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Autore: ponlovegood    11/07/2011    3 recensioni
Raccolta di cinque storie, una per ognuno di loro.
«Certo che ci farebbe davvero comodo un altro musicista per la band» sospirò e lentamente iniziò a raccogliere le sue cose per poi rimetterle nella borsa.
«Ehi, solo perché sbavi dietro a quel tipo io non acconsentirò a fargli far parte della band. Poi un chitarrista c’è già» esclamò Ryo con convinzione.
«Uno, io non gli sbavo dietro e due, era solo un commento generale. So perfettamente che un altro chitarrista non serve» replicò l’altro un po’ stizzito.
«Ah ok, mi stavo già preoccupando»
La campanella suonò. Era ora di ritornare alla triste realtà scolastica.

[da cap. 1 Sveglia pt. 4]
«Il mese prossimo vado a trovare i miei. Voglio presentarti a loro»
Al suono di quelle parole mi andò di traverso il the che stavo bevendo; lui invece continuò a guardarmi con tutta tranquillità.
«C-che… che cosa?»

[da cap. 2 La porta di casa pt. 1]
Genere: Commedia, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Aoi, Kai, Reita, Ruki, Uruha
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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NB: Questa mia fic è composta da 5 capitoli. Il primo (Sveglia), essendo piuttosto lunghetto, l’ho diviso in parti che posterò separatamente. Inoltre avrei alcune precisazioni da fare su questo capitolo: non è, diciamo, un racconto ‘normale’ di vita scolastica. Ho deciso di mettere a confronto due situazioni (che saranno separate da * * *), nella prima ho semplicemente descritta la storia (come l’ho inventata io) di come Reita incontra Uruha e  inizia a formarsi la band, la seconda invece è una specie di What if?, cosa sarebbe successo se Reita non avesse conosciuto Uruha?

Spero di essere stata chiara e se così non fosse mi scuso immensamente ç_ç Se doveste avere ancora dei dubbi chiedete pure.

Enjoy~

 

Sveglia

 

[pt. 1]

Il suono della sveglia lacerò improvvisamente la calma del mattino con quel suo suono metallico e continuo. Se fosse andata avanti in quel modo, avrebbe finito con lo spaccare i vetri.

O almeno questa era la visione della situazione che aveva Suzuki Ryo, verso i sedici e in procinto di iniziare un nuovo anno scolastico, che -lasciatemelo dire- era solito portare a livello di tragedia anche delle piccolezze.

Si girò svogliatamente e lanciò un’occhiata di fuoco alla sveglia, nella speranza di vederla magicamente tornare indietro di un’ora. Eppure era lì che continuava a suonare e non sembrava voler dar retta ai desideri di uno studente disperato.

Imprecando a bassa voce si alzò e tastò il pavimento in cerca delle pantofole, ma non riuscendo a trovarle (aimè, questo è un problema che affligge gran parte della popolazione mondiale) si trascinò verso l’armadio, dove vi trovò la sua divisa lavata e stirata di fresco, direttamente dalla lavanderia del quartiere.

Con tutta la svogliatezza che potesse avere, se la infilò e finì con lo stropicciare ben bene la camicia bianca. Afferrò poi la borsa con i libri, il fido lettore mp3 e il pacchetto di sigarette, che aveva precedentemente nascosto nei meandri di un cassetto.  Scendendo le scale si arruffò ancora un po’ i capelli e si sentì orgoglioso del suo aspetto trasandato con tanto di cravatta storta e camicia fuori dai pantaloni. Una divisa ben stirata non aveva il ‘diritto’ di rovinare la sua reputazione da teppistello!

Si preoccupò di infilare con precisioni gli auricolari nelle orecchie e arrivò in cucina. La madre gli lanciò uno sguardo di rimprovero, ma non disse nulla; aveva rinunciato da anni a capire come avesse potuto dare alla luce un figlio così trasgressivo. Dopo quella breve occhiata tornò ai suoi fornelli. Ryo si sedette a tavola con la musica che gli intasava la testa e mandò giù in fretta la colazione. Si era appena alzato quando un qualcosa di non ben identificato gli si attaccò alle gambe. Il gatto? Un attacco alieno?

No, era solo Kotonechan, la sorellina eccessivamente iperattiva di Ryo. Aveva nove anni e venerava il fratello, cosa che ai genitori –specialmente alla madre- non piaceva un gran che.

