Capitolo
6
Il
sole era sorto
da un po’. Si infiltrava ai lati della tenda che copriva alla
meglio il tondo
oblò della nave, ma non riusciva a baciare il giovane
comandante, ancora
placidamente addormentato.
Del
resto era
tornato alla Moby Dick ad un’ora piuttosto tarda. Poi aveva
dovuto raccontare
tutto al Capitano, anche se il suo stomaco non sembrava in grado di
sopportare il
prolungato digiuno. Il Vecchio si era divertito moltissimo ascoltando i
riferimenti alle stranezze di Principessa, anche se la sua evidente
accondiscendenza
dimostrava come fosse ben al corrente del carattere della ragazza, ma
lo
trovasse originale quanto perfettamente appropriato. Molto meno aveva
gradito
la spiegazione della condizione dell’emporio e della truffa
dei Lucas F.: il
suo sguardo si era fatto molto duro, ma nei fatti si era limitato a
dire che il
suo Secondo Comandante aveva agito nel modo migliore difendendo la
giovane ed
evitando di farle compiere colpi di testa. Nient’altro. Ace
aveva dovuto
riconoscere con se stesso di non conoscere ancora abbastanza bene suo
“padre”,
ma gli era sembrato assurdo che avesse deciso di non fare nulla,
neanche
spaventare un po’ quei mercanti da strapazzo con
l’altisonante nome della loro
ciurma.
Allora
si era
ripromesso di parlarne con Marco dopo cena, ma non l’aveva
trovato. A forza di
chiedere in giro, aveva scoperto che era impegnato a parlare proprio
con il
babbo. Inoltre, tornando alla cabina aveva incrociato Regy e
l’aveva trovato
ancora più cupo e compassato del solito.
Insomma,
si era
risolto di andare a dormire - dato che il sonno non gli mancava mai - e
aspettare gli eventi. Per quanto di norma preferisse
l’azione, gli capitava
sovente che la semplice attesa di risvolti riservasse sorprese ancora
più
interessanti.
Anche
quella volta
fu così.
Aprì
un occhio alla
prima luce che era arrivata a sfiorarlo e si concesse un lungo
sbadiglio,
mentre riportava alla mente i ricordi del giorno precedente.
Stiracchiandosi e
mettendosi seduto si stava preparando a chiarire la situazione e
puntualizzare
la sua posizione: bisognava dare una sonora lezione alla Fratellanza,
anche al
fine di difendere i due fratelli appena conosciuti e fare finalmente
giustizia.
Sorrise tra sé e stirò plasticamente le braccia
verso l’alto pensando a cosa
avrebbero detto i suoi “fratelli”:
l’ennesima questione di principio di un
ragazzino testardo. Ma non si sarebbero tirati indietro e anche il
babbo alla
fine avrebbe annuito e li avrebbe lasciati fare, ne era certo.
Poi
aprì gli occhi
e lo vide.
Un
bell’indumento
lucido color panna appeso ad un attaccapanni posto sulla porta della
cabina,
ora chiusa. Aggrottò le sopraciglia corvine per un breve
momento e fissò
quell’elemento estraneo al normale contenuto della camera con
sguardo ancora
addormentato.
Infine si batté una mano sulla fronte…
Clayton
si
abbandonò sulla sedia, davanti alla tavola imbandita per la
colazione.
Non
aveva fame, non
aveva energie. Erano andati a dormire piuttosto tardi la notte
precedente, ma
soprattutto lui non era poi riuscito a chiudere occhio. Aveva ascoltato
Principessa raccontare, contratta e oltraggiata, tutto ciò
che era successo
sotto il tendone della Fratellanza e lui non era stato in grado di
parlare,
neanche quando avrebbe potuto lamentarsi dell’eccessiva
sicurezza con la quale
quel giorno tanto lontano la sorella aveva messo a tacere le sue
osservazioni
riguardo alla ricevuta. Non perché, data la situazione, quel
foglio avrebbe
potuto cambiare le cose, ma perché la mancanza di cautela
era la cosa peggiore
quando si trattava con simili istituzioni truffaldine e una sorella
maggiore
doveva essere più saggia del fratello minore o qualcosa non
andava. Ecco,
avrebbe dovuto dire qualcosa del genere e urlare e lamentarsi, per una
volta in
vita sua. Eppure aveva taciuto. Non solo perché anche lui
era riuscito a
peggiorare la situazione perdendo il denaro in quella rissa che
l’aveva visto
partecipante non volontario.
