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Autore: Schizophrenia    08/07/2011    6 recensioni
Buchenwald,Germania,1943.
"Il lavoro rende liberi".
Per quanto questa frase viene ricordata adesso con disprezzo, collegata ai numerosi campi di sterminio utilizzati ai tempi di Hitler, non è solo al lavoro che si badava. Non è il lavoro che devono affrontare i giovani di questa storia.
Bea Gurtsieva viene dalla Russia ed è comunista, per questo viene portata nel campo di concentramento di Buchenwald e viene affidata all'allora soldato semplice Mark Schreiber.
Mark Schreiber vuole solo andarsene. Mark Schreiber si è arruolato nell'SS sperando di essere mandato in guerra, ma si ritrova lì, con suo padre, con il quale non ha un rapporto esemplare, a gestire il campo di concentramento.
"Forse fu perché Mark non aveva mai visto un corpo così bello; forse fu semplicemente perché lo attirarono i lividi di cui era ricoperta la ragazza... ma il giovane Schreiber venne scosso da brividi profondi al basso ventre, prima di avvertire l'impulso pressante di prenderla, lì, con violenza; pur sapendo chi fosse."
Genere: Romantico, Storico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Guerre mondiali
Capitoli:
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Ed ecco!
Giovini, non c'è voluto poco per scrivere ciò che vedete, anche se non è poi un granché xD
D'accordo, non sarebbe neanche il periodo adatto per pubblicare una storia del genere ma, in fondo, ne esiste davvero uno?
Esiste forse un momento per ricordare un periodo storico che ha sconvolto totalmente la storia?
Ah, io non lo so mica: lascio la risposta a voi.
Sentivo solo che dovevo scrivere questo perché... perché il nazismo e la Seconda Guerra Mondiale, a loro modo -modo assurdamente strano-, mi affascinano. Non ero presente all'epoca, quindi mi scuso ufficialmente con tutti i lettori. :3
Beh, non ho altre cazzate da sparare, per adesso.
Ah, una nota c'è ù.u
Il titolo di questa storia, “Salviamoci la pelle”, è ripreso da una canzone omonima assurdamente fantastica di Ligabue, vi consiglio di ascoltarla.
Schizophrenia.
 
 
Salviamoci la pelle


Campo di sterminio di Buchenwald, Germania.
14 Dicembre 1943
10:32
 
Il rumore del grilletto, il proiettile che centra perfettamente il punto in cui dovrebbe esserci il cuore, l'adrenalina che sale nel ragazzo che alza e abbassa le spalle, al ritmo del suo respiro...
Da quante ore quel ragazzo era chiuso al poligono di tiro?
Forse da quando aveva ricevuto la notizia di essere riuscito ad entrare nell'SS.
Oh, non che non ne fosse felice: Mark Schreiber aveva versato sudore e sangue per il ruolo di soldato semplice. La cosa che lo irritava da morire, così tanto da rinchiudersi tutto il giorno a sparare ad una sagoma scura, era il fatto di non poter andare in guerra.
Mark Schreiber doveva rimanere lì.
Un nazista prigioniero in un lager; qualcuno lassù aveva un delizioso senso dell'umorismo.
Mark era alto, biondissimo, dalle spalle larghe, il perfetto tedesco se non fosse stato per il suo difetto più grande. Ciò che lo faceva stare male ogni giorno, ciò che gli faceva dubitare di appartenere alla razza ariana, ciò che faceva fare una smorfia di puro disgusto a suo padre ogni volta che lo vedeva: i suoi occhi color cioccolato fuso.
Il biondo sospirò afflitto e ripose la mitragliatrice, uscendo a passo veloce dal quell'edificio, percorrendo velocemente il campo, sentendo l'odore di carne bruciata entrargli nelle narici senza riuscire più ad uscire, ipregnandogli le vesti. I nazisti armati all'ingresso lo conoscevano: insomma, era il figlio del grande capo. Sì, certo, che merda.
 
