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Autore: AthinaNike    08/07/2011    2 recensioni
Più di un pokémon, ma meno di una donna: la storia di Gaelle
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yuri | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Videogioco
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Quando toccò a me iniziare il viaggio, avevo compiuto da poco 14 anni. Ero molto più grande dell’età media degli allenatori che per la prima volta si affacciano al mondo dei Pokémon, ma a dire la verità non mi interessava. Ricordo ancora la giornata in cui presi in mano quella prima pokéball, così liscia, levigata, rossa e bianca. Faceva un bel fresco all’interno del laboratorio del Professore, a differenza dell’afa di luglio che c’era fuori, che pian piano arroventava tutta l’area circostante. Le rocce sembravano sciogliersi sotto il sole, fuori dalla finestra. Con un sorriso feci uscire dalla palla il mio piccolo Charmander. Inutile dire l’emozione di quell’istante. Balenò nei miei occhi castani un guizzo di intesa con il piccolo esserino arancione lì, seduto mentre muoveva la coda fiammeggiante sul pavimento tristemente grigio illuminato dal neon bianco. Le macchine e i computer facevano rumore, parecchio rumore mentre io e il piccolo ci scrutavamo. Allungai lentamente la mano mentre mi sedevo sui talloni. Il professore, inutile dirlo, mi scrutava perplesso ed era pronto ad intervenire nel caso in cui il charmander mi si fosse rivoltato contro. Non lo fece; continuava a guardarmi con quegli occhioni brace mentre con l’indice lentamente gli carezzavo la fronte. Mi annusò la mano e poi mi diede un morsetto sul dito. Ammetto che fece un po’ male con quei suoi dentini aguzzi, ma non urlai né ritirai il dito. Sorrisi e gli poggiai il palmo dell’altra mano poco sopra il collo dicendo “Eh, a quanto pare hai un bel carattere tosto, vero Alexander?”. L’esserino mi guardò piegando leggermente di lato la testa e poi con quello che sembrò un sorriso esclamò un bellissimo “Cha!!”. Nasce così la mia storia, il mio cammino. Scusate il salto, ma penso non interessi a qualcuno di come catturai il mio primo pidgey, che spedii istantaneamente al professore; piuttosto penso che sia interessante un episodio, che cambiò del tutto la mia vita. Ah, diamine. Non mi sono presentata. Il mio nome è Claire e, no, non sono particolarmente femminile. Ho solo un paio d’occhi castani, dei capelli che molti definiscono “boccolosi” lunghi fino a metà collo, un corpo diciamo abbastanza slanciato; ma la cosa che preferisco di me è la pelle: color terra chiara. Non amo molto la compagnia di tutti e viaggio sola con i miei pokémon; so di essere esageratamente misantropa, ma penso che la gente sia fantastica se presa a piccole dosi. E io quelle dosi necessarie le prendo! Ma solo nelle città di passaggio, diamine, altrimenti ti si appiccicano con i loro discorsi persi nell’aria. In quel periodo accelerai di gran lunga la velocità dei miei viaggi: con l’evoluzione di Alexander in Charizard la prima cosa che feci fu insegnargli a volare. La cosa migliore del mondo; solcare le nuvole con quelle potenti ali, mentre il mio Alex ruggiva felice e accelerava sempre più, girava, roteava, saliva, scendeva in picchiata, planava. Solo un’altra sensazione è vagamente similare: correre a dorso di un rapidash. Con volo, riuscì a raggiungere in breve tempo le regioni di Johto, Hoenn, Sinnoh e infine Unima. La mia squadra col tempo si era evoluta, e nonostante nel pokégear si aggiungessero numeri su numeri continuavo ad essere sempre la solita allenatrice misantropa di un tempo. Fu proprio il giorno in cui misi piede su Unima che incontrai uno Snivy femmina. Avevo nella mia bisaccia nera tre