«Oniisan! Oniisan!» gridò lei senza mollare la presa sul fratello. Lui la guardò perplesso e lei gli sorrise di rimando. «Oniisan, oggi si ritorna a scuola, non sei contento?» disse e finalmente si staccò da lui, ma si mise a saltare sul posto. Ryo non ricordava di essere mai stato così felice di andare a scuola come la sorella. Anzi, sin dal primo giorno di asilo si era fatto conoscere nel quartiere per via delle urla isteriche che aveva piantato quando la madre aveva cercato di portarcelo. «..rivedrò Kumikochan e Maichan e..» continuò lei imperterrita.

«Sì certo, è molto interessante, Kotonechan, ma ora il tuo fratellone deve andare» disse frettolosamente e si avviò verso la porta.

«Oniisan, non mi saluti?» esclamò la piccola quando Ryo aveva già la mano sulla maniglia. Lui si voltò un po’ perplesso poi cercò di abbozzare un sorriso. «Oh sì, certo. Beh.. buona giornata, Kotonechan»

Lei ridacchiò e fece ‘ciao ciao’ con la manina. Non è che non sopportasse la sorellina, anzi, gli era quasi simpatica, ma non amava dimostrarsi troppo espansivo con gli altri e poi doveva mantenere un po’ della sua aria da fratello rude.

Si era quasi chiuso la porta alle spalle quando un altro dei gridolini della sorella arrivò dalla finestra aperta di camera sua. «Ho preso alcuni dei tuoi CD, va bene, no?» rise.

Ecco, che tutta la simpatia che aveva per la sorella svanì in un istante, ma non aveva tempo di rincorrerla e poi avrebbe finito con l’attirare l’ira funesta della madre su di sé. Kotone era solita fargli quello scherzetto e Ryo ogni volta s’infuriava, cosa che la faceva divertire ancora di più. Lui era convinto che lo facesse solo per fargli un piccolo dispetto –il che in parte era vero- ma non poteva sapere che la sorellina li ascoltava davvero quei CD.

Si lasciò il cancello di casa alle spalle e si avviò lungo la via principale del quartiere con la musica al massimo nelle orecchie, naturalmente. Anche a tavola teneva sempre le cuffie e i suoi genitori, come per l’abbigliamento, avevano imparato a sorvolare quella ‘particolarità’ del figlio. Agli inizi avevano anche provato a crescerlo come si deve, ma niente. Il padre era stato il primo a rinunciare e ora passava tutto il suo tempo –quando era a casa- rintanato dietro il giornale. Ormai Ryo non si preoccupava neanche di salutarlo, era abituato a vedere seduto di fronte a lui il corpo di un uomo con un quotidiano al posto della testa. La madre invece concentrava tutte le sue forze e le sue attenzioni su Kotone, nella speranza che lei crescesse bene. La piccola comunque sembrava voler seguire la strada del fratello. La cosa dava soddisfazione a Ryo che vedeva i suoi genitori preoccupati per il rischio di avere un altro teppista in casa.

Senza neanche accorgersene i suoi piedi l’avevano guidato lungo tutta la strada verso la scuola e quando alzò lo sguardo, si ritrovò davanti ai grandi cancelli aperti dell’istituto. Il cortile era affollato da studenti del primo anno ammucchiati in gruppetti e intenti a confabulare. Alcuni alla vista dei suoi capelli lunghi, ossigenati e spettinati indietreggiarono, altri invece si scambiarono occhiatine divertire. Ryo li ignorò beatamente e tornò a concentrarsi sull’assolo di basso della canzone.

Lanciò un’occhiata all’orologio che troneggiava sull’entrata della scuola e scoprì di essere arrivato con ben cinque minuti di anticipo. Era una cosa mai successa prima.

Si diresse verso i tabelloni appesi sulla bacheca per controllare in quale classe fosse stato collocato e chi fossero i suoi nuovi compagni. Purtroppo i suoi amici avevano terminato gli studi pochi mesi prima e ora si ritrovava a dover cercare nuova gente per la sua banda.

Cercò il suo nome tra tutti gli altri e finalmente lo trovò: Suzuki Makoto Ryo, seconda classe, sezione A. Velocemente fece scorrere lo sguardo sugli altri nomi alla ricerca di qualcuno minimamente familiare.

Aoki Hinata. Mai sentita.

Ageda Emi. Idem come sopra.

Ikeda Hiroto. Forse era stato un suo compagno l’anno scorso, ma non ne era sicuro..

Nakashima Hitomi. Una ragazza davvero stupida che era stata sua compagna alle elementari.

Ogawa, Sakamoto, Takaki…

Niente, tutta gente sconosciuta o con la quale non aveva quasi mai parlato.

Poi improvvisamente notò un nome che gli era sfuggito.

Takashima Kouyou.

Chi è che non lo conosceva?

Era lui, il super genio. Quello con la media più alta della scuola.

