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Autore: tsarita    03/07/2011    17 recensioni
Sono una grande appassionata della saga di Suzanne Collins, questa one-shot è ambientata dopo la fine del 3 libro, che ho letto in lingua originale. Perciò troverete pericolo spoiler!!
E' una shot sulla nuova vita di Katniss, in un giorno un po' speciale...
Genere: Generale, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il sole filtra tra le foglie degli alberi, tra la fittissima vegetazione dei boschi.
E’, caldo, avvolgente…
E’ proprio vero che i boschi non subiscono il flusso del tempo, rimangono sempre gli stessi, immuni alla vecchiaia e al tempo che passa. Inesorabile.
Potrebbe essere semplicemente come una volta. Non c’è traccia qui di tutto ciò che è successo, delle cose che sono cambiate, delle persone stesse…
Mi chiedo se questi alberi abbiano assistito impassibili al corso della storia, se siano effettivamente gli unici testimoni viventi di un’era lontana, quando questo mondo si chiamava ancora Nord America, ed era la nazione più potente di tutte le altre.

Il tempo libero oramai abbondava per me, eccedeva anche, e avevo iniziato a leggere, cosa della quale non ero mai stata appassionata prima. L’avevo sempre ritenuta futile, una perdita di tempo. Perdersi tra le pagine di una storia inventata, fantastica, non era proprio d’aiuto. Non ti sfamava della vera fame e tantomeno aiutava il tuo spirito. Piuttosto ti affliggeva, se possibile, ancor di più.
E’ inutile scappare dalla realtà, nascondendoti nella finzione, quando la realtà è così tremenda, come quella in cui avevo vissuto per i 18 anni della mia vita. Ti fa sentire ancora più male.
Non ero mai d’accordo con Prim…
Prim…
Non ero mai d’accordo con Lei su questo fatto. Lei amava fantasticare, nella sua mente innocente di bambina, io no. Io ero occupata a cacciare per sfamare lei e mia madre, non avevo tempo per la fantasia.
Ma quando le cose erano cambiate, quando ero tornata qui, nel Distretto 12, la mia casa, con un’accusa che pendeva sulla mia testa e l’attenuante di essere diventata pazza dopo tutto quello che mi era successo negli ultimi 2 anni, il mio tempo libero è cresciuto, fino a coprire la maggior parte della giornata. Il resto è occupato da dormire, mangiare e forse, se ci esce, una battuta di caccia, o se il tempo è troppo brutto, una bottiglia di vino con Haymitch. I libri sono diventati un passatempo migliore della bottiglia, soprattutto perché hoscoperto che mi prendono così tanto che la mia mente continua a lavorare sulla storie, sui racconti, anche quando effettivamente non sto più leggendo.
Nel sonno soprattutto. Nei sogni. I libri sono stati una buona medicina, o meglio un buon attenuante dei miei incubi. Non sono scomparsi del tutto, ovviamente. La lettura è come la morfina del distretto 6: ti attutisce il dolore, ma questo non scompare mai davvero. Ma mi ha aiutato. Soprattutto in assenza di Peeta. Costringevo la mia mente ad elaborare le storie, le nozioni, le informazioni nel sonno, e ciò scacciava gli incubi. Almeno per un paio di notti a settimana. Le restanti sono sempre tormentate dai volti e dai suoni che mi hanno perseguitato per gli ultimi 2 anni: l’Arena, le mutazioni, Rue, Cato, Clove, Thresh, presidente Snow, le rose, il sangue, l’annuncio del Quater Quell, FInnick, Mags, Brutus, Enobaria, Cinna, Madge, le bombe, Coin, Prim, Gale…
E mio padre.
Tutti quei piccoli tasselli di un puzzle molto più grande, che potrei chiamare “La RIbellione”.
Non sono del tutto sbagliati, in fin dei conti, al Capitol, a reputarmi pazza. Probabilmente lo sono diventata sul serio, instabile anche. Non sono mai riuscita a farmi una ragione di tutto quello che è successo.
Ora capisco perfettamente Haymitch, più di quanto non l’avessi mai fatto, perché se non avessi avuto i libri probabilmente sarei finita come lui, a trovare l’unica fonte di conforto nella bottiglia. E nelle braccia di Peeta. Ma quello è un lusso, una fortuna sfacciata, che è solo per me. Haymitch non ha mai avuto nessuno.
Inoltre, ho imparato tante cose. Dalle rovine del vecchio municipio e della casa del sindaco Undersee, ho tirato fuori dei vecchi volumi, simili a quelli che avevo trovato nei sotterranei del Distretto 13.  Quelli che parlavano del vecchio mondo, prima di quella che hanno chiamato “L’Apocalisse”.
Nessuno è chiaro su cosa sia effettivamente accaduto, come il mondo sia stato ridotto così, ai cocci che qualche potente ha riattaccato insieme formando Panem, ma ho capito molto su come doveva apparire il mondo prima che avesse cambiato forma.