Lucas
F. Ufle,
precedente notaio della Fratellanza locale, era un uomo molto civile ed
era
stato malamente affogato. Non che una brava persona avesse
possibilità di
sopravvivere in quella banda di briganti autorizzati, ma Clay aveva
sperato che
continuasse ad essere il loro punto di riferimento
nell’infausta famiglia al potere.
Non gli era stato concesso. Anzi, qualcuno dei suoi stessi famigliari
aveva
pensato bene di infangarne lo stesso ricordo, parlando di truffe quando
era
proprio lui l’unico a non perpetrarne. No, Ufle non era mai
stato suo amico, ma
un omicidio così violento l’aveva comunque
demotivato ad ogni affermazione e
presa di posizione. Così sarebbero finiti anche loro se
avessero tentato di
alzare la testa. Quindi ora, senza un soldo e con un debito
inimmaginabile da
pagare, avrebbero semplicemente dovuto tacere e farsi da parte,
ritenendo ormai
solo di salvare la pelle. Principessa fremeva per la rabbia e la
frenesia, ma
quando lo guardava aveva solo paura, e solo per lui. Perché
lei se la sarebbe
cavata in ogni caso, era facile ammetterlo: non era fatta per fare la
commessa,
lo sapevano entrambi da sempre, e se fosse stata sola avrebbe lasciato
molto
presto l’emporio al suo destino e quell’isola alla
stessa sorte. Clayton sapeva
di essere una fonte di timori e preoccupazione per lei, un limite ai
suoi desideri,
qualunque fossero e neanche li conosceva davvero. Eppure per lui era
importante
avere quel mestiere, quel punto di riferimento, quella vita
abitudinaria e
semplice e, a chi gli chiedeva come facesse ad accontentarsi,
rispondeva che si
trattava dell’esistenza per la quale aveva imparato ad
adattarsi. Aveva smesso
presto di domandarsi come avesse “imparato” e come
sarebbe andata se la sua
strada non si fosse indirizzata su quel binario: non era bene ragionare
sulle
ipotesi. La persona che era diventato aveva bisogno di
quell’appiglio sicuro.
E
ora non c’era più
nulla di certo.
Non
aveva formulato
verbo, era andato in camera, si era cambiato e infilato a letto. Solo
per
fissare in silenzio il soffitto, ore e ore, fino alla sveglia. Aveva
preparato
la colazione come sempre, anche se sentiva lo stomaco serrato.
Appena
finite le
attività che potevano tenerlo occupato, era stato come
aprire un rubinetto: la
sua mente aveva ricominciato dall’inizio a far scorrere tutti
gli interrogativi
e i ragionamenti della notte, di nuovo, con maggiore
intensità. Sapeva di avere
occhiaie spaventose, le aveva intraviste nello specchio del bagno, ma
non
sentiva neanche la stanchezza naturale tanto i suoi pensieri erano
fluidi,
tesi, fitti. Si stropicciò gli occhi, incapace anche solo di
immaginare cosa
avrebbe detto alla sorella. Perché avrebbe dovuto dire
qualcosa, almeno quella
mattina…
-
Clay. – lo chiamò
Principessa comparendo sulla soglia.
Neanche
lei
sembrava molto riposata, i capelli rossi malamente fermati in una
pinza, addosso
l’abito rame che metteva solo quando l’umore era
pessimo, i piedi calzati da
scarpe con il tacco che strisciavano un po’ sul pavimento ad
ogni passo. Non
era in forma, anche se il trucco copriva molto bene i segni della
stanchezza
dal viso.
Si
sedette sulla
sedia dall’altro capo del tavolo e riprese, nonostante la
mancata risposta: -
Dobbiamo decidere cosa fare. –
Si,
era evidente.
La bancarotta inevitabile doveva portarli a capire se avesse senso
continuare
con la storia dei sue bravi bottegai o cominciare subito chiudendo
quell’emporio, una volta per tutte. Clayton si
sentì un groppo in gola e guardò
spaurito la sorella.
