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Autore: Marsie Sinclair    03/07/2011    2 recensioni
Pirati e Cacciatori sono nemici per natura. Da sempre. Così è e così sarà...o dovrebbe essere...[USUK Steampunk AU]
In onore della mia Magnifica Socia
Genere: Avventura, Azione, Dark | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: America/Alfred F. Jones, Inghilterra/Arthur Kirkland
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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AIRPLANES00

êAirplanes in the Empty Skyê

"Tutte le guerre sono civili perché tutti gli uomini sono fratelli."

François Fénelon

 

Fly 00!Se un Giorno di Pioggia …

 

“Shane!”

Stava piovendo, peggio, stava diluviando, così forte da far quasi male, eppure la piazza era gremita di gente. Quello era un giorno glorioso per l’Impero, il giorno in cui per il Nemico sarebbe iniziata la fine.

 

Guerra. Si andava in guerra. Shane andava in guerra.

Una stonata marcia militare veniva trasmessa dagli altoparlanti; ogni tanto si inceppava, ma nessuno ci faceva caso. Erano tutti presi a sventolare bandierine insulse e ad  acclamare i soldati.

 

Erano così tanti, pronti ad andare alla guerra, ma lui ne cercava solo uno, però era tutto così stranamente sfocato e non riusciva a distinguerli. Logico, pioveva. Tutta colpa di quell’acqua che cadeva dal cielo così violenta, che gli picchiava in testa e sulle spalle così forte, e che lo inzuppava così tanto.

Ad Avalon City pioveva sempre e, quando non pioveva, il cielo era cupo, oscurato da pesanti nuvoloni grigi e malsani fumi di scarico. Faceva una gran tristezza.

Invece, quelle lacrime copiose che gli stavano solcando il volto, quelle non sapeva proprio da dove fossero uscite. Non avrebbe dovuto piangere. Perché non ce n’era motivo,no? La guerra… la guerra… era necessaria, no?

 

La pomposa musichetta  finì. Il discorso del Governatore stava per iniziare.

“Popolo di Avalon, oggi è un grande giorno”

 

 Tirò su con il naso, continuando invano a cercare con gli occhi zuppi di pioggia e lacrime in mezzo alle schiere di soldati.

Non è una bella cosa, la guerra.

 

“Il destino ha voluto che le nostre armi si levassero contro l’arroganza di coloro che vogliono privarci di ciò che è nostro per diritto”

 

Perché la sera ci sarebbero stati solo buio e silenzio.

 

“Ma tutto ciò avrà presto fine: la supremazia del nostro glorioso Impero sarà provata dal coraggio dei nostri prodi combattenti, disposti a compiere anche il sommo sacrificio per la causa!”

 

Perché forse non avrebbe mai più sentito quel ragazzo insopportabile parlare di fate, cavalieri e inventarsi storie incredibili solo per vederlo sorridere.

Perché forse, ma solo forse, ben inteso, gli sarebbe mancato un pochino quell’idiota dalla testa troppo vuota e il cuore troppo pieno.

 

I soldati sfilavano, seri, impettiti e indifferenti nelle loro divise verde foresta. Solo uno sorrideva arrogante e spavaldo, i corti capelli rossicci scuriti dalla pioggia battente.

“Shane!” gridò ancora il bambino, ma la sua debole voce andò persa tra mille altri richiami simili.

 

“Siatene fieri.” concluse solenne il Governatore, la cui voce stridula, amplificata da quello strumento di nuova concezione chiamato altoparlante, sovrastò le esclamazioni della folla.

 

Lanciò un’occhiata di puro odio verso la tribuna, sotto la quale i pezzi grossi dell’Impero si godevano lo spettacolo dei battaglioni sfilare. Ci sono persone che piangono e quello spaventapasseri parla di gloria, si disse il ragazzino. Forse era troppo piccolo per comprendere i giochi dei politici, ma una cosa gli era fin troppo chiara: quella gente gli aveva portato via tutto.

Prima i suoi genitori, ora Shane: era rimasto completamente solo, perso. E la colpa  era solo del Governatore.

 

Lo odiava, detestava con tutta l’anima quell’ometto viscido che blaterava di coraggio, sacrificio e robe simili dall’alto del suo bel palco riparato e comodo mentre gli altri sotto la pioggia battente salutavano per l’ultima volta i propri cari.

 

La marcia zoppicante ricominciò e, attraverso la cortina d’acqua grigia, apparvero le sagome sgraziate di alcune enormi aeronavi da guerra, dondolanti come tristi ubriachi di ritorno da una notte di follie, che attraccarono all’aeroporto della città. I soldati, dopo un ultimo rigido saluto militare alla tribuna d’onore, si imbarcarono salendo velocemente lungo le passerelle d’acciaio al ritmo cadenzato della musica.

