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Autore: Melanyholland    15/07/2011    22 recensioni
Rassegnato, si sedette sul divano e l’occhio gli cadde sulla foto incorniciata d’argento appesa al muro. Ricordò il momento in cui era stata scattata. Entrambi avevano un largo sorriso sulla faccia, uno di quei sorrisi che ti farebbero sembrare un idiota se contemporaneamente gli occhi non brillassero di una tale esuberante felicità da illuminare tutto il viso di estatica bellezza.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Blair Waldorf, Chuck Bass, Nate Archibald, Serena Van Der Woodsen
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Titolo: Baby’s in Black

Autrice: Melanyholland

Pairing: Chuck/Blair, Nate/Serena

Timeline: future-fic, dopo la 4x22 (The Wrong Goodbye). SPOILER fino all’episodio in questione, dunque.

Parole da usare: Anello, Victrola, Charles Place  

Rating: Arancione

Summary: Rassegnato, si sedette sul divano e l’occhio gli cadde sulla foto incorniciata d’argento appesa al muro. Ricordò il momento in cui era stata scattata. Entrambi avevano un largo sorriso sulla faccia, uno di quei sorrisi che ti farebbero sembrare un idiota se contemporaneamente gli occhi non brillassero di una tale esuberante felicità da illuminare tutto il viso di estatica bellezza.

 

 

 

Baby’s in Black

 

 

Dopo essere uscito dall’ascensore, Chuck posò la valigetta sul tavolino e infilò un dito fra il colletto della camicia e la seta della cravatta a quadri per allentarne il nodo. Pensò fuggevolmente che una delle ragioni per cui aveva sempre preferito il farfallino alla cravatta, fin da quando aveva ancora i denti da latte e Bart lo costringeva ad indossare i completi, era proprio evitare quella sensazione opprimente di avere un cappio intorno al collo, pronto a soffocarlo.

Controllò la pila di lettere vicino al vaso di ortensie, notando subito il foglio rosa pastello che spiccava fra i neutri incartamenti di certificati e estratti conto, e abbozzò un sorriso, riconoscendo la calligrafia sbadata e tutto sommato elegante di Serena:

 

Chuck,

io e Blair siamo uscite per un’oretta di shopping. Torniamo per pranzo, promesso.

xo

S.

 

Un’oretta, eh?, pensò, scuotendo la testa. Qualcosa gli diceva che Serena e Blair sarebbero tornate ben oltre l’orario in cui di solito si pranzava, cariche di buste e pacchetti, e Serena gli avrebbe rivolto quell’amabile sorriso di scuse che aveva incantato Nate in più di un’occasione, convincendolo a perdonarla perfino dopo che era fuggita in Italia con Carter Baizen, cinque anni prima.

Chuck, da parte sua, sarebbe rimasto incantato dal sorriso di Blair, che avrebbe congelato ogni sua protesta per il ritardo –come Blair sapeva bene, la furbetta-. Gli sarebbe corsa incontro per dargli un bacio e poi gli avrebbe mostrato tutti i suoi acquisti, fiera e civettuola, e Chuck le avrebbe confermato che era uno splendore in ogni mise, guadagnandosi qualche altro bacio.

Sospirò, ripiegando il biglietto e infilandoselo distrattamente nella tasca della giacca. Era stato in ufficio tutta la mattina ed era piuttosto affamato. C’era persino la possibilità che Serena e Blair decidessero di fare uno spuntino fuori, mentre lui era lì che le aspettava con lo stomaco che brontolava. L’idea lo riempì di affettuoso dispetto.  

Rassegnato, si sedette sul divano per ingannare il tempo leggendo l’Observer, e l’occhio gli cadde sulla foto incorniciata d’argento appesa al muro. Ricordò il momento in cui era stata scattata, il profumo dei boccoli di Blair che gli solleticavano la guancia, la soffice pressione del suo seno contro il petto, la seta liscia sotto la mano mentre le teneva il fianco. Entrambi avevano un largo sorriso sulla faccia, uno di quei sorrisi che ti farebbero sembrare un idiota se contemporaneamente gli occhi non brillassero di una tale esuberante felicità da illuminare tutto il viso di estatica bellezza.

