IX. Another
case has been closed.
Per
quanto possa sembrare sadico ai miei lettori, sarò
onesto e lo dirò comunque: vedere il grande Sherlock Holmes
in imbarazzo, per
me era una soddisfazione immensa. Quasi si apparava al ritorno vivo
dalla
Seconda Guerra.
Dopo quel veloce scambio di battute, sembrava quasi che mi avesse messo
il
broncio, colpevolizzandomi di averlo fatto rischiare troppo di dire
qualcosa di
molto compromettente per la sua mente strettamente logica.
Quella, per me, fu una grande vittoria.
Mi sarei ritenuto soddisfatto solo sentirlo ammettere che, almeno un
po’, a me
ci teneva. Ne avevo avuta ampia dimostrazione durane tutti quegli anni
di
sofferta convivenza (perché sì, convivere con lui
e le sue eccentriche
abitudini era davvero una sofferenza, molto spesso), ma le parole
rendono
concreto un fatto già dimostrato, ma cui si stenta a credere.
Nonostante sapessi che provava un profondo affetto verso di me, pensare
a
Sherlock Holmes come una persona in grado di legarsi a qualcuno mi
sembrava
comunque strano.
Sfortunatamente il primo impatto che si ha a proposito di una persona
è ciò che
condiziona il modo in cui si vede anche nel tempo a venire, per quanto
profondamente poi si possa arrivare a conoscere, e la prima impressione
che lui
aveva dato a me era quella di una persona fredda, cinica,
irritabilmente
ironica e insensibile a qualunque cosa che non fosse una sfida.
Quale fosse stata la prima impressione che lui aveva avuto di me e che
ancora
lo condizionava, non so dirlo.
Forse, nella sua unicità, Holmes era l’unico
essere umano a essere riuscito a
superare quel velo di superficialità cui chiunque altro
è sventuratamente sottoposto,
e riusciva a vedermi completamente solo per quello che ero, e non per
quello
che gli ero sembrato. Sapevo per certo che chiunque mi avesse
incontrato, a
primo impatto mi aveva visto come una persona composta, ligia alla
legge, cosa
che con lui non ero stato. Mi chiese di baciarlo solo perché
sapeva che lo
avrei fatto, che avrei infranto la legge contro la sodomia, quindi ha
cambiato
del tutto la sua visione di me.
O, forse, mi aveva visto sin dalla prima volta, in modo perfettamente
coerente
alla mia persona.
Purtroppo sono solito divagare in monologhi interiori quando trovo un
argomento
che si presta facilmente a quest’azione quindi ho disperso
l’argomento iniziale
di questo dibattito.
Volevo vedere quanto Holmes potesse uscire dagli argini in cui lo avevo
inconsciamente costretto nel giorno in cui c’eravamo
conosciuti.
Mi superò velocemente appena entrammo in casa, cercando di
sparire in camera
sua senza neanche lasciare il cappotto sull’appendiabiti o
togliersi il
cappello dalla testa.
Istintivamente, mossi qualche passo più veloce e lo fermai a
un soffio dalla
sua porta, afferrandolo per un braccio. Incredibilmente, non
obbiettò a questo
mio gesto. Forse si aspettava che lo avrei fermato, anche se avrebbe
senza
dubbio preferito il contrario. Comunque non si voltò verso
di me, né proferì
parola.
“Holmes, ho bisogno di saperlo… lei ci tiene a
me?”
La sua reazione fu esattamente quella che mi aspettavo: il silenzio.
Non so
quanto tempo rimasi in attesa, tenendo ben stretto il suo braccio tra
le dita
per impedirgli di andarsene, mentre lui, immobile, fissava il
pavimento, il
cappello calato sugli occhi.
“La risposta è scontata” disse
finalmente, interrompendo il silenzio.
“Voglio sentirla comunque”
“Ha idea di quanto mi sta chiedendo, Watson?!”
M’immobilizzai a pensare un attimo; era questo che lo
tratteneva, il suo
orgoglio. Sapeva che sapevo (vi prego, perdonatemi il gioco di parole)
che ci
teneva a me, ma non riusciva a dirmelo per paura di sembrare debole.
