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Autore: Dilandau85    01/07/2011    0 recensioni
Breve fanfiction di pochi capitoli scritta di getto dopo aver visto l'anime di Gantz, in particolare su Joichiro Nishi. Un ipotetico racconto sul suo anno nella stanza della sfera nera, dal volo dal tetto alle vicende iniziali del manga/anime.
Genere: Drammatico, Horror, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Il giorno successivo alla sua ultima missione anche la scuola gli passò abbastanza. Era sabato, e questo era già un ottimo punto di partenza, dal momento che era l’ultimo giorno di scuola della settimana e che le lezioni finivano subito dopo pranzo invece che a metà pomeriggio come tutti gli altri giorni.
La campanella suonò e Nishi si avviò seguendo il fiume dei suoi compagni verso l’uscita dalla scuola. Attraversò il cortile, ma prima di varcare il cancello esterno la sua attenzione fu attirata da quell’unica uniforme scolastica dai colori così diversi da quelli della sua scuola; era una ragazza ad attendere appena fuori la struttura. Ci mise poco a riconoscere quella persona; era Tori Kimura, l’altra superstite di Gantz. La cosa lo seccava, poiché quando si trovava fuori dalle missioni non voleva avere nulla a che fare con tutto ciò che riguardava la sfera nera. Si chiedeva soltanto cosa diavolo ci facesse là; da Uchiname doveva averne fatta di strada per arrivare laggiù. Anche la ragazza lo riconobbe e i loro sguardi si incrociarono. Era chiaro che si trovava là soltanto per lui. Nishi si avvicinò uscendo dalla fiumana di gente; voleva chiarire subito la faccenda, non aveva voglia di perdere tempo con lei.
“Si può sapere che diavolo sei venuta a fare fino a qui?”, chiese palesemente tediato dall’incontro. L’aspetto della ragazza era davvero terribile. L’uniforme che indossava probabilmente era la stessa che aveva addosso quando l’aveva conosciuta nell’appartamento, il viso era stanco, e i capelli in disordine; ma soprattutto l’espressione sconvolta da una tristezza devastante. Si vedeva che aveva smesso da poco di piangere. Vedendola in quello stato per un attimo ebbe compassione, e si pentì di essersi comportato così bruscamente con lei. Non aveva capito bene cosa le fosse successo, ma sapeva che doveva essere qualcosa di terribile. Forse persino più terribile di quello che aveva patito lui cinque mesi addietro. In quel momento la ragazza non ce la fece a contenersi e scoppiò a piangere
“Sai spiegarmi il perché di tutto questo? Perché non sono morta? Cos’è successo l’altra sera…? Io non ci sto capendo niente…”
Nishi sbuffò scocciato. Che diavolo ne sapeva lui?
“Sembra che tu abbia fatto tanta strada per niente. Non ho la risposta a queste domande”, detto questo riprese ad avviarsi.
“No, aspetta…”, lo richiamò Tori.
“C’è dell’altro?”
“Sì…”
“E riguarda il Gantz?”
“No…”
“Allora non pensi sia meglio per te rivolgerti a dei nonni, degli zii… a un’amica del cuore?”, mentre parlava sentiva il suo stesso tono di voce tagliente e derisorio.
La ragazza non rispose, ma continuò a piangere.
“Ehi Nishi, non spezzarle il cuore!”, le voci sguaiate e le risa dei suoi compagni di scuola lo raggiunsero mentre i peggiori elementi della sua classe sfilavano verso casa passandogli affianco.
“Ma dove l’ha trovata quella?!”
“Però che cazzo! Nishi con la fidanzata! Il mondo sta davvero precipitando verso la follia! La fine si avvicina!”
“Che scena da brivido!”