No, non sembravano idioti. Erano stupendi, e nemmeno l’iper-critica e assurdamente insicura Blair aveva avuto delle lamentele su quella foto, tanto che era stata lei a decidere di appenderla in soggiorno, dove ogni ospite avrebbe potuto ammirarli e soprattutto invidiarli, compiacendo l’altezzosa padrona di casa.

Per la gioia di Chuck, Blair non aveva avuto da ridire nemmeno sulla curva dolce del ventre che gonfiava l’abito da sposa di Vera Wang, benché avesse scelto un modello a vita alta con una vaporosa gonna di raso e chiffon proprio per mascherare gran parte della pancia. Il suo matrimonio da favola di certo non prevedeva che fosse incinta, ma a dirla tutta, non prevedeva neanche lui, quindi a Chuck era andato più che bene così.

La navata che li aveva portati all’altare era stata difficile da percorrere, più di una volta avevano inciampato rischiando di cadere. Blair era stata davvero legata a Louis, e Chuck non era riuscito a contenere la rabbia quando aveva scoperto che lei gli aveva nascosto la gravidanza. “Non ti permetterò di portarmelo via, Blair”, l’aveva minacciata, furioso e tagliente, quando lei aveva espresso la sua volontà di continuare con i preparativi per la partenza per il Principato di Monaco, prevista subito dopo il matrimonio con l’altro.

Le lacrime le si erano raggrumate sulle ciglia, ma lo sguardo di Blair era stato deciso quando aveva contrattaccato, scintillante nel riverbero di un sole insolitamente caldo per una giornata di fine Ottobre:

“Farò ciò che è meglio per il bambino, Chuck. Tu non sei pronto a fare il padre, perfino Jenny Humphrey è più matura di te. E poi”, aveva aggiunto, gelida, tirando fuori gli artigli affilati che le avevano permesso di regnare sulla Constance, “Non credo che sia tuo.”

“Mi domando cosa penserebbe il promesso sposo se sapesse cosa è accaduto al Bar Mitzvah l’anno scorso.” aveva ribattuto lui mellifluo, per poi indurire il tono, lasciando trapelare tutta la sua furia: “Forse è mio dovere morale avvertirlo su quanto sia a buon mercato la presunta virtù della ragazza che dichiara di amarlo.”

“Fa’ pure, Chuck. Non ho paura”. Blair aveva sollevato il mento, celando dietro l’alterigia il dolore che era certo le sue parole le avessero inferto. “Dopo la tua scenata patetica al party di fidanzamento, dubito che Louis crederebbe a una parola di quello che dici”.

Aveva ragione, naturalmente, ma Chuck era stato pronto a darle battaglia. Aveva parlato con diversi avvocati, i migliori che i suoi soldi erano riusciti a pagare.

“Stia tranquillo, signor Bass. Avremo la vittoria in pugno ancor prima di arrivare effettivamente in tribunale”.

Non erano mai arrivati in tribunale, infatti. La questione si era risolta nella suite di Charles Place, quando con la bocca umida di lacrime Blair l’aveva baciato, sussurrandogli sconfitta: “Non ce l’ho fatta, Chuck. Louis merita qualcuno che lo ami quanto lui ama me... quanto io amo te. Gli ho mentito, e l’ho ferito. Era pronto a perdonarmi, ma... non posso.”   

“Shhh”, aveva bisbigliato lui, tenendola tra le braccia e riempiendole di baci le guance calde e salate. Avevano fatto l’amore sul bancone del bar, sparpagliando le scartoffie legali, e quando Chuck l’aveva baciata sull’ombelico, gli era sembrato di sentire un palpito sotto le labbra –una sciocchezza, ovvio, perché Blair non sembrava aver percepito nulla.

Mentre si rivestivano, Chuck aveva notato che nella foga lei gli aveva fatto saltare i primi tre bottoni della camicia arancione e aveva sorriso con malizioso divertimento, pensando che era uno dei pochi a conoscere quel lato così passionale della Principessina di Park Avenue. Blair, che stava lisciando meticolosa con le dita le increspature sulla gonna, gli aveva scoccato un’occhiata impertinente, indugiando per un momento sul colletto inevitabilmente sbottonato della camicia che le permetteva di sbirciare il petto nudo, e aveva detto, giuliva: “Chi l’avrebbe mai immaginato che Chuck Bass e Blair Waldorf lo avrebbero fatto in un hotel di Brooklyn?”, ed entrambi avevano riso fino a farsi dolere la pancia, ben consapevoli che le risa scaturivano sì per la battuta, ma soprattutto perché erano maledettamente felici e per la prima volta dopo tanto tempo sembrava che non avrebbero mai smesso.

