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Autore: Bec77    14/07/2011    0 recensioni
In un futuro si spera lontanissimo, l'arte è stata ridotta a mera intrattenitrice delle folle e strumento di distrazione di massa. Due giovani, guidati dalla propria passione, affrontano la loro epoca sfidando le falsità del Governo e creando un legame che li unirà probabilmente per il resto della loro vita, e che sarà destinato ad essere riconosciuto dalle generazioni future attraverso ciò che creeranno assieme, attingendo a un Passato che non vuole (e non deve) essere ricordato dal Presente.
(Storia scritta per Mini Original - "La Cornice e... l'Invisibile" di Eylis; lieve presenza di Slash, leggere le note all'interno prima)
Genere: Introspettivo, Science-fiction, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Solo macchie di colore

Credits: Uno dei quadri citati è totalmente inventato (e non apparterrebbe comunque alla corrente impressionista), mentre quello descritto per la corrente del “Realismo” è intitolato “Le Spigolatrici”, opera di Jean-François Millet.
Note dell'autore: E' una storia particolare per me. Il genere fantascientifico vale per l'atmosfera in cui è calata la storia: ci tenevo a rendere bene l'idea di un futuro a metà fra il post-apocalittico e "1984" di George Orwell, con i suoi regimi totalitari privi di libertà e che hanno paura del pensiero libero, ma nemmeno così in là nel futuro, con macchine super-evolute. E' particolare secondo me, ed è l'ennesima opportunità di dar sfogo alle mie teorie che i concorsi di Eylis riescono a darmi (no, non smetterò mai di ripeterlo).
Noticina: ero tentata di mettere anche il genere Romantico, ma a ben vedere ci possono essere varie interpretazioni del legame che verrà a instaurarsi fra i personaggi di cui leggerete; questo anche perché quando avevo delineato la storia di base
non era così che doveva andare. Chi la leggerà avrà carta bianca da parte mia comunque, in questo senso. =]
Ultimissima nota: "Impressionismo" e "Realismo" - che come saprete sono importanti correnti artistiche dell'800 - citate da me nella storia, non sono quelle originali (almeno non nel caso dell'Impressionismo); la loro definizione è stata stravolta, e durante la storia potrete capire perché ve lo dico. 

Ringraziamenti:
A Eylis, perché grazie al suo concorso ("La Cornice e... l'Invisibile") ho potuto scrivere questa storia (anche se ha vinto il settimo posto)!