-
Anche questo
negozio è un ricordo di nostra madre. Abbandonarlo senza
combattere mi sembra
orribile nei suoi confronti. Eppure lottiamo con qualcosa di
più grande di noi…
Non ne vedo la via di uscita, Clay. –
Sapeva
di essere
pallido, sapeva di avere gli occhi dilatati dal timore, sapeva di
apparire
patetico. Deglutì a vuoto.
Cosa
ci poteva
essere di così terribile nell’andarsene? Lontano
da quell’isola ci sarebbero
state possibilità, svolte, speranze. Molti suoi clienti gli
avevano narrato le
grandi cose che avvenivano sui mari, in luoghi tanto distanti da non
essere
concepibili dalla sua sola immaginazione. Quei racconti risvegliavano
qualcosa
che non conosceva, quasi un’identità diversa dal
comodo negoziante che era: si
sentiva attraversato da un’energia speciale, capace di fargli
compiere ogni
avventatezza, annullando ogni altra cosa se non la curiosità
e la ricerca. Ma
in un istante, appena la porta del negozio si chiudeva alle spalle dei
coraggiosi, era di nuovo Clayton e anche solo aver pensato quelle cose
gli
causava un brivido. Era un debole, ne era perfettamente consapevole, e
non solo
perché non era mai stato in grado di difendersi da solo, ma
prima ancora perché
neanche sapeva cosa andare a cercare.
Gli
uomini sono
tali finché sono attraversati dalla tensione verso un
obiettivo a loro
estraneo, non necessariamente eroico, anche piccolo e comune. Ma lui
non ne
aveva e, peggio, non ne voleva avere. Muoversi nel mondo esterno era
attuare
l’inseguimento di qualcosa, altrimenti era solo un perdersi
nel nulla.
Non
voleva partire
per quell’ignoto senza fine. Non voleva lasciare le cose che
aveva. Non voleva
correre rischi che non poteva affrontare perché troppo
debole.
Così
lo disse.
-
Chiederò per quel
lavoro di postina. -
Il
suo fu poco più
che un sussurro, ma Principessa lo udì perfettamente. Lui,
da parte sua, vide
nettamente la scarica di rifiuto che la attraversò,
facendole ritrarre le mani
e distogliere lo sguardo, raddrizzare la schiena con un guizzo,
storcere le
labbra imbellettate per un secondo. Tuttavia tornò subito a
guardarlo e, anche
se neppure prima sembrava molto positiva e ottimista, gli
sembrò che sua sorella
avesse visto spegnersi l’ultimo bagliore di luce.
-
Si, d’accordo. –
disse solo e si versò il the.
-
Devo andare! -
Ace
proruppe sul
ponte come una furia, facendo sobbalzare tutti i compagni.
-
Dio, che
spavento! – esclamò Izo, contrariato, soprattutto
per il brutto sbaffo di
rossetto che si era procurato.
-
Ma bravo! Buon
viaggio! – commentò invece un divertito Satch,
rivolgendo anche un cenno della
mano al compagno.
-
Scemo. – lo
rimproverò per contro Haruta, rifilandogli un colpetto sulla
nuca. Al che
entrambi scoppiarono a ridere.
-
Dove stai
andando, eh? – lo fermò invece Marco, con
un’occhiata sbieca.
-
Devo riportarle
questo! L’avevo dimenticato qui! – rispose
frettolosamente, porgendo alla vista
del collega uno spiegazzato indumento color panna, che questo
poté solo
constatare essere di seta.
-
Una donna,
fratellino!? – esclamò, improvvisamente
interessato, l’uomo dal ciuffo ribelle
– Una bella donna, per aver tenuto un suo ricordo, direi! -
-
Satch, taci una
volta… - lo riprese il Primo compagno, con un cenno
insofferente più che
arrabbiato, e continuò – Ace,
cos’è e di chi sarebbe? -
-
E’
un… golfino, credo… - rispose sbrigativo,
con la prima parola che gli era venuta in mente –
L’aveva dimenticato in quel
locale, dovevo lasciarlo al padrone, ma ho pensato che tanto dovevo
rivedere o
lei o il fratello all’emporio… -
Lo
sguardo solo
apparentemente offuscato del compagno tornò a concentrarsi
su quel pezzo di
stoffa, come se improvvisamente vi vedesse molto più di poco
prima: -
Principessa…? – sussurrò, stupito,
rischiando di perdersi in un mare di ricordi
a quel solo nome.