pokéball: Alexander, Astrea – un esemplare di Ampharos-, Vaporeon. Non chiedevo di meglio. Uno Snivy era quello che ci voleva. Feci uscire Vaporeon, un po’ spaesato nella nuova regione piena di alberi e cespugli, dal cielo terso. Morso, lo snivy cercò di scappare ma la pokéball arrivò veloce. Allenare Snivy fu una fatica mai riscontrata prima. Non aveva la minima intenzione di evolversi! Nonostante la chiamassi con il soprannome di Lia non voleva saperne di ubbidirmi. Per non parlare della rivalità che era nata tra lei e Alex. Solo il Signore sa come sia riuscita a sopravvivere a quelle fiammate, ma grazie al cielo il mio Charizard non era di quegli esemplari iracondi e montati di testa, anzi era abbastanza bonaccione ma non per questo poco portato per la battaglia. Il giorno benedetto in cui Lia diventò un Servine ero nei vicoli di Austropoli che le facevo fare un po’ di allenamento. Festeggiammo per tutta la durata del dì. Ricordo inoltre che quello stesso giorno Lia si andò a cacciare in un vicolo scognito solo perché voleva fare la gradassa. Quando la ritrovai era davanti ad un Darmanitan che minacciava di buttarle addosso un lanciafiamme che come minimo l’avrebbe stecchita, ma lei fingendo calma era lì, con quella solita aria di strafottenza. Chiamai Vaporeon. Una bella botta di surf fu sufficiente per mettere in fuga il Pokémon. Lia ebbe più riconoscenza e fedeltà nei miei confronti. Percui iniziai a smettere di dedicare attenzioni solo a lei. Oramai cresceva a vista d’occhio, e non capivo la necessità di starle dietro. Invece mi diedi di più a Vaporeon e ad Astrea. Astrea, sempre giocosa e divertente. Affidabile da qualsiasi punto di vista, sia tecnico che sentimentale. Era senza dubbio il mio faro, nelle notti buie attraverso le regioni, sia a terra che in volo. E poi Vaporeon! Ricordo quando lo ricevetti che era ancora un eevee. Fin dai primi giorni lo vedevo giocare nell’acqua, bagnarsi, spruzzarla con la bocca e rotolarsi nelle pozzanghere. Ogni volta che facevo accendere un fuoco ad Alex, cercava sempre di spegnerlo con l’acqua da bere. Per lui chiamai il Professore. Volevo sapere quanto ancora avrei dovuto aspettare prima di potergli dare la pietra idrica. Mi disse che dovevo fare la prova e metterle tutte davanti al pokémon e poi sarebbe stato lui a scegliere la migliore per sé. Feci così, ma non ebbi che una conferma di quanto credevo. Così una volta diventato Vaporeon non fu più quell’eevee indifeso, impossibilitato alla battaglia, ma divenne anche lui pietra miliare della mia squadra. Lo ammetto, sono molto orgogliosa della mia squadra.
Ma il bello doveva ancora venire. Una settimana decisi di tornare a Hoenn per provare a studiare più da vicino gli Skarmory. Decisi quindi di farmi un bel pezzo di strada a piedi, così anche per ricordare i vecchi tempi; quel giorno giusto giusto pioveva a dirotto. Tanto che l’unico Pokémon che mi potè aiutare fu Lia a coprirmi con la sua coda da Serperior. Come se non bastasse, c’era pure una nebbia che definirla fitta è un eufemismo. Accesi la radio per consolazione per sentire notizie metereologiche che non mi erano per niente nuove. Mi maledissi nel momento in cui avevo deciso di farmi una passeggiata a piedi nella zona vicino Forestopoli e proprio mentre stavo per spegnere la radio e controllare il pokégear per vedere se avevo perso qualche chiamata –tipo di mia madre che mi diceva che aveva speso per l’ennesima volta i miei soldi per comprare qualcosa di estremamente inutile- vidi un’ombra seduta su una roccia. Pensai ad un castform, più o meno la forma era quella. Ma no, avvicinandomi i contorni si facevano più nitidi. Lia cominciava a dare segni di tensione e nervosismo. Le carezzai sotto le orecchie per farla stare calma.
