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Autore: a Game of Shadows    10/07/2011    3 recensioni
Il principe Edoardo, erede al trono d’Inghilterra, era uno dei figli prediletti della Regina Vittoria. Per motivi burocratici, ciò che comportò la morte della sua povera madre fu insabbiato e sostituito con la ormai celebre versione della sua dipartita del 22 gennaio 1901 a Osborne House all’Isola di Wight. Nessuno, chissà perché, si è mai chiesto perché si dicesse che la Regina fosse ancora sull’isola alla fine di Gennaio quando solitamente passava in quell’abitazione solo le vacanze di Natale.
Genere: Mistero, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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IX. Another case has been closed.

Per quanto possa sembrare sadico ai miei lettori, sarò onesto e lo dirò comunque: vedere il grande Sherlock Holmes in imbarazzo, per me era una soddisfazione immensa. Quasi si apparava al ritorno vivo dalla Seconda Guerra.
Dopo quel veloce scambio di battute, sembrava quasi che mi avesse messo il broncio, colpevolizzandomi di averlo fatto rischiare troppo di dire qualcosa di molto compromettente per la sua mente strettamente logica.
Quella, per me, fu una grande vittoria.
Mi sarei ritenuto soddisfatto solo sentirlo ammettere che, almeno un po’, a me ci teneva. Ne avevo avuta ampia dimostrazione durane tutti quegli anni di sofferta convivenza (perché sì, convivere con lui e le sue eccentriche abitudini era davvero una sofferenza, molto spesso), ma le parole rendono concreto un fatto già dimostrato, ma cui si stenta a credere.
Nonostante sapessi che provava un profondo affetto verso di me, pensare a Sherlock Holmes come una persona in grado di legarsi a qualcuno mi sembrava comunque strano.
Sfortunatamente il primo impatto che si ha a proposito di una persona è ciò che condiziona il modo in cui si vede anche nel tempo a venire, per quanto profondamente poi si possa arrivare a conoscere, e la prima impressione che lui aveva dato a me era quella di una persona fredda, cinica, irritabilmente ironica e insensibile a qualunque cosa che non fosse una sfida.
Quale fosse stata la prima impressione che lui aveva avuto di me e che ancora lo condizionava, non so dirlo.
Forse, nella sua unicità, Holmes era l’unico essere umano a essere riuscito a superare quel velo di superficialità cui chiunque altro è sventuratamente sottoposto, e riusciva a vedermi completamente solo per quello che ero, e non per quello che gli ero sembrato. Sapevo per certo che chiunque mi avesse incontrato, a primo impatto mi aveva visto come una persona composta, ligia alla legge, cosa che con lui non ero stato. Mi chiese di baciarlo solo perché sapeva che lo avrei fatto, che avrei infranto la legge contro la sodomia, quindi ha cambiato del tutto la sua visione di me.
O, forse, mi aveva visto sin dalla prima volta, in modo perfettamente coerente alla mia persona.
Purtroppo sono solito divagare in monologhi interiori quando trovo un argomento che si presta facilmente a quest’azione quindi ho disperso l’argomento iniziale di questo dibattito.
Volevo vedere quanto Holmes potesse uscire dagli argini in cui lo avevo inconsciamente costretto nel giorno in cui c’eravamo conosciuti.
Mi superò velocemente appena entrammo in casa, cercando di sparire in camera sua senza neanche lasciare il cappotto sull’appendiabiti o togliersi il cappello dalla testa.
Istintivamente, mossi qualche passo più veloce e lo fermai a un soffio dalla sua porta, afferrandolo per un braccio. Incredibilmente, non obbiettò a questo mio gesto. Forse si aspettava che lo avrei fermato, anche se avrebbe senza dubbio preferito il contrario. Comunque non si voltò verso di me, né proferì parola.
“Holmes, ho bisogno di saperlo… lei ci tiene a me?”
La sua reazione fu esattamente quella che mi aspettavo: il silenzio. Non so quanto tempo rimasi in attesa, tenendo ben stretto il suo braccio tra le dita per impedirgli di andarsene, mentre lui, immobile, fissava il pavimento, il cappello calato sugli occhi.
“La risposta è scontata” disse finalmente, interrompendo il silenzio.
“Voglio sentirla comunque”
“Ha idea di quanto mi sta chiedendo, Watson?!”
M’immobilizzai a pensare un attimo; era questo che lo tratteneva, il suo orgoglio. Sapeva che sapevo (vi prego, perdonatemi il gioco di parole) che ci teneva a me, ma non riusciva a dirmelo per paura di sembrare debole. Sarebbe stato così per chiunque, forse, ma non per me. Certo, la freddezza che lo contraddistingueva gli regalava una gran dose di fascino, ma in tutti quegli anni di convivenza avevo avuto più di un’occasione per scoprire che non era l’unico elemento affascinante in lui. Semplicemente Lui lo era, ogni cosa che facesse parte della sua persona gli dava quel misterioso fascino. In conclusione, del suo orgoglio m’importava ben poco.