L’altro
tuttavia
non vi fece caso, troppo preso a cercare di spiegare il più
velocemente
possibile, gesticolando anche animatamente: - Potevo lasciarlo
là! Chissà che
cavolo mi è preso! Solo che poi l’ho appeso qui
e… Devo riportarglielo prima
che partiamo, Marco! – concluse di un fiato.
Al
sentirsi
interpellare, tornò al presente in un attimo e scosse la
testa: - Non è il
momento. Partiremo tra poche ore, dato che la Marina progetta per
domani
l’arrivo in massa. –
-
E cosa ne dovrei
fare di questo!? – protestò, scuotendo con foga il
copri spalle di fronte al
collega – Magari per anni non torneremo qui! Cosa ne faccio!?
- e prima che
l’altro potesse fermarlo, scattò a prendere la
passerella ancora montata per la
terraferma – Vado e torno, Marco! Di sicuro! -
E
quello neanche
gli rispose: capita l’antifona, si era diretto placidamente
al passaggio per la
stiva.
-
Regy! Devi fare
di nuovo la babysitter! –
-
Andiamo. - aveva
solo detto Principessa, una volta finito di lavare i piatti.
Il
fratello non
aveva più osato fare uscire una sola parola dalla bocca,
sicuro che ogni altra
ritrattazione e accondiscendenza avrebbe solo causato ulteriori danni.
Quindi
si limitò a seguirla fuori dalla porta, che chiusero a
chiave alle loro spalle.
Anche
se la posta
era poco lontana e il tragitto davvero breve, si accorsero al primo
incrocio
sul loro percorso che qualcosa non andava.
Un
crocchio
rumoreggiava e discuteva animatamente nel bel mezzo della via, senza
alcun
interresse dei passanti.
-
Be’…? – fu la
sola osservazione di Principessa, le mani appoggiate ai fianchi.
Clayton
invece si
avvicinò al gruppo per cercare di capire il motivo di tanta
concitazione.
-
… E’ una buona
notizia! – aveva appena esclamato una donna tarchiata con in
braccio un
neonato.
-
Ma come!? Alla
fine siamo noi a rischiare grosso. Se si scontrano
sull’isola… - protestò
allora un padre di famiglia vestito di un grembiule da lavoro.
-
Non si è mai
visto! Non c’è più rispetto per la
povera gente! Anche noi abbiamo i nostri
diritti! – sbraitò sopra le altre voci un vecchio
che armeggiava con un bastone
di legno.
-
Infatti vengono a
tutelare noi, allontanando per un po’ la feccia che si
riunisce in questo
posto! – lo contestò il donnone, facendo
ballonzolare il povero bimbo.
-
Non fare
l’ingenua! Verranno solo per farsi due parole tra ufficiali e
trattare con la
Fratellanza, come al solito! Poi, come un lampo, se ne andranno
fregandosene di
noi…! – scosse la testa il falegname, la roncola
al fianco, appena unitosi alla
discussione.
-
Ma il problema
non è questo! – si inserì a voce ancora
più alta un ragazzetto con la cresta,
mettendo a tacere tutti gli altri bruscamente – E’
troppo presto! Si metteranno
a combattere, ci sarà un sacco di casino! Metteranno a ferro
e fuoco l’isola! –
Clayton
aggrottò le
sopraciglia e batté timidamente un dito sulla spalla del
falegname vicino a
lui: - Scusate, ma… Cosa sta succedendo? –
domandò.
Stilton
lo guardò
stralunato per un istante: - Ma, Clayton, in che mondo vivete!? La
Marina! Sta
arrivando! –
-
Si, certo… Domani
comincia la Convention…! – si ricordò,
annuendo tra sé.
-
Ma no, ragazzo
mio! – lo riprese paternamente l’anziano artigiano
– Sulla torre di guardia
hanno già avvistato le navi a qualche miglio marino! Saranno
qui tra un’ora al
massimo! –
-
E’ troppo presto!
– stava ancora urlando il giovane crestato in mezzo alla
folla, che ora annuiva
a quelle parole, preoccupata – I pirati sono ancora tutti
sull’isola! Si
faranno a pezzi qui e noi saremo in mezzo! –
Clayton
si voltò
prontamente ad intercettare l’occhiata allarmata della sorella. Ora erano davvero
guai.
