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Autore: May90    17/07/2011    3 recensioni
Abitare a Ward-Golfe é molto difficile: tra pirati e marinai é il peggiore tra i porti di mare sulla rotta più ambita.
Lavorare a Ward-Golfe é un incubo: la Fratellanza dei Mercanti gioca con i rialzi doganali, con la fornitura di merci, alla fine con la vita stessa dei poveri abitanti.
Tirare avanti a Ward-Golfe é impossibile se non fai parte della massa informe: essere nota come "Strega", avere un carattere un tantinino forte e una famiglia controversa sono quelle che potremmo chiamare aggravanti...
(Prima storia della serie "Come..." )
(Tre assurdi personaggi originali e comprimari vari ^_^)
Genere: Avventura, Commedia, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Portuguese D. Ace
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie '"Come..."'
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Capitolo 6

 

Il sole era sorto da un po’. Si infiltrava ai lati della tenda che copriva alla meglio il tondo oblò della nave, ma non riusciva a baciare il giovane comandante, ancora placidamente addormentato.

Del resto era tornato alla Moby Dick ad un’ora piuttosto tarda. Poi aveva dovuto raccontare tutto al Capitano, anche se il suo stomaco non sembrava in grado di sopportare il prolungato digiuno. Il Vecchio si era divertito moltissimo ascoltando i riferimenti alle stranezze di Principessa, anche se la sua evidente accondiscendenza dimostrava come fosse ben al corrente del carattere della ragazza, ma lo trovasse originale quanto perfettamente appropriato. Molto meno aveva gradito la spiegazione della condizione dell’emporio e della truffa dei Lucas F.: il suo sguardo si era fatto molto duro, ma nei fatti si era limitato a dire che il suo Secondo Comandante aveva agito nel modo migliore difendendo la giovane ed evitando di farle compiere colpi di testa. Nient’altro. Ace aveva dovuto riconoscere con se stesso di non conoscere ancora abbastanza bene suo “padre”, ma gli era sembrato assurdo che avesse deciso di non fare nulla, neanche spaventare un po’ quei mercanti da strapazzo con l’altisonante nome della loro ciurma.

Allora si era ripromesso di parlarne con Marco dopo cena, ma non l’aveva trovato. A forza di chiedere in giro, aveva scoperto che era impegnato a parlare proprio con il babbo. Inoltre, tornando alla cabina aveva incrociato Regy e l’aveva trovato ancora più cupo e compassato del solito.

Insomma, si era risolto di andare a dormire - dato che il sonno non gli mancava mai - e aspettare gli eventi. Per quanto di norma preferisse l’azione, gli capitava sovente che la semplice attesa di risvolti riservasse sorprese ancora più interessanti.

Anche quella volta fu così.

Aprì un occhio alla prima luce che era arrivata a sfiorarlo e si concesse un lungo sbadiglio, mentre riportava alla mente i ricordi del giorno precedente. Stiracchiandosi e mettendosi seduto si stava preparando a chiarire la situazione e puntualizzare la sua posizione: bisognava dare una sonora lezione alla Fratellanza, anche al fine di difendere i due fratelli appena conosciuti e fare finalmente giustizia. Sorrise tra sé e stirò plasticamente le braccia verso l’alto pensando a cosa avrebbero detto i suoi “fratelli”: l’ennesima questione di principio di un ragazzino testardo. Ma non si sarebbero tirati indietro e anche il babbo alla fine avrebbe annuito e li avrebbe lasciati fare, ne era certo.

Poi aprì gli occhi e lo vide.

Un bell’indumento lucido color panna appeso ad un attaccapanni posto sulla porta della cabina, ora chiusa. Aggrottò le sopraciglia corvine per un breve momento e fissò quell’elemento estraneo al normale contenuto della camera con sguardo ancora addormentato.

Infine si batté una mano sulla fronte…

 #  #  #  #  #  #

Clayton si abbandonò sulla sedia, davanti alla tavola imbandita per la colazione.

