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Autore: redseapearl    08/07/2011    7 recensioni
“Leone” sentì dalla radio lasciata al massimo volume per tutto il tempo. “Oggi è un grande giorno per voi single... Le stelle dicono che conoscerete la vostra anima gemella, in tutti i sensi, perché sarà proprio una persona nata sotto il segno dei Gemelli. Sarà un vero e proprio colpo di fulmine. Mi raccomando, non lasciatevi ingannare dalla loro impenetrabile e fredda corazza esterna, perché sotto di essa sono persone molto sensibili e dolci: di fatti non dimentichiamoci che i Gemelli sono, per natura, persone con una doppia personalità.”
[Lavi x Kanda]
{Capitolo 4 postato per il LaviYuu Day!}
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Rabi/Lavi, Yu Kanda | Coppie: Rabi/Kanda
Note: AU, Lemon | Avvertimenti: nessuno
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Lo so che non si fa, ma ho postato di nuovo questo capitolo appositamente per il LaviYuu Day, come piccolo omaggio a questa coppia e ovviamente per partecipare al LaviYuu Festival anche quest’anno!

 

Quindi potete stare tranquilli: è sempre il capitolo 4 questo, non è quello nuovo!

 

 

Di che segno sei?

 

 

La maledizione del topo mannaro

 

 

 

Tutto sommato Lavi non poteva lamentarsi troppo del nuovo inquilino del piano superiore. Finito il trasloco, dopo essersi scollato d’addosso l’appiccicoso patrigno, Kanda si era praticamente rinchiuso in casa e non aveva più dato segni di vita. Sembrava che non ci abitasse nessuno sopra: non si udiva neanche il rumore dei suoi passi e questo fenomeno era particolarmente inquietante per Lavi, già piuttosto superstizioso di suo.

Se poi si aggiungeva la leggenda del fantasma che abitava nell’appartamento di Kanda, il giovane bibliotecario aveva un buon motivo per reputare quel misterioso silenzio agghiacciante.

Probabilmente si stava solo facendo suggestionare troppo e la testa si era riempita di segatura a furia di farsi tante seghe mentali, ma quando poco dopo la mezzanotte, udì degli strani rumori provenire da sopra si paralizzò nel letto fin quasi a farsi venire un crampo alla gamba.

‘Se non mi muovo non mi succederà niente’ era diventato praticamente il suo motto da quando all’età di otto anni aveva visto per la prima volta ‘L’Esorcista’ e visto che il metodo funzionava sempre non c’era ragione di cambiare strategia dopo tanti anni di scampate possessioni demoniache, aggressioni di vampiri e licantropi, apparizioni ectoplasmatiche da infarto e allegra compagnia.

Perché poi continuava a guardare i film horror nonostante sapeva che poi avrebbe passato tre notti (come minimo) immobile e insonne nell’attesa dell’alba? La risposta era abbastanza semplice: non sarebbe stata una bella figura mostrarsi riluttante a guardare una pellicola del terrore e quando gli dicevano ‘Tanto è solo un film!’ che poteva fare lui? Era pur sempre un ragazzo di 1 e 80 di altezza (in verità era 1 e 79, ma quel centimetro in più faceva sempre la sua porca figura)  per 62 kili e… le sue misure non c’entravano niente in effetti, ma solitamente il coraggio era direttamente proporzionale al fisico; ergo, più sei prestante più sei impavido (in teoria, almeno).

Alla fine si convinceva che se non gli era mai accaduto nulla di brutto in diciotto anni di vita era assurdo che dovesse succedere qualcosa proprio il giorno in cui aveva visto un horror. Peccato che non sempre funzionava come ragionamento (anzi, non funzionava mai).

E intanto di sopra i rumori continuavano e di dormire quella notte non se ne parlò.

Non avrebbe neanche avuto bisogno della solita sveglia coercitiva, ma all’ora programmata la radio si attivò e, nonostante fosse più sveglio che mai, il mattutino infarto corredato da salto carpiato giù dal letto non glielo tolse nessuno.

“Buongiorno ascoltatori: cosa c’è meglio di svegliarsi  la mattina con una rilassante canzone degli Iron Maiden?”

“Lo ammazzo, lo ammazzo, lo ammazzo…” si ripeteva Lavi, massaggiandosi l’ormai incallito sedere per tutte le cadute che aveva fatto per colpa di Tyki Mikk.

