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Autore: Nackros    17/07/2011    7 recensioni
Marte, quella era la meta, la sua nuova casa.
Era quel pianeta che osservava quando ancora la sera si poteva sedere tra le tegole ed il comignolo e che pensava fosse così irraggiungibile.
Era stato reso vivibile “apposta per tutti noi esseri umani”, avevano detto.
Avevano costruito sul suolo rosso di quel corpo celeste, lavorato per rendere l'atmosfera vivibile, ma non erano riusciti a salvare la Terra.
Per questo si trovava lì, sul retro di una navicella spaziale, a guardare la Terra allontanarsi sempre di più da lei, troppo immersa nei suoi pensieri per accorgersi della presenza alle sue spalle di un ragazzo che la scrutava meravigliato.

[...]
In un futuro forse neanche troppo lontano la Terra non è più abitabile e gli esseri umani si preparano a compiere la più grande migrazione mai avvenuta.
Ed è proprio sul retro di una navicella in rotta per Marte che due ragazzi, dopo tanto tempo, si rincontrano.
Dal capitolo 5:
Lentamente tutto stava tornando come prima, o almeno per quanto ciò fosse possibile.
Ma come in ogni cambiamento c'era sempre qualcuno che rimaneva indietro; Gwen si sentiva esattamente così, in ritardo, come fosse troppo tardi per poter recuperare.
Lì in piedi, in attesa di rientrare a casa, si rese conto di essere l'unico punto fermo in un mondo che continuava a scorrere, a mutare. Era una sensazione strana, un po' come quando ci si siede sulla panchina di una stazione e si vedono tutti partire, mentre tu rimani fermo ad osservare il mondo che va avanti senza aspettarti. Come se la sua presenza non avesse importanza in mezzo a tutto quel via e vai di vite.
Nessuno si sarebbe fermata ad attenderla. Tanto valeva rimanere ferma ad aspettare. Ad aspettare cosa, poi?
Genere: Romantico, Science-fiction, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Gwen, Trent | Coppie: Trent/Gwen
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Una ragazza era in piedi davanti alla grossa vetrata che componeva la parte posteriore dell'astronave, osservando la scena così surreale, ma allo stesso tempo magnifica, che si prostrava davanti a lei.
Aveva sempre amato tutto ciò che riguardava l'universo; i pianeti, i satelliti, le stelle...
Queste ultime, in particolare, erano sempre state una delle sue più grandi passioni.
Capitava spesso che la sera si mettesse ad osservare il cielo con quel vecchio cannocchiale, regalatogli tanti anni prima, perdendosi con lo sguardo nella volta celeste.
Quando poi era convinta che in casa tutti dormissero, a volte, si arrampicava sul tetto della piccola villetta, sedendosi tra le tegole ed appoggiando la schiena al comignolo.
In quel momento provava a riportare tutte le sfumature di quel cielo incantato sulla tela, dipingendo.
Spesso ci passava intere serate, senza dormire. Eppure non si sentiva stanca, avrebbe passato giornate intere lì sopra, se non fosse che con l'arrivo delle prime luci dell'alba la gente, uscendo di casa, si sarebbe chiesta perché una ragazza si trovasse seduta sul tetto di una casa.
Ogni tanto, quando passava le notti con lo sguardo fisso nel cielo, gli succedeva anche di vedere qualche pianeta come Giove o Venere, che grazie a qualche strano allineamento nel sistema solare, rimanevano visibili ai suoi occhi per qualche ora.
Mai, però, si sarebbe immaginata di poter vedere la Terra.
Perché da quella grossa vetrata che dava sull'universo l'unica cosa che in quel momento riusciva a osservare era proprio la Terra.
Non era come nelle foto risalenti ad anni prima, con gli oceani azzurri e le rigogliose foreste verdi contornate da una coltre di nuvole bianche.
Adesso era malata.
Non si vedeva più niente di quello descritto prima, tutto era ricoperto da uno spesso strato di fumo grigio.
Ed anche volendo togliere quel grigio, spazzando via tutto quel fumo, era convinta che sotto non avrebbe mai più ritrovato l'azzurro ed il verde.