Solo macchie di colore


Luglio 224

L'ambiente era grande, perfettamente illuminato. Un fascio di luce cadeva esattamente sul quadro appeso alla parete che stava osservando; attorno a lui c'era solo un vago mormorio, che andava crescendo quando nella sala dal soffitto a botte passavano le mandrie di bambini - non gli pareva giusto chiamarle scolaresche: troppo chiassose, troppo maleducate, come gli animali: mandria andava benissimo come definizione. Certo non la intendeva in senso dispregiativo. Erano ben altri quelli che lui avrebbe chiamato insulti.
Il quadro che stava osservando era uno dei più importanti della mostra. Appuntò qualcosa sul taccuino, cercando di fare un velocissimo schizzo delle cose più interessanti. Poche in realtà, poiché l'opera era interamente composta da macchie: sembrava che l'artista avesse preso la latta del colore e ne avesse lasciato cadere il contenuto sulla tela, senza curarsi di dove sarebbe andato. Erano rare le pennellate, ma proprio per questo erano più visibili. Gli storici dell'arte della sua epoca - ben pochi, quindi - chiamavano quella corrente "Impressionismo", che aveva ben poco a che fare con ciò che veniva dipinto.
Annotò ancora due frasi, poi mise il punto che decretò il suo passaggio all'ennesima opera della mostra.
Aveva ancora il capo chino sui suoi appunti quando lo sguardo incrociò un paio di scarpe da ginnastica. Poi un paio di jeans un po' lisi e scoloriti, una maglietta gialla... pelle olivastra, capelli castano scuro nascosti da un berretto e...
"Salve."
… due occhi color giada, magnetici e ridenti.
Un ragazzino.
Ne ricambiò il saluto con un cenno del capo, ma per incomprensibili ragioni fece fatica a riscuotersi e volgere lo sguardo da un'altra parte. Alla fine ci riuscì.
Questa volta il quadro era quasi interamente rosso; qualche schizzo qua e là di verde e giallo coronava l'opera. Tutto lì. Si appuntò il nome - ovviamente provvisorio, ma sapeva che bene o male sarebbe rimasto quello
per sempre - e poi la presunta data. Fece per andarsene.
"Cosa vedi in questo quadro?" gli domandò il ragazzino, all'improvviso.
Si fermò. Non sapeva perché l'aveva fatto, era stato istintivo. Così come tornare indietro e rimettersi al suo fianco per osservare il dipinto.
"Vedo quello che è stato dipinto: macchie di colore."
Vide il ragazzino reclinare la testa di lato e sbuffare.
"Tutti così voi apprendisti storici dell'arte: non ve ne frega un tubo di niente di quello che potrebbe nascondere un quadro dietro ogni pennellata, vero? Vi accontentate di prendere appunti con i vostri taccuini." si lagnò. Non era una vera critica, però. Sembrava più un'affermazione consolidata dall'esperienza.
"E' questo che ci è stato insegnato a fare dai nostri maestri..."
Sentì di doversi difendere.
Il ragazzino alzò le spalle, apparentemente disinteressato a quella blanda scusa. Poi gli lanciò un'occhiata strana e sorrise.
"Come ti chiami, amico?"
"... Sirius."
"Io sono Gabriel. Ho vent'anni anche se non sembra."
L'altro rimase stupito: sapeva che a causa degli sconvolgimenti naturali avvenuti negli ultimi duecento anni circa non avrebbe dovuto fidarsi delle apparenze, ma l'idea che quel ragazzino avesse solo tre anni meno di lui lo sconvolse.
"Già. Ti facevo più giovane... Ora mi spiego perché mi hai dato del tu."
Gabriel rise.
"Sì, e ho rischiato grosso: per quanto ne sapevo potevi avere persino quarant'anni!"