Non aveva fame, non aveva energie. Erano andati a dormire piuttosto tardi la notte precedente, ma soprattutto lui non era poi riuscito a chiudere occhio. Aveva ascoltato Principessa raccontare, contratta e oltraggiata, tutto ciò che era successo sotto il tendone della Fratellanza e lui non era stato in grado di parlare, neanche quando avrebbe potuto lamentarsi dell’eccessiva sicurezza con la quale quel giorno tanto lontano la sorella aveva messo a tacere le sue osservazioni riguardo alla ricevuta. Non perché, data la situazione, quel foglio avrebbe potuto cambiare le cose, ma perché la mancanza di cautela era la cosa peggiore quando si trattava con simili istituzioni truffaldine e una sorella maggiore doveva essere più saggia del fratello minore o qualcosa non andava. Ecco, avrebbe dovuto dire qualcosa del genere e urlare e lamentarsi, per una volta in vita sua. Eppure aveva taciuto. Non solo perché anche lui era riuscito a peggiorare la situazione perdendo il denaro in quella rissa che l’aveva visto partecipante non volontario.

Lucas F. Ufle, precedente notaio della Fratellanza locale, era un uomo molto civile ed era stato malamente affogato. Non che una brava persona avesse possibilità di sopravvivere in quella banda di briganti autorizzati, ma Clay aveva sperato che continuasse ad essere il loro punto di riferimento nell’infausta famiglia al potere. Non gli era stato concesso. Anzi, qualcuno dei suoi stessi famigliari aveva pensato bene di infangarne lo stesso ricordo, parlando di truffe quando era proprio lui l’unico a non perpetrarne. No, Ufle non era mai stato suo amico, ma un omicidio così violento l’aveva comunque demotivato ad ogni affermazione e presa di posizione. Così sarebbero finiti anche loro se avessero tentato di alzare la testa. Quindi ora, senza un soldo e con un debito inimmaginabile da pagare, avrebbero semplicemente dovuto tacere e farsi da parte, ritenendo ormai solo di salvare la pelle. Principessa fremeva per la rabbia e la frenesia, ma quando lo guardava aveva solo paura, e solo per lui. Perché lei se la sarebbe cavata in ogni caso, era facile ammetterlo: non era fatta per fare la commessa, lo sapevano entrambi da sempre, e se fosse stata sola avrebbe lasciato molto presto l’emporio al suo destino e quell’isola alla stessa sorte. Clayton sapeva di essere una fonte di timori e preoccupazione per lei, un limite ai suoi desideri, qualunque fossero e neanche li conosceva davvero. Eppure per lui era importante avere quel mestiere, quel punto di riferimento, quella vita abitudinaria e semplice e, a chi gli chiedeva come facesse ad accontentarsi, rispondeva che si trattava dell’esistenza per la quale aveva imparato ad adattarsi. Aveva smesso presto di domandarsi come avesse “imparato” e come sarebbe andata se la sua strada non si fosse indirizzata su quel binario: non era bene ragionare sulle ipotesi. La persona che era diventato aveva bisogno di quell’appiglio sicuro.

E ora non c’era più nulla di certo.

Non aveva formulato verbo, era andato in camera, si era cambiato e infilato a letto. Solo per fissare in silenzio il soffitto, ore e ore, fino alla sveglia. Aveva preparato la colazione come sempre, anche se sentiva lo stomaco serrato.

Appena finite le attività che potevano tenerlo occupato, era stato come aprire un rubinetto: la sua mente aveva ricominciato dall’inizio a far scorrere tutti gli interrogativi e i ragionamenti della notte, di nuovo, con maggiore intensità. Sapeva di avere occhiaie spaventose, le aveva intraviste nello specchio del bagno, ma non sentiva neanche la stanchezza naturale tanto i suoi pensieri erano fluidi, tesi, fitti. Si stropicciò gli occhi, incapace anche solo di immaginare cosa avrebbe detto alla sorella. Perché avrebbe dovuto dire qualcosa, almeno quella mattina…

- Clay. – lo chiamò Principessa comparendo sulla soglia.

Neanche lei sembrava molto riposata, i capelli rossi malamente fermati in una pinza, addosso l’abito rame che metteva solo quando l’umore era pessimo, i piedi calzati da scarpe con il tacco che strisciavano un po’ sul pavimento ad ogni passo. Non era in forma, anche se il trucco copriva molto bene i segni della stanchezza dal viso.

Si sedette sulla sedia dall’altro capo del tavolo e riprese, nonostante la mancata risposta: - Dobbiamo decidere cosa fare. –

Si, era evidente. La bancarotta inevitabile doveva portarli a capire se avesse senso continuare con la storia dei sue bravi bottegai o cominciare subito chiudendo quell’emporio, una volta per tutte. Clayton si sentì un groppo in gola e guardò spaurito la sorella.