“Sì. E mi dispiace chiederle tanto, ma voglio sentirglielo dire. Per favore, Holmes”
Si liberò della mia mano con uno strattone e si voltò verso di me, seppur non guardandomi negli occhi. Quella fu la prima volta che vidi Holmes non del tutto sotto il proprio controllo.
“Si! Sì, ci tengo a lei, tengo a lei più di quanto non abbia mai tenuto a nessun altro! Contento adesso?”
Ebbi appena il tempo di vederlo arrossire che si voltò di nuovo per cercare ancora una volta di barricarsi in camera sua ma, preso da un improvviso slancio d’affetto e una buona dose di speranza, lo fermai ancora una volta, abbracciandolo da dietro. Lo sentii congelare tra le mie braccia, di nuovo immobile.
Rimasi in silenzio in quella posizione per qualche minuto, muovendo lentamente le mani in una carezza per cercare di farlo rilassare. Poco a poco, ci riuscii.
Avrei potuto accontentarmi del fatto che non si fosse ribellato perché era sicuro come il sole che sorge al mattino che sarebbe stato in grado di stendermi anche nelle sue precarie condizioni di salute, ma ormai non mi bastava più.
“Holmes” lo chiamai, cercando di mantenere un tono di voce dolce.
“Mh?”
“Sa cosa sto per chiederle, vero?”
“Qualunque sia la sua domanda, la mia risposta è ‘delirio da febbre’” rispose subito.
Sì, aveva capito, ma quella non era la risposta che volevo. Non era neanche la verità, ne ero sicuro.
Questo era il mio caso, quello che avevo seguito da solo in quasi quindici anni. Era lui il mio caso, e intendevo concluderlo quella notte.
“Non è vero”
Lo sentii irrigidirsi di nuovo e di nuovo ripresi la carezza per farlo rilassare, ma questa volta con scarso successo. Appoggiai la testa sulla sua spalla e chiusi gli occhi, credendo quasi che forse sarebbe stato meglio gettare la spugna. Potersi dichiarare vincitore contro Holmes era più unico che raro, non sapevo quanto mi sarebbe stato utile sperare ancora.
Lo sentii barcollare leggermente nella mia stretta così ricordai che, stupidamente, mi ero dimenticato che aveva la febbre.
Allungai una mano oltre il suo corpo fino a girare la maniglia ed aprire la porta di camera sua. Non rinunciai al contatto con il suo corpo neanche un istante per paura che potesse scappare via da me, quindi quando gli girai intorno per raggiungere la porta, lasciai che il mio braccio seguisse il mio movimento intorno alla sua vita, per poi scivolare lungo il suo braccio ed afferrargli la mano.
Non ricambiò la stretta. Non si mosse ancora in nessun modo.
Cercai anche l’altra sua mano, per poi cominciare a camminare a ritroso nella sua stanza, trascinandomelo dietro.
La tesa del cappello mi impediva di vedere i suoi occhi, ma riuscivo a intravedere le sue guance ancora arrossate.
Mi fermai quando affiancammo il letto, avvicinandomi a lui del passo che aveva mantenuto di distanza tra di noi. Gli tolsi il cappello e lo posai ai piedi del letto, così come feci con il suo cappotto.
Affondai una mano tra i suoi capelli e lo portai verso di me per un nuovo abbraccio.
“Posso sapere almeno quale è stato l’esito dell’esperimento?” chiesi, affondando il viso tra i suoi capelli.
Lo sentii stringersi leggermente a me, seppur senza ricambiare l’abbraccio – non che mi aspettassi che lo facesse, strappandomi un sorriso.
Non rispose neanche questa volta.
Allontanai la mano dai suoi capelli e la portai sulla sua fronte: scottava ancora. Aveva bisogno di riposo, molto, e questa volta non avrei permesso che si alzasse solo per suonare alle tre della mattina, avessi dovuto bere caffè tutta la notte per rimanere sveglio.
Lo lasciai andare, allontanandomi lentamente, sempre con la paura di vederlo scappare da me, ma non si mosse. Scostai le coperte velocemente e tornai a fronteggiarlo. Gli afferrai delicatamente le spalle e lo obbligai a stendersi per poi coprirlo fino a sotto gli occhi.
Riuscii a mala pena a muovere qualche passo verso la porta, con la semplice intenzione di andare a prendere una pezza umida da mettergli sulla fronte che la sua voce mi fermò.
J’ai découvert que je t’aime
Sorrisi, appoggiando una mano sullo stipite della porta. Non avevo capito, ma almeno aveva detto qualcosa.
“Credo che ormai lo sappia, Holmes. Io non conosco il francese”
Sapevo perfettamente che non mi avrebbe ripetuto quanto mi aveva detto in quella lingua che per me rappresentava l’ignoto, quindi uscii e presi quanto sopra citato, per poi tornare da lui.
Adesso era letteralmente seppellito sotto alle coperte, solo qualche ciuffo di capelli spuntava fuori.