 

La cerimonia terminò. Poco a poco la folla si disperse per riprendere le proprie attività –in guerra non c’era tempo per i sentimentalismi- e, alla fine, nella grande piazza principale rimase solo una minuscola figura che, in ginocchio nel fango, piangeva come e più del cielo tetro. In mano stringeva un medaglione a forma di pentacolo, come se fosse stato la sua unica ancora di salvezza.

 

 

 

!

 

 

“Arthur-san?”

Toc, toc, toc.

Qualcuno stava bussando piano alla porta

“Capitano? Abbiamo quasi raggiunto il porto, signore. Se potesse venire sul ponte…”

Il pirata aprì pigramente un occhio, pentendosene però subito. Un fastidiosissimo raggio di sole, filtrando attraverso le tende leggere, lo colpiva dritto in viso, quasi accecandolo.

Strano che non avesse chiuso tutto la sera prima. Solitamente prima di andare a letto tirava le tende pesanti in modo che la stanza fosse immersa nel buio più totale. Invece questa volta no: l’elegante cabina era immersa nella calda luce dorata - e tremendamente – fastidiosa del Sole.

Come se già quello non bastasse a dare abbastanza noie, gli faceva male la schiena, il cuscino era molto più duro e scomodo di quanto sarebbe dovuto essere e aveva anche un certo freddo.

 

“Arthur-san? - continuò la stessa voce di prima. - Non vorrei essere scortese, ma stiamo tutti aspettando voi.”

Questa volta era un po’ più alta e i colpi alla porta un po’ più insistenti.

 

Alzò con cautela la testa, socchiudendo gli occhi per ricacciare indietro la sensazione di stordimento e un misto di vaghi ricordi annebbiati e pieni di pioggia. Si guardò intorno un po’ spaesato, cercando di capire cosa ci fosse di sbagliato. Gli ci volle un po’ più del dovuto, ma alla fine se ne accorse: si era addormentato alla scrivania, col duro legno stagionato come cuscino – questo spiegava il mal di schiena - e una bottiglia di rum mezza vuota in mano – e questo spiegava perché ci vedeva doppio.

 

My God...” ringhiò a denti stretti, passandosi una mano sul viso nel vano tentativo di schiarirsi le idee. “What a massive hangover…”

 

Si alzò, un po’ traballante, dalla sedia, con tutta l’intenzione di andare ad aprire prima che quel bussare fintamente gentile gli facesse saltare definitivamente i nervi, fermandosi però davanti al grande specchio intarsiato per darsi una sistemata veloce: dio, era ridotto da far pena!

 

Lasciò un attimo perdere lo scocciatore, per meglio osservare con aria cupa il proprio riflesso. Si chiese come diavolo avesse fatto a ridursi così: i corti capelli biondo cenere erano talmente arruffati e intrattabili da dargli l’aspetto tragicomico da pagliaccio triste, accentuato dal trucco nero - che la sera prima era certo di non avere - che colando gli aveva rigato le guance. Guardò con orrore gli occhi rossi e un po’ vacui, solitamente così luminosi ed espressivi, ora solo gonfi di pianto; doveva aver frignato come una fontana la sera prima. Colpa del rum, accidenti!

Non era possibile - e neppure dignitoso - che il capitano di una tra le più temute ciurme di pirati non reggesse mezza bottiglia di rum!

Santissimo cielo, non aveva addosso altro che i pantaloni strappati e macchiati, un fiocco di un rivoltante rosa caramella legato al collo e un solo stivale! Più che ovvio che avesse freddo – ed era totalmente ridicolo!

 

Si fiondò sull’armadio, pescando a caso una camicia stropicciata e un paio di pantaloni teoricamente puliti.

Al di là della porta della sua cabina, riprese l’irritante toc toc.

Ringhiò un poco amichevole “I’m coming!” seguito da un altrettanto poco elegante invito ad aspettare senza scassare le scatole, che tanto lui era il capitano e nulla si muoveva senza il suo consenso e la sua presenza, e a levarsi dai piedi; dunque si infilò nel suo bagno personale – la sua carica offriva indubbi vantaggi.

 

Dopo una buona mezz’ora a mollo nell’acqua tiepida, e dieci minuti con la testa sotto un getto gelido, era tornato a ragionare più o meno chiaramente e, cosa non meno importante, non sembrava più un non-morto appena scappato dalla tomba. Ecco, adesso si sentiva in grado di affrontare una nuova giornata.

 

“Siamo quasi arrivati al porto di Soave, capitano!” questa volta il tono della voce oltre la porta era più alto e la patina di pacata cortesia era quasi sparita. “Vi attendiamo tutti per pianificare l’attacco” 

 

Rimase in bilico su una gamba, mentre stava cercando di infilarsi i pantaloni, fissando la porta con due occhi da pesce lesso che non ha ancora capito che fine ha fatto.