Il ragazzo avrebbe volentieri ballato sulla tomba dello speaker quando finalmente questi sarebbe spirato (ed era anche ora che si decidesse, pensava Lavi), ma al contempo sapeva che senza quel programma radiofonico non si sarebbe mai destato in tempo per arrivare puntuale al lavoro: un conflitto interiore che affliggeva l’animo di Lavi per dieci abbondantissimi secondi ogni giorno a quell’ora, combattuto tra l’odio puro e la gratitudine più sincera.

Prima che si rialzasse in piedi pronto per una nuova ed entusiasmante giornata alla biblioteca, qualcuno suonò alla sua porta ed era anche piuttosto insistente, tanto che nonostante il volume della radio fosse tenuto quasi al massimo, Lavi riuscì ugualmente a sentire il campanello.

Ignaro di chi potesse essere, girò il pomello flemmaticamente, ritrovandosi a fronteggiare un incazzatissimo Yuu Kanda: aveva i lunghi capelli neri sciolti e spettinati, segno evidente che si era alzato dal letto appositamente per andare da Lavi (oh, che onore!), e non indossava nemmeno la maglietta.

Bene! pensò Lavi. Di buon umore a prima mattina!

“Buongiorno, Yuu: fa caldo, eh?” scherzò Lavi per stemperare la tensione elettrica già palpabile tra loro.

“Hai idea del volume indecente della tua radio?” sbraitò l’altro, non riuscendo però a sovrastare il baccano della musica.

“Che hai detto?”

Esasperato, e con la testa che gli doleva, Kanda si avvicinò a quell’aggeggio infernale, spegnendolo con un pugno vigoroso e senza troppa delicatezza, fregandosene altamente del fatto che fosse di proprietà di qualcun altro.

Quando si voltò per guardare Lavi, nei suoi occhi era chiaramente visibile una scintilla omicida.

Un attimo prima Lavi voleva uccidere Tyki Mikk e adesso Kanda voleva uccidere Lavi: sarebbe stato persino buffo constatare come girava la ruota della vita se quello a rischiare di morire non fosse stato Lavi.

“Ehm… mi sembri nervoso” disse questi, tentando di temporeggiare il più possibile per ritardare il momento della sua dipartita. Poi, si accorse che l’altro era disarmato e si rilassò un po’. “Vuoi che ti offra qualcosa: una camomilla magari?”

“Se domani mattina sento ancora la tua fottuta radio, sappi che ti faccio a cubetti e questa volta non ci sarà nessuno a salvarti.”

“Magari un caffè.”

“CHE.” Kanda si incamminò verso la porta con passo marziale, ma prima che potesse varcarne la soglia l’altro ragazzo lo fermò.

Ehy aspetta: cosa erano quei rumori che ho sentito stanotte su da te?” Visto che Lavi non aveva intenzione di passare un’altra nottata in bianco per colpa di strani suoni provenienti dall’appartamento dell’altro, aveva bellamente mandato alle ortiche la sacra legge del ‘se cent’anni vuoi campare, i cazzi tuoi ti devi fare’: e chi se ne frega se moriva prima, tanto superati i sessant’anni la vita era tutta in discesa.

“Fatti gli affari tuoi.” Prevedibile.

“Per favore, non lo sai della leggenda del fantasma che abita nel tuo appartamento?”

“Ma quale fantasma, era un dannato topo!”

“Un topo?” Qualche secondo di attesa e un salto nella mente di Lavi faranno capire meglio gli astrusi meccanismi della sua fervida immaginazione. Più che altro si trattava di una semplice e banale addizione. Una notte insonne per colpa di rumori sinistri che non aiutava certo il suo povero cervello a connettere al meglio, più la convinzione che l’appartamento di Kanda era infestato dal fantasma di un pittore cieco, sordo, zoppo e morto di fame, più la recente lettura di alcuni libri di Lovecraft (tra cui un racconto in cui vi era un topo malefico di nome Brown Jenkins1): risultato, il topo nell’appartamento di sopra era la reincarnazione del pittore defunto.

Soluzione: chiamare un esorcista.

“Sì, un topo” ribadì Kanda, uscendo dal monolocale di Lavi sbattendosi fragorosamente la porta alle spalle.