- Ma sono convinto! -
-
Non direi. –
Regynald
indicò con
enfasi la strada alla sua sinistra, mentre Ace continuava a fissare,
interrogativo, quella di destra.
-
Seriamente, Regy.
So che sei molto bravo in queste cose, ma… Era di
là. – cercò ancora il ragazzo.
-
No. – concluse,
secco.
Si
fissarono un
istante: sguardo indeciso ma conciliante degli occhi neri di Ace,
occhiata
rigida e implacabile degli occhi azzurri dell’ex-marinaio.
-
Immagino di no. –
affermò infine anche l’altro, seguendo la via
opposta al suo parere.
-
Non lo sapranno
senz’altro! -
Principessa
arrancava sulla via piena di gente, nella direzione opposta alla
maggior parte
della calca, seguita da un fratello molto meno atletico e decisamente
meno
inserito nella foga del momento.
-
Magari siamo
malpensanti… Magari… - tentò Clayton,
con il fiato corto.
-
Ah! Come no!? –
riprese lei, rabbiosa. Si fermò suo malgrado ad aspettarlo
e, solo dopo aver
imprecato sonoramente, riprese: - Se non ci fosse stato quel gruppetto
di
esagitati poco lontano da casa, non lo sapremmo neanche noi che ci
abitiamo,
qui! –
-
Va bene, ma non
sai neanche dove hanno attraccato! Nel senso, nel porto no di certo:
quella
nave enorme dà nell’occhio! Quindi dove stiamo
andando!? – protestò ancora il
più giovane, la voce spezzata dalla fatica.
-
Da uno che di
certo ne sa più di noi…! – gli rispose,
sbrigativa.
Clayton
sbuffò, tenendosi
la milza: - E anche Johnny, con il suo bar interno - costa… -
-
Fratelli! -
Il
richiamo del
compagno arrampicato dell’albero maestro sferzò
l’aria e giunse ai pirati a
prua.
-
Cosa…? – domandò
Jozu, scoccando uno sguardo alla parte più alta della nave,
da dove proveniva
quella voce.
-
Guardate
all’orizzonte! –
Tutti
si
assembrarono sulla sponda sinistra della Moby Dick, con aria
interrogativa. Per
ora si vedevano dei puntini, nient’altro, ma erano
numerosissimi, da ogni lato
del mare che si apriva di fronte a loro.
-
Che cosa sono!? –
gli gridò per contro Satch, con una smorfia.
-
Marina! – si
limitò a urlare la vedetta.
I
Comandanti si
rivolsero subito un’occhiata perplessa tra di loro.
-
Di già…? –
osservò Haruta, cercando conferma nello sguardo mesto di
Marco.
-
Diavolo, quei due
stanno ancora girando per l’isola! –
esclamò Vista, battendosi una mano sulla
fronte.
-
Locandiere senza
speranza! -
-
Principessa, non
è cortese… - si limitò a rispondere
quello, senza neanche voltarsi verso
l’ingresso trionfale dell’amica.
-
Johnny! – lo
chiamò invece Clayton, tra un respiro affannoso e
l’altro.
-
Oh, ci sei anche
tu, Clay!? – disse allora, molto più
accondiscendente, sorridendo placido –
Visto che tua sorella è in splendida forma!? –
-
No, ascolta… -
fece, a fatica.
-
Hai visto il
“mantellato”? – intervenne lei,
sbrigativa, ma attenta ad evitare
l’interessamento degli astanti.
-
No… Ma credo sia
un bene… Avete sentito, giusto? –
domandò, con un’occhiata complice,
confermando la sua nomea di ottima fonte di informazioni.
-
Ok, ma diciamo
che noi volessimo esserne sicuri… Dove dovremmo
andare…? – chiese Principessa,
criptica ma impaziente.
Johnny
fece allora
cenno al ragazzo, ripresosi dal fiato corto, di avvicinarsi. Poi gli
sussurrò
all’orecchio:
-
Se volessi trovare
una bella balenottera a bordo spiaggia, andrei verso la scogliera a
sud… -
-
Una che…? –
protestò Clay, interdetto.