Nishi li guardò sprezzante e si sentì lievemente a disagio per quella situazione. Fosse stato da solo li avrebbe semplicemente ignorati, ma essere sfottuto a quel modo davanti a un’altra persona lo imbarazzava. La ragazza invece sembrava sempre presa dalla sua tristezza e distante da tutto. E per un momento avvenne una cosa strana. Il caos delle risa, delle urla, le facce di quella gentaglia, tutto scomparve e per un solo attimo gli parve che sulla strada ci fossero soltanto loro due, quelle due anime disperate e perse che stavano semplicemente naufragando alla deriva. La sofferenza che entrambi avevano provato li rendeva in quel momento così simili tra loro e così diversi da quegli stronzi ignoranti che neanche potevano immaginare il dolore e il fardello che gravava sulle loro giovani spalle.
“Ascolta, se vuoi parlare andiamo a casa mia, abito qua vicino”, si vide costretto a dirle il ragazzo una volta tornato nella realtà, dal momento che gli sfottò sarebbero andati avanti ancora per molto.
Si avviarono uno accanto all’altra verso casa sua. Era assurdo che quella per lui fosse la prima volta in assoluto che percorresse quella strada con qualcuno. Era una strana sensazione, tanto era abituato alla solita routine di eventi.
Arrivati a casa la fece accomodare sul divano in salotto. Tori si asciugò le lacrime e iniziò a parlare, dato che sembrava che Nishi stesse ancora aspettando una qualche risposta da parte sua.
“Ti chiedo scusa, davvero, in realtà non so neanche cosa ci faccio qui… E’ solo… E’ solo che sono tanto incazzata, e vorrei che qualcuno mi spiegasse perché…”
Nishi la continuava a guardare con sguardo interrogativo.
“Io… Avrei tanto desiderato morire insieme alla mia famiglia… Perché invece mi sono risvegliata in quella stanza? Questo è un inferno… Non ho chiesto neanche di sopravvivere contro quei mostri… E invece eccomi ancora qua…”
“Spiegami che ti è successo almeno”
A quelle parole la ragazza scoppiò di nuovo a piangere
“Ma perché devo ritrovarmi qui adesso… Io non ce la faccio, la mia coscienza non ce la fa a sostenere un tale peso… Non ce la faccio davvero… Ma tu che ne puoi sapere?! Ho ucciso io la mia famiglia… Ho ucciso la mia famiglia, te ne rendi conto?! Adesso ne ho la certezza… Sono una persona mostruosa! E’ stata solo colpa mia se sono tutti morti, e invece hanno pagato tutti tranne me!”
“Si può sapere che cazzo hai fatto?”
“All’inizio non ne ero sicura… Ma ora lo posso dire, è stata colpa mia! Quando tornando da scuola decisi di prepararmi qualcosa da mangiare ho di sicuro dimenticato il gas aperto… Ne sono sicura, maledizione… A casa c’era soltanto mio fratello… Poi ad un tratto abbiamo avuto sonno, tanto sonno e io mi sono buttata a letto così come stavo… Poi mi sono risvegliata in quella stanza e dopo ho visto casa mia letteralmente esplosa… E’ facile capire cosa sia successo… Cazzo, sarebbe stato tutto così semplice! Una morte indolore, che non avrebbe arrecato dolore a nessun altro, dal momento che la mia famiglia sarebbe morta con me… E invece devo trovarmi ancora qui, a convivere con questo peso… Io non ce la faccio…”, ormai singhiozzava tanto da non riuscire neanche più a parlare e terminò esplodendo in un’altra crisi di pianto.
“Comunque se è andata così non l’hai mica fatto apposta. Non c’è bisogno che ti carichi di questo fardello…”
“Io riesco a vedere solo una cosa al momento… Sono sola, senza un posto in cui tornare e con la mia intera famiglia sulla coscienza…”
“Tecnicamente quello che hai detto non è completo. Oltre alla tua famiglia si può dire che tu abbia ucciso anche quella bambina cui dovevi badare…”, disse non sapendo che altro dire, con tono provocatorio.
“Io non dovevo badare proprio a nessuno!”, rispose prontamente e aggressivamente lei sollevando il viso dalle mani, piena di rabbia.
“Stavo solo scherzando…”
Attese che sfogasse almeno in minima parte la crisi.