 
Weimar, Germania.
14 Dicembre 1943
13:20
 
<< Non dovresti essere felice? >>, Walter riusciva sempre a vedere il lato positivo in tutto.
Mark assottigliò lo sguardo, osservando il suo migliore amico, << Potrei mai, adesso? >>
Certo che no. Aveva fatto tutte quelle stronzate... anni di addestramento solo per rendere fiero suo padre... aveva poi, col tempo, imparato anche ad odiarlo ed ora era costretto a rimanere lì, a dirigere il campo di concentramento di Buchenwald con lui. No, non con lui: sotto di lui.
Walter era l'apoteosi del perfetto tedesco: biondo, occhi azzurri. Forse un po' troppo magrolino.
<< Sì, non è così difficile, Mark: stai lì, fai il tuo lavoro e ti diverti ad ammazzare qualcuno quando la giornata inizia a diventare fiacca >>
A volte Mark Schreiber non credeva che quello lì fosse davvero il suo migliore amico: quegli scatti di strafottenza non erano da lui. Era nervoso... o preoccupato. In entrambi i casi era strano.
Il biondo scosse la testa, << Walter, non ho fatto tutto questo per restare lì >> sbottò, irritato, sprofondando nel comodo divano di casa Hoffmann.
Il giovane Hoffmann gli lanciò un'occhiata perplessa: conosceva Mark da troppo tempo per credere a qualunque cosa uscisse da quella bocca, << Vuoi partire o vuoi semplicemente allontanarti da tuo padre? >>
Una scrollata di spalle accompagnò lo sguardo 'improvvisamente diventato nero di Mark, << Voglio solo combattere per la mia patria, va bene? >>
<< Beh, adesso non puoi >> rispose, risoluto, Walter, andandosi a versare della birra in cucina.
Mark alzò il capo, stranito: Walter non era mai freddo. Mai. Soprattutto non con lui: non era riuscito a tenergli il broncio neanche quando la sua ragazza lo aveva lasciato per Mark. Ovviamente, ragazza che Schreiber aveva rifiutato, certo.
Il giovane si passò una mano tra i capelli sospirando: sì, sapeva cos'aveva il suo migliore amico; in fondo si conoscevano fin da quando entrambi abitavano a Berlino, prima della morte di sua... no, era meglio non pensarci. Fatto stava che Walter era un pacifista e odiava il nazismo. Tutti gli Hoffmann aveva le stesse idee di Walter, ma contraddire il governo non è mica cosa facile.
Mark dal canto suo non gli sparava alla testa solo perché senza il suo migliore amico si sarebbe suicidato, sicuramente. Gli era stato insegnato che tutto quello era giusto e naturale come respirare.
Si alzò dal divano, raggiungendo il suo migliore amico, << Senti... okay: hai ragione, sto esagerando >> si stava scusando? Forse; in maniera molto vaga. Era troppo orgoglioso per scusarsi davvero. << Ti va di venire con me, questo pomeriggio? Ti faccio vedere l'uniforme e tutto quello che mi hanno assegnato >> sorrise speranzoso, Mark.
Walter si voltò verso il biondo, osservandolo per alcuni minuti, fino a stendere le labbra in un lieve sorriso, << Certo >>.
Nonostante fosse un pacifista Walter sapeva che il sogno del suo migliore amico era sempre stato diventare un soldato dell'SS, per rendere fiero suo padre, probabilmente -anche se non l'avrebbe mai ammesso-; Mark era riuscito a realizzare il suo sogno.
Quindi, se il giovane Schreiber era felice, anche Walter Hoffmann lo era.
 