Le aveva dato l’anello qualche giorno dopo, con una proposta che non prevedeva atri d’ospedale o voce impastata dall’alcol, bensì la bucolica atmosfera di Central Park in autunno, lo starnazzare delle anatre nel laghetto e lui in ginocchio di fronte a Blair nel suo completo più elegante. Lei, in un fresco cappottino a fiori rosa e con i capelli raccolti in una coda morbida sulla spalla, aveva sgranato gli occhi stupita, dischiudendo le invitanti labbra per mormorare, incredula:

“È l’anello di Parigi.”

“È il tuo anello, Blair. Se lo vorrai”, aveva aggiunto, per paura di essere sembrato troppo arrogante. L’umore di Blair era altalenante in quel periodo e c’era il rischio che lo spingesse nel laghetto, stizzita e vendicativa. Serena gli aveva raccontato una storia su una fontana in Francia che costituiva un allarmante precedente.

Ma Blair era concentrata su un altro punto:

“No, voglio dire... dopo l’anno scorso, la mia partenza con Louis... credevo che l’avessi restituito, o te ne fossi sbarazzato in qualche modo”.

Chuck aveva fatto un sorriso mesto.

“È il tuo anello, Blair.” aveva ripetuto, come se spiegasse tutto. Ed era così. Non avrebbe mai potuto separarsene o regalarlo a chiunque altra, perché non apparteneva a lui. Era sempre stato di Blair, fin dal momento in cui la commessa lo aveva preso dalla vetrinetta e aveva disteso le labbra in un largo sorriso di circostanza, facendogli le sue congratulazioni. Non importava che Blair lo volesse o no, Chuck lo avrebbe custodito per sempre, letteralmente a costo della sua vita.

Il viso di Blair si era illuminato di gioia, e aveva estratto il prezioso gioiello dalla scatoletta di velluto blu.

“Lo voglio, Chuck”.

Il loro bacio era stato pubblicato su Gossip Girl, scatenando le ire di Blair, che avrebbe voluto annunciare a tutti il suo fidanzamento e mostrare l’anello di platino e diamanti Harry Winston a Penelope e le altre per godersi le loro facce divorate dall’invidia, ed era stata invece battuta sul tempo dalla maligna blogger. Gli ci erano voluti parecchi altri baci per calmarla. Non che si fosse lamentato, anche perché, quando Blair sporgeva le labbra nel suo irresistibile broncio, diventava impossibile non desiderarla.  

I preparativi per le nozze erano stati frenetici, dato che Blair voleva assolutamente entrare nel vestito, e in alcuni momenti c’erano stati dei picchi di isteria che lo avevano sinceramente spaventato. Una di queste volte era stato presente anche Nate. Blair era entrata come una furia nella suite dell’Empire dove si era rifugiato, con le guance paonazze e uno sguardo che prometteva omicidio, sbraitando che se Chuck davvero pensava che avrebbero decorato il salone per il ricevimento di viola e giallo allora poteva anche chiedere la mano del Joker, perché lei di sicuro non si sarebbe presentata. Chuck, lungi dal ricordarle che la decorazione del salone era l’unica cosa che Blair gli aveva concesso di decidere e che in teoria non aveva diritto di protestare, aveva sfoggiato il più affascinante e collaudato dei suoi sorrisi e aveva sussurrato:

“Non fa niente. Scegli pure i colori che preferisci, baby.”

“Oh, ma certo!” aveva sbottato Blair, avanzando verso di lui con passi pesanti e collerici, e facendolo indietreggiare d’istinto. “Io devo solo pensare ai vestiti delle damigelle, alla torta, ai fiori, alla musica e alla cena! Sei così inutile, Chuck!”.

Chuck non sapeva se attribuire quell’estrema suscettibilità agli ormoni della gravidanza o alla data delle nozze sempre più incombente, ma aveva tirato un sospiro di sollievo quando Blair e le sue ire erano turbinate fuori dalla suite. Nate, a quanto pareva, condivideva il suo stato d’animo.