Sirius non poté che dargli ragione. Inaspettatamente si trovò a ridere di gusto anche lui.


Metà del mese, Luglio 224

Un'altra mostra, stesso luogo. A Sirius cominciava a piacere quella galleria.
Dal suo incontro con Gabriel aveva imparato a soffermarsi di più su ciascun lavoro, senza prendere eccessivi appunti. Stava fermo immobile, con gli occhi puntati sulla tela. Cercava di carpire i segreti che nascondeva.
"Ancora nulla?"
Riconobbe subito la voce. Non si adirò per l'interruzione, anzi sorrise. A fianco a lui c'era di nuovo Gabriel, in una posa che imitava quella del loro primo incontro. Questa volta, però, al posto della maglietta gialla indossava una camicia a righe e dei pantaloni bianchi, lisi... e sporchi. Questo dettaglio colpì la sua attenzione.
Ignorò la domanda precedente e gli chiese: "Cosa è successo ai tuoi pantaloni?"
Gabriel si guardò le gambe, perplesso. Quando notò anche lui la gigantesca macchia rossa allargò gli occhi.
"Oh, no! Non mi ero accorto di aver preso quelli sbagliati...!"
Rimasero qualche secondo in silenzio: Sirius perché non sapeva cosa dire, Gabriel perché invece sembrava riflettere. Poi l'espressione crucciata di lui si rilassò, e l'apparente ragazzino tornò a sorridere come se niente fosse.
"Dettagli. Ormai sono qui, non posso certo tornare a casa solo per cambiarmi dei pantaloni! Comunque non è successo nulla, tranquillo: non è sangue, se è questo che temi!" scherzò.
"No, certo che no..." risposte laconico Sirius.
Si conoscevano da una quindicina di giorni, pensò quest'ultimo. Avevano preso a frequentarsi anche fuori dalla galleria; alla fine della mostra precedente, infatti, percorsa interamente assieme, si erano dati appuntamento lì sugli stessi scalini su cui allora si stavano lasciando. La compagnia dell'altro era piaciuta ad entrambi. Oltre alla sua passione per l'arte, però, Sirius non conosceva null'altro di Gabriel. Dove abitava, cosa faceva per vivere... né perché l'arte gli piacesse così tanto. Gabriel sapeva che lui era lì per studiarla volendo diventare uno storico dell'arte, glielo aveva detto... ma l'altro perché era lì?
"Comunque non hai risposto alla mia domanda precedente."
"Cosa? Scusa, ero soprappensiero..."
Gabriel rise.
"Ho notato. Allora, visto nulla? Guardavi la tela come se avessi capito qualcosa, finalmente..."
Sirius si prese qualche attimo per riflettere. Lasciò da parte i suoi pensieri e tornò a osservare la tela, cercando di non pensare a Gabriel che lo guardava sorridendo con quei suoi grandi occhi verdi.
Questa volta il quadro era "Realista": si trattava di una scena di vita quotidiana, di quelle che poteva ammirare anche lui dal balcone della sua vecchia casa quasi ridotta in macerie, che si affacciava sui campi. Donne dal capo coperto si affaccendavano a raccogliere le spighe sfuggite alla mietitura.
Se avesse dovuto mettere a confronto il quadro con la sua realtà, però, un particolare avrebbe stonato: nella sua epoca non c'era bisogno del lavoro di queste donne, poiché nessuna spiga sfuggiva alle macchine - che l'uomo aveva imparato ad usare solamente da cent'anni.
La Storia, quella scritta sui libri, non lo raccontava, ma chi aveva memoria lo aveva tramandato ai suoi figli, che a loro volta lo avevano fatto con i loro. Era solo grazie a questa catena infinita che lui poteva sapere la verità.

