Il sole filtra tra le foglie degli
alberi, tra la fittissima
vegetazione dei boschi.
E’, caldo, avvolgente…
E’ proprio vero che i boschi non subiscono il flusso del
tempo, rimangono sempre
gli stessi, immuni alla vecchiaia e al tempo che passa. Inesorabile.
Potrebbe essere semplicemente come una volta. Non
c’è traccia qui di tutto ciò
che è successo, delle cose che sono cambiate, delle persone
stesse…
Mi chiedo se questi alberi abbiano assistito impassibili al corso della
storia,
se siano effettivamente gli unici testimoni viventi di un’era
lontana, quando
questo mondo si chiamava ancora Nord America, ed era la nazione
più potente di
tutte le altre.
Il tempo libero oramai abbondava per
me, eccedeva anche, e
avevo iniziato a leggere, cosa della quale non ero mai stata
appassionata
prima. L’avevo sempre ritenuta futile, una perdita di tempo.
Perdersi tra le
pagine di una storia inventata, fantastica, non era proprio
d’aiuto. Non ti
sfamava della vera fame e tantomeno aiutava il tuo spirito. Piuttosto
ti
affliggeva, se possibile, ancor di più.
E’ inutile scappare dalla realtà, nascondendoti
nella finzione, quando la
realtà è così tremenda, come quella in
cui avevo vissuto per i 18 anni della
mia vita. Ti fa sentire ancora più male.
Non ero mai d’accordo con Prim…
Prim…
Non ero mai d’accordo con Lei su questo fatto. Lei amava
fantasticare, nella
sua mente innocente di bambina, io no. Io ero occupata a cacciare per
sfamare
lei e mia madre, non avevo tempo per la fantasia.
Ma quando le cose erano cambiate, quando ero tornata qui, nel Distretto
12, la
mia casa, con un’accusa che pendeva sulla mia testa e
l’attenuante di essere
diventata pazza dopo tutto quello che mi era successo negli ultimi 2
anni, il mio
tempo libero è cresciuto, fino a coprire la maggior parte
della giornata. Il
resto è occupato da dormire, mangiare e forse, se ci esce,
una battuta di
caccia, o se il tempo è troppo brutto, una bottiglia di vino
con Haymitch. I
libri sono diventati un passatempo migliore della bottiglia,
soprattutto perché
hoscoperto che mi prendono così tanto che la mia mente
continua a lavorare
sulla storie, sui racconti, anche quando effettivamente non sto
più leggendo.
Nel sonno soprattutto. Nei sogni. I libri sono stati una buona
medicina, o
meglio un buon attenuante dei miei incubi. Non sono scomparsi del
tutto,
ovviamente. La lettura è come la morfina del distretto 6: ti
attutisce il
dolore, ma questo non scompare mai davvero. Ma mi ha aiutato.
Soprattutto in
assenza di Peeta. Costringevo la mia mente ad elaborare le storie, le
nozioni,
le informazioni nel sonno, e ciò scacciava gli incubi.
Almeno per un paio di
notti a settimana. Le restanti sono sempre tormentate dai volti e dai
suoni che
mi hanno perseguitato per gli ultimi 2 anni: l’Arena, le
mutazioni, Rue, Cato,
Clove, Thresh, presidente Snow, le rose, il sangue,
l’annuncio del Quater
Quell, FInnick, Mags, Brutus, Enobaria, Cinna, Madge, le bombe, Coin,
Prim,
Gale…
E mio padre.
Tutti quei piccoli tasselli di un puzzle molto più grande,
che potrei chiamare “La
RIbellione”.
Non sono del tutto sbagliati, in fin dei conti, al Capitol, a reputarmi
pazza.
Probabilmente lo sono diventata sul serio, instabile anche. Non sono
mai
riuscita a farmi una ragione di tutto quello che è successo.
Ora capisco perfettamente Haymitch, più di quanto non
l’avessi mai fatto, perché
se non avessi avuto i libri probabilmente sarei finita come lui, a
trovare l’unica
fonte di conforto nella bottiglia. E nelle braccia di Peeta. Ma quello
è un
lusso, una fortuna sfacciata, che è solo per me. Haymitch
non ha mai avuto nessuno.
Inoltre, ho imparato tante cose. Dalle rovine del vecchio municipio e
della
casa del sindaco Undersee, ho tirato fuori dei vecchi volumi, simili a
quelli
che avevo trovato nei sotterranei del Distretto 13.
