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Autore: Shadeyes    08/07/2011    8 recensioni
Fiction molto dura, ambientata durante le vicende di Eclipse e, in seguito, di Breaking Dawn. Non si tratta della solita storia sdolcinata, piena di amore e problemi di coppia. No, questa storia vuole ritrarre qualcosa di doloroso, di cupo e drammatico. Qualcosa di immutabile. Qualcosa che la Meyer ha giusto accennato e qualcosa di cui molti di noi si sono dimenticati.
Ci sarà passione, delusione, gelosia, rabbia e malinconia. Ci saranno lacrime, ferite, ricordi dolorosi, tradimenti.
E ci sarà lei, l’innocenza e la morte. La piccola, dolce, spietata Meredith.
Certe cose sono fatte per andare e venire, il tempo è fatto per essere passato, presente e futuro, altrimenti nulla avrebbe più davvero senso. Ma la verità è che il cambiamento era un privilegio che ci era negato e vivere iniziava a perdere di significato.
Ecco perché ci trovavamo sul tetto di un palazzo, quella notte. Stavamo dando un senso a ciò che eravamo.

Questa fanfiction si preoccupa di sensibilizzare il lettore, in maniera metaforica, sugli aspetti di una rara malattia psicosomatica: l’infantilismo.
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Sorpresa, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Eclipse, Breaking Dawn
Capitoli:
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Non sono solita a scrivere NdA prima del capitolo, sono fermamente convinta che distrugga la grafica del post, ma mi sento in dovere di dire qualcosa stavolta. Credo sia importante.
Infantility non è un titolo a caso. Significa infantilismo, e designa una grave e rara malattia che va a intaccare la mente e il corpo di un individuo che ne è affetto. L'infantilismo comporta un difetto di crescita; il soggetto conserva caratteristiche psichiche e somatiche tipiche dell'infanzia.
Prima di iniziare a scrivere questa storia, non sapevo nulla della malattia, ma mentre cercavo un titolo da darle, "Infantility" mi lampeggiò nella mente, senza come né perché. Non sapevo nemmeno cosa volesse dire.
Allora ho iniziato con le ricerche e ho scoperto, leggendo, gli orrori psicologici che queste povere persone sono costrette ad affrontare, giorno dopo giorno, e ho preso a cuore ogni loro storia.
In un certo senso, Infantility rappresenta metaforicamente la malattia omonima, e ho deciso di dedicarla ad ognuna di queste persone, perché ognuna di loro è speciale... anche se non lo sapranno mai.

In conclusione, prima di lasciarvi al capitolo, dopo questa mia nota un po' triste e drammatica volevo tirarvi un po' su di morale e farvi sorridere un po' ^^'
In questi giorni, ho preparato un video che vorrebbe fare da trailer a questa mia fanfiction xD Dico vorrebbe perché è la prima volta che creo interamente un video su youtube, la prima volta che uso Movie Maker, la prima volta che mi metto in gioco così... Insomma, è uno schifo, ne sono consapevole xD
Semplicemente, mi piaceva l'idea e volevo un po' divertirmi ad assemblare i pezzetti che avevo in mente ^^' Non siete costretti a guardarlo, anche perché è un grandissimo spoiler di quella che sarà la storia, anche se sinceramente credo che dal video si capisca ben poco xD Comunque, se aprirete il link, sarà a vostro rischio e pericolo v.v Io vi consiglio un digestivo prima, se avete appena mangiato, perché non vorrei essere la causa di stomaci contorti e indigestioni varie xD
Per vedere il video, cliccate sul banner della fanfiction qui sotto :) Spero comunque che vi piaccia (che speranze vane, le mie xD)!
Ora vi lascio al capitolo, ci risentiamo di sotto ^^ Buona lettura!