Sapeva che lì sotto si celava qualcosa di ben diverso; probabilmente deserti aridi, ma non di sicuro quei due colori che tanto amava.
L'avevano distrutta, la sua casa, la Terra.
Erano stati gli uomini che con le loro stesse mani avevano rovinato in poco tempo quella meraviglia che si era formata dopo miliardi di anni.
Avevano distrutto tutto, ogni cosa.
Ed a niente erano serviti gli sforzi di quei pochi uomini che avevano provato a cambiare le cose.
Erano stati zittiti, messi a tacere dai loro stessi governi.
Da gente resa cieca dalla fama, dal successo... dal denaro.
Era per colpa loro che adesso l'intera popolazione, o meglio, quel che ne rimaneva, era stata costretta ad andarsene.
Sarà solo come fare un grande trasloco” avevano annunciato sorridenti i capi delle maggiori potenze mondiali.
Come li odiava! Avrebbe voluto vederli morire uno ad uno, soffocati respirando l'aria o avvelenati bevendo l'acqua che loro stessi avevano inquinato.
Ed invece non aveva potuto fare niente, doveva ubbidire agli ordini.
Marte, quella era la meta, la sua nuova casa.
Era quel pianeta che osservava quando ancora la sera si poteva sedere tra le tegole ed il comignolo e che pensava fosse così irraggiungibile.
Era stato reso vivibile “apposta per tutti noi esseri umani”, avevano detto.
Avevano costruito sul suolo rosso di quel corpo celeste, lavorato per rendere l'atmosfera vivibile, ma non erano riusciti a salvare la Terra.
Per questo si trovava lì, sul retro di una navicella spaziale, a guardare la Terra allontanarsi sempre di più da lei, troppo immersa nei suoi pensieri per accorgersi della presenza alle sue spalle di un ragazzo che la scrutava meravigliato.
Questo ragazzo, dai capelli corvini un po' scompigliati, stentava a credere alla visione della figura posta davanti a lui.
Gli sembrava già fin troppo irreale trovarsi su un'astronave diretta per Marte; aveva sempre pensato che fosse una cosa da astronauti, non da comuni civili.
Invece non solo stava navigando nello spazio, ma si trovava anche davanti alla persona che per lungo tempo era stata il suo chiodo fisso e che, nonostante il tempo, non aveva mai dimenticato.
Riuscì solamente ad emettere con voce flebile il suo nome.
«Gwen...»
Lei si voltò lentamente, domandandosi chi mai avrebbe potuto chiamarla in quel posto pieno di gente a lei sconosciuta.
Quando si girò i suoi occhi incontrarono quelli verdi del ragazzo che l'aveva appena chiamata.
Continuarono quel contatto visivo ancora per un poco, fino a quando la ragazza si rivolse a lui con voce meravigliata.
«Trent? Non ci posso credere... Anche tu qui?»
I due ragazzi nel mentre non si accorsero di essersi avvicinati uno all'altro, mantenendo la stessa espressione sorpresa.
«Non ci posso credere neanche io, sono anni che non ci vediamo... Non avrei mai pensato di rincontrarti qui...» disse Trent, ancora stupito.
«E' assurdo!» esclamò lei, visibilmente in imbarazzo.
«Già... Forse mai quanto il trovarsi su un'astronave diretta per un altro pianeta» aggiunse lui, abbozzando un sorriso e passandosi le mani tra i capelli.
«Hanno chiamato anche te...» rispose incupendosi ed abbassando lo sguardo.
«Sai, all'inizio, quando avevano iniziato a parlare di questa faccenda», continuò «non ci credevo.
Ne avevo sentito parlare per radio, in televisione, sui giornali... Ma mi sembrava una cosa così strana che non immaginavo fosse vera. Poi mi è arrivata la lettera...» concluse, lasciando la frase in sospeso e continuando a tenere lo sguardo basso.
«Oh, non sei l'unica Gwen... Anch'io all'inizio pensavo fosse tutta una cosa inventata» provò a consolarla.
Lei alzò lo sguardo, lo guardò negli occhi e provò ad abbozzare un sorriso, lasciandosi scappare un sospiro, per poi continuare ad osservare il cielo dalle vetrate.
«Sai già dove ti manderanno quando saremo arrivati?» domandò tenendo sempre lo sguardo fisso davanti a lei.
«No, non ne ho idea...» rispose.
«Peccato», sospirò lei «Mi sarebbe piaciuto poter stare con qualcuno che conosco... Non ci vediamo da tantissimo tempo, è vero, però sarebbe stato meglio di stare da sola».