“Cavoli, amico. E pensare che poteva succedere a me”, aveva gongolato per un istante, ridacchiando per lo scampato pericolo. “Sarei fuggito come un fulmine”.

Anch’io, aveva pensato Chuck, il profumo suadente di Blair che aleggiava ancora nella stanza. Anch’io... se non l’amassi così tanto.

E quando Blair gli era venuta incontro il grande giorno, i riccioli che ricadevano rigogliosi sulle spalle nude, il bouquet di peonie rosa contro il seno, l’abito bianco che drappeggiava la sua figura desiderabile, Chuck aveva sentito le lacrime che gli pizzicavano gli occhi e aveva dovuto deglutire per contenere l’emozione, che aveva minacciato di sommergerlo definitivamente quando l’aveva baciata sulle labbra raggianti di rossetto dopo il .

“Chuck Bass sinceramente commosso”, l’aveva preso in giro Blair vivace, mentre danzavano al ricevimento. Gli occhi castani erano più luminosi dei diamanti della Erickson Beamon che le adornava il collo, e non aveva smesso di sorridere un attimo per tutta la cena. “Che tenero”.

Chuck le aveva scoccato un’occhiata di divertito rimprovero, facendola volteggiare fra le sue braccia al ritmo di Time after Time di Cindy Lauper. Oh, se Blair voleva giocare, non l’avrebbe certo delusa.

“Appena ti ho vista, è stato impossibile trattenermi.” aveva risposto sentimentale, aspettando che il sorriso di Blair si tingesse di vittoriosa delizia prima di aggiungere, con un ghigno: “Ti sei accorta di quanto ti siano cresciute le tette? Non vedo l’ora di toglierti di dosso questo vestito per godermele.”

“Chuck!” l’aveva redarguito lei, dandogli uno schiaffo sul braccio. Serena e Nate, che ballavano poco lontano da loro, si erano scambiati un’occhiata e avevano scosso la testa sorridenti alla vista del gesto.

“È un complimento, tesoro. Hanno l’aria così appetitosa.” aveva insistito, leccandosi adagio le labbra, allusivo. Le guance di Blair si erano accese di una tonalità di rosso che poco aveva a che fare con il fard. Chuck aveva scommesso che fosse per due terzi imbarazzo e un terzo desiderio, e la considerazione aveva aumentato anche la sua eccitazione.

“Se non la pianti, non avrai modo di assaggiarle mai più.” aveva ribattuto lei, teneramente maligna e palesemente bugiarda, schiacciandogli contro stuzzicante il proprio corpo. “Ora perché non usi la bocca per baciarmi? Così i fotografi si dedicheranno a noi, invece di ossessionare Serena”.

Chuck aveva obbedito con estremo piacere, rovesciandola all’improvviso in un casqué che l’aveva fatta sussultare di sorpresa, prima di unire le loro labbra, passionale. Il bacio in perfetto stile Hollywood era finito su tutti i giornali e i siti internet di cronaca mondana, mettendo in secondo piano qualsiasi scatto di Serena nel suo abito da Damigella d’Onore disegnato esclusivamente per lei da Dolce e Gabbana.

“Serena voleva fare Pippa con me, ma noi siamo molto più belli di William e Kate.” aveva commentato spumeggiante Blair, mentre Chuck le tirava giù la lampo dell’abito e le ricopriva di baci l’invitante schiena nuda, giù fino alla curva aggraziata del sedere. La prima tappa della luna di miele era stata Venezia e la finestra della loro suite dava sul Canal Grande, una vista che Blair aveva definito romantica, subito prima di proporgli con uno sguardo impudico di giocare almeno una volta a Desdemona e Othello che nascondono il loro matrimonio clandestino a Brabantio. Chuck a quel punto l’aveva spinta sul letto e aveva dichiarato convinto che era la donna perfetta, prima di raggiungerla e dedicarsi all’oggetto del loro battibecco durante il ricevimento.

 “Chuck?”.

Aprì gli occhi, sbattendo più volte le palpebre, e capì che doveva essersi assopito sul divano, perso in quei ricordi meravigliosi.