- Anche questo negozio è un ricordo di nostra madre. Abbandonarlo senza combattere mi sembra orribile nei suoi confronti. Eppure lottiamo con qualcosa di più grande di noi… Non ne vedo la via di uscita, Clay. –

Sapeva di essere pallido, sapeva di avere gli occhi dilatati dal timore, sapeva di apparire patetico. Deglutì a vuoto.

Cosa ci poteva essere di così terribile nell’andarsene? Lontano da quell’isola ci sarebbero state possibilità, svolte, speranze. Molti suoi clienti gli avevano narrato le grandi cose che avvenivano sui mari, in luoghi tanto distanti da non essere concepibili dalla sua sola immaginazione. Quei racconti risvegliavano qualcosa che non conosceva, quasi un’identità diversa dal comodo negoziante che era: si sentiva attraversato da un’energia speciale, capace di fargli compiere ogni avventatezza, annullando ogni altra cosa se non la curiosità e la ricerca. Ma in un istante, appena la porta del negozio si chiudeva alle spalle dei coraggiosi, era di nuovo Clayton e anche solo aver pensato quelle cose gli causava un brivido. Era un debole, ne era perfettamente consapevole, e non solo perché non era mai stato in grado di difendersi da solo, ma prima ancora perché neanche sapeva cosa andare a cercare.

Gli uomini sono tali finché sono attraversati dalla tensione verso un obiettivo a loro estraneo, non necessariamente eroico, anche piccolo e comune. Ma lui non ne aveva e, peggio, non ne voleva avere. Muoversi nel mondo esterno era attuare l’inseguimento di qualcosa, altrimenti era solo un perdersi nel nulla.

Non voleva partire per quell’ignoto senza fine. Non voleva lasciare le cose che aveva. Non voleva correre rischi che non poteva affrontare perché troppo debole.

Così lo disse.

- Chiederò per quel lavoro di postina. -

Il suo fu poco più che un sussurro, ma Principessa lo udì perfettamente. Lui, da parte sua, vide nettamente la scarica di rifiuto che la attraversò, facendole ritrarre le mani e distogliere lo sguardo, raddrizzare la schiena con un guizzo, storcere le labbra imbellettate per un secondo. Tuttavia tornò subito a guardarlo e, anche se neppure prima sembrava molto positiva e ottimista, gli sembrò che sua sorella avesse visto spegnersi l’ultimo bagliore di luce.

- Si, d’accordo. – disse solo e si versò il the.

#  #  #  #  #  # 

- Devo andare! -

Ace proruppe sul ponte come una furia, facendo sobbalzare tutti i compagni.

- Dio, che spavento! – esclamò Izo, contrariato, soprattutto per il brutto sbaffo di rossetto che si era procurato.

- Ma bravo! Buon viaggio! – commentò invece un divertito Satch, rivolgendo anche un cenno della mano al compagno.

- Scemo. – lo rimproverò per contro Haruta, rifilandogli un colpetto sulla nuca. Al che entrambi scoppiarono a ridere.

- Dove stai andando, eh? – lo fermò invece Marco, con un’occhiata sbieca.

- Devo riportarle questo! L’avevo dimenticato qui! – rispose frettolosamente, porgendo alla vista del collega uno spiegazzato indumento color panna, che questo poté solo constatare essere di seta.

- Una donna, fratellino!? – esclamò, improvvisamente interessato, l’uomo dal ciuffo ribelle – Una bella donna, per aver tenuto un suo ricordo, direi! -

- Satch, taci una volta… - lo riprese il Primo compagno, con un cenno insofferente più che arrabbiato, e continuò – Ace, cos’è e di chi sarebbe? -

-  E’ un… golfino, credo… - rispose sbrigativo, con la prima parola che gli era venuta in mente – L’aveva dimenticato in quel locale, dovevo lasciarlo al padrone, ma ho pensato che tanto dovevo rivedere o lei o il fratello all’emporio… -

Lo sguardo solo apparentemente offuscato del compagno tornò a concentrarsi su quel pezzo di stoffa, come se improvvisamente vi vedesse molto più di poco prima: - Principessa…? – sussurrò, stupito, rischiando di perdersi in un mare di ricordi a quel solo nome.