L’assalto al Palazzo del Podestà di Soave! Non poteva esserselo scordato! Misericordia era stata una sua idea! Dopo quel colpo avrebbe finalmente potuto abbandonare la pirateria, ricomprarsi la casa di famiglia ad Avalon e anche i suoi compagni avrebbero avuto di che vivere!

 

Finì di rivestirsi in fretta e furia, raccattò armi e soprabito e, borbottando qualcosa riguardo alla gente che non sa aspettare, si diresse al ponte di comando, dove gli altri lo attendevano già armati e pronti alla battaglia.

 

 

 

!

 

 

 

Soave era la più grande e ricca delle Repubbliche Meridionali. Costruita interamente sull’acqua, era un luogo davvero splendido: palazzi dalle forme delicate ed eleganti si alternavano a templi e sedi di compagnie mercantili, in un susseguirsi ininterrotto di meraviglie, una festa per gli occhi e per l’anima, come dicevano tutti coloro che avevano avuto l’immensa fortuna di visitare la città.

 

Peccato che Arthur non avesse di certo il tempo per ammirare il paesaggio offertogli. Mancava pochissimo all’assalto e, cosa abbastanza insolita, non si sentiva per niente tranquillo; c’era qualcosa, una specie di presentimento, che lo rendeva teso come una corda di violino.

 

Il piano di base era semplice, quindi le possibilità che qualcosa potesse andare storto minime: mimetizzandosi tra le centinaia di aeronavi mercantili si sarebbero avvicinati il più possibile al Palazzo per poi, passando dai tetti, raggiungere le stanze del Podestà, rimanendo inosservati. Quindi, a rigor di logica, non c’era motivo di essere agitati.

 

Perfino i tetti a Soave erano un’opera d’arte, un insieme caotico di guglie, torrette, cupole e quant’altro l’ingegno umano avesse mai prodotto in campo architettonico, che, con il calare del sole, divenivano un groviglio di ombre perfette per nascondersi. E questo valeva anche per il Palazzo del Podestà, teoricamente il luogo più protetto e sorvegliato della città, se non si teneva conto dell’assenza di guardie sui balconcini.

 

E in effetti la prima parte del piano filò liscia come l’olio. I pirati non ebbero  quasi nessuna difficoltà a raggiungere e introdursi nel grande edificio col favore delle tenebre.

 

Da una piccola finestra in cima a una delle torrette più discrete, un gruppo di loro scivolò silenzioso in quello che doveva essere un corridoio secondario del Palazzo, completamente deserto. Il capitano, sceso per primo, osservò la situazione: come aveva previsto, quella doveva essere la zona più tranquilla, e meno controllata, dell’edificio. Dalle carte che aveva studiato, se non sbagliava, si trovavano nei pressi dell’archivio; tutti incartamenti inutili, per loro.

Da lì si sarebbero potuti dividere, addentrandosi sempre di più, fino ad arrivare alle stanze davvero importanti, quelle piene di danari, gioielli e tesori. Avrebbero ripulito tutto il Palazzo, e quel colpo sarebbe passato alla storia. E poi si sarebbero concessi una bella vita di rendita.

 

“Se non vi dispiace, vorrei occuparmi io delle guardie” disse in tono basso ed affilato Kiku, accarezzando il fodero di seta della sua fidata katana. “Miku-chan ha voglia di giocare” aggiunse l’orientale con un sorriso storto, per poi scomparire tra le ombre invisibile e silenzioso come uno spettro, senza nemmeno aspettare un cenno di assenso del suo capitano. Poco male, tanto seguivano sempre quello schema.

Era un tipo davvero bizzarro, quel Kiku. L’orientale si era imbarcato qualche anno prima come cartografo di bordo assieme ad un non meglio specificato parente, un ragazzino estremamente esuberante di nome Kim. Erano entrambi abilissimi combattenti, perfino troppo bravi per essere dei semplici tecnici in effetti, ma nessuno aveva mai fatto loro domande in proposito.

 

Lasciati andare Kiku e il resto della ciurmaglia, Arthur si diresse verso i piani inferiori, a passo veloce e sicuro, ma senza correre per non fare troppo rumore.

Ad eccezione di qualche sparuta guardia che faceva il solito giro di ronda interno, l’enorme dimora di appena due piani si poteva considerare completamente deserta, come del resto era logico aspettarsi dopo il tramonto, in una notte che prometteva tempesta, e il giovane capitano non incontrò alcuna difficoltà a passare inosservato. Da un certo punto di vista gli dispiaceva quasi di non aver incontrato resistenza, ma d’altra parte ne aveva già abbastanza di seccature senza che ci si mettessero di mezzo anche le guardie – o peggio qualche serva armata di padella.   

