suo talento artistico sulla casa, disegnando sopra i mobili, le pareti, il divano, la televisione (cosa di cui poi si era amaramente pentito) e il parquet scivoloso. Dopo diciannove giorni qualcuno bussò alla porta. Matt aprì, perché nessuno dei suoi genitori gli aveva mai spiegato che non si apre agli sconosciuti, e così si ritrovò davanti un signore dall’aria gentile che disse di chiamarsi Watari. Pochi mesi dopo l’arrivo di Matt alla Whammy’s House  L se ne andò per la prima volta dall’orfanotrofio, a  risolvere un caso che fu poi soprannominato ‘Trinity’*. Mentre la leggenda di L si diffondeva e i ragazzi crescevano, arrivarono Mello e Near. Mello era di tre anni minore di Matt, Near di quattro.
Non erano mai stati un gruppo omogeneo, L era il più grande di tutti e spesso stava via per molti mesi. A venticinque anni non aveva ancora imparato a gestire la sfera dei rapporti sociali né a vivere in maniera umanamente accettabile, cosa ampiamente dimostrabile dalle sue numerose stramberie. Ogni tanto gli sarebbe piaciuto sapere bene che cosa c’era in lui che lo rendeva diverso dagli altri. Aveva sempre visto la gente attorno a sé divertirsi tutti assieme, cercare di amalgamarsi gli uni con gli altri per entrare a far parte di questa società. Lui assieme agli altri si sentiva solo a disagio, come se tutti potessero vederlo in ogni suo singolo movimento, pronti a deriderlo al minimo accenno di quella sua evidente singolarità. Per questo preferiva stare solo, pensare per conto suo e cavarsela con i suoi mezzi. C’erano ben poche persone con cui  riusciva a sentirsi bene, e le si potevano contare sulle dita di una mano.
Subito dopo di lui c’era Matt, vent'anni. Assolutamente fuori dal mondo per quanto riguardava il parlare con gli altri; passava la maggior parte del suo tempo a giocare con qualsiasi gioco elettronico. Per lui i computer non avevano segreti: da quando aveva preso in mano il primo pc si era reso conto che quegli apparecchi erano molto più comprensibili di qualunque essere umano. In poco tempo era riuscito a capire da solo quello che un tecnico doveva studiare per apprendere, e in pochi anni era diventato un hacker professionista. Adorava entrare nel computer di altre persone, solo per vedere se sarebbe riuscito a non farsi scoprire, e per una certa sua propensione a ficcanasare. Certe volte scombinare i file di un computer era la cosa più divertente che potesse fare in tutta una giornata. Certo quel lavoro accurato lo faceva solo con chi gli stava antipatico o con chi, secondo la sua personalissima teoria della giustizia, se lo meritava. Altrimenti gli piaceva entrare nel database di grande organizzazioni, come ad esempio aveva fatto con la marina inglese. Creava anche programmi suoi mirati al solo scopo di distruggere in pochi secondi un pc e renderlo inutilizzabile senza via di scampo. Era famoso in rete per questo, ed era conosciuto con il nome di Fermat. Gli piaceva il nome Fermat: era il nome di un matematico del 1600 che era riuscito a far diventare tutti matti con una semplicissima variazione del teorema di Pitagora. La dimostrazione la sapeva solo lui ma non l’aveva mai detta ad anima viva. Molti suoi colleghi si erano spaccati il cervello per confutare il suo teorema, ma nessuno di loro ci era mai riuscito. A Matt piaceva pensare di essere come Fermat, l’hacker che mandava tutti nel caos ma che nessuno riusciva a fermare.