“Holmes?” lo chiamai.
La sua risposta fu un borbottio indistinto, probabilmente non fatto per essere capito quanto a segnalarmi che era ancora sveglio.
Mi sedetti sul bordo del letto e gli scoprii il viso. Un attimo dopo, non era più steso su un fianco, ma sulla schiena, con la pezza umida sulla fronte e gli occhi socchiusi fissi nei miei.
Non riuscivo a non sorridere. Credo che quello sia stato il contatto visivo che ho mai avuto con Sherlock Holmes. Nessuna parola, nessuno movimento.
Mi sembrava quasi di sentirlo parlare, solo guardandolo negli occhi. Quasi sentivo la musica che suonava parlare al posto delle parole.
“Perché mi ha baciato, Holmes?” ripetei infine la domanda, ancora speranzoso.
“Io non l’ho baciata” scosse leggermente la testa con un lieve sorriso.
Quel sorriso davvero rinnovò la mia speranza, nonostante la sua risposta.
“Perché mi ha chiesto di farlo?”
“In realtà gliel’ho già detto” distolse lo sguardo. Il nostro prezioso contatto visivo s’era interrotto. “Mentre tornavamo qui”
“Parlavamo del caso”
“Era affine al caso, infatti”
“In quale modo?”
“Può arrivarci da solo, dottore. Non mi deluda”
Ripercorsi mentalmente tutto quello che ci eravamo detti durante il tragitto, quando lui aveva interrotto il silenzio.
Mi aveva spiegato ciò che ancora non sapevo del caso e l’importanza dell’amore in esso.
Oh. fu l’unico pensiero che riuscii ad elaborare.
“Ha- ha a che fare con il movente del ragazzo?” balbettai, preda dell’emozione, ma lui continuava imperterrito a non rispondere.
Stava testando gli effetti dell’amore su di me.
Mi stesi accanto a lui, sopra alle coperte, cercando un contatto visivo che non riuscivo più a trovare. Continuava a rimanere voltato verso il muro, come se questo potesse dirgli qualcosa di più interessante di quanto potessi dirgli io.
Cercai di non essere troppo invadente quando portai due dita al suo mento e lo costrinsi a voltare il viso verso di me. La pezza umida gli cadde dalla fronte ed io, ormai disturbato dalla sua presenza, la tolsi dal cuscino a la lasciai cadere a terra.
Holmes continuava a non guardarmi, seppur adesso costretto a rimanere voltato verso di me.
“Lei… lei è innamorato di me, Holmes?” chiesi, esitante.
La sua risposta fu sostituita da un sospiro subito dopo il quale chiuse gli occhi con rassegnazione.
Portai una mano sul petto, sentendo il cuore pericolosamente fuori battito.
Un altro grave problema dell’essere umano è quello di essere costantemente colto impreparato a qualunque cosa.
Aspettati l’inaspettato e niente potrà sorprenderti. Non ricordo chi me lo disse. Forse mio padre, forse Harry ma mai come in quel momento avrei voluto essere stato in grado di seguire un consiglio apparentemente così elementare.
Il problema in sé dell’uomo è che dopo che aspetta un determinato momento da tutta la vita, quando quello arriva non è mai abbastanza preparato per reagire.
Dio solo sa quanto avevo sperato, un giorno, di sapere che Sherlock Holmes era innamorato di me, mi ero immaginato mille volte come avrebbe potuto essere, come avrei potuto reagire ad un’eventuale dichiarazione, ma non riuscivo a mantener fede a nessuna delle mie fantasie.
Riuscivo solo a rimanere immobile a fissare le sue palpebre chiuse, con il cuore che rimbombava nelle orecchie e senza la piena coscienza che il mio sogno da eterno romantico si era avverato come nella più bella delle favole in cui io mi rivedevo stupidamente nella principessa.
Il mio principe azzurro era finalmente arrivato.
Dopo qualche attimo (in realtà, non so quanto tempo passò. Potevano essere attimi, minuti o ore), lo vidi sedersi e cercare di scavalcarmi per alzarsi dal letto.
Mai fino a quel giorno avevo creduto che agire di puro istinto fosse un bene.
Il suo movimento mi aveva svegliato dallo stato di trance in cui ero caduto e, appena avevo visto che stava davvero cercando di allontanarsi da me, avevo strinto il colletto della sua camicia tra le mani e me lo ero spinto contro per un bacio.
Se all’inizio cercò di respingermi, cercando di portare anche l’altra gamba fuori dal letto per potersene andare, borbottando lamentele indistinte tra le mie labbra, dopo non molto la sua resistenza crollò e si lasciò andare.
Riuscii a ricordare distintamente tutto quanto successe solo quando, la mattina dopo, riaprii gli occhi.
Non voglio che ai miei lettori vengano strane idee, non successe nulla al di fuori dell’ordinario, quella notte, se non quel bacio.
Quando mi svegliai, però, lui era voltato su un fianco, l’opposto al mio, ancora profondamente addormentato, mentre la sua mano stringeva la mia, sul cuscino.