Infantility








1. Meredith







Montréal mi piaceva.
È vero, lo smog rendeva quasi fastidioso respirare, ma la bellezza storica che colmava quella cittadina riusciva sempre ad affascinarmi. Ogni volta che ci tornavo, avevo la sensazione di essere di nuovo a casa.
Forse era il sapore europeo che mi scaldava il cuore così. Il Québec, in un certo senso, possedeva un pezzo della mia cara Bordeaux. Anche se, dovevo ammetterlo, la Vieux-Montréal col suo centro storico surclassava di molto quello della mia città natale. Ma forse ricordavo male.
«Meredith, lo senti?».
Okay, la Francia non era proprio il mio paese di nascita, ma non avevo mai vissuto abbastanza a lungo in un posto per sentirlo… mio. Solo Bordeaux, immersa nei suoi splendidi vigneti, aveva trovato un piccolo posto speciale dentro di me. E poi, adoravo parlare francese!
«Meredith!».
«Che c’è?», sussurrai seccata.
«Un po’ di concentrazione, per Dio!».
Sbuffai impercettibilmente. Si fa per dire.
«Se hai sentito qualcosa, è inutile che sussurri, perché quel qualcosa si sarebbe già accorto di noi», risposi alzando il tono di voce. Mi rizzai da accovacciata com’ero e mi sedetti comodamente sul parapetto dell’edificio, lasciando che le gambe penzolassero nel vuoto.
L’aria fresca di primavera inoltrata mi sferzava il viso e mi scompigliava i capelli, neri come quella notte.
«Cosa ti tormenta, Meredith? Qualche ora fa stavi bene…».
Mio padre aveva il brutto vizio di preoccuparsi troppo. A volte poteva passare per la tipica madre apprensiva… se naturalmente non fosse stato affetto dal cromosoma Y. Dicono che le donne sono gli esseri più complicati di questo mondo e che quando gli gira per i fatti loro diventano isteriche e intrattabili, ma, stando all’istinto materno, mio padre non era poi tanto diverso da noi. Per quanto mi riguarda, non avevo di questi problemi.
«Niente, Caleb. Solo un po’ di sana nostalgia». Mi voltai a guardarlo e gli sorrisi mestamente.
Era alto, molto alto per me, e piuttosto magro. I pantaloni neri e la camicia azzurra nascondevano i muscoli poco pronunciati. Aveva lineamenti dolci seppure un po’ scavati, gli occhi di un castano scuro e i capelli dello stesso colore raccolti in una piccola coda che gli ricadeva dietro le spalle. La pelle bianca si notava a stento con le luci eccessive della città, mentre io sapevo che sembrava quasi risplendere sotto il chiarore lunare. Era bello, mio padre.
«Montréal ti fa sempre quest’effetto, non è vero?», domandò comprensivo.
Annuii. «Perché non ci stabiliamo qui per un po’? J'aime l'atmosphère française… e toi aussi!».
Dio, quanto adoravo parlare francese!
«Sai che non possiamo, Meredith», si avvicinò, «Ci siamo già fermati abbastanza».
«È trascorsa appena una settimana!», esclamai, ma con nessuna vera speranza di successo. Sapevo che aveva ragione.
«Per l’appunto», concluse.
Abbassai lo sguardo, delusa. Ero stanca di fare quella vita, di fuggire, di nascondermi. Per una volta avrei semplicemente voluto avere una mia, una nostra casa, di quelle belle fuori città, con un giardinetto da curare ogni giorno e un salotto con le pareti tappezzate di mensole e quadri dove poter riporre le foto dei nostri viaggi, unici resti del nostro passato. Dopo qualche tempo, avremmo finito per rimirarle con un pizzico di malinconia…
Certe cose sono fatte per andare e venire, il tempo è fatto per essere passato, presente e futuro, altrimenti nulla avrebbe più davvero senso. Ma la verità è che il cambiamento era un privilegio che ci era negato e vivere iniziava a perdere di significato.
Ecco perché ci trovavamo sul tetto di un palazzo, quella notte. Stavamo dando un senso a ciò che eravamo.
«Quando credi che si deciderà a farsi vivo?», gli chiesi un po’ spazientita. «È da quando è calato il sole che lo stiamo aspettando!».
«Presto, Meredith. Questa sera avrà bisogno di nutrirsi», mi rispose, scrutando la città. «Dubiti delle mie doti di spionaggio?», domandò in tono scherzoso. Vederlo sorridere mi rendeva gioiosa, anche perché non capitava spesso, anzi era così raro che, se avessi provato ad immaginarlo, non ci sarei riuscita. Eppure, con lui ero felice.
La mia fu una risata cristallina. «Assolutamente no, grande capo!».
Si stava rivelando una bella serata, dopotutto. Era un peccato che il cielo fosse cupo, un po’ di stelle non avrebbero guastato. Almeno nell’attesa avrei ripassato le costellazioni. La pazienza non era decisamente il mio forte.
Sospirai e chiusi gli occhi, decisa ad ascoltare ciò che andava oltre il mio udito. Scacciai ogni nota di vivacità che avevo in corpo e richiamai l’assoluta concentrazione, pronta e determinata a fare il mio dovere.
Portai una mano al petto e strinsi tra le dita il piccolo crocefisso d’argento, ormai annerito dal tempo. Era una delle cose a cui tenevo di più e la portavo sempre al collo, come fosse parte di me, alla faccia di chi per decenni aveva insinuato che fosse nocivo per noi. Me lo regalò Caleb per il mio tredicesimo compleanno, o quinto, che dir si voglia, e mi aiutava a scacciare i pensieri brutti quando avevo paura.
Lo accarezzai con attenzione, mentre a bassa voce recitavo una preghiera.
«Signore, dammi la forza. Dammi il vigore di correre, stanotte, più veloce dell’Oscurità. Dammi la foga per fermarla e sconfiggerla. Dammi il coraggio per fare giustizia, e questo giorno un’altra anima verrà salvata». Caleb mi fece da eco mentre pronunciavo l’ultima frase.
Sospirai di nuovo e stavolta sentii l’energia che vibrava dentro il mio corpo, un formicolio che mi si esaurì in viso, così seppi che la mia espressione innocente era cambiata. Quando aprii gli occhi, avevo lo sguardo da omicida.
I miei sensi si estesero e percorsero le vie della città sottostante, cercando carne fredda, vuota, selvaggia. Inumana. E la trovarono.