Sarebbe
stato così per chiunque, forse, ma non per me. Certo, la
freddezza che lo
contraddistingueva gli regalava una gran dose di fascino, ma in tutti
quegli
anni di convivenza avevo avuto più di un’occasione
per scoprire che non era
l’unico elemento affascinante in lui. Semplicemente Lui lo era, ogni cosa che facesse parte
della sua persona gli dava
quel misterioso fascino. In conclusione, del suo orgoglio
m’importava ben poco.
“Sì. E mi dispiace chiederle tanto, ma voglio
sentirglielo dire. Per favore,
Holmes”
Si liberò della mia mano con uno strattone e si
voltò verso di me, seppur non
guardandomi negli occhi. Quella fu la prima volta che vidi Holmes non
del tutto
sotto il proprio controllo.
“Si! Sì, ci tengo a lei, tengo a lei
più di quanto non abbia mai tenuto a
nessun altro! Contento adesso?”
Ebbi appena il tempo di vederlo arrossire che si voltò di
nuovo per cercare
ancora una volta di barricarsi in camera sua ma, preso da un improvviso
slancio
d’affetto e una buona dose di speranza, lo fermai ancora una
volta,
abbracciandolo da dietro. Lo sentii congelare tra le mie braccia, di
nuovo
immobile.
Rimasi in silenzio in quella posizione per qualche minuto, muovendo
lentamente
le mani in una carezza per cercare di farlo rilassare. Poco a poco, ci
riuscii.
Avrei potuto accontentarmi del fatto che non si fosse ribellato
perché era
sicuro come il sole che sorge al mattino che sarebbe stato in grado di
stendermi anche nelle sue precarie condizioni di salute, ma ormai non
mi
bastava più.
“Holmes” lo chiamai, cercando di mantenere un tono
di voce dolce.
“Mh?”
“Sa cosa sto per chiederle, vero?”
“Qualunque sia la sua domanda, la mia risposta è
‘delirio da febbre’” rispose
subito.
Sì, aveva capito, ma quella non era la risposta che volevo.
Non era neanche la
verità, ne ero sicuro.
Questo era il mio caso, quello che
avevo seguito da solo in quasi quindici anni. Era lui il mio caso, e
intendevo
concluderlo quella notte.
“Non è vero”
Lo sentii irrigidirsi di nuovo e di nuovo ripresi la carezza per farlo
rilassare, ma questa volta con scarso successo. Appoggiai la testa
sulla sua
spalla e chiusi gli occhi, credendo quasi che forse sarebbe stato
meglio
gettare la spugna. Potersi dichiarare vincitore contro Holmes era
più unico che
raro, non sapevo quanto mi sarebbe stato utile sperare ancora.
Lo sentii barcollare leggermente nella mia stretta così
ricordai che,
stupidamente, mi ero dimenticato che aveva la febbre.
Allungai una mano oltre il suo corpo fino a girare la maniglia ed
aprire la
porta di camera sua. Non rinunciai al contatto con il suo corpo neanche
un
istante per paura che potesse scappare via da me, quindi quando gli
girai
intorno per raggiungere la porta, lasciai che il mio braccio seguisse
il mio
movimento intorno alla sua vita, per poi scivolare lungo il suo braccio
ed
afferrargli la mano.
Non ricambiò la stretta. Non si mosse ancora in nessun modo.
Cercai anche l’altra sua mano, per poi cominciare a camminare
a ritroso nella
sua stanza, trascinandomelo dietro.
La tesa del cappello mi impediva di vedere i suoi occhi, ma riuscivo a
intravedere le sue guance ancora arrossate.
Mi fermai quando affiancammo il letto, avvicinandomi a lui del passo
che aveva
mantenuto di distanza tra di noi. Gli tolsi il cappello e lo posai ai
piedi del
letto, così come feci con il suo cappotto.
Affondai una mano tra i suoi capelli e lo portai verso di me per un
nuovo
abbraccio.
“Posso sapere almeno quale è stato
l’esito dell’esperimento?” chiesi,
affondando il viso tra i suoi capelli.
Lo sentii stringersi leggermente a me, seppur senza ricambiare
l’abbraccio –
non che mi aspettassi che lo facesse, strappandomi un sorriso.
Non rispose neanche questa volta.
Allontanai la mano dai suoi capelli e la portai sulla sua fronte:
scottava
ancora. Aveva bisogno di riposo, molto, e questa volta non avrei
permesso che
si alzasse solo per suonare alle tre della mattina, avessi dovuto bere
caffè
tutta la notte per rimanere sveglio.