 

I corridoi del Palazzo erano estremamente spaziosi, con ampie finestre ad arco e soffitti affrescati immersi in una penombra ingannevolmente rassicurante.

 

In quanto capitano, Arthur aveva il privilegio di scegliere per sé gli oggetti più belli, e soprattutto il diritto ad affrontare l’avversario più forte: in questo caso particolare il nipote del Podestà in persona, su cui giravano certe storie che davano i brividi. Si diceva che sua signoria Veneziano avesse poteri tremendi, che fosse in grado di manovrare i corpi altrui come fossero stati marionette e che le sue capacità di combattente andassero oltre ogni immaginazione. Personalmente Arthur riteneva quelle voci un po’ esagerate, se non addirittura inaffidabili: c’erano troppe cose che non quadravano, ad esempio il fatto che nessuno avesse visto di persona il prodigioso guerriero in azione. 

 

Alle stanze private del Podestà si accedeva tramite un ingresso ad arco con pesanti porte di legno dorato. Il pirata le aprì con un forte calcio, rivelando una grande stanza riccamente arredata, immersa nelle tenebre. L’unica fonte di luce, se tale si poteva definire, erano le ampie finestre spalancate sulla piazza principale della città. Arthur si guardò attorno con circospezione, attento a scorgere anche il minimo movimento; tutte quelle tende erano perfette per nascondersi e sapeva per esperienza che non si era mai troppo cauti. 

 

All’improvviso un altro lampo illuminò la stanza, rivelando una strana figura che subito catturò l’attenzione del capitano: c’era qualcuno rannicchiato in un angolo tra una specchiera barocca e la parete, un ragazzo non più grande di quindici anni che, tremando come un animale braccato, cercava di farsi il più piccolo possibile nel vano tentativo di scomparire tra gli ingombranti abiti bianchi e oro.

 

A quel ridicolo spettacolo, Arthur si lasciò scappare una risata di scherno. A giudicare dagli abiti indossati, quel patetico esserino altri non doveva essere che il famoso nipote del Podestà, di sicuro un po’ diverso dai ritratti ufficiali in cui era rappresentato in veste di prode condottiero. Assolutamente pietoso! Quelli che avevano messo in giro le voci non dovevano avere molto chiaro il concetto di spietato guerriero!

Si avvicinò a lui a grandi passi con il suo miglior sorriso da predatore stampato in faccia e, tenendogli la spada puntata contro per precauzione, gli intimò di alzarsi. “Come with me, now!” ordinò in tono aspro. “Tuo nonno mi pagherà bene per riaverti indietro tutto intero, anche se, really, non ne capisco il motivo! You are so weak!

 

Il ragazzo si alzò lentamente rimanendo sempre appiattito contro il muro.

“Non voglio” pigolò tra un singhiozzo e l’altro scuotendo violentemente il capo. “Piove… mi bagnerò… ci sono i tuoni! Non voglio uscire!”

 

A sentire quelle parole da vigliacco il capitano perse gran parte della sua, già scarsa, pazienza: quella patetica creatura gli stava sottraendo tempo prezioso! “Come on!” ringhiò afferrando saldamente il moretto per un braccio e trascinandolo senza troppi complimenti verso la porta, mentre questi si dibatteva come un pesce nella rete, per di più gridando come un matto.

“E smettila di strillare, mi dai sui nervi!” gli sibilò di nuovo contro.

 

Non era certamente la prima volta che Arthur faceva prigioniero qualcuno ma, sinceramente, non aveva mai visto nessuno tanto fuori di sé dalla paura o almeno nessuno aveva reagito a quel modo: il ragazzo piangeva senza il minimo ritegno tirando dalla parte opposta per liberarsi, e chiamava aiuto con tutto il fiato che aveva. Non sapeva, povero piccolo idiota, che a quell’ora Kiku doveva aver già messo fuori combattimento gran parte delle guardie e che quindi tutta quella resistenza molesta era completamente inutile – oltre che fastidiosa. Gli faceva quasi pena.

 

Tanto aveva cercato di divincolarsi che alla fine i lacci della camicia si erano sciolti lasciando intravedere un bel ciondolo d’argento smaltato scintillante alla luce spettrale dei lampi; la preziosa croce finemente lavorata eppure deliziosamente semplice catturò subito l’attenzione del pirata che, da brava gazza ladra qual era, non resistette alla tentazione di appropriarsene. Allungò una mano repentina, afferrando il monile. Non l’avesse mai fatto!

 

Il ragazzo cacciò un grido acutissimo, un suono talmente penetrante da stordire Arthur per qualche istante.