Ma
Principessa gli
afferrò una manica della camicia e lo trascinò
verso la scala.
-
Ci vediamo,
psicotico! – e il locandiere sorrise, la mano alzata in segno
di saluto.
Lo
sguardo di
Regynald Comyol esprimeva da alcuni minuti un disappunto palpabile. E
ancora
non aveva smesso di fissare con astio la porta chiusa
dell’abitazione dei due
fratelli.
-
Credo sia un
problema, Regy. Sono d’accordo con te. –
osservò Ace, accondiscendente – Ma non
è continuando a fissare con odio quella porta che lo
risolverai. -
-
Torniamo. – fu
l’unica parola che il ragazzo, tra l’istinto
omicida e la più cupa
insofferenza, riuscì a pronunciare.
-
Si, certo. –
L’altro,
tuttavia,
si voltò, pronto alla prossima smentita. Era certo che
quella non fosse una
resa alla razionalità a tutti gli effetti e nascondesse anzi
un nuovo
proposito.
Non
sbagliava.
-
Però voglio prima
provare alla locanda. – rispose, infatti, Ace, risoluto, con
il copri spalle
ormai spiegazzato ancora in mano.
Regynald
aveva già
smesso di contare le volte che aveva perso le staffe al seguito di quel
pirata
privo di senso dell’orientamento e di quel minimo di
ragionevolezza che si
richiedeva ad un uomo d’avventura. Quindi essere sul punto di
perderle anche in
quel momento non gli sembrò altro che la conferma di un
fatto ormai assodato:
aveva bisogno di più meditazione zen per sopravvivere su
quella nave e al
seguito di quegli scavezzacollo.
-
Strano, però… Cosa
ci fa tutta questa gente agitata in giro…? –
osservò l’altro, estraneo a quel
ragionamento e quasi accorgendosi in quel momento della
quantità di gente che scorreva
disordinata per le strade intorno a loro – E guarda quelli
come corrono! Ma non
è la ciurma del… -
-
Non c’è tempo. –
tagliò corto l’altro, spingendolo alle spalle
verso la via alla loro destra, in
direzione del locale.
Non
ci voleva un
genio per capire che stava per succedere qualcosa e in questi casi il
tempo non
era mai sufficiente…
-
Il Capitano si è
appena addormentato. - dissero le infermiere, frenando l’orda
che si stava
precipitando nella cabina di Barbabianca, da qualche tempo non troppo
in forma.
-
Cavolo… - osservò
Satch, sempre con più lingua degli altri – Tocca a
te, quindi… -
Marco
detto “la
Fenice”, Primo Comandante della ciurma, si ritrovò
prima di tutto a sospirare e
a fare strada ai compagni per tornare sul ponte sferzato dal vento. La
camicia
viola sbottonata cominciò subito a sventagliare, insieme al
ciuffo di capelli
biondi, mentre osservava la distesa marina.
Diede
uno sguardo
ai profili di quelle che ormai alla vista di tutti erano navi della
Marina, almeno
un centinaio, tanto vicine all’isola che ancora per poco il
tragitto di una
nave grande quanto la Moby Dick sarebbe passato inosservato.
Probabilmente l’avrebbero
davvero notata, ma sarebbero passati oltre, consci che inseguirli ed
attaccarli, benché in simile vantaggio numerico, avrebbe
creato notevoli
conseguenze. L’importante per la loro nave era non essere
lì, attraccata in un
porto franco nel pieno delle celebrazioni per la “Convention
Generale della
Marina d’Assalto”. Che poi si trattava della solita
stupida autocelebrazione
dei potenti, a suo parere, soprattutto quando di così
potente non avevano nulla
tranne il nome.
Pensò
per un
momento a quella scalmanato di Ace. Se fosse stato da solo, in giro
senza meta
anche perché senza senso di orientamento, ci sarebbe stato
da preoccuparsi
seriamente: un migliaio di marinai in libertà, un solo
pirata senza punti di riferimento
ma una testa molto dura… Invece c’era Regy con
lui: non solo la persona più
imperscrutabile e irritante della ciurma – perché
a volte batteva anche Satch,
il che era clamoroso -, ma anche l’unico abbastanza
irremovibile da trattenere per
un po’ quella testa calda e, non ultimo, una bussola umana
assolutamente
perfetta. Non per niente era il maggiore conoscitore delle rotte del
Nuovo
Mondo di tutta la dannata Marina, prima che se lo giocassero in quel
modo
clamoroso… Per loro, invece, era stata una grande fortuna.