Quelli che parlavano del vecchio mondo, prima
di quella che hanno chiamato
“L’Apocalisse”.
Nessuno è chiaro su cosa sia effettivamente accaduto, come
il mondo sia stato
ridotto così, ai cocci che qualche potente ha riattaccato
insieme formando
Panem, ma ho capito molto su come doveva apparire il mondo prima che
avesse
cambiato forma.
Chissà se effettivamente
questi alberi sono stati testimoni
silenziosi del cambiamento…
Vorrei che potessero parlare, raccontarmi, soddisfare la mia sete di
sapere.
Un rumore mi fa rinvenire dall trance
nella quale ero
caduta. Con un movimento fluido mi drizzo, torcendo quando possibile il
busto per
guardarmi alle spalle, arco già caricato di freccia in pugno.
Uno scoiattolo. E’ morto prima che possa raggiungere il ramo
che stava
puntando. Cade a terra in un tonfo soffice, su un mucchietto di foglie.
Mi alzò con pigrizia, tanto per raccoglierlo. Magari
l’avrei portato nel
villaggio, lasciato gratis a qualche bambino che mendica le strade. Ce
ne sono
così tanti ora… Orfani di guerra senza
più una casa o una famiglia.
Il Distretto ancora non riesce a riprendersi dalla distruzione della
guerra,
nonostante sia passato quasi un anno e mezzo dalla presa del Capitol da
parte
dei ribelli.
Già… un anno e mezzo. Mi sembra quasi impossibile.
Potrebbero essere passati anche decenni per me, non cambierebbe nulla.
E più va
avanti più sono certa che la ferita che è stata
inferta stavolta non sarà mai
guarita del tutto. Temo che la gente non sarà mai capace di
riprendersi
completamente e che moriremo tutti un giorno, insieme al resto degli
uomini su
Panem, tutti distrutti, provocando la completa estinzione della specie
umana.
Finalmente.
Quando male abbiamo fatto a questo pianeta…
La primavera sta per affacciarsi e sono sicura che la situazione per
molti
abitanti del Distretto 12 andrà meglio, ma non sono del
tutto certa che il
picco di mortalità riuscirà a decrescere.
Se solo ci fosse mia madre qui, a prendersi cura almeno dei
bambini…
Lei ha deciso di rimanere al Capitol, per impegnarsi completamente nel
lavoro,
distogliere la sua mente da qualsiasi altra cosa.
Ero certa che la morte di Prim l’avrebbe distrutta del tutto,
lasciando il
nulla di lei, ma mi sbagliavo. La donna apatica che si rannicchiava nel
letto dopo
la morte di mio padre ha lasciato posto ad una donna risoluta e
viva… ma solo
nel campo del lavoro.
Per il resto non sento più mia madre. Ha tagliato i
rapporti. Non so perché l’ha
fatto, ma sono abbastanza certa che essendo io l’unico membro
rimasto, l’unico
ricordo della famiglia felice che aveva avuto, è troppo
doloroso per lei
guardarmi in faccia, ricordare che esisto. Fa prima ad immaginare di
non aver
mai avuto una famiglia, dimenticare che è mai esistita.
Non la biasimo più di tanto, non sento neanche la sua
mancanza. In fin dei
conti, per me, non c’è mai stata.
Le strade del villaggio sono
abbastanza affollate, è sabato
e le miniere sono chiuse, è stato riaperto anche il mercato
nero, ma in un
luogo diverso dal precedente. Non mi ci avvicino troppo ora, quel posto
mi fa
pensare troppo a Gale. Gale che è scomparso, anche lui.
Da una pare sono grata anche di questo, visto che la sua vista mi
giocava
brutti scherzi. Mi chiedo se la sua carriera militare nel Distretto 2
sia
quello che si aspettava. Sicuramente si, Gale è nato per
fare queste cose.
Avvisto una vecchia sul ciglio della strada che si trascina dietro un
bimbetto
di forse 3 o 4 anni.
La donna sembra talmente fragile, un fuscello, che mi sembra quasi
impossibile
che stia ancora in piedi.
Mi avvicino. Mi riconoscono all’istante: Katniss, la ragazza
in fiamme;
Katniss, il mockingjay, Per nessuno qui sono più solo e
semplicemente Katniss
Everdeen. Soprattutto
quando,
velocemente passo loro sotto banco lo scoiattolo che ho cacciato. Gli
uomini
della donna si illuminano di gratitudine, mi prende una mano e la
bacia, quasi
in devozione. Io stiro un sorriso sulle labbra e mi ritiro il prima
possibile.