Chissà se effettivamente questi alberi sono stati testimoni silenziosi del cambiamento…
Vorrei che potessero parlare, raccontarmi, soddisfare la mia sete di sapere.

Un rumore mi fa rinvenire dall trance nella quale ero caduta. Con un movimento fluido mi drizzo, torcendo quando possibile il busto per guardarmi alle spalle, arco già caricato di freccia in pugno.
Uno scoiattolo. E’ morto prima che possa raggiungere il ramo che stava puntando. Cade a terra in un tonfo soffice, su un mucchietto di foglie.
Mi alzò con pigrizia, tanto per raccoglierlo. Magari l’avrei portato nel villaggio, lasciato gratis a qualche bambino che mendica le strade. Ce ne sono così tanti ora… Orfani di guerra senza più una casa o una famiglia.
Il Distretto ancora non riesce a riprendersi dalla distruzione della guerra, nonostante sia passato quasi un anno e mezzo dalla presa del Capitol da parte dei ribelli.
Già… un anno e mezzo. Mi sembra quasi impossibile.
Potrebbero essere passati anche decenni per me, non cambierebbe nulla. E più va avanti più sono certa che la ferita che è stata inferta stavolta non sarà mai guarita del tutto. Temo che la gente non sarà mai capace di riprendersi completamente e che moriremo tutti un giorno, insieme al resto degli uomini su Panem, tutti distrutti, provocando la completa estinzione della specie umana.
Finalmente.
Quando male abbiamo fatto a questo pianeta…
La primavera sta per affacciarsi e sono sicura che la situazione per molti abitanti del Distretto 12 andrà meglio, ma non sono del tutto certa che il picco di mortalità riuscirà a decrescere.
Se solo ci fosse mia madre qui, a prendersi cura almeno dei bambini…
Lei ha deciso di rimanere al Capitol, per impegnarsi completamente nel lavoro, distogliere la sua mente da qualsiasi altra cosa.
Ero certa che la morte di Prim l’avrebbe distrutta del tutto, lasciando il nulla di lei, ma mi sbagliavo. La donna apatica che si rannicchiava nel letto dopo la morte di mio padre ha lasciato posto ad una donna risoluta e viva… ma solo nel campo del lavoro.
Per il resto non sento più mia madre. Ha tagliato i rapporti. Non so perché l’ha fatto, ma sono abbastanza certa che essendo io l’unico membro rimasto, l’unico ricordo della famiglia felice che aveva avuto, è troppo doloroso per lei guardarmi in faccia, ricordare che esisto. Fa prima ad immaginare di non aver mai avuto una famiglia, dimenticare che è mai esistita.
Non la biasimo più di tanto, non sento neanche la sua mancanza. In fin dei conti, per me, non c’è mai stata.