L’altro tuttavia non vi fece caso, troppo preso a cercare di spiegare il più velocemente possibile, gesticolando anche animatamente: - Potevo lasciarlo là! Chissà che cavolo mi è preso! Solo che poi l’ho appeso qui e… Devo riportarglielo prima che partiamo, Marco! – concluse di un fiato.

Al sentirsi interpellare, tornò al presente in un attimo e scosse la testa: - Non è il momento. Partiremo tra poche ore, dato che la Marina progetta per domani l’arrivo in massa. –

- E cosa ne dovrei fare di questo!? – protestò, scuotendo con foga il copri spalle di fronte al collega – Magari per anni non torneremo qui! Cosa ne faccio!? - e prima che l’altro potesse fermarlo, scattò a prendere la passerella ancora montata per la terraferma – Vado e torno, Marco! Di sicuro! -

E quello neanche gli rispose: capita l’antifona, si era diretto placidamente al passaggio per la stiva.

- Regy! Devi fare di nuovo la babysitter! –

 #  #  #  #  #  #

- Andiamo. - aveva solo detto Principessa, una volta finito di lavare i piatti.

Il fratello non aveva più osato fare uscire una sola parola dalla bocca, sicuro che ogni altra ritrattazione e accondiscendenza avrebbe solo causato ulteriori danni. Quindi si limitò a seguirla fuori dalla porta, che chiusero a chiave alle loro spalle.

Anche se la posta era poco lontana e il tragitto davvero breve, si accorsero al primo incrocio sul loro percorso che qualcosa non andava.

Un crocchio rumoreggiava e discuteva animatamente nel bel mezzo della via, senza alcun interresse dei passanti.

- Be’…? – fu la sola osservazione di Principessa, le mani appoggiate ai fianchi.

Clayton invece si avvicinò al gruppo per cercare di capire il motivo di tanta concitazione.

- … E’ una buona notizia! – aveva appena esclamato una donna tarchiata con in braccio un neonato.

- Ma come!? Alla fine siamo noi a rischiare grosso. Se si scontrano sull’isola… - protestò allora un padre di famiglia vestito di un grembiule da lavoro.

- Non si è mai visto! Non c’è più rispetto per la povera gente! Anche noi abbiamo i nostri diritti! – sbraitò sopra le altre voci un vecchio che armeggiava con un bastone di legno.

- Infatti vengono a tutelare noi, allontanando per un po’ la feccia che si riunisce in questo posto! – lo contestò il donnone, facendo ballonzolare il povero bimbo.

- Non fare l’ingenua! Verranno solo per farsi due parole tra ufficiali e trattare con la Fratellanza, come al solito! Poi, come un lampo, se ne andranno fregandosene di noi…! – scosse la testa il falegname, la roncola al fianco, appena unitosi alla discussione.

- Ma il problema non è questo! – si inserì a voce ancora più alta un ragazzetto con la cresta, mettendo a tacere tutti gli altri bruscamente – E’ troppo presto! Si metteranno a combattere, ci sarà un sacco di casino! Metteranno a ferro e fuoco l’isola! –

Clayton aggrottò le sopraciglia e batté timidamente un dito sulla spalla del falegname vicino a lui: - Scusate, ma… Cosa sta succedendo? – domandò.

Stilton lo guardò stralunato per un istante: - Ma, Clayton, in che mondo vivete!? La Marina! Sta arrivando! –

- Si, certo… Domani comincia la Convention…! – si ricordò, annuendo tra sé.

- Ma no, ragazzo mio! – lo riprese paternamente l’anziano artigiano – Sulla torre di guardia hanno già avvistato le navi a qualche miglio marino! Saranno qui tra un’ora al massimo! –

- E’ troppo presto! – stava ancora urlando il giovane crestato in mezzo alla folla, che ora annuiva a quelle parole, preoccupata – I pirati sono ancora tutti sull’isola! Si faranno a pezzi qui e noi saremo in mezzo! –

Clayton si voltò prontamente ad intercettare l’occhiata allarmata della  sorella. Ora erano davvero guai.

 #  #  #  #  #  #

 - Ma sono convinto! -

- Non direi. –

Regynald indicò con enfasi la strada alla sua sinistra, mentre Ace continuava a fissare, interrogativo, quella di destra.