Dunque Yuu Kanda, l’irascibile inquilino del piano di sopra, nonché suo possibile carnefice in un prossimo futuro, aveva un problema da risolvere. Se Lavi avesse pensato ad una soluzione appropriata magari si sarebbe fatto definitivamente perdonare per la gaffe del loro primo incontro e avrebbe allungato così la sua prospettiva di vita (che al momento non era lunghissima).

Magari ci avrebbe pensato una volta uscito dal lavoro… magari ci avrebbe pensato durante il lavoro. E a proposito di questo: “E’ TARDI!” urlò, rendendosi conto dell’ora. Presentarsi due giorni di fila in ritardo alla biblioteca equivaleva ad essere selvaggiamente picchiato con una mazza d’acero sotto le piante dei piedi tenuti uniti con una corda di canapa blu…. come minimo!

Si preparò nel tempo record di due minuti e uscì di casa come un tappo di sughero sparato da una bottiglia di spumante ben agitata.

Oh, che peccato: si era perso il fantastico oroscopo di Wisely per quella mattina!

 

Fortunatamente il vecch… ehm suo nonno non aveva detto niente su quell’unico minuto e ventiquattro secondi di ritardo. Lavi pensò che fosse di buon umore, tanto che per poco non gli disse per scherzare ‘Che è successo vecchio? Hai scopato ieri sera?’, ma alla fine si trattenne, scoprendo che Bookman aveva ben altri problemi a cui pensare piuttosto che rimproverare quella testa calda del nipote.

“Oggi starai alla reception, quindi a contatto con il pubblico: mi raccomando, non fare casini!”

Affidare quel delicato compito a Lavi era un vero e proprio terno al lotto: la figura del bibliotecario doveva ispirare intelligenza, serietà e tante altre caratteristiche che non trasparivano molto dall’aspetto di Lavi.

Non che Lavi non ne le avesse, ma erano sepolte parecchio in fondo al suo animo e occorreva scavare un bel po’ per trovarle.

“Che fine ha fatto la signora Back?” Ovvero colei che da sempre era preposta a quel compito.

“E’ andata.”

“E’ morta?!” domandò inorridito Lavi, agghiacciato dalla freddezza con cui Bookman aveva dichiarato una notizia tanto sconvolgente: e pensare che il ragazzo aveva sempre creduto che ci fosse del tenero tra di loro.

“No, idiota! Ha vinto un milione di dollari con un gratta  e vinci e ha deciso di prendersi una vacanza permanente alle Hawaii… senza preavviso. Quindi adesso sono costretto a mettere te al pubblico. So già che me ne pentirò!”

“Grazie per la fiducia, come sempre!”

“Mettiti al lavoro. Sei già in ritardo: lo scalerò dal tuo stipendio mensile.”

“Che è già una miseria!” si lamentò il giovane a voce bassa, incamminandosi verso la sua nuova postazione lavorativa.

“Scalerò anche le tue lamentele dallo stipendio se non imparerai ad avere più rispetto!”

A quel punto, vedendo che ogni alito di vento emesso causava una detrazione sulla sua busta paga, Lavi pensò che per una volta stare zitto sarebbe stato quantomeno saggio.

 

Maschio. Alto un metro e settantacinque circa. Capelli e occhi castani. Sguardo indeciso e perso di chi si ritrova in un posto senza sapere come ci è arrivato, neanche avesse camminato nel sonno: eppure la parola ‘B I B L I O T E C A’ era scritta a caratteri cubitali sopra la grande porta d’ingresso.

Questo era il tipico esemplare umano che si presentava lì e che vedeva nel ragazzo della reception il suo personale Gesù Cristo sceso in terra.

“Buongiorno: vorrei prendere un libro!”

No, ma davvero? pensava Lavi. Era l’ultima cosa che ci si potrebbe aspettare di sentire in una biblioteca. “Sai già quale?”

“Ehm… no. Cioè, in verità cercavo un romanzo che non fosse né troppo breve e né troppo corto. Divertente ma con momenti drammatici. Magari con un protagonista maschile o anche femminile. Deve essere realistico, ma non mi dispiacerebbe se ci fossero anche vampiri, pirati, viaggiatori del tempo, astronauti e avvocati. Ah, e mi piacerebbe se fosse ambientato nel medioevo, con qualche scena descritta nell’Antico Egitto e nell’anno 3000. Oddio, forse sto chiedendo troppo!”