Mello, invece, a volte cadeva nella più profonda depressione. Soprattutto quando L tornava alla Whammy’s House. Viveva nella continua speranza di superare Near per poter diventare l’erede di L. E quando se ne rendeva conto la sua vita diveniva ad un tratto insignificante. Possibile che non avesse un altro scopo? Qualcos’altro di meglio da fare? Forse diventare l’erede di L non doveva essere il massimo delle sue ambizioni, forse dover prendere il posto di qualcun altro non era proprio il massimo in generale. A volte si diceva che doveva crearsi uno scopo tutto suo, come ad esempio diventare il più grande inventore del mondo, in questo modo al posto di risolvere casi come detective sarebbe potuto diventare lo scienziato più importante: avrebbe scoperto un sacco di nuove formule e cose del genere. Quasi si vedeva già mentre le persone lo idolatravano. L’importante, si diceva, è comunque essere il numero uno in quello che faccio, qualsiasi cosa faccia. Che senso ha altrimenti fare qualcosa se non si è i migliori? Ad esempio L è il miglior detective del mondo… E di nuovo tornava a ruotare attorno all’argomento L, era come la luna che ruota attorno alla terra; non può fare a meno di farlo perché è nella sua natura. Recentemente Mello desiderava essere un po’ più grande del satellite che fino ad allora aveva interpretato.
Infine, all’alba dei suoi quindici anni, Near ancora non aveva formulato pensieri filosofici di alcun genere. O almeno, pensieri filosofici inventati di suo pugno. La cosa che più Near preferiva era di sicuro imparare. Fin da piccolo si era interessato alla geografia e alla storia poi, un po’ più grandicello, alla matematica e alla fisica. La sua più recente passione era diventata la filosofia. Forse perché era inconsapevolmente entrato nella sua fase adolescenziale che, volente o nolente, anche un genio deve passare; fatto sta che gli sembrava che la filosofia fosse una branca di conoscenza che andava al di là di qualsiasi altra cosa. Conosceva moltissimi filosofi, le loro teorie e la loro vittorie, sapeva a menadito tutto ciò che avevano detto Socrate, Nietsche, Marx, San Tommaso, Kant, e potrei continuare a citarne altri. Ma quel che non riusciva a ficcarsi in testa assieme a tutte quelle teorie era la ragione fondamentale della filosofia: il perché. Perché tutti questi uomini si erano dedicati a studi di quel tipo? Il significato della vita, l’essenza dell’esistenza, Dio, l’amore, il sentimento. L’uomo! L’uomo, secondo Near, non aveva niente di particolare: era solo un ammasso di cellule e sangue, a volte bello, a volte persino brutto. Scoprì con molta difficoltà di essersi sbagliato. Si era reso conto di potersi rispecchiare in certe cose che un uomo barbuto aveva detto secoli addietro. Come poteva essere che in un tempo tanto lontano, in una società tanto diversa, ci fossero cose nel genere umano che non erano mai cambiate? Near si chiese se per caso l’uomo non fosse davvero un argomento di studio che valesse la pena trattare. A volte a forza di pensare si diceva che gli studi dei grandi filosofi erano soltanto parole vuote dette da persone che non avevano nulla da fare se non perder tempo. Altrimenti perché dedicarsi a capire qualcosa che sappiamo già in partenza non potremmo mai vedere davvero? Near non lo sapeva. Era probabile che tutto il fascino che provava per quella nuova appassionante materia di studio provenisse solo dal fatto che non era qualcosa di logico che poteva imparare a memoria e poi manovrare con sicurezza. Non c’erano regole nella filosofia, non c’era giusto o sbagliato. Tutto dipendeva dalla capacità di ragionamento di una persona e da una non indifferente capacità sofistica.
Quattro persone con quattro differenti personalità. Andavano d’accordo per quando dovevano stare assieme poche ore al giorno. Spesso ognuno si faceva i fatti propri, ma fra loro si capivano. Chissà se sarebbero stati in grado di resistere ad un incontro ravvicinato, conoscendosi a fondo?

