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Autore: Selene Silver    02/07/2011    4 recensioni
Sente di star per piangere. Allunga le mani e riesce a toccarlo; afferra le sue braccia, ancora tese per poter tenere il suo viso fra le mani. Fa un passo avanti, sente il suo respiro sulle guance e le labbra. «Non voglio che tu sprofondi ancora di più. Per favore. Torna con me. Torna da me.»
Ancora quel sorriso. «Non posso, e lo sai. Non voglio neppure. È così triste, il mondo. Non te ne sei mai accorto, Dave?»
«Può essere bello, invece» le lacrime gli sfuggono dalle palpebre chiuse. «Te la ricordi? Ti ricordi la Francia?»
«Sì… ma ormai quel tempo è passato.» Lo lascia andare, e sfila le braccia dalla sua presa, come fossero fatti entrambi di fumo. «Tu devi andare avanti, Dave. Vai avanti.»
Trattiene il fiato, sentendo che tutto sta scivolando via. «Questo è un sogno, vero?»
Lo sente ridere in lontananza, ancora quella risata fumosa e vaga. «Non lo so, Dave. Cos'è, esattamente, un sogno?»
Genere: Malinconico, Slice of life, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Apre gli occhi e vede solo nero. No, non buio: buio e nero sono cose diverse. Vede nero, un nero denso, voluttuoso, come velluto aeriforme. Respira, e il nero entra dentro di lui. Inizia ad avere paura. È allora che la voce lo chiama. Come sempre, come ogni volta che si spaventava.

«Dave? Dave, sei qui?» È come la ricordava; lenta, strascicata, dolce. Un po' ansiosa.

Allunga le mani, le vede affondare nel nero come se non esistessero. Sussulta, mordendosi le labbra.

«Dave? Ci sei?» chiama ancora la voce.

Non può rispondere, non sa perché. Allora deve cercarlo; lo sente vicino. Ma non può muoversi, perché il nero lo inghiottirebbe. Eppure, la voglia di vederlo, toccarlo è persino più forte della paura. Agita le braccia, muove pochi passi. Il nero entra nei suoi polmoni come fumo, tenta di soffocarlo. Gli si preme sugli occhi. Non vede più niente, neppure sé stesso. Solo altro nero. Gli sfugge un gemito.

«Sssh» mormora a quel punto la voce. Un paio di mani fresche gli si posano sulle guance, accarezzandole con dolcezza. Anche se non può aprire le palpebre può in qualche modo vederlo, come quando sei a occhi chiusi e qualcuno accende una lampada, e tu ne percepisci la luce. Allo stesso modo, nel nero dentro la sua testa si delinea il profilo luminoso di un giovane uomo.

Mormora il suo nome, incerto, come fosse una domanda.

«Sì, sono io. Non avere paura, Dave. Va tutto bene.»

Prende un'altra boccata d'aria, il nero si mescola con la luce. Può parlare bene, adesso. «Dove siamo?»

Sente la sua risata, impalpabile come fumo; sempre la stessa, quel tipo di risata che fai quando sei distratto - ma lui non lo era sempre, distratto?. «Non lo so, sai? È strano. Ci sono dentro da tanto tempo eppure non lo so. Credo sia ciò che si vede quando si… sprofonda, sì.»

«Che vuol dire?» lo chiede piano, come se avesse paura di sapere la risposta.

Non può aprire le palpebre, ma percepisce il suo sorriso. Quel sorriso triste che lo intenerisce e lo preoccupa insieme. «Lo sai, Dave. Stavo cercando. Il significato a tutto questo. E forse l'ho trovato. Forse è questo nero. O magari è ancor più in profondità, e io non sono ancora sprofondato abbastanza.»

Sente di star per piangere. Allunga le mani e riesce a toccarlo; afferra le sue braccia, ancora tese per poter tenere il suo viso fra le mani. Fa un passo avanti, sente il suo respiro sulle guance e le labbra. «Non voglio che tu sprofondi ancora di più. Per favore. Torna con me. Torna da me.»

Ancora quel sorriso. «Non posso, e lo sai. Non voglio neppure. È così triste, il mondo. Non te ne sei mai accorto, Dave?»