“Mia madre si è impiccata in cucina, cinque mesi fa. Si è suicidata a causa dei continui tradimenti di mio padre… La trovai io, in casa, rientrando da scuola…”, si interruppe; non seppe perché iniziò a raccontare fatti tanto personali. Era la prima volta che raccontava quella cosa a qualcuno, e ora che ci stava facendo mente locale si bloccò all’istante; ma durò soltanto un attimo; finalmente era riuscito ad aprirsi e una volta iniziato quel processo non poteva più fermarsi, non riusciva più a smettere di articolare quelle parole. Anzi, in realtà non voleva più fermarsi. Forse era stato l’aver trovato qualcuno che avesse provato in qualche modo il suo stesso dolore a spingerlo ad uscire dalla sua asocialità e introversione, o forse prima o poi quel momento sarebbe giunto comunque e non ce l’avrebbe più fatta a tenere tutto dentro di sé.
“Mio padre invece se n’è andato la sera stessa dei funerali. Ora vive con la sua amante, penso, ma da allora non l’ho più rivisto”, maledizione, sentiva i suoi occhi caricarsi di lacrime a rivangare quei ricordi con qualcuno, ma non voleva davvero smettere, “Non so neanche dove vive, ma almeno mi passa tutti i soldi di cui ho bisogno, e ogni tanto mi chiama…”
Tori nel frattempo aveva smesso di piangere e stava ad ascoltare in silenzio il suo racconto.
“Questa è la prima volta che parlo di queste cose con qualcuno…”, e la cosa mi fa sentire tanto bene, evitò di finire la frase.
“E da allora vivi qui da solo?”
“Sì, vivo qui da solo; io sto sempre completamente solo”, sentiva le lacrime desiderose di sgorgare prepotentemente dai suoi occhi più che quella penosa conversazione andava avanti, ma le represse asciugandosi bruscamente gli occhi con la manica. Era da stupidi piangere. Fissò con occhi umidi gli occhi altrettanto gonfi della ragazza che aveva di fronte, a lungo. Per la prima volta in vita sua non provava vergogna nel mostrarsi in lacrime di fronte a qualcuno; le sue emozioni quella volta erano sincere, una cosa assai rara per lui. E ora era lei ad avere uno sguardo compassionevole nei suoi confronti. Questo non era giusto. Doveva essere il contrario. Era lui il più fortunato tra i due. La morte di sua madre non gravava particolarmente sulla sua coscienza, e suo padre era ancora in vita, e ogni tanto poteva sentirlo al telefono. Inoltre aveva ancora una casa in cui vivere e un obiettivo per cui continuare ad andare avanti. Mentre Tori? Provò per un attimo ad immedesimarsi in lei e non trovò alcuna ragione per vivere. Fissando meglio i suoi occhi, bagnati esattamente come lo erano i suoi, trovò conferma a questi suoi pensieri. Davvero lei non aveva nulla per cui continuare a vivere. In quell’attimo, mentre in silenzio si guardavano, provò una complicità ed un’empatia che mai aveva provato in vita sua con nessun altro essere umano. Soltanto in quel momento, riconoscendo in una qualche misura se stesso in Tori, gli fu chiaro come l’acqua cosa fossero in realtà, lui come la ragazza che gli stava di fronte: due adolescenti nel pieno della loro fragilità.
Finito quel piangersi l’uno addosso all’altra a suo modo piacevole, terminò di asciugarsi gli occhi e cercò riuscendoci con scarsi risultati di dare alla sua voce il suo solito tono freddo
“Ascolta, se vuoi puoi fermarti qui per qualche giorno. In questa casa c’è un sacco di spazio inutilizzato, quindi non è un problema per me ospitarti”, disse prontamente. Ora che Tori si era calmata e ripresa da quello sfogo guardandola bene negli occhi non riusciva a vedere in essi alcuna luce; e questo era un sentore che lo preoccupava e non gli piaceva affatto. Non sapeva neanche perché a dire il vero, dato che quella ragazza per lui non era nessuno e che non la conosceva neanche. Ma trovarsi a casa sua con qualcun altro e non completamente da solo era una sensazione così bella… era una sensazione che apparteneva ormai a un passato troppo remoto e in cuor suo voleva che durasse per sempre; inoltre era davvero la prima volta che provava una sorta di pietà per qualcuno; era ironico pensare quanto assurdamente e rapidamente si fosse affezionato a quella sconosciuta, e il pensiero che quella sua giustificata disperazione la potesse spingere a compiere qualche gesto estremo lo angosciava.