Duecentoventiquattro anni prima il Mondo era ripartito da zero.
La Quarta Guerra Mondiale aveva raso al suolo tutto ciò che esisteva. La razza umana aveva rischiato l'estinzione; si erano salvati solo una ventina di individui, che avevano dovuto ricostruire la loro società partendo dal nulla. A causa delle radiazioni emesse dalle bombe che avevano sterminato i loro simili, però, i loro corpi erano deboli. La maggior parte dei figli nati dalle loro unioni crebbero così senza i genitori, senza memoria del passato; solo i pochi che avevano avuto la fortuna di poter crescere con chi li aveva generati seppero la verità e poterono raccontarla.
La mente umana non è un computer, però. Come ogni racconto tramandato oralmente, molti dettagli vennero persi... Uno di questi fu la datazione, così l'anno in cui la popolazione raggiunse i quattromila individui venne chiamato Anno Zero.
La nuova umanità era ignorate. Non conosceva la Storia, e quei pochi che sapevano negavano ogni accadimento prima di tale data, se non la "nascita dell'uomo", portatore di tutta la conoscenza grazie a cui potevano sopravvivere. Non importava che palazzi e tecnologia esistessero già, che fossero antecedenti l'Anno Zero: prima non esisteva
nulla.
Affermazioni rafforzate dal Re, discendente del primo figlio nato dalla prima coppia venutasi a formare dopo la catastrofe. Egli veniva chiamato "Miracolo"...

"Ho capito, ti sei addormentato" disse Gabriel.
Sirus si riscosse all'improvviso, strizzando gli occhi. Si sentiva intontito, come se si fosse veramente addormentato e si fosse appena risvegliato. Sospirò.
"Scusami, non riesco a concentrarmi."
"Eppure prima che mi avvicinassi riuscivi a guardare questo quadro tutto sorridente!" lo prese in giro l'altro.
A quel punto Sirius, stupito, si girò verso di lui. Incontrò immediatamente gli occhi di giada di Gabriel, il cui sorriso era decisamente troppo grande... e ammaliante.
"E-eri qui?"
Balbettò senza motivo.
"Ero qui, giusto a due passi... Volevo vedere come te la cavavi senza di me" confermò.
Sirius tacque. Non sapeva cosa dire, cosa pensare: si sentiva come un bambino che doveva imparare ad andare sulla bicicletta senza le rotelle e il padre gli diceva
Non ti lascio nemmeno un attimo, che gli sarebbe stato sempre dietro... ma immancabilmente non lo faceva.
E il bambino cadeva, facendosi male.
"Non me la cavo molto bene" disse alla fine. Era la verità dopotutto.
Gabriel annuì - e per la prima volta lo vide fare una faccia seria - ma non commentò.
Poi gli chiese: "Secondo te c'è
qualcosa anche in questo quadro, Sirius?"
Era anche la prima volta che diceva anche il suo nome. Lo aveva sempre chiamato "amico".
"C'è sicuramente un messaggio. Qualcosa di invisibile che tocca a noi vedere, come nei quadri dell'altra mostra..."
Sirius girò appena la testa.
Con la coda dell'occhio vide che Gabriel stava di nuovo sorridendo, questa volta soddisfatto.