What the hell …!” esclamò per poi zittirsi di colpo: senza che quasi se ne fosse accorto qualcuno si era frapposto tra lui e il moretto dalla voce da sirena antinebbia, un tizio enorme dall’aria ben poco conciliante.

Il gigantesco combattente portava la divisa nera e oro delle guardie di palazzo e, a giudicare dalla gran quantità di medaglie e alamari, doveva esserne il capitano o qualcosa di simile. Una cosa in particolare però catturò l’attenzione del giovane pirata: la familiare croce smaltata che scintillava  allettante al collo della guardia, identica a quella del piccolo vigliacco.

Allora i gioielli erano due, quindi doppio guadagno e chissà quali altre luccicanti meraviglie aspettavano solo di finire nelle sue tasche … bastava solo liberarsi del bestione.

Più facile a dirsi che a farsi, maledizione: quel tizio pareva solido come una quercia e altrettanto difficile da abbattere!

  

“Vi consiglio di lasciare immediatamente sua signoria, mein herr” gli ordinò il gigante con un tono che non ammetteva repliche.

Con uno scatto stizzito, Arthur lasciò andare il braccio della sua preda, prendendo le distanze dal tizio appena arrivato.

Quello dal suo canto fece cenno al ragazzo di allontanarsi, non prima però di avergli messo in mano un piccolo pugnale di quelli che solitamente si portano nascosti sotto gli abiti. Arthur si  mise immediatamente in guardia: doveva terminare il duello, riprendersi la preda e scappare, prima che quella specie di armadio vivente riuscisse ad acchiapparlo, altrimenti… beh, non sarebbe stato per nulla piacevole.

 

Senza indugiare ulteriormente, si lanciò all’attacco approfittando della distrazione del proprio avversario e, un po’ per un colpo di fortuna un po’ grazie alle interminabili lezioni di scherma con i due orientali, riuscì a lasciare una lunga linea scarlatta sulla schiena della guardia. Non sarà stato molto leale ma al momento l’etichetta era l’ultimo dei suoi pensieri. E poi lui era un pirata, e i pirati giocano sporco, lo si sa.

 

La guardia emise un rantolo di dolore.

“Ludwig!” gridò il moretto. “State attento, per carità!”

Arthur osservò il ragazzino tentare di correre in soccorso del guastafeste, prima di essere fermato di nuovo con un cenno di quest’ultimo. Non doveva avergli fatto troppo male, visto che si reggeva ancora bene in piedi. Probabilmente gli aveva fatto solo un indecoroso graffietto. Quel dannato armadio doveva essere fatto d’acciaio! Solitamente nessuno restava in piedi dopo un fendente del genere, era un colpo segreto da assassino che non lasciava scampo, damn it!

 

E poi quel malefico ragazzino continuava pigolare: erano così fastidiosi quei piccoli, acuti lamenti! Gli impedivano di ragionare chiaramente e, come se non bastasse, più il mostriciattolo si lamentava, più il suo enorme cane da guardia ci dava dentro con quella maledetta frusta.

Doveva esserci uno stretto legame tra il nipotino del Podestà e l’armadio ambulante: forse erano molto amici e, a giudicare dallo strillo di prima, il ragazzo teneva più alla sua preziosa croce che non alla propria vita.

 

Da un certo punto di vista Arthur si trovò ad invidiarli entrambi; doveva essere bello poter affidare la propria vita a qualcuno e allo stesso tempo che quella persona si fidasse ciecamente di te.   

 

Improvvisamente avvertì un dolore fortissimo, quasi insopportabile al fianco e, abbassando lo sguardo, vide con misto di rabbia e paura l’elsa ingioiellata del pugnale luccicare tra le pieghe della camicia: quel piccolo infame, vedendo il proprio amico in pericolo, aveva raccolto quel poco coraggio che possedeva e aveva lanciato l’arma – probabilmente alla cieca- facendo centro. Accidenti a lui, mica era valido!

 

Non era di sicuro la prima volta che rimaneva ferito in battaglia, ma questa volta era mille, no un milione di volte peggio: non tanto il dolore fisico - con quello aveva dovuto imparare a convivere tanto tempo addietro - comunque terribile, quanto l’umiliazione di essere stato colpito a tradimento da un vigliacco che non aveva neppure il coraggio di mettere due parole una dietro l’altra! Quel maledetto ragazzino se ne stava lì imbambolato balbettando frasi senza senso, manco fosse stato lui quello pugnalato! Maledizione! Maledizione!

 

Si sentì invadere da un’ondata di rabbia. 

Bloody hell!” ringhiò, estraendosi la lama dalla ferita. you will pay it, little monster!”

Tentò di muovere un passo ma cadde in ginocchio con una mano premuta sul fianco e l’altra sulle labbra per trattenere un grido. Cazzo, era una situazione quasi comica, in fondo: il famoso Capitano Kirkland era stato messo fuori servizio da un incompetente che probabilmente non sapeva neppure da che parte si impugna una spada! Che razza di perversa ironia!