Blair lo guardava con un sorrisetto insolente e uno scintillio malizioso negli occhi, seduta accanto a lui sul divano in lingerie. Era così bella, si ritrovò a pensare. Era come se per Blair il tempo si fosse fermato. Nonostante ormai fosse accaduto tanti anni prima, la ragazza che lo occhieggiava ammiccante sembrava in tutto e per tutto la sedicenne che lo aveva ammaliato sul palco del Victrola, rubandogli il cuore.

“Solo i bambini fanno il sonnellino pomeridiano. O i vecchi.” lo sbeffeggiò allegramente, gettandosi dietro la spalla la lunga chioma ondulata. Le sue labbra, velate di rosso scuro, spiccavano sul viso bianco latte.

Chuck sorrise, accarezzandole il fianco avvolto in seta color avorio. Ricordò quanto era stata calda la pelle di Blair, come il tessuto liscio della sottana le era scivolato via dal corpo sotto le sue mani bramose, come si era inarcata contro di lui quando era venuta. L’aveva amata quella notte, ma non per la prima volta. Era sempre stato innamorato di lei, forse fin dal momento in cui gli era corsa incontro all’asilo e lui l’aveva spinta nel fango, guadagnandosi un calcio.   

“A proposito di bambini, la piccola come sta?”

“Sta bene, Chuck. È di là con Serena.” lo rassicurò lei dolcemente, accarezzandogli i ciuffi sulla fronte con le dita sottili e fresche di manicure. “Ti preoccupi troppo. Sei un bravo papà.”

“Davvero?”.

Lo chiese in tono scherzoso, ma attese la risposta quasi in ansia. Blair, che era capace di sbirciare dentro di lui con l’abilità e la tenerezza di una bambina che spia nei pacchetti regalo il giorno del suo compleanno, si sporse per sfiorargli le labbra con le sue. Sapevano di ciliegia e champagne.   

“Sì.”

“Ti amo, Blair”.      

Blair sorrise, incantevole come un angelo. “Anch’io. Ti amerò per sempre, ricordi?”

“Per sempre.” ripeté lui, accorato. Sentì di nuovo le lacrime pungergli gli occhi e strinse Blair a sé, come un naufrago che affoga si aggrapperebbe all’ultimo relitto della barca, disperato.

“Chuck!”.

Fingendo di strofinarsi le palpebre per la stanchezza, Chuck si asciugò gli occhi prima di voltarsi verso Serena, in top dorato e calzoncini di jeans, con le mani piene di buste (proprio come lui aveva previsto).

“Non sai che caldo fa, là fuori! Io e Blair ci siamo prese un gelato. Aveva paura che la sgridassi, ma io le ho detto che ti avrei parlato. Non ti arrabbierai con lei, vero?”

“Dovrei arrabbiarmi con te.” brontolò, poi si accorse delle manine grassocce aggrappate alle cosce di Serena e sorrise.

“Blair, vieni qui. Non sono arrabbiato.” la blandì, tenero, e la faccia della piccola sbucò fuori da dietro Serena.

“Davvero davvero?” chiese, gli occhioni che lo scrutavano mentre si mordicchiava il labbro. Diffidente come sua madre, pensò, adorante.

“Davvero.”

“Nemmeno con zia Serena?”

“No.”

“Te l’avevo detto che non si sarebbe arrabbiato!” esclamò trionfante e fiera rivolta a Serena, poi gli corse incontro a braccia spalancate, con quella fiducia e quello slancio tipico dei bambini di cinque anni, il vestitino di Hello Kitty che le svolazzava intorno alle gambe esili. Chuck la sollevò e se la posò sulle ginocchia, mentre lei gli allacciava le mani dietro il collo.

“Bacetto a Blair! Bacetto a Blair!” gli ordinò, perentoria e Chuck e Serena si scambiarono un’occhiata divertita prima che lui obbedisse, baciandole la guancia. La piccola aveva ancora la bocca sporca di cioccolato e odorava di sudore. L’avrebbe infilata in una vasca non appena la digestione fosse terminata.

Avendo ottenuto ciò che voleva (come sempre, del resto), Blair sorrise felice, poi si sporse verso di lui.

“Non devi prendertela con la zia”, gli bisbigliò all’orecchio, in un tono cospiratorio e presuntuoso che suonava buffo nella sua vocetta infantile. “Le faccio fare quello che voglio.”