- Seriamente, Regy. So che sei molto bravo in queste cose, ma… Era di là. – cercò ancora il ragazzo.

- No. – concluse, secco.

Si fissarono un istante: sguardo indeciso ma conciliante degli occhi neri di Ace, occhiata rigida e implacabile degli occhi azzurri dell’ex-marinaio.

- Immagino di no. – affermò infine anche l’altro, seguendo la via opposta al suo parere.

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- Non lo sapranno senz’altro! -

Principessa arrancava sulla via piena di gente, nella direzione opposta alla maggior parte della calca, seguita da un fratello molto meno atletico e decisamente meno inserito nella foga del momento.

- Magari siamo malpensanti… Magari… - tentò Clayton, con il fiato corto.

- Ah! Come no!? – riprese lei, rabbiosa. Si fermò suo malgrado ad aspettarlo e, solo dopo aver imprecato sonoramente, riprese: - Se non ci fosse stato quel gruppetto di esagitati poco lontano da casa, non lo sapremmo neanche noi che ci abitiamo, qui! –

- Va bene, ma non sai neanche dove hanno attraccato! Nel senso, nel porto no di certo: quella nave enorme dà nell’occhio! Quindi dove stiamo andando!? – protestò ancora il più giovane, la voce spezzata dalla fatica.

- Da uno che di certo ne sa più di noi…! – gli rispose, sbrigativa.

Clayton sbuffò, tenendosi la milza: - E anche Johnny, con il suo bar interno - costa… -

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- Fratelli! -

Il richiamo del compagno arrampicato dell’albero maestro sferzò l’aria e giunse ai pirati a prua.

- Cosa…? – domandò Jozu, scoccando uno sguardo alla parte più alta della nave, da dove proveniva quella voce.

- Guardate all’orizzonte! –

Tutti si assembrarono sulla sponda sinistra della Moby Dick, con aria interrogativa. Per ora si vedevano dei puntini, nient’altro, ma erano numerosissimi, da ogni lato del mare che si apriva di fronte a loro.

- Che cosa sono!? – gli gridò per contro Satch, con una smorfia.

- Marina! – si limitò a urlare la vedetta.

I Comandanti si rivolsero subito un’occhiata perplessa tra di loro.

- Di già…? – osservò Haruta, cercando conferma nello sguardo mesto di Marco.

- Diavolo, quei due stanno ancora girando per l’isola! – esclamò Vista, battendosi una mano sulla fronte.

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- Locandiere senza speranza! -

- Principessa, non è cortese… - si limitò a rispondere quello, senza neanche voltarsi verso l’ingresso trionfale dell’amica.

- Johnny! – lo chiamò invece Clayton, tra un respiro affannoso e l’altro.

- Oh, ci sei anche tu, Clay!? – disse allora, molto più accondiscendente, sorridendo placido – Visto che tua sorella è in splendida forma!? –

- No, ascolta… - fece, a fatica.

- Hai visto il “mantellato”? – intervenne lei, sbrigativa, ma attenta ad evitare l’interessamento degli astanti.

- No… Ma credo sia un bene… Avete sentito, giusto? – domandò, con un’occhiata complice, confermando la sua nomea di ottima fonte di informazioni.

- Ok, ma diciamo che noi volessimo esserne sicuri… Dove dovremmo andare…? – chiese Principessa, criptica ma impaziente.

Johnny fece allora cenno al ragazzo, ripresosi dal fiato corto, di avvicinarsi. Poi gli sussurrò all’orecchio:

- Se volessi trovare una bella balenottera a bordo spiaggia, andrei verso la scogliera a sud… -

- Una che…? – protestò Clay, interdetto.

Ma Principessa gli afferrò una manica della camicia e lo trascinò verso la scala.

- Ci vediamo, psicotico! – e il locandiere sorrise, la mano alzata in segno di saluto.

 #  #  #  #  #  #

Lo sguardo di Regynald Comyol esprimeva da alcuni minuti un disappunto palpabile. E ancora non aveva smesso di fissare con astio la porta chiusa dell’abitazione dei due fratelli.

- Credo sia un problema, Regy. Sono d’accordo con te. – osservò Ace, accondiscendente – Ma non è continuando a fissare con odio quella porta che lo risolverai. -

- Torniamo. – fu l’unica parola che il ragazzo, tra l’istinto omicida e la più cupa insofferenza, riuscì a pronunciare.