Le strade del villaggio sono abbastanza affollate, è sabato e le miniere sono chiuse, è stato riaperto anche il mercato nero, ma in un luogo diverso dal precedente. Non mi ci avvicino troppo ora, quel posto mi fa pensare troppo a Gale. Gale che è scomparso, anche lui.
Da una pare sono grata anche di questo, visto che la sua vista mi giocava brutti scherzi. Mi chiedo se la sua carriera militare nel Distretto 2 sia quello che si aspettava. Sicuramente si, Gale è nato per fare queste cose.
Avvisto una vecchia sul ciglio della strada che si trascina dietro un bimbetto di forse 3 o 4 anni.
La donna sembra talmente fragile, un fuscello, che mi sembra quasi impossibile che stia ancora in piedi.
Mi avvicino. Mi riconoscono all’istante: Katniss, la ragazza in fiamme; Katniss, il mockingjay, Per nessuno qui sono più solo e semplicemente Katniss Everdeen.  Soprattutto quando, velocemente passo loro sotto banco lo scoiattolo che ho cacciato. Gli uomini della donna si illuminano di gratitudine, mi prende una mano e la bacia, quasi in devozione. Io stiro un sorriso sulle labbra e mi ritiro il prima possibile. Non posso vedere queste scene.
Mi ricordo all’ultimo istante che devo un paio di bottiglie ad Haymitch, così passo a comprarle.  La Capitol City e il nuovo governo mi riconoscono ancora una somma di denaro ogni mese. Certo, non è la cospicua somma che mi passavano dopo la prima vittoria degli Hunger Games, da vincitrice, ma ci viviamo tranquillamente in tre, visto che nessuno di noi ha particolari pretese. Eccetto Haymitch e il suo alcool.
Passo prima da lui, che vive nella casa vicino la mia.
“Buongiorno dolcezza…” mi dice, sprofondato com’è nel suo divano, davanti alla malconcia televisione che si ricorda una lite accesa tra me e lui una delle prime sere. “Possibile che tutto il lavoro che hanno fatto nel 13 quei medici non sia servito a niente?” chiedo, tanto per punzecchiarlo. Lo so che il lavoro di disintossicazione è crollato nel momento in cui io stessa ho deciso di riportare a casa una bottiglia di liquore. “Colpa tua…” infatti mi risponde lui, senza neanche prendersela. Mi avvicino e gli lascio le due bottiglie. “Oh, che pensiero gentile…!” esclama, strabuzzando gli occhi. Poi guarda me. “A cosa è dovuto? E’ un giorno speciale oggi? Che giorno è? O che ti serve? Un favore?” chiede. Io scuoto la testa. “Niente Haymitch…” taglio corto. Sospiro. “Ci vediamo dopo, quando sei completamente sobrio. Penso che Peeta stia cucinando…” faccio, andando verso la porta. La risposta arriva con qualche istante di ritardo. “Ok”. Probabilmente è distratto da qualcosa in televisione, perché suona assente.

Chiudo la porta dietro di me e vado verso casa. Casa… che strano poterla chiamare casa, soprattutto ora che la condivido con Peeta.
Peeta… di nuovo la mia unica salvezza. Chissà dove sarei finita se lui non si fosse mai deciso a tornare dal Capitol City, per me. Per me. L’ha fatto per me.
Io che ero convinta che non avrei mai avuto indietro il Peeta di una volta, quello che non era stato torturato e derubato dei suoi ricordi. ..
Ci sono ancora dei momenti drammatici con lui che non mi riconosce e improvvisamente esce di casa o si allontana, per non sfogare qualsiasi cosa abbia dentro su di me.
Ma è sempre il mio Peeta. Il mio ragazzo del pane. Non se ne è mai andato. Non mi ci è voluto molto dopo che ero scappata dalla Capitol City per capire che era sempre stato lui quello giusto per me. Ma avevo perso la speranza, e il giorno in cui l’ho trovato sulla mia porta è stato davvero scioccante.
C’è voluto tempo prima… prima che ritrovassimo il nostro affiatamento. Si limitava molto ad una compagnia a distanza, sempre prevenuta, che occasionalmente si faceva più vicina e si arrampicava sul letto con me quando ero in preda agli incubi peggiori. Ma quella vicinanza occasionale, anche quella sembrava avere un effetto positivo su di lui.  Si è sciolto pian piano, stringendomi sempre un po’ di più.
Una notte mi ero risvegliata urlando, così turbata dall’incubo che potevo ancora a vedere le bestie mutate, i lupi del Capitol, sulla coperta del mio letto. Peeta era entrato in camera di corsa e mi aveva trovato raggomitolata in un angolo della stanza, con le mani sugli occhi. Si era chinato accanto a me e nonostante le mie proteste mi aveva presa in braccio e riportata a letto. Si era sdraiato silenziosamente vicino a me e si era sentito tutti i miei singhiozzi. Niente di diverso da tutte le altre notti alla fine, se non per la mia reazione. Ero talmente sconvolta, fuori di me, che non mi rendevo conto delle mie azioni. Pensavo di trovarmi in uno di quei scompartimenti di treno che ci ha scarrozzato in giro per tutta Panem, durante il Tour della Vittoria. Così lo baciai, forse spinta dalla mia assurda convinzione che il Peeta affianco a me era ancora quello che faceva di tutto per proteggermi e fingeva con me, recitando la parte dell’amante. Anche se per lui non era mai stata recitazione. Lo sentii irrigidirsi immediatamente e la realtà mi sbattè in faccia, più violenta dell’incubo stesso. L’avevo già baciato prima, dopo il suo “cambiamento”, ma non avevo mai potuto prevedere la sua reazione. Ma qualcosa, dopo quel bacio, brillò nei suoi occhi, e lo notai non appena mi staccai, pentita del mio gesto.
Fu lui, per la prima volta a riavvicinarsi. Si accostò a me con una confidenza che solo poche volte avevo visto: nell’Arena, quando recitavamo tutta la scena. Ma ora era diverso. Non c’erano telecamere e lui non era in pieno possesso delle sue facoltà mentali. O forse si…
Fu il primo bacio del tutto consenziente da entrambe le parti dopo aver lasciato l’Arena dei nostri secondi giochi, da quando lui era stato catturato da Snow. E non solo. Quella è stata anche la prima volta che abbiamo fatto l’amore.