Era sicuro che fosse semplicemente un ‘forse’?

“Devi uscire da lì” Lavi indicò la porta d’ingresso. “Vai sempre dritto e gira alla seconda a destra. Poco dopo c’è una rotonda, girà a sinistra e al bivio di nuovo a destra. Quarto portone sempre sulla destra.”

“E’ per caso una succursale della biblioteca?”

“No, l’indirizzo di uno che vende marijuana. E’ roba buona, fidati: ti fa vedere tutto ciò che hai sempre desiderato e anche di più!” Sfoderò il suo sorriso più amichevole e convincente, che (come sempre) si dimostrò infallibile. Il giovane maschio dalle idee confuse si allontanò un po’ perplesso, ma Lavi era certo che avrebbe seguito il suo consiglio.

Che poi lo aveva mandato chissà dove, visto che non esisteva nessuno spacciatore di marijuana, era un altro discorso.

Passarono una decina di minuti, ed ecco che il vero Gesù Cristo sceso in terra dall’alto dei Cieli varcò la soglia del portone: Allen (Jesus) Walker.

Lui non era alto un metro e una brioche morsicata: era semplicemente minuto e, per questo, più adorabile che mai.

I suoi capelli non erano bianchi come quelli di un vecchio bicentenario: erano colore ‘latte appena munto addolcito con raffinatissimo zucchero brillante come polvere di diamante’.

I suoi occhi non erano color grigio-topo: erano due perle luminose e splendenti come le stelle che si riflettono sul mare di notte.

Non aveva una cicatrice rossa a forma di stella sull’occhio sinistro, stile ‘sfregiato a vita’: aveva su di sé il dolore di un passato angosciante rimasto impresso sul viso delicato, conferendogli così un fascino che trascendeva il tempo e lo spazio rendendolo più maturo della sua vera età.

E questo era solo l’aspetto esteriore. Allen (Jesus Christ Superstar) Walker aveva mille e una doti non propriamente nascoste.

Sapeva suonare il pianoforte meglio di Beethoven, Mozart e Chopin fusi insieme e senza aver preso mai una lezione in vita sua, solo perché il suo era un ‘dono di natura’. Da piccolo era stato la piccola stella emergente in un circo come giocoliere (in pratica, come faceva girare le palle lui non le faceva girare nessuno). Era uno spadaccino formidabile, ma questo non si era capito da dove gli derivava.

In sostanza, era bravissimo in tutte le cose più inutili di questo mondo.

Inoltre, era un ragazzo gentile, sempre sorridente, molto altruista e amato dalle ragazze (aveva ben tre pretendenti) senza che lui facesse assolutamente niente per sedurle, mentre queste gli cascavano ai piedi come pere cotte.

E cosa più importante, Allen era in grado di mangiare e bere come pochi porci al mondo sanno fare2 e non ingrassare mai di un microgrammo.

E probabilmente la lista delle sue qualità era ancora più lunga, solo che Lavi non aveva ancora avuto il piacere di scoprirle tutte… e in verità non gli importava molto farlo: era una delle rare volte in cui non si dimostrava curioso per qualcosa.

Dunque, dopo tutto questo, era logico pensare che Allen fosse veramente il figlio del Signore: altrimenti non si sarebbe potuto spiegare in altro modo perché a lui fossero stati elargiti così tanti pregi rispetto agli altri comuni e patetici mortali che arrancavano sulla Terra.

“Che ci fai qui?” chiese Jesus, cioè Allen, una volta giunto al bancone della reception.

“Sai, ci lavoro” rispose Lavi.

“Volevo dire, che ci fai qui alla reception: di solito sei confinato come un eremita nel magazzino.”

“E’ una lunga storia. Piuttosto tu che ci fai qui, non avevi lezione oggi?”

Tanto Allen era anche intelligente, quindi poteva permettersi di saltare qualche giorno di scuola. “Ho un problema e volevo parlarne con te.”

Questa poi: Allen che non sapeva risolvere un problema. Se lo avesse detto Wisely all’oroscopo Lavi non ci avrebbe creduto neanche davanti all’evidenza dei fatti.

“Di che si tratta?”

“Mi serve un cane.”

“Non ne abbiamo.”