“Ah, sì?” rise Chuck. Blair annuì energicamente.

“Sì, sì.”

“Beh, io ora vado. Nate mi sta aspettando.” annunciò Serena, spostando la borsa di pelle con le frange da una spalla all’altra prima di recuperare le buste da terra. Si avvicinò, baciò a sua volta Blair sulla guancia e le sorrise:

“Ci vediamo stasera, piccola B.”

“Metto il vestito nuovo!” squittì Blair, battendo le mani, ancora in grembo al padre. “Posso, papi?”

“Prima devo vederlo.” obiettò lui, toccandole la punta del naso all’insù con un dito. “Tua zia ha strani gusti in fatto di abiti”. E il dettaglio che si divertisse a portare sua figlia per negozi per vestirla come le pareva, quasi fosse una bambola, non gli era mai stato di conforto.

“Ehi!”.

Blair fece un risolino, poi posò la testa sulla sua spalla. Stare dietro a Serena doveva averla stancata parecchio, perché dopo una manciata di minuti Chuck sentì che diventava più pesante nell’abbandono del sonno. Le accarezzò i capelli castani, dolcemente.

Serena non era ancora andata via, e approfittando del fatto che Blair era fuori gioco, sussurrò, premurosa:

“Tutto okay, Chuck?”

“Certo”.

Serena gli rivolse il suo sguardo indulgente da donna di mondo comprensiva che talvolta gli dava sui nervi. Come in quel caso.

“Manca anche a me.” commentò, arguta e triste. “Anche se sono passati cinque anni, a volte... mi aspetto ancora di vederla entrare in camera mia”.

E sarebbe sempre stato così, lo sapevano entrambi.

I primi tempi, il dolore era stato così violento e così totale che Chuck era convinto si sarebbe ucciso, se non fosse stato per Blair. La piccola era stata l’unica cosa che lo aveva trattenuto, proprio come sua madre lo era stata anni prima. Oh, c’era stato l’alcol, quello sì, e anche qualche sniffata di cocaina. Finché una mattina si era svegliato con i postumi di non sapeva nemmeno più che miscuglio di sostanze e non aveva trovato Blair nella sua culla, ed era corso per tutta la suite e poi per l’albergo, ancora i vestiti sciatti e sporchi della sera prima, la barba incolta e gli occhi arrossati, chiedendo di lei a chiunque incontrasse, disperato e irrequieto, e tutti lo avevano guardato fra pietà e disgusto pensando magari che finalmente era successo, Bass era impazzito del tutto, era solo questione di tempo dopo la morte della tanto amata moglie.

Aveva ritrovato Blair tra le braccia di Lily. Nate, che si era trasferito di nuovo da lui per sostenerlo, si era accorto che non era in grado di occuparsene e l’aveva portata da qualcuno affidabile (probabilmente, aveva realizzato Chuck quando era stato di nuovo in grado di ragionare lucidamente, Nate ne aveva approfittato anche per chiedere notizie di Serena, scomparsa con Baizen subito dopo la tragedia).

Chuck, indicibilmente sollevato, l’aveva guardata e l’aveva trovata così piccola, gli occhi chiusi, il faccino rosa e un ciuffetto misero di capelli scuri in cima alla testa, e aveva deciso che non ci sarebbero state più droghe o sbronze, perché lei aveva bisogno di lui. Così, aveva ascoltato pazientemente i severi rimproveri di Lily e le aveva permesso di abbracciarlo prima di lasciare l’appartamento degli Humphrey.

“Ti voglio bene, piccola.” bisbigliò, cullandola e posandole un altro bacio tra i capelli setosi.