Qualcosa correva nella notte, veloce e silenzioso. Era nella periferia, al porto.
Potevo sentire il suo respiro ansante, ma non di affaticamento. Quello era un respiro diverso, carico di brama, di desiderio… di morte.
Era a caccia. E noi stavamo per iniziare la nostra.
Caleb mi sfrecciò davanti e saltò dal tetto su cui eravamo a quello adiacente, poi quello dopo ancora, correndo verso la banchina, così mi alzai e lo seguii. Ora ero io a sferzare il vento.
Correre mi veniva automatico. Solo gli occhi seguivano i miei passi veloci, mentre gli altri sensi si proiettavano molto più avanti, dove la preda si spostava. La sua sete di sangue era diventata la mia, ed era talmente esasperante da seccarmi la gola. Sete.
Un ringhio gutturale mi fece tremare il petto e potei sentire il mio autocontrollo che s’incrinava. Il mio olfatto allora si espanse e percepì litri e litri di calda e dolce linfa che scorreva nelle vene di centinaia di passanti, di umani che riposavano ignari nei loro letti, nei palazzi che oltrepassavo, uno dopo l’altro.
Deglutii a fatica e cercai di nuovo la concentrazione per continuare l’inseguimento. Ormai eravamo vicini alla banchina.
Vidi Caleb saltare giù dall’ultimo palazzo e lo sentii continuare la corsa lungo il fiume, allora cambiai strada e costeggiai il suo passo dall’alto. Avevamo le nostre tecniche di accerchiamento e io ero l’Effetto Sorpresa. Inutile dire che la cosa non mi dispiaceva. Rendeva il gioco molto più divertente.
Mi fermai, non potendo evitare di strisciare le mie Nike per qualche metro. La lotta era cominciata.
Il vampiro stava difendendo il suo territorio.
Cambiai di nuovo direzione, stavolta sfrecciando diretta verso il San Lorenzo.
Arrivata all’ultimo edificio prima della banchina, saltai. In quell’attimo, li vidi mentre combattevano come due grossi felini, sibilando e azzannando l’aria. Nella frazione di tempo prima che saltassi addosso alla preda, Caleb si divincolò e lo spinse alla mia portata. Si era accorto di me, lo vidi dall’occhiata feroce e sanguigna che mi scoccò, ma non abbastanza in fretta per reagire, così gli scaraventai contro tutta la mia forza e ruzzolammo entrambi lungo il marciapiede. Lo bloccai sotto di me appena prima di finire dentro l’acqua ― pura fortuna, non certo grazie alla mia accortezza ―, gli piantai il mio ginocchio destro alla base dello sterno e gli serrai gli avambracci con le mani.
Sentii la pressione che esercitava sulle braccia per sciogliersi dalla mia stretta e dovetti rinserrare la presa, tanto che vidi la sua pelle creparsi, allora smise di dimenarsi e mi guardò con un misto di rabbia e sgomento negli occhi. Straordinariamente, riesco ad essere l’Effetto Sorpresa più di una volta nel combattimento! Nessuno mi attribuirebbe mai una tale forza. In un certo senso, adoravo essere sottovalutata così.
«Dovevate essere tutti morti!», ringhiò. Da parte mia, sorrisi dolcemente, nonostante quegli occhi rossi mi disgustassero. Il suo viso era quasi irriconoscibile, sfigurato dalla smorfia di sete e dolore, di odio e narcisismo, dal senso di difesa che conferisce lo scoprire i denti affilati.
Comunque, pensai che doveva essere un bel ragazzo da umano.
«Io sono morta».
La mia risposta più che tranquilla lo fece infuriare ancora di più. «Questo è il mio territorio e lo rivendico!». La sua voce era rauca e graffiata dagli anni di una vita selvatica.
«Ti senti davvero in grado di reclamare qualcosa da quella posizione?», domandò Caleb alle mie spalle. Quant’era maligno!
Il vampiro gli sibilò contro e riprese a dibattersi con più impeto di prima. Fece leva sulla mia stessa presa e mi alzò sopra la sua testa, scaraventandomi qualche metro più avanti sulla banchina.
Mi rialzai subito e lo vidi mentre si lanciava su Caleb, furente. Ringhiai mentre gli balzavo di nuovo addosso, decisa a porre fine a quella seccatura.
Gli piantai la mano sinistra alla base del collo e con l’altra gli afferrai un polso. Caleb fece lo stesso con l’altro braccio. Le sue giunture si spaccarono con un sonoro schiocco. Con uno strattone deciso, gli strappammo gli arti superiori e le sue urla riempirono il mio udito, mischiandosi a tante altre che la mia memoria non aveva dimenticato.
A quel punto Caleb si allontanò, lasciandomi fare. Mi aggrappai con le gambe ai suoi fianchi, per portarmi alla sua altezza, e tornai a guardare negli occhi la mia preda. La paura che vidi non era altro che il riflesso di molte altre che in passato avevano attraversato il mio viso, quello di altre mie prede e delle sue.
Gli presi il volto fra le mani, come una donna può fare con il suo amante per baciarlo appassionatamente prima di una lunga e dolorosa separazione.
«Giustizia sarà fatta su di te, in nome di coloro che hanno perso la vita per donarla al tuo corpo senz’anima».
I suoi occhi si spalancarono e si riempirono di puro terrore, poi feci ciò che già avevo fatto con le sue braccia e le urla cessarono di annebbiarmi la mente.
Ritoccai terra con i piedi un attimo prima che il suo corpo straziato si afflosciasse e mi crollasse davanti.
«Che Dio possa perdonare ciò che di umano ti è rimasto», mormorai e mi feci il segno della croce.
Alzai lo sguardo dai resti e vidi la mia immagine riflessa sul vetro di un edificio a specchio, ma non c’era niente che rivelasse la donna dalla forza e la ferocia disumane che aveva appena commesso un omicidio. Rasentavo l’immagine dell’innocenza.
Il mio sguardo era l’unica cosa che lasciava trapelare la mia vera essenza, la mia vera età, il mio reale tormento. Occhi di ghiaccio, senz’anima, graffiati da ciocche di capelli del colore della notte più cupa. La Tenebra in persona, immedesimata in un corpo troppo giovane per le sue tetre gesta.
Ma io non ero come loro, non ero un’assassina. Non più.
Ero la loro giustiziera. L’arma di Dio.
Una bambina immortale.