 
Campo di sterminio di Buchenwald, Germania.
14 Dicembre 1943
19:30
 
<< Però, carina la tutina mimetica, Mark, hai intenzione di far colpo su qualche ragazza?! >> lo punzecchiò Walter.
Il biondo di fronte a lui non riuscii a trattenersi da una sonora risata: il malumore del mattino era decisamente scivolato via, grazie al suo migliore amico.<< Sai che amo solo te... come potrei pensare di tradirti?! >> rispose, con palese ironia.
No, Mark era così solo con Walter: quello era il vero Mark, e di certo non poteva essere il vero Mark con tutte le altre persone che conosceva; tutte le persone che si aspettavano sempre qualcosa da lui. No, non poteva.
Le risa del novello soldato furono subito accompagnate da quelle del giovane Hoffmann: << Attento, Mark, se tuo padre ti sente parlare così ti butta direttamente nelle camera a gas >>
E ancora giù con le risate, Mark gli rivolse un'occhiata divertita, << Per te, affronterei anche la morte >> lo prese in giro.
Erano sempre stati così legati Mark e Walter? Sì, sempre. Da quando si erano conosciuti in una scuola elementare di Berlino.
E risero, risero fino a sentir male allo stomaco: Walter seduto sul letto del biondo ad esaminare le nuove divise del soldato semplice Schreiber e quest'ultimo in piedi, con indosso una delle divise dell'SS, appunto.
Risero ancora, consci che quello era l'unico modo per sfuggire alla realtà di ciò che succedeva intorno a loro.
Risero, con le finestre chiuse per non sentire l'odore di carne umana che veniva bruciata nei formi crematori.
Risero, perché forse gli era rimasta solo la loro amicizia, in tutta quella merda.
Risero, finché non si sentì un bussare assiduo alla porta della camera di Mark, che subito si ricompose: assumendo un'aria da soldatino per bene. Perfetto, in ciò che perfetto non poteva proprio essere.
La porta si aprì e sull'uscio fece capolino un nazista, vestito con la sua bella divisa perfettamente in ordine. Mark e l'uomo si scambiarono il saluto di Hitler. Mark lo aveva riconosciuto: era un caporale; solo un gradino su di lui, certo, ma poteva sempre dargli degli ordini.
<< E' arrivato un nuovo carico di merce, soldato. Suo padre si aspetta di vederla all'ingresso con gli altri >> furono le parole del caporale. Semplici, sbrigative, fredde; prima che quest'ultimo sparisse dalla visuale dei due.
Mark rivolse lo sguardo verso il suo amico, << E così papà vuole mostrarmi come funzionano le cose... che carino... >> commento, con sarcasmo, aggiustandosi la divisa.
Walter intanto teneva un sopracciglio inarcato, << Merce? >>
Il nazista si strinse nelle spalle, << Sì, merce. Ebrei, prigionieri politici, omosessuali >> spiegò, sbrigativo. << Dio, lo odio. Cerca solo di mettere in chiaro che sono un suo sottoposto e che devo obbedirgli. Non potrò fare nulla di testa mia; continuo a chiedermi perché non mi abbiano mandato sul confine a comba... >>
Le sue parole furono bloccate dall'occhiata del giovane Hoffmann, << Sono persone, non merce >> puntualizzò.
Mark Schreiber sembrava irritato dal fatto che il suo migliore amico ritenesse più importanti le cose di cui la sorte era già stata scritta, esseri inferiori, piuttosto che i continui tentativi di suoi padre di umiliarlo. << Ha importanza? >> chiese, irritato.
Ricevette in risposta una scrollata di spalle e si ritrovò a seguire il suo migliore amico che si affrettava verso l'ingresso del campo.
Sapeva di averlo fatto arrabbiare ma era ciò che gli era stato insegnato sulle persone che venivano portate in quei campi di lavoro. Almeno lì si rendevano utili alla società e, quando non potevano più lavorare, era ovvio che venissero uccisi. Certo, questo secondo ciò che gli aveva detto suo padre, quando Hitler era diventato Führer della Germania nel 1934 e lui aveva solo undici anni. Ormai ne aveva venti, ma non riusciva a pensare che le cose potessero essere diverse.
Walter Hoffmann sembrava proprio non pensarla così.
Camminarono insieme, Mark dietro Walter, fino a quando non videro uomini e donne scendere da un tremo, accerchiati da soldati semplici, caporali, sergenti e tenenti. Erano tutti armati: beh, era ovvio, avevano di fronte una razza inferiore, oltre che malviventi di ogni tipo.
Mark era perfetto in quel momento: era in posa, come un soldatino, teneva in mano il fucile, pronto per l'utilizzo. Se non fosse stato per quegli occhi nocciola che lo facevano sembrare così poco tedesco. Continuò a tenere sotto controllo la situazione, osservando ogni deportato con particolare attenzione.
<< Ho qualcuno da affidarti >> sobbalzò alle parole del maggiore Schreiber, suo padre.
<< Di chi si tratta? >> Mark non lo guardava: teneva lo sguardo fisso sulla folla.
<< Una deportata un po' speciale >> suo padre stava ghignando, era evidente.
Uno sbuffò sonoro provenne dalle labbra di Walter, << Non fanno tutti ugualmente schifo? >>. Il ragazzo omise un "per voi" che però pensava da troppo tempo.
Il maggiore sorrise, un sorriso alquanto viscido, << Oh, salve, Walter, sei venuto a trovarci? Non me n'ero accorto. Comunque sì; ma questa persona ci, come dire? Serve >>
Mark sembrava curioso, ma non si azzardava a guardare suo padre negli occhi, << Per cosa? >> trovò il coraggio di chiedere.
<< Verrai a saperlo a tempo debito >> le parole di suo padre, prima che si avvicinasse ad un tenente.
Poi lei fece il suo ingresso, ma per Mark fu uguale a tutti quanti; ma Walter, oh Walter capì subito che il maggiore Schreiber, il padre del suo migliore amico, stava parlando di lei: era effettivamente speciale. C'era qualcosa di elegante nel pallore niveo e malato che le avvolgeva il corpo. I boccoli corvini le ricadevano setosi e lucenti lungo la schiena: sembrava non aver risentito del lungo viaggio, tra pulci e malati di ogni genere. Il nasino all'insù le dava un'aria anche un po' altezzosa. Era bassa: bassissima e minuta. Walter iniziava a chiedersi se con un corpo così gracile avrebbe resistito lì dentro ma i suoi occhi verdi rilucevano di pura sicurezza. Sicurezza e decisione, qualità che annebbiavano l'alone -ahimè, pur sempre presente- di tristezza.


 
"Noi l'ameremo, finché cadrà
perciò , dio voglia, ci piacerà
Ci piacerà, ci piacerà, ci piacerà 
ci piacerà, ci piacerà, ci piacerà!
Cambiare stile, falciando teste,
Cambiare amore, cambiare veste,
Tradire tutti, per non star solo.
Qualunque cosa...
Se piacerà!"
[E' solo febbre, Afterhours]
   
 
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