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Autore: Vals Fanwriter    27/06/2011    2 recensioni
Avevi dimenticato un paio di cotte nella tua vita, perché ti avevano deluso, ma lui era perfetto.
Lui non deludeva.
Purtroppo.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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~ A RAINING DAY ~

 

 

 

            Mi ritrovavo spesso a fantasticare su di lui

Ad immaginarlo abbracciarmi… Sorridermi.

Stavolta però non sembrava una pellicola di mia produzione.

Il freddo pungente di Gennaio lo sentivo bene. Lo stesso valeva per l’umido della pioggia.

Era proprio da me dimenticare di prendere l’ombrello per la fretta. Riuscivo a dimenticare qualsiasi cosa, anche la più importante, sbadata com’ero. Dimenticavo tutto, pur di lasciare il posto alla sua immagine.

Ogni mattina era lì, a darmi il buongiorno, e mi bastava quella a farmi salire il buon umore.

Mai avevo ritenuto così importante qualcuno e non volevo in alcun modo lasciare andare quella meravigliosa sensazione di quando una persona, seppur inconsapevolmente, ti completa e ti rende felice.

Scrollai le spalle, infreddolita, e persi il filo di quel ragionamento, ma sapevo che l’avrei ripreso presto.

Non riuscivo proprio a scacciarlo.

Mi rifugiai sotto un cornicione, in parte ancora asciutta.

Una spalla mi si scaldò al tocco che ricevette.

Le mie iridi nocciola si posarono sulla persona che mi stava al fianco, ed inoltre dovettero spostarsi verso l’alto per poterle guardare il viso, data l’altezza.

Un tocco inconfondibile, del resto.

Fissai, già con nostalgia, le sue dita affusolate lasciare il mio arto e tornai immediatamente ai suoi occhi, sorridendogli.

“Ehi”, feci, tentando di occultare il mio imbarazzo.

“Ciao”, rispose lui, mentre assieme al suo sorriso comparivano due fossette gioiose.

Gli rivolsi un’occhiata falsamente offesa, terribilmente in vena, come al solito, di scherzare con lui.

“Spero che tu stia per invitarmi alla tua laurea”.

Lui si grattò la testa e ciò non giovò affatto ai suoi capelli, comunemente disordinati, un cipiglio colpevole sul volto.

“Hai saputo?”.

“Che hai scavalcato anche l’ultimo scoglio? Sì”.

In quel momento, accantonai le mie arie da attrice e gli sorrisi sincera.

“Complimenti. Come sempre, il migliore”.

Tornò a sorridermi.

“Grazie”.

Aveva una gentilezza che, Dio solo sapeva, che effetto mi facesse.

Forse era questo che mi rovinava. L’effetto dei ragazzi gentili ed, allo stesso tempo, intelligenti.

Rivolsi alla pioggia uno sguardo malinconico.

“Quindi presto ti laureerai… e continuerai gli studi via da qua. Ho detto giusto?”.

Anche lui distolse lo sguardo da me e, serio, ammirò un raggio di sole creare un arcobaleno alle fronde di un albero.

“Sì”.

Una pausa e poi riprese con un sospiro.

“E dovrò spiegarlo ad Angela”.

Non risposi. Riuscii soltanto ad identificare una morsa allo stomaco. Più cercavo di allontanarla e più era lì a tormentarmi. Insopportabile sensazione.

Avevo giurato a me stessa che non l’avrei più provata, sia per il suo che per il mio bene. Aveva la sua vita, la sua ragazza, i suoi amici e spesso mi sentivo fuori luogo. Sentivo di poter essere paragonabile soltanto ad una conoscente, niente di più.

Eppure ero sua sorella, ormai lo diceva anche lui, e non importava che fosse solo una stupida parola.

Lo ero, punto. Che lo affermasse per scherzo, o per reale affetto, ero l’unica ad occupare quel ruolo, e ciò non poteva cambiare.

Sorrisi, mentre il dolore allo stomaco spariva.

“Vedrai che capirà”, dissi, tornando a guardarlo gioviale, mentre lui faceva lo stesso, attratto dal mio tono di voce.

“Mi mancherà il tuo ottimismo”.

Inaspettatamente ci ritrovammo a ridere. Ottimista io, la tipa più insicura dell’universo, e lui ne era conscio. Amavo scherzare con lui, mi rendeva partecipe della sua vita.

Pensai che andasse bene così. Lui era felice e quindi lo ero anche io, sebbene sapevo che la morsa della gelosia sarebbe tornata, di notte mentre lo sognavo, e di giorno mentre lo immaginavo, mentre sarebbe stato lontano.

Secchia!”, lo chiamò qualcuno, interrompendo quel momento idilliaco.

Dei ragazzi, in lontananza, lo invitarono a raggiungerli con un gesto della mano. Lui rise a quella sorta di insulto ed esclamò: “Arrivo”. Poi tornò a rivolgersi a me: “Devo andare. Ci sentiamo presto, sorellina”.

“Ciao, fratellone”, sussurrai, mentre andava via agitando una mano a mezz’aria.

Quando fu fuori dalla mia visuale, sospirai.

Non ero sicura che sarei riuscita a dimenticarlo.

Lo vedevo raramente, eppure l’effetto che faceva era sempre lo stesso. I messaggi che ci mandavamo bastavano ad impedire che quel sentimento si spegnesse.

Pessima cosa, mi dissi, guardando il cielo, ora sgombro dalle nuvole.

Aveva smesso di piovere, ma dentro di me vi era una tempesta di emozioni.

Per un momento, sperai di non doverle più provare tutte insieme.

Laura, non l’avresti dimenticato. Come potevi?

Avevi dimenticato un paio di cotte nella tua vita, perché ti avevano deluso, ma lui era perfetto.

Lui non deludeva.

Purtroppo.

Era uno dei soliti strani giochi del destino.

 

 

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