Fine.









[NdA]
Mumble mumble...
E' finita davvero.
Quanto tempo è passato dall'ultima long che ho concluso? Mi sembra un secolo, perchè davvero, non ricordavo che facesse così male staccarsi da una fanfic a cui ci si è affezionati così tanto.
Se Taking Care Of You è la mia bambina nel fandom RDJude, credo che questa rimarrà per sempre la mia piccola in questo.
Nove capitoli, solo 26 pagine di word, ed eccomi qui, a salutare con malinconia questa fanfic, nonostante sia passato solo un mese e 3 settimane esatte da quando è iniziata.

Che dire? Non voglio cliccare la casella "conclusa". Non voglio mai farlo quando mi affeziono ad una fanfic. Odio quando succede solo per questo. La fine si prospetta terribile.

Una precisazione: la frase in corsivo affidata ad uno degli Watson Sn. a vostra scelta, è stata pronunciata da Michael J Fox in uno degli episodi in cui è comparso nella sitcom "Scrubs", nel ruolo del dottore/chirurgo Kevin Casey.

I ringraziamenti. Saranno banali, come al solito, perchè non so mai come ringraziare chi segue quello che scrivo.
Sembra sempre di essere ingrati, di ringraziare solo per non perdere lettori, quando è proprio il fatto che qualcuno legga che da l'impulso a scrivere ancora e lo si farebbe anche se ci fosse una sola persona a dare sostegno.
Detto questo, si ringraziano calorosamente tutte le persone che hanno preferito, seguito, ricordato, recensito e anche solo letto e chiunque lo farà in futuro.

Il ringraziamento speciale nonché dedica va a Haibara Stark (ovviamente la dedica va a lei, non al negozio O.o) e il negozio d'abbigliamento Bershka (il suo sito --> http://www.bershka.com/) che hanno reso questa fanfic possibile.
Il nostro primo caso può essere inserito in archivio, Erica u.u

Adesso vi saluto, promettendo che con la conclusione di questa fanfic dedicherò più tempo a Logic for the Hero.

Conto di rivederci, stanotte, almeno altre due volte prima che io vada a dormire. :)

Grazie ancora a tutti.
   
 
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