Era un Ralts. Rimasi impietrita. Un ralts fuori forestopoli: più che raro. Per di più aveva il colorito completamente diverso. Un ralts blu e violetto. Era meraviglioso, e sarei rimasta lì a guardarlo se non ci fosse stata quella fastidiosissima pioggia. Doveva essere selvatico, forse, ma era troppo grande per poter essere cresciuto autonomamente; poi tutto è possibile…
Feci rientrare Lia e cercai in tutti i modi di calmare i miei pensieri. Ero soprattutto preoccupata per il piccoletto, o la piccoletta. Avevo paura che stesse male, là sotto tutta quell’acqua a dirotto. Mi avvicinai e il Ralts si girò verso di me. Non ebbe paura. Cercai di sorridergli mentre mi avvicinavo a lui estraendo dalla borsa un’asciugamani che usavo per quando giocando con Vaporeon mi bagnavo tutta. Mi inginocchiai raggiungendo il piccolo ralts come altezza. Seduto, non poteva essere più di trenta centimetri. Quel blu intenso e il violetto appena accennato mi colpirono, ma la cosa che mi rimase più impressa fu quando il suo corno iniziò ad illuminarsi. Dopo pochi secondi mi sorrise e si gettò tra le mie braccia. La prima cosa che provai al suo tatto fu un forte senso di confusione mentale. Mi girava la testa, era come se la stesse scandagliando in ogni singolo angolo. Sotto il cielo nuvoloso, non vedevo altro che colori informi, persino il mio corpo sembrava estraneo. Non so se avete mai provato l’effetto di una sbornia, beh diciamo che la sensazione era quella. Miracolosamente smise di piovere per pochi minuti, feci uscire Alex dalla sfera e mi feci portare immediatamente in un centro pokémon. Nel momento in cui consegnai il Ralts saltellante all’infermiera, sentii quella presenza svanire dalla mia mente. Ebbi l’impressione che quel pokémon mi conoscesse alla perfezione e viceversa. Il tempo di sorridere e crollai svenuta davanti al bancone sotto gli occhi allibiti dell’infermiera e del mio Charizard. Dormii per dieci ore. Mi svegliai lentamente e la prima cosa che vidi fu il piccolo Ralts che mi saltellava di sopra. L’infermiera mi si avvicinò e con i suoi occhioni azzurri mi sorrise “Qui si curano solo pokémon, generalmente siamo impreparati per quanto riguarda le persone”. Sorrisi prendendo il piccolo tra le mie braccia. Non riusciva a stare fermo. Sorrideva, schiamazzava, giocherellava. Cominciai a conversare con l’infermiera. Le chiesi dov’erano i miei pokémon e lei mi fece vedere delle pokéball su un tavolo poco distante dal letto.
“Dove l’hai trovato?” chiese riferendosi chiaramente a Ralts.
“Poco distante da qui. Era seduto su una roccia sotto la pioggia” risposi mentre cercavo di prendere una pallina dalla mia borsa per darla al pokémon. Lei mi guardò con un’espressione dubbiosa.
“Claire, lo sai che ti stai prendendo un bell’impegno, vero?”
Non capii. Sul serio, non capivo. Insomma, era un pokémon, niente di diverso da qualsiasi altro.
Cercai di farmi spiegare meglio il concetto. Lei sospirò “Non resterà per sempre un ralts, diverrà una Kirilia, e infine Gardevoir. E’ un pokémon emozione. Tu sei capace di avere un buon umore per tutto il suo periodo di crescita?”. Serrai la mia mente. Mi alzai dal letto, presi le sfere e le misi nella borsa. Mi avvicinai a ralts e lo presi in braccio.
“Sono allenatrice da circa tre anni, non vedo cosa ci sia di strano e non ho la minima intenzione di farmi dire da qualcuno come allevare i miei amici”. Uscii dalle vetrate scorrevoli del Centro e rispolverai la mia vecchia bici. Posizionai Ralts nel cestino e iniziai a pedalare via dall’infermiera, via da quelle preoccupazioni a mio avviso inutili.
Ralts Crebbe velocemente; forse troppo. Mi informai su pokémon come quello, che ricevono il doppio della esperienza normale. Per me continuava a rimanere sempre piccola, perché sì, era un’esemplare femmina. Adoravo quando giocando con me sorrideva. Allenavo i suoi poteri pischici, e mi stupivo ogni volta che con un semplicissimo psicoraggio metteva KO un raticate. Era portentosa, quando un giorno si trasformò in Kirlia. Quant’era bella mentre volteggiava al mattino con il vento che si alzava da ponente e che soffiava sulla mia tenda. Non la rinchiusi mai nella Ball. Non ne ebbi mai il coraggio. Pensavo si sarebbe spaventata, o che magari me la sarei dimenticata lì dentro. Tutte paure senza alcun fondamento, ma che nel contempo aleggiavano tra i miei pensieri e mi stringevano la bocca dello stomaco in una morsa amara. Amavo guardarla mentre saltellava sulla testa di Alex e Lia mentre litigavano cercando di calmarli, quando giocherellava con Vaporeon e Astrea. Con l’evoluzione divenne ancora più potente, come Kirlia era senza dubbio con una marcia in più. La sua capacità psichica si era raffinata e ora riusciva ad entrare nella mia mente senza creare quel disturbo di un tempo. La portavo sempre sulle mie spalle perché non c’entrava più nel cestino: ormai pesava circa venti chili ed era alta quasi 85 centimetri. Era uno splendido esemplare. Non ebbi alcuna fretta di farle raggiungere l’ultimo stadio, anche se notavo che non vedeva l’ora di raggiungere finalmente la forma di Gardevoir. Cercavo di calmarla con il pensiero; vista la sua velocità di acquisizione di esperienza non sarebbe mancato molto tempo al giorno dell’evoluzione.