Entro in casa e immediatamente l’odore mi sovrasta.
“Che profumo…!” esclamo, mentre mi sfilo gli stivali e li lascio dietro la porta d’ingresso. Come pensavo, Peeta è in cucina, immerso nel suo hobby preferito.
“Ho appena sfornato” annuncia, con un lieve sorrisetto compiaciuto sulle labbra. Mi siedo al tavolo, osservandolo sistemare minuziosamente gli ultimi ritocchi a quello che sembra… una torta?
“Hai fatto una torta?”chiedo. Quello annuisce compiaciuto.
“Perché?”
“Come perché, Katniss?” chiede lui, quasi deluso. Poi gira la teglia verso di me e la alza da un lato in modo che possa leggere il decoro che così minuziosamente aveva fatto.
Buon Compleanno Katniss

Cosa?? Buon Compleanno Katniss?
Peeta deve aver notato la mia espressione stupefatta, perché si mette a ridere. “Ok, quello che è stato torturato e manipolato mentalmente se lo ricorda e la diretta interessata no.” Commenta con un filo di sarcasmo. Questo non spiega niente, neanche Haymitch mi ha detto niente. Certo, probabilmente è troppo ubriaco per aver senso del tempo ma…
“Coraggio. TI piace?” chiede.
Mi riscuoto dallo shock e annuisco. “Certo che si, Peeta, è… è un capolavoro. Come sempre.” Rispondo, alzandomi e avvicinandomi per guardare più da vicino.
“E’ il sei di maggio…” continua lui, intrecciando le dita di una mano in quelle mie. “Sono diciannove.”
Rido. “Non sono così disperata, questo lo so!” esclamo. Lui ridacchia di rimando. “Ok, controllo solo.”
Scuoto leggermente la testa, tanto per sembrare contrariata, ma ho ancora un sorriso sulle labbra.
“Sai, volevo che fosse un po’ più speciale, ma purtroppo non siamo a Capitol City…” dice lui. “No” rispondo io, piano “Va benissimo… va benissimo così.”
Peeta mi tira a sé e mi bacia. “Buon Compleanno Katniss.” Ripete.

