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Autore: lavale85    02/07/2011    4 recensioni
One shot collocata dopo la prima scena del secondo episodio della quarta stagione. Quello che Sookie secondo me dovrebbe realizzare riguardo ad Eric e al suo comportamento nei suoi confronti.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Eric Northman, Sookie Stackhouse
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Aveva pensato a lui tutto il giorno, anche se si era sforzata ogni secondo di tenerlo fuori dalla sua testa, aveva fallito miseramente.

Era ancora furiosa con lui, per aver comprato la sua casa e perché aveva pensato di poterla possedere. Era stanca di essere considerata come una proprietà, stanca di essere morsa, dissanguata, picchiata e perseguitata da tutti quegli esseri sovrannaturali.

Voleva un po’ di normalità nella sua vita, una relazione normale.

Andare al cinema e fuori a cena, farsi accompagnare  per negozi il sabato pomeriggio, guardare qualche stupido programma in TV seduta sul divano con una tazza di cioccolata calda, passeggiare mano nella mano, fare gite fuori porta la domenica. Annoiarsi. Quanto le sarebbe piaciuta un po’ di cara e vecchia noia!

Ma chi voleva prendere in giro?

La sua vita non era mai stata e mai sarebbe stata così. Lei era una fata telepate, un fottutissimo scherzo della natura con cui nessun essere umano normale avrebbe mai voluto avere a che fare.

In fondo non le era mai capitato, prima di conoscere Bill ed Eric, di essere contesa tra due uomini. Anzi, era raro che la invitassero ad uscire e se anche c’era stato qualcuno così folle da chiederle un appuntamento, non ce n’era mai stato un secondo.

Avevano paura di lei, e forse avevano ragione. Forse la colpa di tutto quello che le era successo non era dei vampiri, ma solo sua. Forse lei era una incredibile e gigantesca calamita per ogni tipo di disgrazia, umana e non, presente in tutto lo Stato.

Seduta su una sedia in cucina, appoggiò i gomiti sul tavolo e lasciò cadere la testa fra le mani, passandone una tra i capelli. Sarebbe diventata pazza se non avesse smesso di tormentarsi.

Si guardò intorno e si sentì così svuotata all’idea che la casa che era stata della sua famiglia per generezioni non le appartenesse più che due lacrime caddero sulle sue guance senza che riuscisse a fermarle.

Poi focalizzò meglio i dettagli e si ricordò dello stato di degrado in cui si trovava ogni cosa quando se n’era andata l’ultima volta.

Un’ idea le balenò in testa, veloce come un fulmine. Cercò di non darle peso, ma iniziò a farsi largo nella sua mente in maniera prepotente.

Eric non si era limitato a comprare la casa per possedere lei. L’aveva fatta riparare, a sue spese, l’aveva resa di nuovo confortevole dopo che quella sanguinaria menade l’aveva distrutta, ma soprattuto l’aveva mantenuta com’era, senza cambiare una virgola. Lui non l’aveva mai creduta morta e aveva preparato un luogo in cui lei potesse sentirsi al sicuro una volta tornata. Certo, probabilmente non l’aveva fatto in maniera del tutto disinteressata, ma era molto più di quello che chiunque altro avesse fatto per lei in tutta la sua vita.

E non si era limitato a questo. Aveva pensato a lei, si era preoccupato per lei e quando era tornata era stato l’unico che non le aveva chiesto dov’era stata, dimostrandosi solo contento del suo ritorno. Certo, in un modo incredibilmente sconveniente, ma Eric era così, e non aveva mai cercato di apparire ai suoi occhi diverso da come era. E a suo modo l’aveva rispettata. Ora che non aveva più bisogno di inviti per varcare la soglia di casa sua, avrebbe potuto benissimo entrare come una furia e prendersi tutto ciò che voleva. Avrebbe potuto nutrirsi di lei fino a renderla incosciente e poi abusare del suo corpo, invece le aveva chiesto il permesso, era stato quasi supplichevole nel suo tentativo di convincerla e se n’era andato senza fare troppe storie quando lei glielo aveva imposto con malgarbo.

Si sentì in colpa. Accecata dalla rabbia, aveva visto solo il peggio di quella situazione. Non si era accorta che lui, nel suo modo un po’ contorto, aveva soltanto cercato di farle capire che ci teneva davvero a lei, di dimostrarle qualcosa. Realizzò che non doveva essere stato facile, per un vampiro arrogante e restio ad ogni tipo di sentimento, fare quei piccoli gesti che lei non aveva compreso, come se ogni riparazione effettuata a quella casa, la casa di lei, avesse fatto un buco nel pesante telone che copriva la sua anima, mettendola a nudo piano piano, un pezzo alla volta. Doveva essere stata proprio una fatica enorme. Chissà quanto era cambiato in quell’anno? Prima non si sarebbe mai comportato così. Era stata lei a cambiarlo?