«Può essere bello, invece» le lacrime gli sfuggono dalle palpebre chiuse. «Te la ricordi? Ti ricordi la Francia?»

«Sì… ma ormai quel tempo è passato.» Lo lascia andare, e sfila le braccia dalla sua presa, come fossero fatti entrambi di fumo. «Tu devi andare avanti, Dave. Vai avanti.»

Trattiene il fiato, sentendo che tutto sta scivolando via. «Questo è un sogno, vero?»

Lo sente ridere in lontananza, ancora quella risata fumosa e vaga. «Non lo so, Dave. Cos'è, esattamente, un sogno?»

 

L'ultima volta che aveva visto Syd era stato la sera dell'unico concerto per il tour promozionale di Barrett. Quella sera memorabile (e per molti disastrosa) in cui l'imprevedibile Matto di Cambridge aveva suonato quattro pezzo e poi si era sfilato la chitarra, andandosene via come se lo show fosse finito.

David ricordava ancora la propria reazione: la bocca gli si era aperta a metà, mentre guardava la schiena coperta di stoffa colorata di Syd andarsene tranquillamente, infilarsi nel backstage, evitare manager e seccature con una maestria invidiabile e sparire. A quel punto il presentatore era corso sul palco, strillando che "era tutto a posto" con un sorriso tirato e quasi folle. Non avendo idea di ciò che quei poveri scemi avrebbero potuto fare dopo, ma preoccupato per l'amico, David aveva alzato i tacchi a sua volta e l'aveva inseguito fuori. L'aveva trovato che camminava per la strada acciottolata, curvo e con la chitarra a tracolla, il cappotto abbottonato fin sotto il mento anche se era giugno e si poteva andare benissimo in giro a mezze maniche. Aveva urlato il suo nome, sperando di richiamarlo. Per fortuna, contrariamente a ciò che avrebbe potuto benissimo fare, Syd si era voltato.

Aveva gli occhi scuri grandi e sorpresi, ma aveva sorriso dolcemente quando l'aveva visto. Come se non fosse appena scappato nel bel mezzo di un concerto, come se non si fosse neppure reso conto di dove fosse, come fosse. Forse neanche di chi fosse. «Ciao, Dave. Anche tu qui?»

Si era morso le labbra, fermandosi un attimo, con una fitta al cuore. Poi era riuscito a sorridere, anche se si sentiva come sul punto di piangere o vomitare. «Sì, anch'io qui» L'aveva raggiunto con pochi passi veloci, gli aveva dato una pacca sulla spalla, anche se in verità avrebbe voluto abbracciarlo per accertarsi che non stesse per spezzarsi in frammenti cristallini, che non fosse fatto di fumo, che non fosse diventato tanto magro e leggero da volare via. «Dove stai andando?»

Syd aveva sorriso ancora, gli occhi un po' socchiusi. «A casa.»

«Se vuoi ti accompagno con la macchina.

«Oh…» i suoi occhi si erano persi per un'attimo, come se quella variazione imprevista lo gettasse nel caos. Ma alla fine aveva sorriso di nuovo, quel sorriso da bambino felice ma un po' perso, e aveva risposto con un laconico «Sì, grazie.»

Durante il viaggio erano stati in silenzio. Syd aveva appoggiato la testa sul sedile, lo sguardo perso oltre il finestrino, nelle scie di luce disegnate dai lampioni. David ricordava ancora il suo profilo per metà illuminato, il sorriso perso. «Mi piace viaggiare in macchina» gli aveva detto una volta. «Sembra che tutto scivoli via, ma tu sei al sicuro e puoi continuare ad andare avanti dentro te stesso.»

Quand'erano arrivati all'appartamento, Syd l'aveva invitato a salire per una birra. David aveva accettato, pur con la paura di ciò che avrebbe potuto vedere. Dentro era tutto buio, tutte le tende erano state tirate, le tapparelle chiuse. C'era puzza di muffa e di vernice. Le tele - sporche, stracciate, dipinte - e i barattoli di colore aperti stavano accatastati negli angoli, percepibili come oscurità densa e raggrumata. Syd si era mosso con una sicurezza che non aveva nemmeno per strada; aveva posato la chitarra in un angolo e si era diretto verso quella che doveva essere la cucina, senza accendere neppure una luce. Dave invece era rimasto immobile. Si sentiva male. Agghiacciato. Ho paura. Ho paura. Roger, che ti è successo?