 

Strinse i denti fin quasi a farsi male, mentre alzava gli occhi pieni di collera verso gli altri due.

Senza un motivo apparente, anche il ragazzino ora era a terra, inerte come una bambola di stracci. Il suo povero cuoricino da mammoletta cresciuta sotto una campana di vetro non doveva aver retto alla vista e il suo enorme amico era corso immediatamente al suo fianco premuroso come un’infermiera – o una madre - sollevandolo delicatamente quasi avesse avuto paura di romperlo. Diavolo, adesso sì che le aveva viste tutte!

 

Avvertì una specie di fitta al petto a quella vista disgustosa - no, non si trattava di gelosia. Era tutta colpa di quel maledetto pugnale, forse il mostriciattolo ci aveva messo del veleno - vedendo con quanta dolcezza l’inflessibile guardia si prendeva cura del suo piccolo amico.

 

Nessuno si era mai preoccupato per Arthur a quel modo, a parte le creature mistiche che solo lui era in grado di vedere, e delle volte neppure loro. Era temuto dai suoi numerosi nemici, rispettato dai propri compagni ma solo per la carica che aveva strappato con le unghie e coi denti al proprio predecessore; ma a nessuno importava veramente di lui da molto - troppo - tempo.

 

Detestava i nobili e la cosiddetta gente normale perché vedeva in essi ciò che un destino crudele gli aveva impedito di essere. A sei anni aveva dovuto imparare a combattere per sopravvivere nei vicoli malfamati di Avalon City; gli era toccato fare il tagliaborse per avere di che tirare avanti e, santissimo cielo, quegli spaventapasseri eleganti non avevano la minima idea di quanto una vita simile possa far crescere velocemente (almeno in apparenza) qualcuno!

 

“Voi non uscirete vivo di qui,mein herr.” Ringhiò l’enorme guardia strappando Arthur dalle proprie insensate riflessioni “Ciò che avete tentato di fare a sua signoria è imperdonabile.” Quello che spaventò non poco il giovane capitano fu il freddo odio di cui erano intrise quelle poche parole: erano definitive, una sentenza inappellabile; non era di sicuro la prima minaccia di morte ricevuta ma, santo cielo, quel tizio dava i brividi!

E poi, lo sapeva per esperienza diretta, non c’era nemico più testardo e pericoloso di chi si batteva per proteggere una persona cara: non ti mollava finché non eri stecchito, ovvero molto, molto presto nel suo caso.

Arthur recuperò a fatica la propria spada poi tentò – in vano- di mettersi in guardia: se proprio doveva finire lì, sarebbe stata una fine degna di lui!

“Non farla tanto lunga, bestione” ribatté il capitano sarcastico “non è mica colpa mia se il tuo protetto è un inutile buono a nulla!” se ne avesse avuto la forza sarebbe scoppiato in una sprezzante risata: quella era davvero una situazione grottesca.

Forse non era stata una buona idea provocarlo, si disse Arthur; sarà stato un effetto ottico dovuto ai lampi che si susseguivano praticamente ininterrottamente, fatto stava che attorno alla figura già imponente della guardia aleggiava una spettrale aura simile ad un fuoco fatuo.

Per la prima volta in anni di onorata pirateria, il capitano Kirkland ebbe davvero paura: ridotto in quello stato era praticamente impossibile che riuscisse a difendersi, figurarsi tentare un contrattacco.

Nel frattempo il gigante gli si era avvicinato silenzioso come uno spettro fino a torreggiare su di lui, la letale frusta pronta a calare sulla sua misera figura.

Arthur si sentiva come un patetico insetto intrappolato in una ragnatela: solo, impotente e indifeso come mai in vita sua e la cosa lo faceva infuriare terribilmente. Se c’era una cosa che non tollerava era la debolezza, soprattutto in sé stesso: non c’è dignità nella resa, era il suo credo.

“Arrendetevi, pirata, e forse vi finirò velocemente: non voglio che sua signoria assista alla vostra dipartita.” intimò la guardia, la voce marziale intrisa di gelida furia: quel tizio davvero sapeva come far tremare la gente!

Quindi farlo infuriare serviva solo a peggiorare la situazione, si rese conto il capitano: l’unica cosa da fare era cercare di guadagnare tempo nella speranza che qualcuno venisse a dargli una mano.

“Ma che bravo cane da guardia!” esclamò Arthur tentando di darsi un’aria sprezzante “Molto zelante da parte tua, ma vorrei capire che ci guadagni a fare da balia a quel piccolo vigliacco!” si fermò qualche istante a riprendere fiato: il fianco gli faceva un male del diavolo e cercare di non darlo a vedere non migliorava di sicuro le cose.