Lo lasciai andare, allontanandomi lentamente, sempre con la paura di
vederlo
scappare da me, ma non si mosse. Scostai le coperte velocemente e
tornai a
fronteggiarlo. Gli afferrai delicatamente le spalle e lo obbligai a
stendersi per
poi coprirlo fino a sotto gli occhi.
Riuscii a mala pena a muovere qualche passo verso la porta, con la
semplice
intenzione di andare a prendere una pezza umida da mettergli sulla
fronte che
la sua voce mi fermò.
“J’ai découvert
que je t’aime”
Sorrisi, appoggiando una mano sullo stipite della porta. Non avevo
capito, ma
almeno aveva detto qualcosa.
“Credo che ormai lo sappia, Holmes. Io non conosco il
francese”
Sapevo perfettamente che non mi avrebbe ripetuto quanto mi aveva detto
in
quella lingua che per me rappresentava l’ignoto, quindi uscii
e presi quanto
sopra citato, per poi tornare da lui.
Adesso era letteralmente seppellito sotto alle coperte, solo qualche
ciuffo di
capelli spuntava fuori.
“Holmes?” lo chiamai.
La sua risposta fu un borbottio indistinto, probabilmente non fatto per
essere
capito quanto a segnalarmi che era ancora sveglio.
Mi sedetti sul bordo del letto e gli scoprii il viso. Un attimo dopo,
non era
più steso su un fianco, ma sulla schiena, con la pezza umida
sulla fronte e gli
occhi socchiusi fissi nei miei.
Non riuscivo a non sorridere. Credo che quello sia stato il contatto
visivo che
ho mai avuto con Sherlock Holmes. Nessuna parola, nessuno movimento.
Mi sembrava quasi di sentirlo parlare, solo guardandolo negli occhi.
Quasi sentivo
la musica che suonava parlare al posto delle parole.
“Perché mi ha baciato, Holmes?” ripetei
infine la domanda, ancora speranzoso.
“Io non l’ho baciata” scosse leggermente
la testa con un lieve sorriso.
Quel sorriso davvero
rinnovò la mia
speranza, nonostante la sua risposta.
“Perché mi ha chiesto di farlo?”
“In realtà gliel’ho già
detto” distolse lo sguardo. Il nostro prezioso contatto
visivo s’era interrotto. “Mentre tornavamo
qui”
“Parlavamo del caso”
“Era affine al caso, infatti”
“In quale modo?”
“Può arrivarci da solo, dottore. Non mi
deluda”
Ripercorsi mentalmente tutto quello che ci eravamo detti durante il
tragitto,
quando lui aveva interrotto il silenzio.
Mi aveva spiegato ciò che ancora non sapevo del caso e
l’importanza dell’amore
in esso.
Oh. fu l’unico pensiero
che riuscii
ad elaborare.
“Ha- ha a che fare con il movente del ragazzo?”
balbettai, preda dell’emozione,
ma lui continuava imperterrito a non rispondere.
Stava testando gli effetti
dell’amore
su di me.
Mi stesi accanto a lui, sopra alle coperte, cercando un contatto visivo
che non
riuscivo più a trovare. Continuava a rimanere voltato verso
il muro, come se
questo potesse dirgli qualcosa di più interessante di quanto
potessi dirgli io.
Cercai di non essere troppo invadente quando portai due dita al suo
mento e lo
costrinsi a voltare il viso verso di me. La pezza umida gli cadde dalla
fronte
ed io, ormai disturbato dalla sua presenza, la tolsi dal cuscino a la
lasciai
cadere a terra.
Holmes continuava a non guardarmi, seppur adesso costretto a rimanere
voltato
verso di me.
“Lei… lei è innamorato di me,
Holmes?” chiesi, esitante.
La sua risposta fu sostituita da un sospiro subito dopo il quale chiuse
gli
occhi con rassegnazione.
Portai una mano sul petto, sentendo il cuore pericolosamente fuori
battito.
Un altro grave problema dell’essere umano è quello
di essere costantemente
colto impreparato a qualunque cosa.
Aspettati l’inaspettato e niente
potrà
sorprenderti. Non ricordo chi me lo disse. Forse mio padre,
forse Harry ma
mai come in quel momento avrei voluto essere stato in grado di seguire
un
consiglio apparentemente così elementare.