In una giornata torrida, con un caldo esagerato, stavo allenando Kirlia. No n riusciva a raggiungere la potenza che mi ero prefissata. Sentiva che doveva spingere di più, ma materialmente non ce la faceva. Probabilmente è stata colpa mia, avrà sentito il mio umore, avrà sicuramente percepito quella mia voglia di vederla più forte, più capace. Ancora oggi mi rimprovero per essermi comportata in quel modo: non era da me; insomma era pur sempre la mia Kirlia, l’essere che ha cambiato i miei giorni, che ha portato solo gioia nel mio cuore. Da quando incontrai Ralts iniziai a stare più in città, a farmi più amici, a stringere con i capi palestra. Fu una benedizione dal cielo. E non smettevo un attimo di ripeterlo. Tutti si stupivano del suo colore, alle volte riempivano me e lei di insulti, ma era l’invidia che sputava sentenze. Quel giorno sentii di nuovo quella presenza nella mia testa, caddi a terra mentre cercava di attaccare. Sentivo il cervello esplodere, non riuscivo a pensare ad altro che al dolore. Guardai Kirlia diventare tutta luminosa. Pensai al peggio, pensai che se ne sarebbe andata per sempre da me. La vita i sembrò d’un tratto inutile, ma lei iniziò a cambiare, assunse la forma di Gardevoir mentre continuavo a stramazzare a terra senza rendermi conto di urlare in maniera oscena; ma il dolore era terribile. Sentivo il suo cambiamento nella mia testa. Dopo pochi secondi il dolore sparì lentamente, e delle braccia dannatamente umane attorno al mio collo. Iniziai a prendere lucidità. Perdonami… non pensavo sarebbe stato così doloroso rimbombava nella mia testa. Era lei. Era Gardevoir. Piansi. Non sapevo bene cosa provare, se felicità, rabbia verso me stessa, rimorso, paura. Lei mi abbracciava stretta, non mi lasciò un secondo. Mi fece sdraiare, si mise al mio fianco sull’erba. Distese a guardare il cielo attraversato da nuvole candide e stiracchiate per tutta la sua lunghezza. Passò una mezz’ora abbondante quando riuscì a bloccare le lacrime e a calmare la mia mente alzando la mia testa dal suo petto. La vidi. Quant’era bella. Avevo visto altri esemplari di Gardevoir, ma lei era qualcosa di estremamente diverso. Era più umana, nelle movenze, nei comportamenti, negli occhi, nelle braccia… persino nel seno. Mi misi seduta e la guardai, così cambiata, così… donna. Le posai una mano sul viso e lo carezzai. Era liscio come una bacca pesca e morbido come un soffice cuscino di piume. Mi guardò dritta negli occhi e sorrise. Arrossì. Era rossa.
Parlammo telepaticamente. Un’esperienza indimenticabile. “Scusami per quello che ti ho fatto, non dovevo spingerti fino a quel punto” le dissi. “Quella che deve scusarsi sono io. Volevo farti sentire i miei sentimenti, ma come abilità telepatica non potevo fare di meglio purtroppo. Sono diventata Gardevoir proprio per non nuocerti… Ero troppo poco potente per porle fine” rispose abbassando lo sguardo. Le alzai il viso. “Non hai niente da rimproverarti”. Pausa. Ci guardammo a lungo, poi lei distolse lo sguardo. “Vuoi andare al Centro? Ti senti male?” chiesi dolcemente. Scosse la testa, ma si vedeva che era provata. Quel blu elettrico riluceva sotto la luce. La gonna si apriva in corrispondenza di una sua gamba bianca. Mi alzai e lo stesso fece lei. Notai con molta sorpresa che era più bassa di me di circa dieci centimetri. Mi misi a ridere. Fino a poco fa non era più alta di un metro, e ora mi aveva raggiunta.
Inizia così la mia, la sua, la nostra storia.
  
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