“Ti ringrazio per la disponibilità, ti prometto che mi tratterrò solo per poco…”, disse lei calmandosi. Meno male, per un attimo aveva temuto che se ne sarebbe andata via subito. E lui non avrebbe potuto certo obbligarla a fare il contrario.
Joichiro le mostrò la stanza dove avrebbe dormito, preparò il letto aprendo armadi di casa sua che non aveva mai aperto e fece tutto il possibile per far sentire a suo agio quell’ospite, combattendo con la sua intrinseca timidezza e scontrosità.
Tori riuscì subito a mettersi comoda, si fece la doccia e si cambiò d’abito. Quando Joichiro la rivide gli sembrò già più serena. E di questo era felice. “Hai fame, vuoi mangiare qualcosa?”, le chiese quando ormai era sera.
“Sì se è possibile”, immaginava che dovesse essere affamata.
Si misero a sedere a tavola e Nishi scaldò al microonde i pasti che la colf che veniva a rassettare casa gli preparava per tutta la settimana.
“L’hai preparato tu questo?”
“No, mio padre sta facendo venire ancora la colf lunedì e giovedì, e lei mi prepara sempre la cena per tutta la settimana”
“E la vedi spesso?”
“In realtà non la vedo mai, perché viene la mattina quando io sono a scuola”
Allestì con gli elementi essenziali quel tavolo su cui aveva mangiato sempre da solo e servì la cena a se stesso e alla sua ospite.
L’enorme casa deserta era avvolta nel silenzio e nell’oscurità più assoluti, fatta eccezione della cucina; mentre mangiavano taciturni l’unico rumore che si sentiva era quello delle posate. E mentre sedevano l’uno accanto all’altra, non riusciva ancora a capacitarsi di quanto fosse strana la sensazione di non essere solo in casa sua, in quell’ambiente così familiare. Tori era oggettivamente una ragazza molto carina, ma si rese conto che in quel momento sarebbe stata carina ai suoi occhi anche se in realtà fosse stata un mostro di ragazza. Perché lei era Tori, semplicemente Tori, la prima persona cui aveva confessato la parte più dolorosa di tutta la sua vita, la prima persona con cui si sentisse di avere qualcosa in comune, sia esso il dolore per la perdita della famiglia che la convivenza nel mondo di Gantz, che il semplice fatto di avere la stessa età. Soltanto questo gli bastava per farlo sentire estremamente bene e appagato, come non si sentiva da tempo immemore.
Finito di mangiare la salutò e ognuno si barricò nella propria stanza. Lui dal canto suo aveva un sacco di faccende da sbrigare davanti al computer, e anche quella sera fece notte fonda davanti al monitor. Ma tanto l’indomani sarebbe stata domenica, quindi non c’era alcun problema. Maledizione, non riusciva ancora a convincersi di quanto fosse meravigliosamente bello avere un ospite in casa! pensò mentre iniziava a scrivere una nuova pagina del suo blog. Pur essendo in due stanze diverse e chiuse gli pareva che casa sua fosse diventata già più calda ora che era abitata da due persone piuttosto che da una soltanto.

“Buongiorno”, lo salutò Tori appena lo vide uscendo dalla sua stanza. “Buongiorno”, rispose lui al saluto. Aveva dormito bene quella notte e sentire un buongiorno alla mattina non poteva che preannunciare una bella giornata.
Fecero colazione insieme, in cucina; si era abituato tanto in fretta a quella convivenza e a quello stile di vita che già si vedeva seduto a quel desco con la stessa serenità e spensieratezza di un vecchio decrepito innamorato che fa colazione con la sua adorata vecchia e decrepita consorte; un’immagine strana che in quel momento però gli piacque.