Gwen sentiva la voce tremargli leggermente mentre pronunciava quelle parole.
Neanche lei sapeva dove sarebbe andata una volta atterrata.
Suo fratello e sua madre sarebbero arrivati con le altre navicelle in partenza dalla Terra nei prossimi giorni, e continuava a chiedersi se li avrebbe rivisti.
Non sapeva niente di ciò che l'avrebbe aspettata sul pianeta rosso.
Era sola in mezzo ad un universo sconosciuto ed a gente che non aveva mai visto.
Non aveva neanche più una casa, l'aveva lasciata lì, sulla Terra, per sempre.
Si accorse improvvisamente di come Trent fosse diventato il suo punto di riferimento, l'unico che in mezzo a tutti quei punti di domanda conosceva veramente.
Rimasero per un po' senza parlare, continuando a guardare la Terra diventare sempre più piccola, finché Trent non ruppe il silenzio.
«Dipingi ancora?» gli chiese
«Si» rispose con un sorriso.
Trent sapeva quanto lei amasse disegnare nello stesso modo in cui sapeva che chiedergli di questo l'avrebbe aiutata a risollevargli un po' il morale.
Era sempre stata una ragazza introversa, non amava parlare molto.
Ma non con Trent, non se era con lui.
Senza neanche accorgersene iniziarono a parlare di loro, di che cosa avevano fatto in tutti quegli anni passati senza vedersi.
Gwen gli raccontò di come fosse riuscita, con tanti sacrifici ma con molta soddisfazione, a frequentare l'accademia d'arte, riuscendosi a diplomare.
Gli parlò anche di quelle sere passate sul tetto, delle quali prima non aveva mai detto a nessuno.
Non era solita parlare di lei, non gli era mai piaciuto.
Eppure provava una tale fiducia nei confronti di quel ragazzo che gli disse tutto.
Parlare con lui, avere qualcuno con cui sfogarsi, non l'aveva mai fatta stare così bene.
Di Trent invece si scoprì come non avesse mai abbandonato la sua passione per la musica, senza smettere mai di suonare.
Aveva appena finito il suo primo album e poco prima di partire era riuscito a firmare un contratto con una casa discografica.
Poi, però, tutto era svanito per colpa di quella che tutti consideravano la più grande migrazione mai avvenuta in milioni di anni.
«Mancava solo la copertina!» esclamò amareggiato.
«Mi dispiace...» riuscì semplicemente a sussurrare Gwen.
Non era mai stata brava a consolare le persone come riusciva a farlo Trent.
Lui fece spallucce.
«Non fa niente» mormorò, «un giorno riuscirò a far uscire questo maledetto album» rispose scherzando.
Entrambi scoppiarono in una risata divertita, portandosi le mani alla bocca.
«Ancora mi chiedo come hai fatto a riconoscermi dopo tanti anni...» disse Gwen, ancora sorridendo.
«Beh, i tuoi capelli non passano inosservati!» rispose ironico lui.
Lei si limitò a ridere, tirandogli un leggero spintone con la spalla.
Di solito non rideva spesso, sopratutto in quell'ultimo periodo.
Eppure con Trent quelle risate gli uscivano così naturali...
«Lo sai che mi sono sempre piaciuti tantissimo» aggiunse lui ancora sorridente, «e comunque non sei cambiata molto...”
Gwen mostrò un espressione perplessa, corrucciando un sopracciglio.
«Non intendevo in senso negativo!» si affretto a correggersi, «Nel senso che hai sempre lo stesso stile, gli stessi lineamenti... Però sei più grande, più cresciuta... Sei più bella.»
Avrebbe voluto rispondergli, dirgli che anche lui era sempre bellissimo, ma la timidezza la fermò, consentendole soltanto di mostrare un sorriso imbarazzato, con le gote colorate di rosso.
Ormai era da molto che parlavano, probabilmente era passata qualche ora, eppure avrebbero detto che il tempo si era fermato, se non fosse stata per l'immagine della Terra che stava diventando un puntino minuscolo all'orizzonte, di dimensioni pari alle altre stelle.
«Guarda», disse Gwen «questi probabilmente saranno gli ultimi secondi in cui vedremo la Terra.»
Si poteva avvertire chiaramente la profonda malinconia celata tra quelle parole.
Quando si voltarono in direzione della vetrata una strana sensazione riempì i loro cuori.

