3.
Il giorno dopo
quello in cui aveva ridato il cuore a Coreen,
fu il più difficile di tutti per Vicky: era sempre stata una
donna forte, ma
ricominciare tutto daccapo non era semplice, con
quell’insieme di angoscia e
senso di colpa che l’attanagliava. Certo, era anche inutile
continuare ad
indugiare nell’autocommiserazione…
Decise di farsi
una doccia e chiamò Coreen per sapere come
stava, ma la ragazza non rispose al telefono.
“Fantastico!
È stata posseduta
da un demone, ha vissuto per ore senza il suo cuore, e ha anche trovato
la
forza di uscire di casa… Sono davvero una
pappamolle!”
Ma mentre
rimuginava sui suoi meriti, un suono improvviso la
fece trasalire: qualcuno stava bussando alla porta del suo appartamento.
«Coreen!»
«Ciao capo, ho
pensato che ti avrei trovata qui più che
in ufficio oggi, ci siamo stancate un po’ troppo ieri!» così
dicendo fece un sorriso che si
sforzava di essere allegro, anche se le tremava agli angoli.
“Sta
cercando di
risollevarmi il morale, lei a me! Oh, Coreen!”
La gentilezza
della ragazza, scosse quel po’ di autocontrollo
che ancora le restava, e Vicky si ritrovò ad abbracciare la
sua amica. «Grazie Coreen»
Coreen non aveva
trascorso una giornata propriamente rilassante
con quel demone dentro di lei, e il particolare di avere avuto la cassa
toracica vuota per qualche ora con uno squarcio nel petto, tendeva a
farsi
sentire quando respirava, per non parlare della cicatrice che ora era
visibile
dalle sue camicette e suoi corpetti… No, non era affatto un
bel momento! Però
nulla l’avrebbe preparata a quell’abbraccio:
l’unica volta che si era permessa
una familiarità simile con Vicky, era stata ammonita a non
farlo più, e da
allora aveva evitato qualsiasi dimostrazione fisica di affetto nei
confronti
del suo capo. Ma evidentemente, il dolore di Vicky per tutto
ciò che era
accaduto il giorno prima, l’aveva scossa a tal punto da farle
desiderare quel
contatto che mai aveva voluto. Coreen capì che non era il
momento di fare strane
esclamazioni e si lasciò andare all’abbraccio,
godendosi quel “Grazie Coreen”,
in un muto e caloroso conforto che scaldò i cuori di
entrambe le ragazze.
«Come ti senti?»
Vicky era
incredula: quella ragazza così esile aveva subito
un trauma terribile eppure stava chiedendo a lei
come si sentisse!
«Come mi sento
io? Coreen ieri eri morta! Dovrei essere
io a chiedertelo!»
«E allora
chiedimelo: “Come ti senti, Coreen?”» disse
scherzandoci su e dando alla
frase un tono di noncuranza come se fosse qualcosa di ininfluente.
«Uff! Come ti
senti, Coreen? È tutto a posto… lì?» Vicky
indicò con gli occhi il petto della
sua assistente, non avendo il coraggio di parlare esplicitamente del
suo cuore.
«Beh, sento
qualche dolorino quando respiro,
ma nel compenso, sono viva! E tutto
grazie a te! Sai anche se Astaroth era dentro di me, io ero in parte
cosciente,
so quello che voleva da te, e poi ho saputo cosa hai sacrificato per
ridarmi la
vita… Non mi sdebiterò mai con te, Vicky!»
«Hai saputo?» Vicky temeva di
conoscere la risposta a quella
domanda, ma doveva conoscere, doveva sapere…
«Sì…
Henry mi ha detto tutto.»
Eccola. La
palettata che temeva, il solo sentir pronunciare
quel nome le procurava un dolore immenso. Henry aveva parlato con
Coreen…
Doveva essere
stato quando si era rinchiuso in camera sua,
mentre la ragazza era ancora sul letto a riprendere le energie. Avevano
parlato
di lei, allora?
Che si erano
detti, che le aveva detto? E infondo; aveva più
importanza? Lei lo aveva rifiutato, lui stava per andarsene, la vita di Henry non le
apparteneva più, se
mai le fosse appartenuta…
«Vuoi sapere che mi ha detto?» Coreen si accomodò accanto a Vicky, sul piccolo divano a due posti nel soggiorno. Vicky giocherellò con una penna che era sul tavolino di fronte al divano: non sapeva cosa rispondere, era combattuta tra il voler sapere e il voler evitare di farsi ancora del male: «Qualsiasi cosa ti abbia detto, non credo che sia una novità per me».