Il problema in sé dell’uomo è che dopo
che aspetta un determinato momento da
tutta la vita, quando quello arriva non è mai abbastanza
preparato per reagire.
Dio solo sa quanto avevo sperato, un giorno, di sapere che Sherlock
Holmes era
innamorato di me, mi ero immaginato mille volte come avrebbe potuto
essere,
come avrei potuto reagire ad un’eventuale dichiarazione, ma
non riuscivo a
mantener fede a nessuna delle mie fantasie.
Riuscivo solo a rimanere immobile a fissare le sue palpebre chiuse, con
il
cuore che rimbombava nelle orecchie e senza la piena coscienza che il
mio sogno
da eterno romantico si era avverato come nella più bella
delle favole in cui io
mi rivedevo stupidamente nella principessa.
Il mio principe azzurro era finalmente arrivato.
Dopo qualche attimo (in realtà, non so quanto tempo
passò. Potevano essere
attimi, minuti o ore), lo vidi sedersi e cercare di scavalcarmi per
alzarsi dal
letto.
Mai fino a quel giorno avevo creduto che agire di puro istinto fosse un
bene.
Il suo movimento mi aveva svegliato dallo stato di trance in cui ero
caduto e,
appena avevo visto che stava davvero cercando di allontanarsi da me,
avevo
strinto il colletto della sua camicia tra le mani e me lo ero spinto
contro per
un bacio.
Se all’inizio cercò di respingermi, cercando di
portare anche l’altra gamba
fuori dal letto per potersene andare, borbottando lamentele indistinte
tra le
mie labbra, dopo non molto la sua resistenza crollò e si
lasciò andare.
Riuscii a ricordare distintamente tutto quanto successe solo quando, la
mattina
dopo, riaprii gli occhi.
Non voglio che ai miei lettori vengano strane idee, non successe nulla
al di
fuori dell’ordinario, quella notte, se non quel bacio.
Quando mi svegliai, però, lui era voltato su un fianco,
l’opposto al mio,
ancora profondamente addormentato, mentre la sua mano stringeva la mia,
sul
cuscino.
Fine.
[NdA]
Mumble mumble...
E' finita davvero.
Quanto tempo è passato dall'ultima long che ho concluso? Mi sembra un secolo, perchè davvero, non ricordavo che facesse così male staccarsi da una fanfic a cui ci si è affezionati così tanto.
Se Taking Care Of You è la mia bambina nel fandom RDJude, credo che questa rimarrà per sempre la mia piccola in questo.
Nove capitoli, solo 26 pagine di word, ed eccomi qui, a salutare con malinconia questa fanfic, nonostante sia passato solo un mese e 3 settimane esatte da quando è iniziata.
Che dire? Non voglio cliccare la casella "conclusa". Non voglio mai farlo quando mi affeziono ad una fanfic. Odio quando succede solo per questo. La fine si prospetta terribile.
Una precisazione: la frase in corsivo affidata ad uno degli Watson Sn. a vostra scelta, è stata pronunciata da Michael J Fox in uno degli episodi in cui è comparso nella sitcom "Scrubs", nel ruolo del dottore/chirurgo Kevin Casey.
I ringraziamenti. Saranno banali, come al solito, perchè non so mai come ringraziare chi segue quello che scrivo.
Sembra sempre di essere ingrati, di ringraziare solo per non perdere lettori, quando è proprio il fatto che qualcuno legga che da l'impulso a scrivere ancora e lo si farebbe anche se ci fosse una sola persona a dare sostegno.
Detto questo, si ringraziano calorosamente tutte le persone che hanno preferito, seguito, ricordato, recensito e anche solo letto e chiunque lo farà in futuro.
Il ringraziamento speciale nonché dedica va a Haibara Stark (ovviamente la dedica va a lei, non al negozio O.o) e il negozio d'abbigliamento Bershka (il suo sito --> http://www.bershka.com/) che hanno reso questa fanfic possibile.
Il nostro primo caso può essere inserito in archivio, Erica u.u
Adesso vi saluto, promettendo che con la conclusione di questa fanfic dedicherò più tempo a Logic for the Hero.
Conto di rivederci, stanotte, almeno altre due volte prima che io vada a dormire. :)
Grazie ancora a tutti.