Alla fine della mostra Gabriel gli disse "Vienimi a trovare, questo è il mio indirizzo. Devo farti vedere delle cose". Gli cacciò in mano un pezzetto di carta tutto stropicciato e poi, letteralmente, fuggì.

Quella notte Sirius pensò che quel biglietto doveva aver rappresentato qualcosa di veramente importante per l'amico. Un immenso passo avanti, difficile da compiere.
Altrimenti non si sarebbe mai potuto spiegare perché quel bigliettino era così malridotto, come se il vecchio proprietario l'avesse stretto più volte nel pugno, indeciso...

* * *

L'edificio a cui stava davanti non poteva definirsi tale. Era più un vecchio rudere abbandonato in mezzo ai campi, lontano dal centro sovraffollato della città - dove c'era il museo. Sui suoi muri cresceva l'edera; la pianta arrivava fino al tetto, e da lì continuava ad arrampicarsi fino al camino, che poteva intravedere. A fianco della casa erano cresciuti degli alberi, e Sirius rimase ad osservarne le chiome verdi con interesse.
Gli facevano venire in mente gli occhi di Gabriel.
Tutto lì sembrava "di Gabriel", perciò concluse che il posto era quello giusto, non si era sbagliato;
Gabriel non avrebbe mai potuto abitare in un posto diverso, si disse.
"Sirius!"
La voce dell'amico arrivava da lontano. Doveva averlo intravisto dalla piccola finestra, ora spalancata. Un tralcio d'edera pendeva verso il terreno, come se il ragazzo avesse spalancato con violenza qualcosa che non veniva nemmeno aperto, solitamente.
Gli sorrideva da lontano, e Sirius non poté che fare altrettanto. Così come non riuscì ad evitare di salutarlo con un cenno della mano invece che col solito cenno della testa, dato che l'altro si stava sbracciando.
"Vieni, vieni! Presto! Ti stavo aspettando...!" lo sentì dire mentre si avvicinava.
Poi Gabriel scomparve. Riapparve sull'uscio del rudere, totalmente vestito d'edera anche quello. Aveva un sorriso gigantesco.
"Entra pure. Vuoi qualcosa da mangiare? E' stato difficile trovarmi?"
Lo riempì di domande, causandogli una risata. Fu breve però, perché non voleva fargli pensare di stare ridendo di lui. Anzi, il suo comportamento così strano, per nulla "adulto" o da maestro, come quello che teneva quando erano al museo, era davvero... adorabile. Come se si trovasse davanti ad un bambino, non più ad un ragazzo di soli tre anni più piccolo di lui.
"Le istruzioni erano chiarissime. Non ho fame, grazie..." gli rispose gentilmente.
Fu in quel momento che si accorse dell'odore che stava respirando da quando era entrato. Era forte, gli faceva girare la testa ma allo stesso tempo era davvero buono.
"Cos'è quest'odore?"
"Ti da' fastidio...?" si preoccupò subito Gabriel, alzando la testa di scatto verso di lui.
Si era avvicinato a quello che sembrava un cucinotto, sistemato nell'angolo più estremo della casa. Da fuori non sembrava, ma la casa era davvero grande. Quella stanza doveva essere davvero gigantesca, non osava immaginarla senza tutti quei mobili coperti da teli sporchi e teloni.
Deduceva che fossero mobili, almeno. Cos'altro avrebbero potuto essere, dopotutto?
Gabriel gli si avvicinò tenendo in mano due bicchieri puliti e una bottiglia di liquido ambrato.
"Bevi?" gli chiese con un sorriso.
Sirius negò con la testa. "Sono astemio" rispose.
L'altro scoppiò a ridere. Appoggiò forte la bottiglia e i bicchieri sul tavolo, poi si sedette su una cassetta di legno. Si stava letteralmente piegando in due dalle risate.
"Amico, amico! Non è quello che pensi, è solo banale thé al limone, mica liquore!" esclamò.
Sirius si sentì arrossire. "Oh."
Gabriel prese qualche respiro profondo e riuscì a calmarsi. Quando tornò a guardarlo, però, il sorriso divertito non era scomparso dalle sue labbra e nemmeno il rossore sulle guance.
"Scusami, era una domanda facilmente fraintendibile. Mi correggo..."