L passò in cucina, si fece tagliare una generosa fetta di torta e andò nel cortile interno a sedersi su una panchina. Si mise a mangiare, rimuginando su cosa avrebbe voluto fare. Il caso Kira gli aveva fatto capire diverse cose: era per la prima volta divenuto consapevole della sua esistenza fisica e del fatto che il suo istinto di attaccamento alla vita non era ancora scomparso del tutto. Nonostante lavorasse come detective e avesse a che fare molte volte con omicidi, suicidi, feriti gravi e situazioni del genere, non gli era mai successo di essere lui a correre il pericolo. Aveva inconsciamente sviluppato un ideale errato, e cioè che lui fosse quasi una sorta di intoccabile incognita nel mondo, quel mondo che andava avanti attorno a lui come se non esistesse nessun L, come se non intaccasse il divenire delle cose, come se fosse solo un punto immobile in tutto quel divenire, un punto comparso venticinque anni fa che prima o poi sarebbe sparito senza che quello stesso mondo che gli si muoveva attorno se ne accorgesse o ne sentisse la mancanza. Questo gli aveva fatto gradualmente perdere la cognizione del suo essere umano, con dei progetti per il futuro, delle passioni, delle voglie, delle paure e dei rimorsi. Ma quando si era giocato il tutto per tutto, quando si era esposto per la prima volta -all’inizio essendo sicuro che non ci fosse nessun pericolo, ma poi azzardando sempre di più- aveva sentito, forse per la seconda volta in tutta la sua vita, la paura. Aveva creduto di morire, aveva visto Watari morire, e all’improvviso gli erano tornati alla mente tutti i sogni che aveva da bambino, i progetti dell’adolescenza e poi il buio, che era arrivato con la prima età adulta come un manto oscuro a coprire tutto ciò che era stato. Quando grazie all’aiuto di Near era riuscito a smascherare Light Yagami e a catturarlo la sua anima aveva tirato un grosso sospiro di sollievo e aveva deciso che ci avrebbe pensato.
Mantenne la promessa. Pensò a lungo, seduto nel cortile interno, finché il sole non divenne arancio intenso vicino all’orizzonte. La decisione che prese fu: avrebbe fatto una pausa dal lavoro di investigatore, per capire se voleva continuare a perseguire il suo sogno di ragazzino o se per caso agognava altri progetti. Nel frattempo, siccome non gli andava di rimanere troppo solo a rimuginare, sarebbe rimasto alla Whammy’s House.

Le inconfondibili ciocche così chiare da sembrare quasi bianche, ad un primo impatto sembrarono a Mello il frutto di un’allucinazione. Si, di sicuro quel nano in pigiama era entrato nel suo cervello con una tale forza da rimanerci. Poi, quando vide che la visione non scompariva, guardò esterrefatto Near salire la scale assieme a Roger, trascinandosi dietro un piccolo trolley e un pupazzo fra le braccia. Mello si chiese a cosa diavolo gli servisse il trolley se indossava sempre solo il pigiama. Forse ne aveva dieci tutti uguali. Ciò che stupì più di tutto Mello fu che quando lo vide non lo colse la rabbia che per quasi due mesi lo aveva fatto impazzire, piuttosto tutto sbollì all’improvviso. Era a conoscenza del fatto che sia lui che L avevano rischiato la vita nel caso Kira e, in un certo senso, era felice che non gli fosse successo nulla, anche se restava comunque il nano che gli usurpava il primo posto. Per prima cosa Mello si recò in biblioteca a posare dei libri che aveva terminato di leggere, in una calma che stupì persino sé stesso. Poi andò verso la camera di Near e quando questi gli aprì la porta il ragazzino esordì con un: “Mello. Immaginavo che fossi tu”.
“Posso?”, domandò Mello senza staccare lo sguardo da lui.
“Certo”.
Mello entrò nella stanza. Ci era stato tante volte, e poche di sua spontanea volontà. Molte volte perché Roger lo aveva obbligato a chiedere scusa a Near per qualche stupido scherzo che gli aveva fatto, altre volte invece riuscivano pacificamente a parlare, anche se non mancava mai un po’ di astio. Ad un’analisi superficiale i due si odiavano con tutto l’animo. In realtà potevano definirsi amici.