“Non osate offendere sua signoria o ve ne pentirete!”

Oh! Aveva fatto centro, quindi!

Eccolo lì il modo per distrarre il mastino: parlare male del suo prezioso amichetto  pareva fargli perdere le staffe, perciò …

“Pentirmene, dici? Voi militari siete così stupidi! Ci sono cose peggiori della morte, bestione: quelli come te non sanno cosa vuol dire patire l’inferno in terra ogni singolo giorno della tua vita, sapere che la tua unica opportunità di sopravvivere è ingannare e rubare e che la tua esistenza potrebbe finire in un vicolo con un coltello piantato nella schiena! E sai qual è il bello: a nessuno importerebbe un dannato accidente!” gli veniva quasi da ridere: stava per essere ammazzato come un cane e l’unica cosa che riusciva a fare era blaterare a vuoto! Che roba!

Quegli emeriti idioti dei suoi compagni avrebbero fatto meglio a farsi vivi, altrimenti qua sarebbe finita male, molto, molto male.

 

Il giovane capitano serrò gli occhi preparandosi a ricevere il colpo di grazia … che non arrivò mai.

Riaprì lentamente gli occhi, stupito di essere ancora vivo – dolorante, malridotto ma innegabilmente vivo- e ciò che vide lo lasciò assolutamente senza parole: il ragazzo, che nel frattempo si era ripreso, si era frapposto tra lui e la guardia! Forse non era poi tanto vigliacco come credeva.

“Fermatevi, per carità!” gridò il moretto, la voce già acuta resa ancor più stridula dal pianto “Non voglio che nessuno si faccia male per colpa mia! Sono stanco di vedere le persone soffrire! Basta!”

Arthur non poteva credere alle proprie orecchie: santo cielo, quel ragazzo lo stava difendendo!

“Perché non possiamo vivere in pace, senza odio o vendette?” singhiozzò ancora il piccolo nobile, senza curarsi delle espressioni stupite dipinte sia sul viso del proprio amico, che su quello del pirata.

Per la seconda volta in quella strana serata Arthur avvertì ancora quella bizzarra sensazione, come di una specie di stretta al petto che si allentava: c’era qualcosa nelle richieste accorate di quel ragazzo che lo faceva sentire … beh, strano. 

“Cercate di essere ragionevole” perfino l’inflessibile guardia di palazzo sembrava non esserne immune “questo avanzo di galera non merita la vostra pietà, se lo lasciate andare continuerà con le sue azioni criminali.”

“Non mi importa! Lasciatelo andare e basta! Io … io … è un ordine!”

Wow! Questo sì che era inaspettato!

L’enorme guardia lasciò cadere a terra la frusta quasi fosse stata rovente e, sempre con quell’aria da mamma lupa pronta a saltarti alla gola, si fece da parte: molto probabilmente temeva che il proprio avversario tentasse qualche tiro mancino e, sinceramente, ne aveva tutte le ragioni. Mai fidarsi di un pirata, soprattutto se questi aveva le spalle al muro.

In effetti ad Arthur vennero in mente un centinaio di modi diversi, tutti molto poco cavallereschi, per portare a termine la propria missione: avrebbe potuto approfittare di un attimo di distrazione per prendere in ostaggio il ragazzino e garantirsi così di poter lasciare la città in tutta sicurezza o magari prima pretendere oro e gioielli, e poi un lasciapassare per andarsene con la propria nave e tutto il resto. Con il prezioso nipotino nelle sue mani, non gli sarebbe stato negato nulla, sicuro come l’inferno! Ma mettere in pratica un piano del genere non era affatto semplice. Ci voleva forza e agilità, per non parlare di una buona dose di fortuna; in pratica era fuori questione o forse -

       

“Andatevene” la voce aspra e marziale dell’imponente guardia strappò il giovane capitano dalle proprie sconclusionate macchinazioni . “Ci sono state abbastanza ingiustizie per questa notte.”

What?!” domandò Arthur stupito. “Non vorresti vendicarti perché ho tentato di rapire il tuo amico? Sono ferito, una preda facile… I don’t understand…

 

Nein, non sarebbe leale nei confronti di entrambi. Fosse per me, vi eliminerei senza pensarci due volte ma sua signoria ha intercesso per voi. È una persona meravigliosa, in grado di fare miracoli: ritenetevi fortunato, pirata, la pietà è  merce rara da queste parti ma lui non sembra darci molto valore. ”

I gelidi occhi azzurri della guardia furono attraversati per un attimo da un lampo di tenerezza. “Vi auguro di trovare anche voi qualcuno che illumini la vostra cupa esistenza. Non sta a me decidere della vostra vita. E ora lasciate questo luogo prima che cambi idea. Dal balcone farete prima.”