Un bravo papà. Blair glielo ripeteva spesso, nei suoi sogni diurni. Di notte, invece, quando era solo nel letto matrimoniale che avevano scelto insieme e che avevano condiviso per poche settimane, sognava della notte in cui l’aveva persa. Oh, il destino avrebbe avuto un’ironia davvero crudele se sua figlia fosse nata nelle sue stesse circostanze, ma Blair non era morta di parto (e a volte Chuck si chiedeva, avrei odiato mia figlia se così fosse stato?, vergognandosi anche solo di averlo pensato, ma senza riuscire ad impedirselo). Nei suoi sogni, sentiva di nuovo la mano di Blair che stritolava la sua, il suo respiro affannoso a sbuffi, e la propria voce che ordinava ad Arthur di andare più veloce, più veloce, Blair aveva le doglie e dovevano raggiungere la clinica privata immediatamente. Più veloce, aveva sbraitato insistente, e Arthur aveva obbedito, e allora non poteva realmente dare la colpa a lui se le ruote avevano slittato sull’asfalto ghiacciato e l’auto era sbandata fino alla corsia opposta e Blair aveva urlato terrorizzata, e l’ultima cosa che Chuck ricordava, prima che l’impatto gli facesse perdere i sensi, era Blair che chiamava il suo nome.

Non si era suicidato per sua figlia, questo era vero. Ma non si era suicidato anche perché quando gli avevano dato la notizia era bloccato a letto con diverse fratture e imbottito di morfina. L’infermiera accanto al dottore aveva le lacrime agli occhi, quello lo ricordava bene, anche nella nebbia farmacologica. Lui non aveva pianto in quel momento, perché era tutto così surreale, e sentiva ancora la pressione delle dita di Blair intorno alla mano sinistra, se si concentrava, e la sua voce che lo chiamava, quindi come poteva essere morta? Ma le lacrime erano arrivate, oh sì. Aveva pianto bloccato in quel letto, e aveva pianto quando gli avevano riconsegnato gli effetti personali di Blair. Aveva tenuto il suo anello fra le dita e aveva ripensato a quella giornata autunnale a Central Park e a come erano state tiepide le sue labbra e dolce la sua lingua e aveva singhiozzato e versato lacrime fino ad addormentarsi, come non gli capitava più da quando aveva sette anni e Bart gli aveva risposto gelido che non avrebbero mai festeggiato il suo compleanno perché non c’era niente da festeggiare.

“Almeno sono riusciti a salvare la bambina”, gli ripetevano tutti, cercando di confortarlo.

Non aveva detto a nessuno di non aver mai fatto il test di paternità. Lui e Blair erano stati così bene dopo la rappacificazione che aveva temuto di rompere qualcosa se vi avesse anche solo accennato. Blair, da parte sua, non aveva mai toccato l’argomento. Essendo cresciuti nell’alta società, erano entrambi maestri nell’ignorare l’elefante rosa nella stanza.

In tutta franchezza, Chuck era stato spaventato dal test. Se avessero scoperto che il padre era effettivamente Louis, cosa sarebbe accaduto? Era una domanda alla quale non era capace di rispondere, purtroppo. Farò ciò che è meglio per il bambino, gli aveva detto Blair, ed era assolutamente sincera, Chuck lo sapeva.

Un giorno, la piccola aveva scalciato mentre Blair era tra le sue braccia e lei aveva riso.

“Sa quando il papà è vicino alla mamma”, aveva bisbigliato, deliziata, prima di baciarlo sulla bocca con dolcezza ma trasporto. Chuck aveva risposto al bacio, e intanto aveva pensato, sì, lo sono. Sono il suo papà, e nessuno potrà portarmela via.

Un bravo papà.     

Ma lo era veramente? Blair sembrava felice e in salute. Magari un pochino viziata e capricciosa, ma tutti i bambini lo erano un po’, soprattutto nell’Upper East Side. Lui e Blair stessi non avevano fatto eccezione.

Dubitava che sarebbe mai riuscito a mettere a tacere quella voce che minava la sua sicurezza e la sua autostima, quella voce che aveva spesso i toni freddi e sbrigativi di Bart.

Però faceva del suo meglio. Per crescere Blair, per sopravvivere alla perdita dell’unico amore della sua vita. Per diventare l’uomo che Bart non era mai stato in grado di essere.

Ma stavolta per davvero.

 

 

Fine

 

 

 

Note dell’Autrice:

 

[1] “Baby’s in Black” è il titolo di una canzone dei Beatles

[2] Chiedo scusa ai lettori di Purple Suits & Red Lips per i lunghi tempi di aggiornamento. Ho finito la sessione d’esami ieri, quindi sono stata parecchio impegnata. Cercherò di pubblicare un nuovo capitolo prima di partire a metà Agosto, spero di farcela.

Alla prossima storia,

Melany

  
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