Fantastico, oltre a essere in una classe piena di sconosciuti avrebbe dovuto sopportare un anno intero insieme a un secchione so-tutto-io e già si immaginava quanto i sensei si sarebbero divertiti a paragonarli.

S’infilò distrattamente le mani intasca ed entrò sbuffando. Che bell’anno di merda, pensò.

 

Trovò la classe e constatò con piacere che era mezza vuota. Si collocò un posto in ultima fila e vi si accasciò sopra con poca grazia facendo stridere la sedia sul pavimento. Alcune ragazze si girarono a guardarlo, ma lui tenno lo sguardo basso intento a fissarsi i piedi che si muovevano a ritmo di musica.

Ben presto la classe iniziò ad affollarsi e si ritrovò come vicino di banco un ragazzo che lo fissava scettico. Poveretto, mi dispiace che gli sia capitato il posto vicino a me, pensò ironico. Fosse per me, staccherei subito i banchi.

Tutti gli studenti erano finalmente ai loro posti e quando il sensei entrò, Ryo si costrinse a togliersi gli auricolare e ad inchinarsi come gli altri. Non aveva proprio voglio di camminare fino all’ufficio del preside, non quel giorno.

L’uomo li scrutò tutti uno a uno e quando il suo sguardo si posò sulla chioma bionda del ragazzo, sorrise in modo poco rassicurante.

«Signor Suzuki» sentenziò e Ryo alzò la testa, ma evitò accuratamente di fissarlo negli occhi. «Moritasan, la tua precedente insegnante, mi ha molto parlato di te. Che ne dici di venire qua davanti» fece un leggero cenno con la mano verso il primo banco «al posto della signorina Kaneko?» il suo tono cordiale era ancora più fastidioso del suo falso sorriso.

Ryo lo guardò sbigottito e non si mosse. «Ma, sensei..» protestò debolmente, ma dal volto dell’uomo era sparita qualsiasi traccia del sorriso di poco prima e il ragazzo si vide costretto ad alzarsi. «Bene, vedo che ci siamo capiti» sorrise nuovamente con tutta la falsità di questo mondo e andò a posizionarsi dietro la cattedra. Ryo si scambiò velocemente di posto con la ragazza e si sedette sconfortato al suo nuovo banco. Aveva la spiacevole sensazione che quello sarebbe stato il suo posto per lungo, lungo tempo.

Il silenzio regnava sovrano, ma improvvisamente fu rotto di nuovo dalla voce autoritaria del sensei. «Ah, signor Takashima.» tutti si voltarono verso il ragazzo seduto in terza fila «Che piacere averla tra noi» sorrise anche a lui. «Che ne dice ora di smetterla di… tentare di flirtare con la sua vicina di banco e venire a far compagnia al signor Suzuki?». Qualcuno ridacchiò e in sottofondo si sentì un debole ‘Sfigato’.

La stessa espressione che aveva avuto Ryo poco prima dilagò sul volto del moro che però, a sua volta, fu costretto a seguire le ‘gentili indicazioni’ del sensei. Ci fu nuovamente uno scambio di banchi e così il biondo scapestrato si ritrovò nella suddetta situazione: in prima fila, seduto accanto al famoso secchione so-tutto-io, con un professore decisamente sadico dall’altra parte della cattedra, in una classe di perfetti sconosciuti. Era anche peggio di ciò che aveva immaginato all’inizio.

 

* * *

 

Lentamente aprì un occhio poi l’altro e si stiracchiò ben bene, godendosi il tepore della coperta. Dalla finestra filtrava la luce calda di maggio e tutto pareva l’inizio di una piacevole giornata.

Poi improvvisamente realizzò.

Era mattina.

Erano a maggio.

La scuola!

In completa agitazione lanciò uno sguardo alla sveglia; giaceva inerte sul pavimento, l’ora era ferma alle 3:00 a.m.

Con una tale fretta da rischiare di strappare una manica della camicia s’infilò la divisa e fu capace di sbagliare per ben due volte a chiudere i bottoni. La borsa di scuola si trovava abbandonata sulla sedia della scrivania in attesa di essere ripresa in mano e scrollarsi di dosso lo strato di polvere che vi si era accumulato sopra.

Nella corsa contro il tempo rischiò di inciampare sul gatto beatamente spanzato sulle scale. Atterrò con un balzo in cucina, dove trovò l’intera famiglia riunita attorno al tavolo. Fu assalito dalla sorellina urlante, ma la scansò per un pelo.

Doveva darsi una mossa.

Cibo. Afferrò due fette di pane tostato e se le ficcò in bocca.

Bento. Prese quello che la madre gli aveva lasciato pronto sul tavolo.

Scarpe. Infilò le Converse senza neanche legarle.