“Lo so” rispose stizzito Allen. Ecco, forse un suo minuscolo difetto era che in alcune occasioni gli saltava subito la mosca al naso: ovviamente, la mosca era rigorosamente bianca, perché non sia mai che ad Allen Walker saltasse una comunissima e banalissima mosca nera. “C’è un gatto che di notte si aggira sui balconi del mio quartiere e ha deciso che Timcampy diventerà presto la sua cena. Non so per quanto ancora sarò in grado di proteggerlo. Ormai Tim è sull’orlo di una crisi di nervi. Non mangia più, non beve più, non dorme più. Ho pensato che se prendessi un cane, quel gatto se ne starà alla larga.”

In quel momento a Lavi gli si accese la famosa lampadina nel cervello.

Allen aveva un canarino in pericolo di vita e che voleva salvare.

Yuu aveva un topo pestifero fin troppo pieno di vita e che voleva ammazzare.

In tutto questo c’era un gatto notturno e affamato che aveva solo voglia di sfogare i suoi istinti felini più selvaggi: se si spostava il ‘fattore felide’ da Allen a Yuu, Lavi avrebbe risolto due e più problemi in uno.

Modestamente, aveva avuto proprio un’idea geniale. Insomma, non doveva essere troppo difficile catturare un gatto.

“Hai fatto bene a rivolgerti a me” disse Lavi, gonfiando tronfio il petto. “Stanotte verrò da te e cattureremo quel mangiatore di canarini insieme.”

“Ma veramente…”

“Verrò alle dieci di stasera!”

“Ma io…”

 

 

Quella sera Kanda era particolarmente agitato. Neanche la sua seduta di meditazione zen era riuscita a fargli sbollire la rabbia per la notte insonne e la sveglia chiassosa di quella mattina.

Per tutto il giorno non aveva sentito il topo maledetto rosicchiare nei muri, come invece si era allegramente divertito a fare durante la notte appena trascorsa per quasi cinque ore di fila.

Il ragazzo non era un illuso e sapeva che la bestiaccia non se n’era andata: semplicemente ci godeva a rompergli le palle durante la notte, un po’ come le zanzare d’estate.

Dopotutto, anche gli animali avevano diritto ad un hobby, ma Kanda non era intenzionato a diventare il passatempo di nessuno, men che meno di un roditore dell’esatta misura della suola delle sue scarpe.

Eh sì, si sarebbe abbinato bene il sangue di topo con il nero dei suoi stivali di pelle.

La soluzione all’apparenza era piuttosto semplice, persino scontata: chiamare la disinfestazione. Ma c’era un grosso, enorme problema che ciò avrebbe portato con sé.

Come minimo la procedura per ripulire l’appartamento avrebbe portato via due giorni (se era fortunato, ma come sempre, quando serve, la dea bendata se ne va con un altro) e quindi sarebbe stato costretto ad andare dal suo patrigno finché i lavori non fossero terminati e, una volta entrato in quella casa, Kanda non era tanto sicuro che Tiedoll lo avrebbe lasciato uscire di nuovo, visto il suo morboso affetto paterno.

Era già un miracolo che fosse riuscito a trovare casa per conto suo senza troppi impedimenti e quei pochi che aveva affrontato gli erano bastati.

Il problema era che non c’erano alternative e l’idea di andare ad elemosinare un appoggio temporaneo a qualcun altro era fuori discussione. E poi, pur nell’ipotetico quanto improbabile caso che avesse messo da parte l’orgoglio, da chi poteva andare?

Si sentì bussare alla porta: non bastava il ‘topo mannaro’ a tenerlo sveglio durante la notte, ora c’erano pure gli scocciatori che gli facevano delle improvvisate alle dieci di sera.

Finse di non aver sentito, cercando di recuperare la concentrazione per la meditazione, ma ormai era bella che andata.

Aprì la porta con la delicatezza di un caterpillar, trovandosi davanti il sorriso ebete del coniglio idiota del piano di sotto: dunque era vero che i topi e i conigli erano grossomodo cugini, visto come entrambi avevano la tendenza a disintegrare i marroni al prossimo.

“Hai avuto ancora problemi con il topo?”

“Che cosa vuoi?”

“Volevo dirti che ho la soluzione al tuo problema, solo che non ce l’ho adesso. Dovrai aspettare domani mattina.”

“Chiamerò la disinfestazione” disse Kanda, facendo chiaramente intendere che non voleva l’aiuto di nessuno, specialmente se si trattava di lui.