Cercò di darsi un tono; tossì. "Vuoi qualcosa da bere?"
"Il thé andrà benissimo, grazie."
Gabriel annuì soddisfatto e gli indicò un'altra cassetta di legno.
"Quella purtroppo è l'unica sedia che posso offrirti" si scusò.
Si sedette immediatamente, dimostrando che ciò non gli dava affatto fastidio. Dovette far piacere a Gabriel, perché il suo sorriso si allargò ancora di più...
"Allora, cosa dovevi farmi vedere?" gli chiese con noncuranza ma sorridendo.
... e poi sparì, così com'era apparso al suo arrivo. Sirius si chiese cos'aveva detto di sbagliato: aveva solo chiesto perché lo aveva fatto andare lì.
Quando si rese conto dell'errore si diede dell'idiota.
"No-non era una rimostranza! Cioè, non volevo dire che mi ha dato fastidio dover venire qu-"
"Lo so" lo interruppe. Gabriel recuperò una parvenza di sorriso. "Tranquillo, non è quello che hai detto che...", e si bloccò.
Lo vide mordersi il labbro. Era indeciso, ma perché?
"Dovevo farti vedere delle cose. Solo... non sono più così sicuro...".
Lo guardò negli occhi alla ricerca di coraggio. Sembrò racimolarne abbastanza per una semplice domanda.
"Perché studi per diventare storico dell'arte, Sirius?"
Lo aveva chiamato per nome... perciò era una domanda seria. Cercò di rispondergli al meglio.
"Voglio dimostrare al Mondo che l'arte è lo specchio del Passato e che il Passato
esiste."
Gabriel annuì. Aveva ritrovato il sorriso.
"E ti piace l'arte? O la studi solo per questo motivo?"
Sirius ci pensò.
"L'arte mi piace. Mio nonno dipingeva per diletto..."
Vide Gabriel agitarsi sulla cassetta a quell'affermazione. S'insospettì.
"Non trovi stupido ciò che tuo nonno faceva... vero?"
Sirius guardò Gabriel negli occhi: era terrorizzato. Lo guardava come un condannato a morte guarda per l'ultima volta chi gli è caro prima di morire. Come se dovesse perderlo da un momento all'altro.
"... No, non lo trovo stupido, anzi."
Gabriel sembrò riprendere a respirare. I suoi occhi luccicavano e Sirius continuò a parlare.
"Solo che non capivo mai cosa mio nonno stesse dipingendo."
La tensione svanì. Gabriel ridacchiò, abbassò lo sguardo in modo che non potesse vederlo mentre si portava una mano al viso. Quando la ritirò, Sirius poté vedere sulle dita tracce umide.
Lacrime.
"Perché stai piangendo, Gabriel? Perché mi hai fatto venire qui...? Perché mi fai queste domande proprio ora?" non poté trattenersi dal chiedere.
Gabriel prese un profondo respiro e si alzò. Nei suoi occhi non si vedeva più paura, solo un'emozione indefinita.
Prese a camminare lentamente verso l'ammasso di teloni dall'altra parte della stanza.
"Oggi l'arte è vista solo come strumento di svago. Il Miracolo ha deciso che deve essere solo un mezzo di intrattenimento di massa. La gente deve avere un posto dove può distrarsi mentre lui racconta bugie al Mondo... Io lo so.
So che un Passato esiste."
Si girò verso Sirius. In quel momento nei suoi occhi c'era determinazione, e Sirius pendeva dalle sue labbra dopo quelle affermazioni.
"Anche mio nonno dipingeva. Anche lui era figlio di gente che Sapeva... esattamente come te. Dipingeva per mostrarmi con le immagini ciò che avrebbe dovuto tramandarmi a parole..."
Afferrò un telone.
Sirius entrando non lo aveva notato, ma tutti i teloni, uno escluso, erano collegati fra loro. Per cui quando Gabriel ne tirò via uno, facendolo cadere a terra, caddero anche tutti gli altri.
Il tempo rallentò, i teloni scivolarono via e i quadri vennero rivelati pian piano ai suoi occhi: posti su cavalletti di legno o su mobili alti dalle superfici piatte, i dipinti lo fissavano, con i loro bellissimi colori sgargianti, come se fossero appena stati dipinti. Scene di ogni genere erano state rappresentate con dovizia di particolari, come se si trattasse di fotografie.
Uno in particolare lo colpì...
Sirius cominciò a piangere. Sentì le lacrime rotolargli sulle guance mentre guardava il viso sorridente del suo anziano padre, abbracciato ad un altro uomo che aveva un sorriso bellissimo sulle labbra. Lo stesso sorriso di Gabriel, che ora era bagnato dalle lacrime.