 

Il giovane pirata non sapeva cosa rispondere. Era la prima volta che qualcuno dimostrava un minimo di umanità nei suoi confronti e non aveva la minima idea di come reagire. Forse avrebbe dovuto ringraziare, o una roba del genere. Tacque invece, per salvare almeno la faccia, fece un piccolo cenno del capo prima di balzare oltre il parapetto ornato di fiori rampicanti.         

 

Riuscì in qualche modo ad atterrare più o meno intero, attutendo la caduta con un paio di capriole. Si rimise in piedi a fatica, premendo la mano sulla ferita. Pioveva a dirotto. Due secondi la fuori, ed era già  fradicio. Guardò verso l’alto sperando di vedere la Queen Bess galleggiare pigramente sopra il palazzo in attesa del proprio capitano. Invece trovò la vecchia nave malconcia che stava veleggiando lontano: i suoi compagni non l’avevano aspettato e probabilmente avevano preso l’occasione per liberarsi di lui.

 

“Maledetti pirati traditori!” ringhiò amareggiato, attraversando a passi incerti la piazza deserta. Teoricamente era ancora un pirata pure lui quindi si stava offendendo da solo, ma al momento non glie ne importava meno di niente.

Aveva rischiato mille volte la pelle per tirare fuori dai casini quella banda di ingrati, e quelli come ricambiavano? Abbandonandolo lì a crepare da solo!

Proprio vero: mai fidarsi di un pirata, ti tradirà alla prima occasione. 

 

Soave sotto la pioggia era lo spettacolo più malinconico che Arthur avesse mai visto. L’acqua gocciolava lentamente lungo i visi di pietra delle statue e la città, solitamente brulicante di traffici come un formicaio, sembrava disabitata. Il buio della notte, i vicoli stretti e deserti, la pioggia che scrosciava incessante, rendevano quasi spettrale la città. Non un’anima viva si vedeva, dando l’impressione di essere precipitati in un luogo abbandonato e senza vita.

 

 Del resto sarebbe stato folle andarsene in giro con un tempo simile, ma da un certo punto di vista quella per Arthur era una fortuna: un pirata ferito che barcollava come una marionetta mal manovrata avrebbe attirato l’attenzione delle forze dell’ordine, il che significava finire in un’umida cella a marcire con muffa e ragni come unica compagnia. Decisamente una prospettiva molto poco attraente.

 

Erano anni che il giovane non si sentiva tanto male, sia fisicamente che psicologicamente: stanco, abbattuto, debole e solo come un cane abbandonato. Anche le creature magiche, che lo seguivano ovunque proteggendolo con i loro poteri, erano misteriosamente scomparse. In effetti, era da quando la nave aveva passato i confini della Repubblica di Soave che non si facevano vive… probabilmente si erano stancate di accompagnarsi ad una penosa imitazione di pirata acido e incattivito come una strega di mille anni…

 

Con il dolore che si propagava malignamente dal fianco fino a martellargli nella testa, si sorprese a pensare che nessuno sano di mente gli sarebbe stato accanto di sua spontanea volontà, neppure i suoi compagni. E, sinceramente, non avevano torto…

 

“E così questa è la fine”

Sospirò, lasciandosi scivolare lungo un muro scrostato fino a sedersi scomposto  sulle pietre grigie e viscide di pioggia. “Mi aspettavo qualcosa di più… epico…”

 

Si sentiva vuoto, come se oltre al sangue che lentamente ma inesorabilmente stava scorrendo via stesse perdendo la sua stessa essenza. O forse era sempre stato vuoto come una statua di cera, ma solo in quel momento se ne rendeva conto.

Poggiò la testa contro il muro. Stava diventando sempre più pesante.

 

Dicevano che negli ultimi attimi di vita si riesca ad intravedere il senso della propria esistenza… Balle!

Arthur Kirkland vide solamente un portico smangiato dalla salsedine, e un rigagnolo d’acqua che lentamente si tingeva di scarlatto.

 

APPUNTI DI VIAGGIO 

Buonasera a tutti!

Dopo lunghe e travagliate vicende rieccomi a voi con questo folle progetto: una Alternative ad ambientazione Steampunk in collaborazione con la mia carissima socia in affari Prof, che ringrazio fin da ora per la sua professionalità e pazienza.

Per quanto riguarda la lunghezza posso dirvi che sarà una vicenda complessa e articolata che andrà avanti per un bel po'.

Gli aggiornamenti saranno purtroppo abbastanza irregolari ma posso garantirvi che ogni tanto ci faremo vive...

Grazie da principio a chi commenterà, preferirà o semplicemente apprezzerà in silenzio!

BaciBaci!

See ya soon!

S. 

 

 

  
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