Nel frattempo il sole era sceso oltre la linea dell’orizzonte e lei si ritrovò al buio. Da quanto tempo era lì a pensare? L’unica luce arrivava dal lampione esterno, già acceso, attraverso la porta poteriore aperta. Poi d’un tratto anche quella luce sparì, oscurata da qualcosa - o da qualcuno. Alzò in fretta la testa impaurita e vide lui, fermo sulla soglia, che le chiedeva il permesso di entrare.

“Non hai più bisogno del mio permesso mi pare!” lo incalzò lei, con una punta di acidità nella voce. Per quanto si sentisse meschina, non riusciva ad essere carina con lui, era un qualcosa di fisico, la sola vista della sua ombra le provocava irritazione.

“Non ne ho bisogno, ma lo gradirei” rispose lui a voce bassa.

Sapeva che sarebbe entrato anche se lei avesse detto di no, ma questo era il suo modo di lasciarle un po’ di dignità.

“Fai come se fossi a casa tua!” e si alzò per accendere la luce “Cosa posso fare per te?”

“In realtà sono io che lo chiedo a te. Ho percepito degli stati d’animo strani, molto strani, sembravi disperata... Ho pensato che forse potevi aver bisogno di aiuto, di una spalla su cui piangere, di qualcuno che ti facesse dimenticare in tuoi problemi con del sesso sfrenato...”

Fissò i suoi occhi e per un attimo riuscì a penetrare la sua maschera. Vide un adolescente a cui piace una compagna di scuola, ma che non ha il coraggio di dichiararsi e così decide di prenderla in giro senza pietà solo per farsi notare da lei, in un modo o nell’altro. Eric, anche se piuttosto cresciutello sotto molti punti di vista, era un adolescente imbarazzato quando si trattava di sentimenti. Chissà se si era mai innamorato nella sua lunga vita?

Sookie mise da parte la rabbia, lasciò cadere le sue difese e, senza staccare gli occhi dai suoi, mormorò

“Perchè devi sempre comportarti così, Eric? Di cosa hai paura?”

Lui rimase spiazzato da quella domanda con un milione di sottintesi. Forse si era esposto troppo e ora lei stava cominciando a capire il suo gioco. Aveva contato sul fatto che non fosse mai stata particolarmente attenta ai dettagli, ma stavolta doveva aver fatto i compiti a casa. Si sentì scoperto, non tanto dalle sue parole, quanto dai suoi occhi, che vagavano inquieti sul suo volto pallido e sembravano cercare tra le pieghe qualcosa che lui tentava disperatamente di nascondere.

Distolse lo sguardo, girando la testa verso destra. Odiava sentirsi così vulnerabile, così umano, ma doveva dirglielo. Aveva avuto un anno intero per trovare il coraggio. Strinse i denti e tutto d’un fiato sputò fuori “Mi sei mancata, Sookie Stackhouse.” Fece una piccola pausa per prendere dell'aria che non gli serviva davvero e poi continuò “Non solo il tuo sangue, ma il tuo sorriso, il tuo profumo inebriante, la tua ironia pungente, la tua capacità di tenermi testa e il tuo incredibile coraggio. Per un anno intero ho rivissuto nella mia mente ogni istante passato in tua compagnia, nel bene o nel male. Mi hai ossessionato. E ora sei di nuovo qui, ti posso vedere, e ti potrei toccare se solo me ne lasciassi la possibilità, e quasi non mi sembra vero.”

Lei aprì la bocca per dire qualcosa ma lui la zittì con uno sguardo e riprese a parlare con voce più dura

“Non sono qui per dirti che ti amo, non credo nemmeno di sapere cosa sia l’amore, non sono qui per giurarti fedeltà eterna e portarti via con me su un cavallo bianco. Non ti posso promettere la felicità, per una quantità inenumerabile di ragioni, ma vorrei che tu mi permettessi di prendermi cura di te.”

Lo sguardo di lei si fece dolce e intravide un Eric diverso da quello che aveva conosciuto, ma lui la smentì, come se potesse leggere i suoi pensieri

“Il mio non è un nobile sentimento Sookie, ma egoismo nella sua forma più elevata. Voglio che tu sia mia, voglio che tu sia al sicuro, perché se ti succedesse qualcosa non me lo potrei perdonare mai. Non lo faccio per te, ma per me stesso, sia chiaro.”

Si fissarono per un tempo che parve interminabile, poi lei si schiarì la voce e disse

“Posso pensarci su?”

“Posso continuare a cercare di convincerti?”

Lei fece un cenno affermativo con la testa, le mani che si tenevano l’un l’altra, le braccia ripiegate sul petto.

“Io posso aspettare, se mi prometti di non farti uccidere nel frattempo.”

“Non è nei miei piani per il momento.” sorrise e poi aggiunse “Magari potresti passare da queste parti per controllare, una volta tanto”

“Sarà più spesso di quanto immagini.” disse sorridendo malizioso, poi girò su se stesso e si allontanò camminando a velocità umana.

Prima di chiudere la porta si girò un’ultima volta per recitare la sua battuta d’uscita

“Buonanotte, miss Stackhouse.”

  
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