Non posso vedere queste scene.
Mi ricordo all’ultimo istante che devo un paio di bottiglie
ad Haymitch, così
passo a comprarle. La
Capitol City e il
nuovo governo mi riconoscono ancora una somma di denaro ogni mese.
Certo, non è
la cospicua somma che mi passavano dopo la prima vittoria degli Hunger
Games, da
vincitrice, ma ci viviamo tranquillamente in tre, visto che nessuno di
noi ha
particolari pretese. Eccetto Haymitch e il suo alcool.
Passo prima da lui, che vive nella casa vicino la mia.
“Buongiorno dolcezza…” mi dice,
sprofondato com’è nel suo divano, davanti alla
malconcia televisione che si ricorda una lite accesa tra me e lui una
delle
prime sere. “Possibile che tutto il lavoro che hanno fatto
nel 13 quei medici
non sia servito a niente?” chiedo, tanto per punzecchiarlo.
Lo so che il lavoro
di disintossicazione è crollato nel momento in cui io stessa
ho deciso di
riportare a casa una bottiglia di liquore. “Colpa
tua…” infatti mi risponde
lui, senza neanche prendersela. Mi avvicino e gli lascio le due
bottiglie. “Oh,
che pensiero gentile…!” esclama, strabuzzando gli
occhi. Poi guarda me. “A cosa
è dovuto? E’ un giorno speciale oggi? Che giorno
è? O che ti serve? Un favore?”
chiede. Io scuoto la testa. “Niente
Haymitch…” taglio corto. Sospiro. “Ci
vediamo dopo, quando sei completamente sobrio. Penso che Peeta stia
cucinando…”
faccio, andando verso la porta. La risposta arriva con qualche istante
di
ritardo. “Ok”. Probabilmente è distratto
da qualcosa in televisione, perché suona
assente.
Chiudo la porta dietro di me e vado
verso casa. Casa… che
strano poterla chiamare casa, soprattutto ora che la condivido con
Peeta.
Peeta… di nuovo la mia unica salvezza. Chissà
dove sarei finita se lui non si
fosse mai deciso a tornare dal Capitol City, per me. Per me.
L’ha fatto per me.
Io che ero convinta che non avrei mai avuto indietro il Peeta di una
volta,
quello che non era stato torturato e derubato dei suoi ricordi. ..
Ci sono ancora dei momenti drammatici con lui che non mi riconosce e
improvvisamente
esce di casa o si allontana, per non sfogare qualsiasi cosa abbia
dentro su di
me.
Ma è sempre il mio Peeta. Il mio ragazzo del pane. Non se ne
è mai andato. Non
mi ci è voluto molto dopo che ero scappata dalla Capitol
City per capire che
era sempre stato lui quello giusto per me. Ma avevo perso la speranza,
e il
giorno in cui l’ho trovato sulla mia porta è stato
davvero scioccante.
C’è voluto tempo prima… prima che
ritrovassimo il nostro affiatamento. Si limitava
molto ad una compagnia a distanza, sempre prevenuta, che
occasionalmente si
faceva più vicina e si arrampicava sul letto con me quando
ero in preda agli
incubi peggiori. Ma quella vicinanza occasionale, anche quella sembrava
avere
un effetto positivo su di lui. Si
è
sciolto pian piano, stringendomi sempre un po’ di
più.
Una notte mi ero risvegliata urlando, così turbata
dall’incubo che potevo
ancora a vedere le bestie mutate, i lupi del Capitol, sulla coperta del
mio
letto. Peeta era entrato in camera di corsa e mi aveva trovato
raggomitolata in
un angolo della stanza, con le mani sugli occhi. Si era chinato accanto
a me e
nonostante le mie proteste mi aveva presa in braccio e riportata a
letto. Si
era sdraiato silenziosamente vicino a me e si era sentito tutti i miei
singhiozzi. Niente di diverso da tutte le altre notti alla fine, se non
per la
mia reazione. Ero talmente sconvolta, fuori di me, che non mi rendevo
conto
delle mie azioni. Pensavo di trovarmi in uno di quei scompartimenti di
treno
che ci ha scarrozzato in giro per tutta Panem, durante il Tour della
Vittoria.