- Si, certo. –

L’altro, tuttavia, si voltò, pronto alla prossima smentita. Era certo che quella non fosse una resa alla razionalità a tutti gli effetti e nascondesse anzi un nuovo proposito.

Non sbagliava.

- Però voglio prima provare alla locanda. – rispose, infatti, Ace, risoluto, con il copri spalle ormai spiegazzato ancora in mano.

Regynald aveva già smesso di contare le volte che aveva perso le staffe al seguito di quel pirata privo di senso dell’orientamento e di quel minimo di ragionevolezza che si richiedeva ad un uomo d’avventura. Quindi essere sul punto di perderle anche in quel momento non gli sembrò altro che la conferma di un fatto ormai assodato: aveva bisogno di più meditazione zen per sopravvivere su quella nave e al seguito di quegli scavezzacollo.

- Strano, però… Cosa ci fa tutta questa gente agitata in giro…? – osservò l’altro, estraneo a quel ragionamento e quasi accorgendosi in quel momento della quantità di gente che scorreva disordinata per le strade intorno a loro – E guarda quelli come corrono! Ma non è la ciurma del… -

- Non c’è tempo. – tagliò corto l’altro, spingendolo alle spalle verso la via alla loro destra, in direzione del locale.

Non ci voleva un genio per capire che stava per succedere qualcosa e in questi casi il tempo non era mai sufficiente…

#  #  #  #  #  #

 

- Il Capitano si è appena addormentato. - dissero le infermiere, frenando l’orda che si stava precipitando nella cabina di Barbabianca, da qualche tempo non troppo in forma.

- Cavolo… - osservò Satch, sempre con più lingua degli altri – Tocca a te, quindi… -

Marco detto “la Fenice”, Primo Comandante della ciurma, si ritrovò prima di tutto a sospirare e a fare strada ai compagni per tornare sul ponte sferzato dal vento. La camicia viola sbottonata cominciò subito a sventagliare, insieme al ciuffo di capelli biondi, mentre osservava la distesa marina.

Diede uno sguardo ai profili di quelle che ormai alla vista di tutti erano navi della Marina, almeno un centinaio, tanto vicine all’isola che ancora per poco il tragitto di una nave grande quanto la Moby Dick sarebbe passato inosservato. Probabilmente l’avrebbero davvero notata, ma sarebbero passati oltre, consci che inseguirli ed attaccarli, benché in simile vantaggio numerico, avrebbe creato notevoli conseguenze. L’importante per la loro nave era non essere lì, attraccata in un porto franco nel pieno delle celebrazioni per la “Convention Generale della Marina d’Assalto”. Che poi si trattava della solita stupida autocelebrazione dei potenti, a suo parere, soprattutto quando di così potente non avevano nulla tranne il nome.

Pensò per un momento a quella scalmanato di Ace. Se fosse stato da solo, in giro senza meta anche perché senza senso di orientamento, ci sarebbe stato da preoccuparsi seriamente: un migliaio di marinai in libertà, un solo pirata senza punti di riferimento ma una testa molto dura… Invece c’era Regy con lui: non solo la persona più imperscrutabile e irritante della ciurma – perché a volte batteva anche Satch, il che era clamoroso -, ma anche l’unico abbastanza irremovibile da trattenere per un po’ quella testa calda e, non ultimo, una bussola umana assolutamente perfetta. Non per niente era il maggiore conoscitore delle rotte del Nuovo Mondo di tutta la dannata Marina, prima che se lo giocassero in quel modo clamoroso… Per loro, invece, era stata una grande fortuna.

- E’ un problema, ma mi fido di Regy. – concluse Marco, tra sé e a vantaggio dei compagni circostanti – E poi, insomma, sono solo quattro giorni… - ma quest’ultima frase con molta meno sicurezza: sarebbe bastato molto meno per fare grandi danni.

– Salpiamo! – proclamò ad alta voce, tra la sorpresa dei più.

 #  #  #  #  #  #

Poi girarono un angolo e…

- Ahi! – esclamò Clayton, quando un piede gli schiacciò malamente l’alluce.

- Cosa diavolo…!? – fu invece il commento della ragazza, che si ritrovò letteralmente addosso ad un armadio umano. Ma prima che potesse lamentarsi e spintonare quel tipo che andava in giro a petto nudo e senza guardare cosa faceva…

- Principessa! –

Lei dovette solo alzare lo sguardo per accertarsi della situazione.