“Quindi ce l’avete fatta”, esordì Mello come se la faccenda non lo interessasse veramente.
“Si.”
“Ce l’hai fatta.”
Near esitò. “Si.”
Mello fece un debole sbuffo e distolse gli occhi di ghiaccio da quelli neri come il carbone di Near. Aveva sempre giudicato incredibile che avesse i capelli bianchi come il latte, la carnagione di una mozzarella, eppure avesse quei grandi occhi neri e profondi, che scrutavano la gente con attenzione, senza giudicare ma con un’intensità che riusciva a scombussolarti tutto.
“E ora?”, domandò Mello.
“L non mi ha detto niente. Non credo di essere diventato il suo erede a vita, se è questo che ti preoccupa.”
“Non sono preoccupato”, disse Mello a denti stretti. Odiava Near quando faceva così. Capiva i suoi punti deboli e glieli faceva notare con noncuranza. Gli faceva capire che lui li vedeva facilmente, e che sapeva dove colpire.
“Vuoi sapere com’è stato? Lavorare con L?”
A quel punto il lato razionale di Mello, che già di per sé era poco, andò completamente a farsi benedire. Prese Near per il colletto e lo sbatté contro la parete. Near per tutta risposta si lasciò trascinare dolcemente, un po’ perché non se lo aspettava e non ebbe tempo di reagire, d’altra parte lui non reagiva mai, si faceva semplicemente trascinare via dalla vita e dalle sue situazioni.
“Mi stai prendendo in giro per caso?!”, gli urlò in faccia Mello. “Certo che voglio saperlo! E mi fa incazzare da matti il fatto di non essere stato scelto!” Rimase a due centimetri dal viso pacato e per niente sconvolto di Near poi, allontanandosi da lui con un gesto secco di stizza, fece per andarsene.
Prima che potesse aprire la porta Near lo fermò. “Mello”, disse con la sua voce candida. Il ragazzo non diede segno di averlo sentito ma si fermò, senza tuttavia voltarsi. “L è qui. Credo che resterà per un po’.”
Mello si voltò con espressione stupita e rabbiosa. Il solo pensiero che L e Near fossero diventati qualcosa come due amici durante quelle poche settimane assieme e che L si confidasse con lui era qualcosa di intollerabile. “Come lo sai?”, chiese boccheggiando.
“Non lo so infatti, ma ho intenzione di domandarglielo.”
“Dov’è?”
“Non lo so. Se mi aspetti andiamo a cercarlo.”
“Cosa devi fare?”
“La doccia.”
Una risposta così disarmante nella sua semplicità, che Mello sorrise. A volte quasi si dimenticava che anche Near era un essere umano, abituato com’era a considerarlo solo un ingombrante scoglio fra lui e la sua nomina ad L. “Vado ad avvisare Matt”, disse uscendo.

Mello ci mise quasi mezz’ora per trovare Matt, stava giocando in un angolo del salottino davanti all’ufficio della direzione. “Matt! Cosa fai qui? Devi parlare con Roger?”, domandò quando lo vide, attraversando la sala con passo cadenzato.
“No”, disse Matt alzando lo sguardo verso l’amico.
“E allora?”
“Mi piacciono queste poltrone”, rispose il ragazzo alzando le spalle.
Mello non poté fare a meno di sorridere, dicendo: “L e Near sono tornati”.
“Come lo sai?”, domandò Matt stupito.
“Ho appena avuto un incontro ravvicinato con il nano. Non so dov’è L, ma Near dice che vuole restare qui per un po’. Ci troviamo qua davanti non appena Near ha finito.”
“D’accordo”, disse Matt alzandosi.