Così lo baciai, forse spinta dalla mia assurda convinzione
che il Peeta
affianco a me era ancora quello che faceva di tutto per proteggermi e
fingeva
con me, recitando la parte dell’amante. Anche se per lui non
era mai stata
recitazione. Lo sentii irrigidirsi immediatamente e la
realtà mi sbattè in
faccia, più violenta dell’incubo stesso.
L’avevo già baciato prima, dopo il suo
“cambiamento”, ma non avevo mai potuto prevedere la
sua reazione. Ma qualcosa,
dopo quel bacio, brillò nei suoi occhi, e lo notai non
appena mi staccai,
pentita del mio gesto.
Fu lui, per la prima volta a riavvicinarsi. Si accostò a me
con una confidenza
che solo poche volte avevo visto: nell’Arena, quando
recitavamo tutta la scena.
Ma ora era diverso. Non c’erano telecamere e lui non era in
pieno possesso
delle sue facoltà mentali. O forse si…
Fu il primo bacio del tutto consenziente da entrambe le parti dopo aver
lasciato l’Arena dei nostri secondi giochi, da quando lui era
stato catturato
da Snow. E non solo. Quella è stata anche la prima volta che
abbiamo fatto l’amore.
Entro in casa e immediatamente
l’odore mi sovrasta.
“Che profumo…!” esclamo, mentre mi sfilo
gli stivali e li lascio dietro la
porta d’ingresso. Come pensavo, Peeta è in cucina,
immerso nel suo hobby
preferito.
“Ho appena sfornato” annuncia, con un lieve
sorrisetto compiaciuto sulle
labbra. Mi siedo al tavolo, osservandolo sistemare minuziosamente gli
ultimi
ritocchi a quello che sembra… una torta?
“Hai fatto una torta?”chiedo. Quello annuisce
compiaciuto.
“Perché?”
“Come perché, Katniss?” chiede lui,
quasi deluso. Poi gira la teglia verso di
me e la alza da un lato in modo che possa leggere il decoro che
così
minuziosamente aveva fatto.
Buon Compleanno Katniss
Cosa?? Buon Compleanno Katniss?
Peeta deve aver notato la mia espressione stupefatta, perché
si mette a ridere.
“Ok, quello che è stato torturato e manipolato
mentalmente se lo ricorda e la
diretta interessata no.” Commenta con un filo di sarcasmo.
Questo non spiega
niente, neanche Haymitch mi ha detto niente. Certo, probabilmente
è troppo
ubriaco per aver senso del tempo ma…
“Coraggio. TI piace?” chiede.
Mi riscuoto dallo shock e annuisco. “Certo che si, Peeta,
è… è un capolavoro.
Come sempre.” Rispondo, alzandomi e avvicinandomi per
guardare più da vicino.
“E’ il sei di maggio…”
continua lui, intrecciando le dita di una mano in quelle
mie. “Sono diciannove.”
Rido. “Non sono così disperata, questo lo
so!” esclamo. Lui ridacchia di
rimando. “Ok, controllo solo.”
Scuoto leggermente la testa, tanto per sembrare contrariata, ma ho
ancora un
sorriso sulle labbra.
“Sai, volevo che fosse un po’ più
speciale, ma purtroppo non siamo a Capitol
City…” dice lui. “No” rispondo
io, piano “Va benissimo… va benissimo
così.”
Peeta mi tira a sé e mi bacia. “Buon Compleanno
Katniss.” Ripete.
Haymitch non tarda ad arrivare
–stranamente- e a lui si aggiungono
poche persone, la maggior parte vecchie conoscenze del Forno, come Sae
la Zozza
e qualche vecchio trafficante.
La cosa mi fa sorridere, è incredibile che nonostante tutto
si abbia voglia di
festeggiare. Festeggiare la rinascita, la nuova speranza…
E’ mentre taglio la torta che sento qualcosa che non va. Il
coltello si ferma
su un punto duro, proprio al centro. Guardo Peeta confusa ma quello in
risposta
ridacchia semplicemente. E’ un risolino nervoso
però, noto immediatamente. Non
si strofina mai le mani così quando è realmente
divertito.
Lo guardo sospettosa e senza troppi complimenti infilo un paio di dita
per
controllare cos’è.