- Ace!? – esclamò, celando la sorpresa con l’irritazione – Allora avevo ragione! Cosa fate ancora in giro!? –

Fu lui a fare un passo indietro, e lo stesso fece Regynald al solo fine di togliere il piede dalle dita del ragazzo di fronte a lui.

- Ti dovevo riportare questo! – le rispose, mettendole davanti il copri spalle color panna, ormai immettibile.

Per un momento fu talmente sconvolta da non sapere cosa dire. Anche suo fratello si chiese come fosse possibile e non poté fare a meno di restare a guardare la scena. Aveva spalancato gli occhi tanto da sembrare spiritata.

Infine sbottò: - Perché mi hai portato via il copri spalle, tu!? –

- Non te l’ho portato via! – protestò lui – L’avevi dimenticato…! –

- Per nulla! Io non dimentico niente! –

- Era alla locanda! –

- E potevi lasciarlo lì! O sei una qualche specie di psicopatico…!? –

- Perché volevo riportartelo!? –

- Perché te lo sei tenuto, ecco perché! E ora hai i rimorsi di coscienza! –

- Ma che stai dicendo!? –

- No, cosa state dicendo tutti e due! – esclamò Clay, decisamente sconvolto.

Il silenzio calò improvvisamente ed entrambi si voltarono verso di lui.

- Ma vi sembra il momento!? Prin, ricordi qual è la situazione!? Sono in guai seri! – continuò il ragazzo, facendo poi scorrere lo sguardo fino all’altro pirata di fronte a lui.

- Sta arrivando la Marina! – gridò improvvisamente lei, riprendendo il necessario contatto con l’immediata realtà.

- Solo domani. – disse l’ex-marinaio, con un tono che non voleva ammettere repliche.

- No, oggi! – lo contraddissero i fratelli, perfettamente in coro.

 #  #  #  #  #  #

La scogliera scura di Ward-Golfe alle spalle, leggermente lucida per gli schizzi d’acqua che la lambivano, si allontanava, mentre in realtà era l’enorme mole della nave pirata a scorrere sulla piana superficie del mare. Pericolosamente vicini, i galeoni della Marina aprivano la formazione per scorrere intorno all’isola, in direzione del porto a nord, molto più ampio e ben fornito. Inutile dire allora che la via meridionale appariva perfetta per l’allontanamento – non la “fuga”, che sia chiaro - della grande imbarcazione fuorilegge.

- Ma avremo fatto bene? – domandò Jozu al Primo compagno, le grosse braccia incrociate e lo sguardo di fronte a loro.

Satch produsse solo un mugugno e un’occhiata a Marco di fianco a lui.

- Anche se si trovassero nei guai, ci sono sempre i fratelli McFerson. Anche il babbo sarà d’accordo. – osservò quest’ultimo, un sorriso sbieco sulle labbra.

- Dì piuttosto che lo speri, carissimo..! – esclamò Satch, mentre immaginava i guai che avrebbero combinato quei quattro, insieme ad un migliaio di marinai…

 § § § § § § § § § § § § § §

Buonanotte!!! ^^

Chiedo scusa per il tempo lasciato passare: la sessione estiva é stata più delirante del solito e mi ha procurato un serio vuoto d'ispirazione... u_u

Ebbene, con questo capitolo si chiude questo "primo episodio" della saga! Ve lo aspettavate!? Spero di no! XD

Quindi, come da ragionamento del buon Satch: Ace, Regy, Clay e Prin... con un migliaio di marinai!!! Dai, vi ho incuriositi un po'? Avrete la pazienza di seguire un nuovo racconto di questa serie? Presto sui nostri schermi (spero)! XD

P.S.: Mi scuso per gli "a capo" dopo gli asterischi di stacco... Non so perché NVU a volte non me li vuole mettere... ù_ù

Grazie a tutti coloro che hanno avuto la pazienza di leggere! Grazie a chi ha inserito la storia nei suoi elenchi! Mille grazie in più a chi ha avuto la suprema gentilezza di commentare, magari anche tutti i capitoli! ^^

E (perché no?) ringrazio tutti coloro che vorranno leggere il seguito!!!! XD  Ma sappiate che il seguito ci sarà nonostante tutto!

Baci baci!!!!!

  
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