Divisore Infantility








Buongiorno, cari lettori! xD
Sì, lo so cosa state pensando... sono come un fungo fastidioso, ogni tanto ricompaio! Ma cosa posso dire? Scuola, lavoro, qualche visita alla sala gessi e un pessimo, lungo periodo nero che mi ha allontanato da ciò che mi era più caro.
È passato più di un anno dall'ultima volta che ho scritto qualcosa di concreto, non so se per mancanza di ispirazione o per aver anteposto altre cose alla scrittura. Probabilmente, entrambe le cose e me ne vergogno. Scrivere non mi ha mai deluso, è un piacere continuo che mi dà esattamente quanto gli concedo io, mai di meno.
Come ho detto, è da molto tempo che non scrivo e credo di aver perso un po' la mano... Questo primo capitolo l'ho scritto veramente col cuore, troppo felice di riprovare l'emozione di riempire quelle pagine di word, riga dopo riga, ma mi rendo conto che questo me lo fa vedere con occhi diversi ^^' Siate voi imparziali al posto mio e ditemi le vostre impressioni... credo di averne proprio bisogno! xD
Il personaggio di Meredith si spiegherà meglio nei prossimi capitoli, man mano che le storia s'infittirà, ma io, che già la conosco bene, non posso fare a meno di amarla... Spero sappia entrare anche nei vostri cuori :)

Ripeto ciò che ho scritto sopra, se vi interessano gli spoiler e se con questo primo capitolo vi ho incuriosito almeno un po', QUI trovate una specie di trailer di Infantility xD

Grazie di avermi ascoltata, grazie di aver letto, grazie se vorrete recensire (risponderò ad ognuna di voi, naturalmente, con la mia solita prolissione xD)! Ricambierò volentieri il favore :)


Au revoir, mes chers lecteurs! :)


Hilary

   
 
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