“Sai, l’altro giorno ho scoperto un sacco di cose sul Gantz… Anche se queste non rispondono a quelle domande fondamentali che anch’io mi sono sempre posto”, così come si era sentito bene mostrandole le ferite dei recenti eventi della sua vita, adesso voleva condividere con lei anche le informazioni che aveva raccolto. Le raccontò tutto quello che aveva scoperto l’altra sera con dovizia di particolari… Anche raccontare qualcosa a qualcuno era una cosa che non faceva da tempo, addirittura da prima di morire. Aveva smesso di raccontare le vicende della sua vita a sua madre, che era l’unica persona con cui parlasse, già da più di un anno prima della sua dipartita, e ora che aveva finalmente ripreso aveva riscoperto in quest’azione una tale gioia che si chiedeva se sarebbe mai stato in grado di smettere. Perché per quanto possa sembrare banale, finché vivi da solo e stai sempre da solo non puoi raccontare niente a nessuno e non puoi neanche parlare; e non parlare per un lungo lasso di tempo fa sì che appena trovata la persona giusta che sia in grado di ascoltare tutte le parole congelate in cuore esplodano come un vulcano. E lui aveva così tanto da raccontare! La ragazza invece ascoltava annuendo. Tuttavia a spezzare quell’incanto vi era il fatto che Tori sembrava così distante da lui. Sembrava quasi che di quelle sue scoperte, che al momento erano la cosa più emozionante che gli fosse capitata tra le mani, alla ragazza non importasse assolutamente niente, benché cercasse dal canto suo di nascondere questo suo disinteresse e di fingere educatamente di ascoltare. Ma Nishi lo notò e la cosa lo ferì. A maggior ragione perché quelle informazioni sul Gantz erano qualcosa di prezioso e importante che non aveva intenzione di comunicare a nessun altro e che sarebbero tornate sicuramente utili al fine di sopravvivere alla prossima caccia. Tuttavia pur di non spezzare quella magia che stava avvenendo in casa sua tentò di cambiare argomento, anche se poi, vedendo che ciò non sortiva alcun effetto, decise che forse il silenzio era la cosa migliore, e che la ragazza aveva ancora bisogno di riprendersi dal suo shock prima di venire bombardata dai suoi discorsi e da tutte le parole che aveva soffocato dentro di sé per tutti quei mesi di solitudine.
“Tu com’è che sei morto? L’altro giorno hai detto che sei morto cadendo, ma come è successo?”, chiese lei mentre se ne stavano in salotto in pigiama a guardare alla tv i telefilm e le sitcom del mattino.
Nishi non aveva voglia di tirare in ballo quell’argomento deprimente ora che si sentiva così bene, ma d’altro canto gli sembrava brutto non rispondere a quella domanda.
“Mi sono buttato dal tetto della scuola…”
“E perché?”
Anche quest’argomento sensibile era la prima volta che veniva toccato con qualcuno
“Perché ero uno stupido e non capivo un bel niente… Mi sentivo giù, mi sembrava tutto così inutile e triste, la mia vita era così squallida… Farla finita non mi sembrava poi questo granché. Non me ne fregava niente, per questo quando sono saltato giù ero tranquillo”
“E com’è stato?”
“Non ricordo molto di quei momenti. Penso di essere morto in meno di cinque minuti, ma per quel che ricordo non sentivo niente. Il dolore è durato solo un attimo…”
“Capisco…”, ma perché gli stava chiedendo quelle cose?
“E poi mi sono ritrovato in quella stanza e tutto è iniziato. Ma sai, sono contento che sia andata così, ringrazio davvero per quest’opportunità che mi è stata data”, osservò Tori che in silenzio continuava a guardare la televisione, “Sai cosa succede quando raggiungi i cento punti?”, continuò.
“No”, rispose lei con scarso interesse.