L'aveva sentito tornare, aveva visto la sua sagoma nel buio. «Vieni, Dave, non spaventarti. Qui c'è il tappeto, ci possiamo sedere.» Dopo averlo detto l'aveva fatto, e poi, dopo averci pensato un attimo, si era steso. Dave si era avvicinato, si era sdraiato con la testa accanto alla sua, posando la birra che l'altro gli porgeva accanto a sé senza berla. C'era davvero un tappeto, morbido ma polveroso, incrostato di tempera in alcuni punti. Aveva udito il sospiro di Syd, poi lui gli aveva posato la testa sulla spalla, come facevano da ragazzi. Aveva sentito i ricci scuri e morbidi dell'amico sfiorargli il viso. Aveva trattenuto il fiato, e deglutito per non piangere.

«Ti ricordi la Francia, Rog?»

Syd aveva riso di quella sua risata mezza distratta. «Come dimenticare, Dave? Era bellissima, vero?»

«Sì, è vero.» 

«Eravamo liberi. Liberi come l'aria. Avevamo noi stessi e la musica. Era bellissimo, vero?»

David aveva deglutito di nuovo. «Sì, è vero.» Abbiamo ancora la musica, e io sono ancora me stesso. Sei tu a non esserci più.

 

Più tardi, quando era tornato a casa, aveva chiamato Rick.

La voce del tastierista, quando aveva risposto, era assonnata e stanca; ovvio, erano le tre del mattino, doveva averlo svegliato. Ma David aveva bisogno di sentire la sua voce dolce e un po' nasale, aveva bisogno che qualcuno lo capisse, aveva bisogno che qualcuno gli dicesse che non era colpa sua se il suo migliore amico stava sprofondando in una voragine da cui non riusciva a tirarlo fuori.

«Pronto?»

«Rick, sono io» aveva mormorato, la voce lenta e in sicura.

«Dave, ehi. Com'è andato il concerto di Roger?»

Gli aveva raccontato tutto. A un certo punto, aveva iniziato a piangere, e Rick con lui. 

 

«Adrian vuole registrare delle scene qui?» chiese Nick, scostandosi il cappello dalla fronte e grattandosi la testa, perplesso.

«Già» rispose Roger, portandosi le mani ai fianchi.

«È pazzo» ridacchiò Dave.

«Vuol farci morire soffocati nel fumo» concluse Rick.

Le solfatare di Pozzuoli si spalancavano davanti a loro; aspre pareti di pietra e fumo bianco. La puzza faceva arricciare a tutti il naso, eppure nessuno si muoveva. Il regista aveva deciso, e si doveva fare.

A dire la verità, tutti e quattro i musicisti iniziavano ad averne le palle piene. «Vuole filmarmi anche mentre vado al cesso, un altro po'» aveva bofonchiato Roger solo la sera prima; ma adesso, di fronte a quel paesaggio, nessuno si sentiva più tanto in vena di arrabbiarsi. Anche se in effetti Nick aveva un'aria piuttosto preoccupata.

«Ehi, Adrian» esclamò il batterista, girandosi verso Maben. «Che dovremmo fare, qui?»

«Non so. Correte in giro. Esprimetevi

La sua parola preferita. Durante le interviste, l'esecuzione dei pezzi, adesso. Esprimetevi, ragazzi.

Roger sbuffò. Nick invece si mise a ridere, lo afferrò per la mano e corse verso le solfatare, tenendosi il cappello calcato in testa con una mano. «Ma che fai!» urlò il bassista.

«È divertente, venite! Rick! Dave!» Il chitarrista ed il tastierista si guardarono un attimo. Poi, scoppiando a ridere, e iniziarono a correre. Attraverso il fumo e le bocche di lava, ridendo; David seguiva la figura di Nick e quella più smilza di Roger, Richard dietro di lui, le telecamere al loro seguito. Poi, con un guizzo, sparirono tutti e quattro nella nebbia.

 

«Un po' di libertà, finalmente» sbuffò Roger, stiracchiando la schiena. 

Nick ridacchiò. «Saranno incazzati di brutto.»

«E va be'» si strinse nelle spalle Rick.