10, 9, 8...

 Un piccolo puntino lontano,

...7, 6, 5...

 Sempre più distante,

...4,3,2...

 Il respiro si è quasi fermato,

...1..

 L'ultimo secondo,

...0.

 E' scomparsa.

 

Entrambi sospirano, portando le mani al vetro.
«Non la rivedremo mai più...» Commentò lei con la voce rotta dall'emozione.
La gente che come loro si era fermata ad osservare per gli ultimi istanti la Terra stava iniziando ad andare via.
Il retro della navicella iniziò a svuotarsi finché gli unici a rimanere lì furono i due ragazzi.
L'ultimo suono di passo in lontananza smise di essere udibile lasciando spazio al silenzio più totale, disturbato solamente dal vibrare continuo e monotono dei motori.
Non c'era suono, non potevano esistere nel bel mezzo dell'universo.
A rompere quel silenzio assoluto fu un respiro interrotto di Gwen.
Trent si voltò e la notò asciugarsi una lacrima con un gesto veloce.
Sapeva che gli dava fastidio essere vista così, non amava mostrarsi fragile agli occhi degli altri.
Quando lei però alzò lo sguardo fissandolo dritto negli occhi capì che non gli interessava niente di ciò che avrebbe pensato; aveva solamente bisogno di essere confortata, di qualcuno che la facesse sentire meglio.
La avvicinò a lui, abbracciandola, e lasciando che le lacrime iniziassero a scorrergli silenziose sulla maglietta.
La strinse forte a sé, tenendola stretta al petto.
Non l'avrebbe lasciata scappare via, non un'altra volta.
«Sai», gli disse «guardare per gli ultimi secondi la terra con te è stata la cosa più bella che mi fosse mai capitata».
Lei sollevò la testa dall'incavo della sua spalla, asciugandosi una lacrima.
«Anche per me» gli rispose, appoggiandosi a lui.
Chiuse gli occhi, fermandosi ad ascoltare il battito lento e regolare del suo cuore.
«Grazie» aggiunse, «grazie di tutto».
Lui gli rispose con leggero bacio tra i capelli.
Tutte le preoccupazioni in quegli attimi sembrarono svanire, lasciando spazio ad una quiete interiore mai provata prima.
Rimasero abbracciati ancora a lungo, ognuno cullato dal respiro dell'altro.
Le lacrime oramai avevano smesso di rigare le guance di Gwen ed un sorriso beato aveva preso il loro posto.
Trent gli spostò una ciocca di capelli dietro l'orecchio, avvicinandosi a lei con il viso.
«Ti faccio vedere una cosa, seguimi», gli sussurrò dolcemente.
Lui iniziò ad incamminarsi e la ragazza lo seguì senza esitazioni, tenendo stretta la sua mano tra la sua.
Arrivarono davanti ad una porta metallica, una delle tante che si potevano vedere per i corridoi.
Estrasse una tessera dalla tasca e la fece scorrere in una piccola fessura apposita.
La porta si aprì ed i due ragazzi entrarono.
Mentre il ragazzo era intento a tirare fuori qualcosa da un armadio Gwen diede una veloce occhiata alla camera.
Era esattamente come la sua, con un grande oblò che dava sull'infinità dell'universo.
«Ecco!» esclamò soddisfatto Trent.
Gwen osservò lo strumento che stava tenendo tra le mani.
«La tua chitarra, è sempre la stessa!» rispose sorridente, iniziando a sfiorare le corde con la punta delle dita.
La gente comune l'avrebbe considerata un comune oggetto, ma per loro rappresentava qualcosa di molto più importante che un semplice pezzo di legno.
Quella chitarra era stata una delle cose che aveva fatto innamorare anni prima i due giovani.