-
E’ un problema,
ma mi fido di Regy. – concluse Marco, tra sé e a
vantaggio dei compagni
circostanti – E poi, insomma, sono solo quattro
giorni… - ma quest’ultima frase
con molta meno sicurezza: sarebbe bastato molto meno per fare grandi
danni.
–
Salpiamo! –
proclamò ad alta voce, tra la sorpresa dei più.
Poi
girarono un
angolo e…
-
Ahi! – esclamò
Clayton, quando un piede gli schiacciò malamente
l’alluce.
-
Cosa diavolo…!? –
fu invece il commento della ragazza, che si ritrovò
letteralmente addosso ad un
armadio umano. Ma prima che potesse lamentarsi e spintonare quel tipo
che
andava in giro a petto nudo e senza guardare cosa faceva…
-
Principessa! –
Lei
dovette solo
alzare lo sguardo per accertarsi della situazione.
-
Ace!? – esclamò,
celando la sorpresa con l’irritazione – Allora
avevo ragione! Cosa fate ancora
in giro!? –
Fu
lui a fare un
passo indietro, e lo stesso fece Regynald al solo fine di togliere il
piede
dalle dita del ragazzo di fronte a lui.
-
Ti dovevo
riportare questo! – le rispose, mettendole davanti il copri
spalle color panna,
ormai immettibile.
Per
un momento fu
talmente sconvolta da non sapere cosa dire. Anche suo fratello si
chiese come
fosse possibile e non poté fare a meno di restare a guardare
la scena. Aveva
spalancato gli occhi tanto da sembrare spiritata.
Infine
sbottò: -
Perché mi hai portato via il copri spalle, tu!? –
-
Non te l’ho
portato via! – protestò lui –
L’avevi dimenticato…! –
-
Per nulla! Io non
dimentico niente! –
-
Era alla locanda!
–
-
E potevi
lasciarlo lì! O sei una qualche specie di
psicopatico…!? –
-
Perché volevo
riportartelo!? –
-
Perché te lo sei
tenuto, ecco perché! E ora hai i rimorsi di coscienza!
–
-
Ma che stai
dicendo!? –
-
No, cosa state
dicendo tutti e due! – esclamò Clay, decisamente
sconvolto.
Il
silenzio calò
improvvisamente ed entrambi si voltarono verso di lui.
-
Ma vi sembra il
momento!? Prin, ricordi qual è la situazione!? Sono in guai
seri! – continuò il
ragazzo, facendo poi scorrere lo sguardo fino all’altro
pirata di fronte a lui.
-
Sta arrivando la
Marina! – gridò improvvisamente lei, riprendendo
il necessario contatto con
l’immediata realtà.
-
Solo domani. –
disse l’ex-marinaio, con un tono che non voleva ammettere
repliche.
-
No, oggi! – lo
contraddissero i fratelli, perfettamente in coro.
La
scogliera scura
di Ward-Golfe alle spalle, leggermente lucida per gli schizzi
d’acqua che la
lambivano, si allontanava, mentre in realtà era
l’enorme mole della nave pirata
a scorrere sulla piana superficie del mare. Pericolosamente vicini, i
galeoni
della Marina aprivano la formazione per scorrere intorno
all’isola, in
direzione del porto a nord, molto più ampio e ben fornito.
Inutile dire allora
che la via meridionale appariva perfetta per l’allontanamento
– non la “fuga”, che
sia chiaro - della grande imbarcazione fuorilegge.
-
Ma avremo fatto
bene? – domandò Jozu al Primo compagno, le grosse
braccia incrociate e lo
sguardo di fronte a loro.
Satch
produsse solo
un mugugno e un’occhiata a Marco di fianco a lui.
-
Anche se si
trovassero nei guai, ci sono sempre i fratelli McFerson. Anche il babbo
sarà
d’accordo. – osservò
quest’ultimo, un sorriso sbieco sulle labbra.
- Dì piuttosto che lo speri, carissimo..! – esclamò Satch, mentre immaginava i guai che avrebbero combinato quei quattro, insieme ad un migliaio di marinai…