Haymitch non tarda ad arrivare –stranamente- e a lui si aggiungono poche persone, la maggior parte vecchie conoscenze del Forno, come Sae la Zozza e qualche vecchio trafficante.
La cosa mi fa sorridere, è incredibile che nonostante tutto si abbia voglia di festeggiare. Festeggiare la rinascita, la nuova speranza…
E’ mentre taglio la torta che sento qualcosa che non va. Il coltello si ferma su un punto duro, proprio al centro. Guardo Peeta confusa ma quello in risposta ridacchia semplicemente. E’ un risolino nervoso però, noto immediatamente. Non si strofina mai le mani così quando è realmente divertito.
Lo guardo sospettosa e senza troppi complimenti infilo un paio di dita per controllare cos’è.
E’ un piccolo pacchetto che blocca la strada, davvero piccolo. Guardo di nuovo Peeta ma quello evita abilmente il mio sguardo, prende solo un gran respiro, come se per prepararsi a fare qualcosa. Tutte le risate e il vociare si calma improvvisamente. Pare che tutti hanno capito cos’è, tranne me.
Lo apro con un po’ di difficoltà e noto il contenuto. E’ un anello, semplice e piccino, ma incastonata c’è la mia perla. La perla che Peeta aveva trovato sulla spiaggia dell’Arena e successivamente mi aveva donato. Improvvisamente anch’io mi zittisco, totalmente incapace di spiccicare parola. Il silenzio è imbarazzante e per spiegazioni Peeta sembra aspettare che sia io ad avere una prima reazione.
Non capisco. Sul serio.
O forse, molto più probabilmente, non voglio e basta.
“Come… come hai fatto a prenderla dal mio comodino?” chiedo irritata.
Peeta ridacchia leggermente e risponde “Dormi sodo”
Mi sento osservata e odio la sensazione. Sospiro, e Peeta sembra trovare finalmente il coraggio.
Quello che accade dopo è solo un orrendo dejà vù.
Peeta gira intorno al tavolo e sotto gli occhi attenti di tutti si inginocchia di fronte a me. Sembra dover combattere forze interiori misteriose perché la sua concentrazione è davvero notevole. Prende delicatamente la scatolina dalle mie mani e ne estrae l’anello.
Sto per svenire. Sul serio. Sento solo una risatina di Haymitch, che mi manda il sangue al cervello.
Poi Peeta prende un ennesimo respiro e si decide a guardarmi negli occhi.
“Ti ho chiesto… se era vero che mi amavi…” inizia, ma la sua voce racchiude un tremolio sospetto. E’ fortemente emozionato. “E in un mondo di bugie… io ci ho messo troppo tempo a capire qual è la verità. Perdonami Katniss, per tutto quello che ho fatto. Perdonami perché queste parole non sono così belle e barocche come quelle della notte in cui ti ho proposto di sposarmi sul palco del Capitol per Snow. Purtroppo il copione me l’ero scritto lì, ma stavolta non ho saputo trovare le parole adatte. Sei tutto per me, Katniss. Sei tutto quello che conta nella vita, se l’unica cosa bella e pura in questo mondo. So che siamo giovani, ma non so se posso affrontare questa crescita da solo, senza di te al mio fianco. Giuro che se acconsentirai sarò per sempre accanto a te, notte giorno, qualsiasi cosa accada. Voglio rinascere con te.  E voglio che tu rinasca dalle ceneri del mockingjay che hai impersonato salvando il mondo, come una fenice. Voglio prendermi cura di te in modo appropriato. Voglio proteggerti dal brutto e dall’ingiusto che è ancora rimasto al mondo… Voglio condividere con te ogni istante dell’eternità, in questo mondo o altrove.”
Sento le gambe non reggere e l’aria inizia ad essere asfissiante. So per certo di avere le lacrime agli occhi, ma mi ostino a reprimerle.
“Ragazza in fiamme, mi faresti mai l’onore di diventare la mia sposa… per davvero?” chiede e tutto l’autocontrollo in me a cui mi ero appellata crolla.
Le ginocchia cedono e mi accascio accanto a lui.
C’è un soffice mormorio di sottofondo, nel quale riconosco esattamente i brontolii di Haymitch, dicendo che se avessi recitato così bene sul palco quella notte ora saremmo ancora sotto dittatura.
Non ho voce per rispondere, affondo semplicemente il mio viso sulla spalla di Peeta, sbilanciandolo, dopo aver annuito velocemente.
Lui mi avvolge nelle sue braccia e con delicatezza scivola l’anello sul mio dito.
“Dovrebbe essere un diamante, lo so. Ma ho pensato che questo avesse più significato…” mi sussurra all’orecchio, e dal suo tono mi accorgo che dev’essergli tornato il sorriso sulle labbra.
Io, invece, sono un disastro. Singhiozzo, addirittura, e forse tremo anche.
“E’ perfetto. TU sei perfetto, tutto è perfetto.” Rispondo.
Sento che qualcuno stappa fragorosamente una bottiglia esclamando “Haha! Creperò prima di fargli da testimone!!”. E’ Haymitch…

   
 
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