I ricordi delle serate passate insieme a quello strumento erano impressi ed ancora vividi nella loro mente.
Trent si sedette sul letto, seguito da Gwen che si mise al suo fianco incrociando le gambe.
Quando iniziò a suonare il tempo sembrò tornare indietro.
Ogni nota faceva riaffiorare le immagini degli attimi vissuti insieme; e proprio come quando accadeva sulla Terra, Gwen si appoggiò alla spalla di Trent chiudendo gli occhi e lasciandosi trasportare dalla musica.
«Sei sempre bravissimo» gli sussurrò lei.
Dopo qualche canzone la ragazza socchiuse gli occhi e si rivolse a Trent.
«Puoi venire un attimo con me? Vorrei farti vedere una cosa anch'io».
Il ragazzo annuì, posò la chitarra e seguì Gwen fino alla sua camera.
Quando entrarono aprì un cassetto e, preso un blocco da disegno, lo porse a Trent.
«Vorrei che lo tenessi te» disse seria.
«Oh, ma Gwen... Non posso, so quanto ci tieni...»
«Tu mi hai dato la tua musica, ed io ti do i miei disegni. E' uno scambio equo, no?» rispose sorridendo.
Il ragazzo rispose al sorriso, ringraziandola.
Iniziò a sfogliare l'album, ammirando quel tratto così preciso e pulito.
C'erano disegni di ogni genere; da persone a paesaggi, da animali a oggetti della vita quotidiana.
Arrivato all'ultimo foglio si fermò, affascinato dalla bellezza di quell'ultimo soggetto.
Si poteva vedere raffigurata una città devastata, con i grossi palazzi abbandonati e dalle finestre rotte che contornavano una strada deserta, dove le uniche macchine presenti sembravano essere abbandonate da tempo. Sullo sfondo un tramonto con un enorme sole che con la sua luce colorava il cielo con le più infinite tonalità di rossi e gialli.
I colori dei quei raggi si riflettevano sui muri dei palazzi scrostati, tra le crepe dell'asfalto e sulla vernice rovinata delle auto rendendo il paesaggio infuocato.
Pareva che l'intera città fosse sotto la furia delle fiamme.
«E' stupendo...» mormorò Trent.
Gwen sorrise soddisfatta.
«Grazie» rispose, «quello è l'ultimo disegno che ho fatto sulla Terra... Il giorno prima di partire mi è bastato andare nel centro della città e tracciare sulla carta quello che vedevo. E' come una foto del mio ultimo tramonto...»
Quando finì di pronunciare quelle parole si lasciò sfuggire un sospiro.
Sapeva bene che non avrebbe mai più visto un tramonto, era stata fortunata perché aveva avuto la possibilità di poterlo vedere.
Era strano pensare che da quel momento in poi ogni essere umano nato dopo il "grande trasloco” si sarebbe perso uno spettacolo del genere.
Una scena che quando la gente viveva ancora sulla Terra dava fin troppo per scontata, forse perché abituata a vederla ripetere ogni giorno.
Invece adesso quel magnifico avvenimento non si sarebbe più ripetuto, e Gwen questo lo sapeva.
Aveva deciso di tenersi dentro quel ricordo quasi come fosse un tesoro, come qualcosa di stupendo da raccontare alle generazioni a venire, a quelli che il sole tramontare non l'avrebbero mai visto.
«Sai una cosa, Gwen?» disse Trent distogliendola dai suoi pensieri, «Se riuscirò a far uscire il mio album penso che questa sarebbe un'ottima copertina.»
A quelle parole la ragazza scoppiò in un sorriso così naturale e pieno di gioia che fece sorridere anche lui.