“Gantz ti propone tre scelte: tornare ad essere libero con la memoria cancellata, ottenere un’arma più potente e ricominciare da zero o resuscitare qualcuno dalla sua memoria. Ho visto solo una persona ottenere questo punteggio”
“E tu cosa pensi che sceglierai quando li raggiungerai? Ormai ci sei vicino…”
“Non lo so davvero… All’inizio pensavo la libertà; l’idea di ricominciare da zero, come se niente fosse successo, l’idea di costruirmi una nuova vita migliore, senza ripetere gli sbagli del passato mi sembrava una gran cosa, un’opportunità preziosa che a pochissimi viene offerta. Poi ho iniziato ad abbandonare questa linea di pensiero; in fondo le missioni del Gantz hanno un ché di divertente e sono un ottimo passatempo. Ma ora, in questo preciso istante, faccio fatica a trovare una risposta a questa tua domanda…”, l’ingresso di Tori in casa sua aveva stravolto ogni certezza, ogni regola di quella che era stata la sua vita fino a due giorni addietro. E pensò che avrebbe anche cambiato radicalmente e improrogabilmente il suo modo di comportarsi all’interno dell’appartamento del Gantz e durante le missioni. Ma aveva già accettato quel compromesso.
“Io non riesco a pensare a nulla del genere invece…”, maledizione, la sua voce era così spenta da mettere i brividi addosso, “Nessuna di quelle tre opzioni significa niente per me… Nulla significa ormai niente per me”
Nishi comprendeva perfettamente il suo sconforto e sapeva che era difficile trovare argomenti per replicare e per farle cambiare idea. Ma tutto ciò lo rattristava; erano partiti piangendosi addosso e adesso, grazie a lei, si sentiva bene come non mai; avrebbe desiderato davvero che la cosa fosse reciproca e invece…
“Sei sempre in tempo a costruirti una nuova vita. Capisco che il problema di casa e soldi possa essere un grosso scoglio per una ragazza della tua età. Ma ti ho già detto che se vuoi puoi restare qui per qualche tempo. Anche per i soldi non c’è problema; mio padre è come una miniera senza fondo e a me non costa davvero nulla aiutarti”
Tori lo guardò negli occhi; era così bello guardarsi negli occhi con lei…
“Grazie… Hai ragione, quello che dici è vero… Ma non ne ho la forza di ricominciare… Davvero, non credo di farcela… E’ troppo faticoso anche solo pensare a qualcosa del genere”
“E’ normale; ma è solo questione di tempo, devi solo saper aspettare. Anche io mi sentivo come te dopo la morte di mia madre, ma ora mi è passata, e sono riuscito a ritrovare la normalità; sto bene e non ci avrei mai creduto prima”
“Io non ce la faccio…”, continuava a ripetere scuotendo il capo; probabilmente avrebbe avuto ancora molto da piangere prima di calmarsi del tutto.
Decise di non insistere. D’altronde lui era l’ultima persona che potesse dare consigli a qualcuno in materia di vita…

Fu prima dell’ora di pranzo che Tori decise di andarsene.
“Ti ringrazio davvero per tutto quello che hai fatto per me. Sei stato gentile. Ma forse è meglio che vada”
Una cosa del genere gli dispiaceva, tanto si era abituato velocemente a quella nuova situazione.
“Sei sicura? Dove andrai?”
“Dai miei nonni, a Idenodai. Saranno felici di rivedermi”
“Fa’ come ti pare”, ci rimase male; era chiaro che i sentimenti di lei non fossero mai stati uguali ai suoi; in realtà pareva che lei non avesse alcun bisogno di lui, mentre invece non si potesse dire il contrario. Ma questo le era lecito in fondo, come le era lecito andarsene e farsi i fatti suoi, benché se fosse stato per lui avrebbe desiderato che Tori si fosse fermata là per sempre.
Ma se da una parte era dispiaciuto per la sua partenza dall’altra era rinfrancato da quelle parole. Era felice che avesse deciso di andare a stare dai nonni, era già un primo passo verso l’inizio di quella nuova vita di cui stavano discutendo quella mattinata sul divano. Anche questo suo modo di pensare in maniera non egoistica lo stupì. Non avrebbe mai pensato che sarebbe stato in grado di comportarsi in una tale maniera filantropica.