Intanto, Dave si era allontanato, e aveva scoperto una piccola pozza di lava. La fissava con un mezzo sorriso sulle labbra, e quando gli altri si avvicinarono si voltò verso di loro con quell'espressione ancora sul viso. «A Syd sarebbe piaciuto questo posto.»

Gli altri rimasero un attimo in silenzio. Poi Rick gli cinse i fianchi con un braccio e gli appoggiò la testa sulla spalla. «Sì. Gli sarebbe piaciuto davvero.»

 

Ti ricordi la Francia, Syd? A te era venuta, chissà come, l'idea di partire. Ho deciso di venire con te perché mi sei sempre sembrato troppo distratto, per andartene in giro da solo; figurati in un Paese di cui non parli neppure la lingua!

Ti ricordi com'era bello? La macchina era la Ford scassata di mio padre, e sul sedile posteriore c'erano le nostre chitarre. Guidavo quasi sempre io, perché a te la macchina faceva venire sonno, come ai bambini piccoli. Appoggiavi la testa contro il finestrino e dormivi, con la bocca leggermente socchiusa e il viso rilassato. Mi piaceva tanto guardarti dormire, era così rilassante. Potevo farlo solo in macchina, però, perché appena arrivavamo in all'albergo, o in qualunque posto avessimo trovato per dormire, tu tiravi fuori pennelli, carboncino e tempere e tela e stavi tutta la notte sveglio a disegnare, fumare, bere caffè, suonare. Provavo a stare con te fino a un certo punto, ma alla fine mi addormentavo sempre. Chissà se eri tu a guardarmi dormire, allora?

Ti ricordi quel giorno al mare? Hai disegnato il mio ritratto nel bagnasciuga e quando un'onda particolarmente alta l'ha spazzato via ti sei quasi messo a piangere. Ti ho abbracciato, allora, più stretto che ho potuto. «Che te ne importa del ritratto, Rog? Io sono qui.»

E allora tu hai sorriso, hai detto «A volte sono proprio un idiota» e io ti ho risposto «Sei semplicemente molto, molto dolce.»

Tu mi hai guardato e hai riso. Ai tempi non era ancora quella risata fatta di fumo, ma una risata piena, di quelle che ti esplodono fuori e devi ridere per forza. «Anche tu sei dolce, Dave. Adesso posso farti un vero ritratto?»

E io ho detto di sì. Avrei detto di sì a tutto ciò che mi chiedevi. Quella sera, mentre mi dipingevi, ho sorriso tutto il tempo. Per te. Perché ero con te.



Gurgle. Volevo scrivere questa cosa da tantissimo tempo. Volevo scrivere una cosa su Syd da parecchio tempo, ma non sono sicura di essere riuscita a farlo come volevo. Tanto più pensando che all'inizio questa cosa era slash, ma poi non lo è stata più @-@
Ci terrei a precisare che tutti i fatti che ho citato sono reali - anche se rimodellati dalla sottoscritta: il concerto in cui Syd se la svignò dopo il quarto pezzo c'è stato davvero, il 6 giugno 1970; i Pink Floyd vengono davvero ripresi che corrono fra le solfatare di Pozzuoli durante il Live a Pompei (e a me fanno pensare ogni volta a quattro piccole Heidi °_°), di cui Adrian Maben è regista, e anche il viaggio in Francia di David e Syd è reale, l'ho letto in una biografia del piccolo Barrett, e all'inizio questa storia era ambientata in quel periodo, invece che essere un semplice flashback.
La parte del sogno all'inzio non so assolutamente perché l'ho inserita; forse perché ultimamente faccio un sacco di incubi anch'io °_° Da quello che ho letto nelle fanf sui Pink Floyd si parla sempre di sogni .-.
Mi dispiace non aver lasciato tanto spazio per Nick e Roger ç_ç Soprattutto a Nick, diciamo, Roger ho il vizio di guardarlo male XD
Comunque... siccome i Pink Floyd sono stata la prima band anni '60 di cui io mi sia innamorata (grazie a mia madre, che faceva la corista in un gruppo tributo: GRAZIE, MAMMA!) credo scriverò altro su di loro u.u Soprattuto perché amo Roger Keith Barrett e questa robetta non gli rende giustizia u.u
  
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