Il fatto che Trent apprezzasse così tanto il suo disegno le infondeva una felicità enorme.
Non si era mai sentita così gratificata.
Forse non solo per il fatto che quella sarebbe diventata la copertina di un album che molte persone avrebbero visto, ma perché a dirgli quelle cose era stato Trent, il ragazzo che tanto aveva amato e che si stava rendendo conto di non aver mai dimenticato.
Gwen si lasciò trascinare dai suoi sentimenti e senza neanche pensarci si ritrovò ad abbracciare il ragazzo che subito ticambiò il gesto cingendola tra le sue braccia.
Lui, scherzando, la prese in braccio.
«Ehi, tirami giù!» esclamò divertita.
«Come vuole lei» gli rispose lasciandola cadere sul letto.
Scoppiarono entrambi a ridere.
Era da tanto che Gwen non rideva così; probabilmente non aveva mai riso tanto.
Ancora con il sorriso sulle labbra Trent si lasciò cadere a sua volta sul materasso a fianco a lei.
 Si voltarono, guardandosi negli occhi, sdraiati vicini.
La distanza tra i loro volti era talmente poca che ognuno poteva distinguere chiaramente il respiro dell'altro sulla pelle.
«Tu non sei normale» disse Gwen con fare scherzoso.
«Oh, ma tu mi dicevi sempre che ti piacevano le persone strane»
«In realtà non hanno mai smesso di piacermi» rispose avvertendo le guance avvamparsi in modo improvviso.
Trent gliele sfiorò, lasciando un solco fresco ed invisibile sulla sua pelle.
La sua mano arrivò poi a toccare una ciocca bluastra di capelli che gli spostò delicatamente dietro l'orecchio.
Quando le loro bocche furono abbastanza vicine le sfiorò leggermente le labbra, assaporandone il sapore di cui aveva tanto sentito la mancanza.
Fu così che si lasciarono andare ad un bacio più passionale, seguito subito dopo da molti altri.
Si tenevano stretti, stringendosi avidamente in un abbraccio.
Continuarono a baciarsi sempre con più foga, interrompendo quel contatto solo per riprendere fiato.
Mentre si baciavano Trent poteva avvertire gli angoli della bocca di Gwen inarcarsi in piccoli sorrisi.
Iniziarono a sfilarsi i vestiti, lasciandosi trascinare dalla passione.
Quel momento era così perfetto che non l'avrebbero cambiato per nulla al mondo.
I loro corpi combaciavano alla perfezione, come due pezzi di puzzle che finalmente erano stati riuniti.
Dopo tanti anni si erano rincontrati; non gli importava se ciò fosse avvenuto per colpa del caso o del destino.
Erano insieme, questo importava.
Si completavano a vicenda.
E se una volta toccato il suolo di quel bizzarro pianeta avessero provato a separarli non ci sarebbero riusciti.
Si sarebbero ritrovati, di nuovo, ogni volta come la prima.









Eccomi qua con una nuova fiction a carattere decisamente fantascientifico!
  Finalmente sono rientrata in possesso del mio computer e prima
  di continuare la long fic che ho in corso non ho resistito
  nello scrivere questa storia ;)
  L'idea è nata ascoltando "Moving to Mars" dei Coldplay, canzone di cui mi
  sono completamente innamorata.
  E' piuttosto strana, lo so... Ma ho una mente abbastanza perversa ;P
  Inoltre è rimasta anche un po' lunga, spero quindi di non avervi annoiato.

  Naturalmente un grande grazie va tutti quelli che
  sono arrivati a leggere fin qui
  :)

  Alla prossima!

   
 
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