“Mio nonno e tuo padre erano amici. Condividevano le stesse idee e per lo stesso motivo dipingevano. Avevano fondato un Circolo, che però è stato chiuso appena ne è stata scoperta l'esistenza: era troppo pericoloso secondo il Governo. Induceva la gente a pensare cose che andavano contro ciò che diceva il nostro Miracolo” gli spiegò Gabriel a cena.
Mangiarono seduti allo stesso tavolo a cui avevano pranzato e cenato suo padre e suo nonno.
“Ho conosciuto tuo padre prima che morisse. Mi ha raccontato di te e del tuo sogno di diventare storico dell'arte... Voleva che diventassimo amici.”
Sirius alzò lo sguardo dal piatto, fissando il viso di Gabriel. Gli sorrise apertamente, e l'altro fece lo stesso, senza crucciarsi della mancanza di commenti. Quando poi lui tornò a mangiare in silenzio il loro gramo pasto, Sirius fissò ancora i quadri.
“Li hanno dipinti tutti mio padre e tuo nonno?” chiese.
“Sì, tutti. Si sono ispirati a ciò che gli avevano raccontato i loro genitori.”
Sirius annuì. Era ancora abbastanza piccolo quando suo padre gli aveva fatto vedere le sue opere, ma fra la moltitudine che ora aveva davanti ne riconosceva alcune.
“Senti, perché la prima volta che ci siamo incontrati in galleria mi hai rifilato quella solfa?” gli chiese Gabriel all'improvviso, a bocca piena.
“Quale solfa?” chiese l'altro, perplesso.
Gabriel lo fissò con un sopracciglio inarcato.
“Vedo quello che è stato dipinto” lo scimmiottò, poi sorrise. “Eccetera, eccetera...”
Sirius ricordò e rise.
“Per non essere considerato un pazzo o un eretico dovevo pur fingere di essere d'accordo, non credi?” rispose.
“Giusto.”
“E non potevo certo sapere chi eri veramente...”
“Neanche io sapevo chi eri tu.”
Sirius quasi si soffocò con il boccone. “Cosa?!”
“Quando mi hai detto che ti chiamavi Sirius mi è tornato in mente tuo padre, così mi sono buttato” ammise Gabriel con un'alzata di spalle.
“Sei stato uno sciocco! Lo sai, vero?” si arrabbiò Sirius.
Non osava nemmeno immaginare cosa avrebbero potuto fargli se lui non fosse stato....
lui, insomma. Il Governo era inflessibile su certe cose, e l'arte gli era nemica. Per questo si arrabbiò.
Gabriel però ne rise.
"Me ne rendo conto, però è andato tutto bene, quindi non pensiamoci!"
Sirius sbuffò e riprese a sbocconcellare il cibo nel suo piatto, borbottando. L'altro rise ancora e ricominciò a mangiare anche lui.
Mentre ripuliva le dita dal brodo di pollo, a Sirius tornò in mente l'unico telo rimasto. Si mise dritto sulla cassetta e, girando di nuovo la testa, lo fissò.
"Senti, è da prima che volevo chiedertelo ma... Anche quello è un quadro?" gli chiese indicandolo.
Gabriel vide cosa stava additando e arrossì. Mugugnò qualcosa che l'amico non capì.
"Ehi, parlo con te" gli fece notare ridendo.
"Sì, anche quello... però non voglio fartelo vedere!" rispose l'altro.
Gabriel era diventato tutto rosso e non osava guardarlo in faccia, così Sirius si alzò velocemente in piedi e si avvicinò all'oggetto misterioso.
"No!" gli urlò dietro l'amico quando se ne accorse.
Era troppo tardi, però. Sirius aveva afferrato la copertura e l'aveva strattonata, rivelando ciò vi era nascosto sotto. Rimase a bocca aperta, senza parole. Dietro di lui, Gabriel tossì imbarazzato. Probabilmente si stava mangiando le mani per non aver trovato un posto migliore dove nasconderlo...
"Ecco... non volevo fartelo vedere fino a che non fosse stato finito."
Sirius disse la cosa più stupida che potesse passargli per la testa in quel momento, invece.
"Dipingi anche tu."
Era ancora scosso dal soggetto del quadro.
"Già. Dipingo le cose che mi colpiscono, in vista di una prossima catastrofe e delle storie che potrebbe fare la gente del futuro pur di non parlare del Passato" scherzò senza convinzione Gabriel.
"Mi pare una buona idea," rispose seriamente Sirius. "Ma questo non sarebbe utile a nessuno, penso... perché nessuno mi conoscerà nel futuro".
Quindi nessuno avrebbe potuto capire che quello era lui. Probabilmente gli avrebbero dato anche un titolo totalmente diverso da quello che avrebbe scelto Gabriel, come stavano facendo in quella stessa epoca con i quadri che erano stati ritrovati.
Gabriel lo aveva dipinto esattamente com'era, solo in modo più artistico: i capelli serici di Sirius avevano pagliuzze di bianco e di giallo vivo qui e là, gli occhi castani ne avevano invece di verdi, la pelle chiara era appena più colorita lì dove c'era un po' d'ombra, e le labbra erano di un colore più scuro di quello reale, ad esempio. Inoltre non tutto era definito: la sua immagine emergeva da uno sfondo fumoso... magico. Sembrava fluttuare, senza contorni precisi.
L'amico si fece avanti, affiancandolo, e la magia svanì in un alito di vento. Poi Gabriel si avvicinò al quadro e alzò una mano per toccarlo. Fermò i polpastrelli a un centimetro dalla superficie, e rimanendo immobile parlò.
"Non servirà a nulla conoscerti, Sirius. Non gli servirà a nulla, perché il significato invisibile di questo quadro è semplice e immediato, ed è quello che conta."
Allora si girò e gli sorrise. "Cosa vedi?"
Di nuovo quella domanda. Sarebbe riuscito a rispondergli stavolta?
Sì, questa volta sì. Si rese conto che la risposta gli saliva da sola alle labbra, e sorrise.
"Amicizia."
Il sorriso di Gabriel era più luminoso che mai.
"Voglio vederlo quando sarà finito. Sono sicuro che sarà bellissimo... dopotutto lo è anche il soggetto!" scherzò per la prima volta.
E Gabriel rise. Rise e lo prese in giro per questa sua prima e unica battuta sino ad allora.
Sì, si disse Sirius.
Sarebbe diventato uno storico dell'arte.
Lo sarebbe diventato per lui.
Per lui e i suoi quadri.
Per preservarli e farli arrivare integri nel futuro.
In una cornice migliore di quella in cui erano stati creati, perché se la meritavano.

   
 
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