E’ un piccolo pacchetto che blocca la strada, davvero
piccolo. Guardo di nuovo
Peeta ma quello evita abilmente il mio sguardo, prende solo un gran
respiro,
come se per prepararsi a fare qualcosa. Tutte le risate e il vociare si
calma
improvvisamente. Pare che tutti hanno capito
cos’è, tranne me.
Lo apro con un po’ di difficoltà e noto il
contenuto. E’ un anello, semplice e
piccino, ma incastonata c’è la mia perla. La perla
che Peeta aveva trovato
sulla spiaggia dell’Arena e successivamente mi aveva donato.
Improvvisamente
anch’io mi zittisco, totalmente incapace di spiccicare
parola. Il silenzio è
imbarazzante e per spiegazioni Peeta sembra aspettare che sia io ad
avere una
prima reazione.
Non capisco. Sul serio.
O forse, molto più probabilmente, non voglio e basta.
“Come… come hai fatto a prenderla dal mio
comodino?” chiedo irritata.
Peeta ridacchia leggermente e risponde “Dormi sodo”
Mi sento osservata e odio la sensazione. Sospiro, e Peeta sembra
trovare
finalmente il coraggio.
Quello che accade dopo è solo un orrendo dejà
vù.
Peeta gira intorno al tavolo e sotto gli occhi attenti di tutti si
inginocchia
di fronte a me. Sembra dover combattere forze interiori misteriose
perché la
sua concentrazione è davvero notevole. Prende delicatamente
la scatolina dalle
mie mani e ne estrae l’anello.
Sto per svenire. Sul serio. Sento solo una risatina di Haymitch, che mi
manda
il sangue al cervello.
Poi Peeta prende un ennesimo respiro e si decide a guardarmi negli
occhi.
“Ti ho chiesto… se era vero che mi
amavi…” inizia, ma la sua voce racchiude un
tremolio sospetto. E’ fortemente emozionato. “E in
un mondo di bugie… io ci ho
messo troppo tempo a capire qual è la verità.
Perdonami Katniss, per tutto quello
che ho fatto. Perdonami perché queste parole non sono
così belle e barocche
come quelle della notte in cui ti ho proposto di sposarmi sul palco del
Capitol
per Snow. Purtroppo il copione me l’ero scritto
lì, ma stavolta non ho saputo
trovare le parole adatte. Sei tutto per me, Katniss. Sei tutto quello
che conta
nella vita, se l’unica cosa bella e pura in questo mondo. So
che siamo giovani,
ma non so se posso affrontare questa crescita da solo, senza di te al
mio
fianco. Giuro che se acconsentirai sarò per sempre accanto a
te, notte giorno,
qualsiasi cosa accada. Voglio rinascere con te. E
voglio che tu rinasca dalle ceneri del
mockingjay che hai impersonato salvando il mondo, come una fenice.
Voglio
prendermi cura di te in modo appropriato. Voglio proteggerti dal brutto
e dall’ingiusto
che è ancora rimasto al mondo… Voglio condividere
con te ogni istante dell’eternità,
in questo mondo o altrove.”
Sento le gambe non reggere e l’aria inizia ad essere
asfissiante. So per certo
di avere le lacrime agli occhi, ma mi ostino a reprimerle.
“Ragazza in fiamme, mi faresti mai l’onore di
diventare la mia sposa… per
davvero?” chiede e tutto l’autocontrollo in me a
cui mi ero appellata crolla.
Le ginocchia cedono e mi accascio accanto a lui.
C’è un soffice mormorio di sottofondo, nel quale
riconosco esattamente i
brontolii di Haymitch, dicendo che se avessi recitato così
bene sul palco
quella notte ora saremmo ancora sotto dittatura.
Non ho voce per rispondere, affondo semplicemente il mio viso sulla
spalla di
Peeta, sbilanciandolo, dopo aver annuito velocemente.
Lui mi avvolge nelle sue braccia e con delicatezza scivola
l’anello sul mio
dito.
“Dovrebbe essere un diamante, lo so. Ma ho pensato che questo
avesse più
significato…” mi sussurra all’orecchio,
e dal suo tono mi accorgo che dev’essergli
tornato il sorriso sulle labbra.
Io, invece, sono un disastro. Singhiozzo, addirittura, e forse tremo
anche.
“E’ perfetto. TU sei perfetto, tutto è
perfetto.” Rispondo.
Sento che qualcuno stappa fragorosamente una bottiglia esclamando
“Haha!
Creperò prima di fargli da testimone!!”.
E’ Haymitch…