“Oh, quindi andrai a stare per un paio di giorni dal tuo patrigno?” domandò Lavi, ricordandosi del biglietto che questi gli aveva lasciato per tenerlo informato su vita, morte e miracoli di Yuu.

Cazzo! pensò Kanda. La scusa non reggeva. Lavi si sarebbe accorto della bugia che aveva detto e Kanda non aveva intenzione di passare per l’imbecille di turno.

Lanciò un’occhiata al ragazzo dai capelli rossi… e lo sconforto si impadronì di lui più di prima.

“Farò da me, allora” disse sbrigativo ma deciso.

“Non te lo consiglio, sai? I ratticidi sono molto tossici e devono essere maneggiati con la dovuta attrezzatura. Inoltre quei prodotti vengono venduti solo a personale specializzato” sciorinò Lavi, facendo mostra della sua sapienza. Solo un secondo dopo realizzò che era la prima volta che non faceva la figura dell’idiota davanti all’altro, dimostrandogli che, in fondo, non era stupido come poteva apparire superficialmente.

Lo sguardo di Kanda alla sua trionfale uscita diceva chiaramente ‘E quindi?’.

Probabilmente voleva sapere la famosa soluzione al problema, ma non sembrava intenzionato a chiederla esplicitamente, così Lavi gli spiegò chiaramente cosa aveva pensato: “Che ne dici di un gatto?”

“Ti stai prendendo gioco di me?”

“No, no” rispose subito Lavi prima che la conversazione degenerasse per colpa di un malinteso. “Dico sul serio. Molte persone che vivono in campagna hanno il problema dei topi in casa e anziché chiamare la disinfestazione ogni tre mesi allevano gatti.”

Kanda sembrava visibilmente combattuto: da un lato c’era il metodo pratico, efficace e sicuro il cui unico neo era il dover andare dal suo patrigno; dall’altro c’era il metodo primitivo, incerto e cretino di un ragazzo idiota con seri problemi di vista (eh sì, non gli era ancora passata l’irritazione per l’incomprensione del loro primo incontro).

Inutile dire che snobbò l’offerta di Lavi reputandola solo uno scherzo di cattivo gusto e, come volevasi dimostrare, quella notte il topo mannaro si risvegliò dal suo nido di tenebre per compiere la sua crudele missione: fracassare gli zebedei a Yuu Kanda (non che ci volesse molto, comunque).

 

 

 

 

 

     1.Il libro di Lovecraft è più che altro un racconto: ‘I sogni nella casa stregata’

     2.“Ci siamo abbuffati come pochi porci sanno fare”: citazione del mitico Homer Simpson XD

Note dell’autrice

Lo so cosa state pensando, ovvero che sperava che mi fossi dimenticata questa storia e che non l’avrei mai più aggiornata, facendola così marcire nei meandri oscuri del fandom di D Gray Man. Mi spiace per voi, ma mi è ritornata la voglia di scrivere e ho fatto un po’ di chiarezza sulle idee che avevo al riguardo (stavo decidendo in che ordine mettere i vari eventi).

Come si sarà potuto capire i livelli di demenza sono arrivati alle stelle, quindi non aspettatevi una storia che abbia un qualcosa di realistico o con un nesso logico: l’illuminismo è lontano qui.

Scherzi a parte, sono spiacente di avervi fatto attendere ma come detto non ero dell’umore adatto per aggiornare questa storia e avevo anche le idee molto confuse la riguardo. Ma ora ho quasi tutto risolto. Francamente odio l’idea di lasciare una fic sospesa, specie se ho delle idee al riguardo. Al massimo mi prendo più tempo per aggiornarle.

Spero che l’attesa sia stata ben ricompensata e che non siate troppo crudeli da punirmi senza lasciare un commento.

Ringrazio immensamente: BlackRaven, Lirin Lawliet, mago666, MyoshiCross, Rebychan, Ermellino e Myrose per le bellissime recensioni al precedente chap. Scusate se non ho risposto singolarmente, ma vi ho già fatto aspettare tantissimo e non volevo ritardare ancora la pubblicazione, specie considerando che ho poco tempo in questi giorni dato gli esami ancora in corso. Spero che comprendiate: dal prossimo chap risponderò di volta in volta per praticità!

   
 
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