“Ci rivediamo nell’appartamento, vedrai che il Gantz prima o poi ci richiamerà”
“Sì”, rispose lei. Tuttavia il vedere quel suo sguardo ancora spento e il sentire quella sua voce così apatica non lo facevano stare del tutto sereno. La salutò mentre la ragazza si allontanava e anche Tori si voltò verso di lui salutandolo e sorridendogli prima di riprendere la sua strada.
Quando fu uscita dalla sua visuale rientrò in casa e chiuse la porta. Adesso non vedeva l’ora di tornare nell’appartamento della sfera nera. Aveva sempre visto quel posto come un luogo di solitudine abitato da inutili e inetti stronzi, ma riscoprirlo come il posto dove avrebbe potuto rincontrare l’unica persona con cui aveva instaurato un rapporto al mondo stravolgeva completamente ogni prospettiva. Nulla sarebbe più stato uguale a prima.
La sua vita riprese normale come al solito; le routine di sempre tornarono ad occupare le sue giornate allo stesso modo della solitudine cui era tanto stato affezionato un tempo. Ma con un’unica piccola differenza: non si era mai sentito così sereno e compiaciuto. Anche la sua dipendenza da tutti quei siti internet gore e offensivi che come una droga lo tenevano incollato al monitor del pc a guardare tutte quelle foto e video delle tragedie umane subì un taglio drastico.

Tre settimane dopo il Gantz lo richiamò. Si materializzò per primo nella stanza, poi seguì il cane. Attese con palpitazione che anche Tori facesse il suo ingresso nella stanza; aveva davvero voglia di rivederla, e voleva sapere come se l’era cavata in quel periodo. Ma dopo il cane si materializzò uno sconosciuto, poi un altro sconosciuto, poi un altro ancora e così via. Attese pazientemente e con speranza che il Gantz la trasferisse alla fine, ma di Tori non ci fu nessuna traccia. La cosa lo avvilì pesantemente. C’era una sola spiegazione per cui una persona non facesse ritorno nella stanza della sfera nera: quella persona era morta. Dunque Tori non ce l’aveva fatta a riprendersi, aveva preferito il suicidio, aveva preferito non lottare. Una cosa del genere l’aveva temuta in cuor suo e non gli giunse del tutto inaspettata. Pensò che probabilmente anche quella dei nonni fosse una menzogna. Si sentì amareggiato e disilluso, e fu con questo senso di pesantezza e noia che affrontò quella caccia. Ma quando la caccia terminò e nella stanza fecero ritorno anche quella volta soltanto lui e il cane fu come se avesse già rimosso ogni ricordo di quell’unica giornata passata assieme a lei e di tutte le travolgenti e splendide emozioni ad essa connesse. Quella missione aveva avuto lo stesso effetto di un colpo di spugna, e non se ne rese neanche conto, né in quel momento né mai.
Quando poi fu la volta dei punteggi, quelle reminescenze sembravano ormai appartenere ad un passato così remoto da sembrare addirittura irreale. Ora non sapeva neanche dire se Tori fosse esistita davvero e per due giorni avesse condiviso con lui casa sua o se fosse tutto appartenuto al mondo dei sogni. E a un mese da quel giorno il nome Tori probabilmente non gli avrebbe detto assolutamente nulla, poiché aveva iniziato ad eliminarlo dalla sua memoria già in quel preciso istante. Tutto era tornato come prima, lui era tornato lo stesso di prima. E appena lesse punteggio ottenuto, ovvero ottantasette, riuscì a sentire di nuovo la felicità dentro di sé, data dal sempre più avvicinarsi dei famigerati cento punti. Certo, quella felicità era solo un surrogato rispetto a quella scaturita dalla compagnia di un’altra persona, ma quello aveva e di quello si sarebbe accontentato d’ora in avanti, come d’altronde era sempre stato. Cento punti… Chissà se la prossima caccia sarebbe stata la volta buona…
  
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