Un quarto d’ora dopo erano tutti in giro per i corridoi, a scervellarsi su dove potesse trovarsi L e a cercarlo con lo sguardo. Andarono a controllare nelle cucine, nel salottino della ricreazione, nel cortile, nella piccola cappella dai vetri colorati, persino alla mensa e, solo alla fine, nel cortile interno. Non appena uscirono nel porticato che circondava il cortile lo videro, in un angolo, seduto nella sua tipica posa da avvoltoio, a fissare il vuoto con mani poggiate sulle ginocchia. Tutti e tre si avviarono verso di lui, che non diede segno di averli visti finché non si sedettero e rimasero pazientemente in silenzio.
“Sapete una cosa?”, disse poi L guardandoli uno ad uno. “Questa volta pensavo di restare qui un po’ più a lungo.”



















Credits:
*Trinity. Nome che ho ripreso dalla quarta stagione del telefilm "Dexter", solo per fare un piccolo omaggio alla produzione.

Ciao, sventurato lettore che sei capitato per caso su questa pagina! :D
Allora, che dire? Questa storia è stata scritta l'anno scorso, ma ho deciso di postarla ora dopo una minuziosa revisione (ancora non del tutto terminata, fra l'altro). Torno nel fandom di Death Note come autrice dopo una lunga assenza, cimentandomi con un giallo soprannaturale, com'è tipico del genere del nostro manga preferito :)
Questo è il Prologo, che è un po' lungo rispetto all'idea generale che di solito la gente ha di 'Prologo', ma spero che abbiate la pazienza di aspettare il seguito. Per non deludervi, nel frattempo, è già disponibile sul mio blog l'anticipazione del primo capitolo a questa pagina. Cliccate se per caso siete frementi di sapere, ma vi avviso che sarà una crudele anticipazione che vuole mettervi solo curiosità addosso. Mhuahahah! XD
In questa storia mi piacerebbe trattare un po' tutti i personaggi in modo approfondito, infatti come avete potuto leggere ci sono descrizioni dettagliate della loro personalità già in questo prologo. Tuttavia mi sono presa la libertà, più avanti, di apportare dei leggeri cambiamenti, perchè i personaggi evolvono nel corso della storia, e questa evoluzione si ripercuote sul loro carattere. Detto questo, spero vivamente di non andare OOC, nel caso lo facessi significa che ho fallito miseramente nel mio intento, e allora dovete dirmelo. Anche tramite insulto se vi va... XD
Comunicazioni di servizio: ho intenzione di postare ogni Lunedì un nuovo capitolo, spero di riuscire ad essere il più puntuale possibile, soprattutto in queste prime due o tre settimane, perchè devo ancora dare un paio di esami e studiare pesantemente (cacchio!). Voi vi chiederete quindi: "Perchè non hai aspettato a mettere la storia?". E io vi rispondo: perchè mi prudevano le mani in una maniera assurda e volevo assolutamente pubblicarla °.° Oltretutto è già pronta da un pezzo, ho aspettato anche troppo! :D Comunque, vi fornirò il link alla pagina delle anticipazioni in ogni capitolo, se volete potrete andare a leggere, se invece preferite la suspance... insomma, come volete! Inoltre conto di fare qualche osservazione sulla storia sul blog, se mai me ne venisse voglia; nel caso vi lascerò il link. Comunque saranno osservazioni non indispensabili alla lettura.
Se qualche anima gentile lasciasse una recensione sapete che sono sempre disposta a rispondere, come ogni volta, ad ogni tipo di recensione; neutra, negativa o positiva che sia! :)
Detto questo un grazie a te, si proprio a te, che sei arrivato fino a qui, in fondo in fondo alla pagina ^^
A Lunedì, piccoli Shinigami! Ricordate di dare una mela al vostro Ryuk e scarabocchiare qualche nome sul quaderno per tenervi vivi (ed essere presenti al mio prossimo capitolo, uhuhuh! XD).
Un saluto a tutti,
Patrizia
   
 
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