Correre. Gridò un saluto generale ai membri della famiglia e si fiondò fuori casa.

Non ebbe neanche il tempo di sentire le critiche della madre su come fosse conciato quella mattina –più sciatto del solito-, su come fosse arrivato in cucina e su come si fosse fiondato in malo modo fuori casa. Ma non gli importava. In quel momento la sua testa era impostata su ‘Corri e vedi di non farti spedire dal preside il primo giorno’

Si tastò le tasche alla ricerca del lettore mp3, ma non lo trovò. Si ricordò allora di averlo scordato sulla scrivania insieme.. al pacchetto di sigarette. Si maledisse ad alta voce e non poté fare a meno di rammaricarsi al pensiero di tutte quelle canzoni, che lo avrebbero aiutato a superare la giornata, abbandonate sulla scrivania di camera sua.

Gli sembrava di correre da ore, come se la strada che stava percorrendo fosse infinita. Gli sembrava anche tutto estraneo. Che avesse sbagliato strada?

Cercò di scacciare quei dubbi dalla mente e finalmente i cancelli di ferro erano davanti a lui. Quando li trovò socchiusi, ringraziò in grande Kamisama ed entrò. Il cortile era deserto e gli unici rumori venivano dalla strada e dal ticchettio dell’orologio sopra la porta d’ingresso. Era un po’ come un enorme occhio che osservava gli studenti e in quel momento a Ryo parve che lo stesse guardando accusatorio e quasi poté sentire la sua voce metallica, ‘Ritardo. Sei in ritardo’.

La campanella era suonata da cinque minuti buoni e si costrinse a compiere l’ultimo sforzo. Corse dentro, ma mentre stava per salire, si ricordò di non aver guardato i tabelloni dello smistamento classi. Non senza qualche imprecazione tornò indietro e cercò con foga il suo nome. Dopo la terza lettura dei figli, eccolo: Suzuki Makoto Ryo, seconda classe, sezione A.

Avrebbe voluto fermarsi a leggere i nomi dei suoi nuovi compagni, ma non voleva di certo accumulare altri minuti di ritardo.

Individuò finalmente la classe, la porta naturalmente chiusa e il suono di qualcuno che parlava, con tutta probabilità il sensei. Prima di entrare bussò, ma non aspettò risposta. S’infilò dentro e sentì tutti gli occhi puntati su di lui.

«Oh, signor Suzuki, ha deciso di onorarci della sua presenza?» disse con tono malevolo l’uomo sulla cinquantina che se ne stava dietro la cattedra. Ryo abbozzò un mezzo inchino e delle scuse per poi rifugiarsi a testa bassa in un banco in seconda fila.

Solo dopo diversi minuti osò alzare lo sguardo alla ricerca di visi conosciuti. Gli parve di riconoscere qualche vecchio compagno, ma non era molto sicuro. Da quando era entrato in quella scuola (l’anno precedente) aveva sempre girato con la solita compagnia, un gruppo di senpai due anni più grandi lui. Tuttavia questi avevano terminato i loro studi pochi mesi prima.

Si guardò un’ultima volta attorno e scorse davanti a sé un ragazzo dai lunghi capelli neri con gli occhiali intento a prendere appunti.

Certo! Lui lo conosceva, anche se non direttamente. Era Takashima Kouyou, il grande genio.

Almeno di una cosa fu felice quel giorno: non essere finito vicino al so-tutto-io.

 

 

~

Hola hola popolo della Terra ùwù

Che noia, non so mai cosa dire.

Innanzitutto vi ringrazio se siete arrivati fino in fondo e spero possa esservi piaciuto questo primo capitoletto. Io, vi confesso, mi sono divertita un mondo a scriverlo XD

Vorrei precisare due cosine: Uruha versione sacchionesan forse vi lascia perplessi, ma l’ho descritto in questo modo dopo aver letto un’intervista dove veniva dichiarato che lui e Kai (credo °-°) sono stati gli unici a terminare gli studi, inoltre lo stesso Urupon ha ammesso che avrebbe continuato gli studi se non fosse diventato famoso. Non so voi, ma io amo il mio secchionesan ♥

Mh, sono davvero a corto di parole, ma scommetto che appena questo capitolo sarà postato mi verranno altre mille mila cose da dire, un classico u_ù

Voglio ringraziare la mia migliore amica che come sempre mi fa da critica letteraria e anche se non può leggere questo commento perché non ha un account EFP, la ringrazio lo stesso.

E ancora arigatou gozaimasu a voi tutti che siete ancora qui. Spero di ricevere almeno un commento così saprò se fa davvero così schifo e magari mi metto l’anima in pace.

Un abbraccio,

pon.

  
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