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Autore: Beatrix Bonnie    18/07/2011    5 recensioni
-Seguito de La sorella perduta- Dopo aver assistito all'entusiasmante finale della Coppa del Mondo di Quidditch e dopo esser rimasti terrorizzati dalla comparsa del Marchio Nero, Mairead, Edmund e Laughlin torneranno al Trinity per affrontare il loro quarto anno, sperando, questa volta, di uscirne indenni. Ma non potranno certo immaginare che cosa è stato preparato per quell'anno! Tra altezzosi cugini purosangue, gelosie e invidie, misteriosi tornei, scuole di magia lontane e sconvolgenti novità, i tre amici metteranno a dura prova la loro amicizia...
Genere: Avventura, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Primi anni ad Hogwarts/Libri 1-4
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- Questa storia fa parte della serie 'Il Trinity College per Giovani Maghi e Streghe'
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CAPITOLO 1

La corruzione del tempo






La donna osservò la sua immagine riflessa nello specchio. I suoi capelli, un tempo rossi e vaporosi, ora ricadevano flosci sulle sue spalle, creando sinuose curve argentate. I suoi occhi verdi erano offuscati da una patina dovuta alla vecchiaia e circondati da una ragnatela di rughe che si espandevano su tutto il volto. Non c'era più traccia della bellezza della gioventù. Il tempo l'aveva corrotta, l'aveva ridotta ad un ammasso di pelle secca e ossa, ricoperte da un lussuoso vestito di raso.

La donna si raccolse i capelli in uno nodo dietro la testa con rassegnazione. Non voleva accettare l'idea che l'immagine di quella vecchia strega fosse proprio lei, ma la decadenza in cui era piombata non era solo una decadenza fisica. Quella donna provata dall'età e disillusa dalla vita era davvero il suo riflesso. Era proprio lei.

«Madre?» la richiamò una voce che sembrava venire dal piano di sotto. La donna si sistemò le pieghe dell'abito e il colletto di pizzo, proprio quando un mago bussò alla porta e, senza aspettare risposta, entrò nella stanza con passo deciso. «Madre» disse nuovamente, ma la donna non si voltò. I suoi stanchi occhi verdi si posarono sul riflesso di lui, sul grande specchio che aveva di fronte. I lunghi capelli corvini, ormai striati da qualche ciocca grigia, erano stati raccolti con un nastro di velluto nero. Anche la sua pelle cominciava ad essere attraversata da qualche ruga, ma il volto era ancora abbastanza giovanile per la sua età. L'unico vero segno che lo faceva sembrare più vecchio di quanto non fosse, era lo sguardo tagliente e intransigente.

«I nostri ospiti stanno arrivando. È gradita la vostra presenza in ingresso.» disse rivolto alla madre, con un tono che più che un invito, faceva apparire la frase come un ordine. La vecchia si limitò ad un cenno del capo.

Quando il figlio fu uscito dalla stanza, la donna lanciò un ultimo sguardo al suo riflesso sullo specchio, poi si affrettò a seguirlo. La grande casa era buia e tetra, forse a causa delle spesse tende di velluto nero che impedivano di penetrare all'interno a quei timidi raggi di sole che fossero riusciti a bucare la spessa coltre di nubi. La cupa tappezzeria delle pareti era intervallata da antichi arazzi e dipinti di antenati illustri. La donna si sentì addosso gli occhi degli occupanti dei ritratti, che la seguivano lungo il corridoio, ma lei non abbassò il mento. Non temeva il loro giudizio, né aveva paura che potesse esserle rinfacciata qualche colpa. Si era sempre comportata da nobile Purosangue, per cui non aveva alcun motivo per essere rimproverata. In fin dei conti, la stirpe continuava, gli eredi erano validi e numerosi e lei avrebbe dovuto sentirsi orgogliosa di essere la capostipite, eppure uno strano senso di inquietudine l'aveva assillata in quegli ultimi anni. Era convinta che ci fosse qualcosa di... sbagliato nella sua famiglia. Un conto era essere nobili, un conto era essere degli assassini. Sembrava che la massima aspirazione dei suoi discendenti fosse quella di epurare il mondo magico dai sasanachfiul. Certo, anche per lei il sangue inglese era qualcosa di ripugnante, ma mai e poi mai si sarebbe abbassata a massacrare Nati Inglesi, come un bieco sicario, o un boia prezzolato. Nobiltà significava anche decoro, onore e rispetto. Possibile che fosse l'unica a ricordarselo?

Scese le scale lentamente, sfiorando il corrimano con le dita. «Nonna» la richiamò una voce. Un ragazzo moro le si fece incontro reggendo tra le mani una coccarda rossa. «L'ho appena ricevuta dal Trinity. Sono diventato dictator» disse il nipote, mostrando orgoglioso il distintivo.

La donna gli rivolse un breve sorriso, poi commentò: «Tieni alto l'onore della nostra famiglia. È così che si comporta un Deamundi».

Eibhean gonfiò il petto con evidente orgoglio e la nonna si concedette un raro gesto di affetto, sfiorandogli la guancia con le dita. «Nonna.» la chiamò un'altra voce dall'ingresso. Dalla porta fece capolino un viso sottile, incorniciato da morbidi capelli rossi. Andalysia, la penultima dei fratelli Deamundi, ma anche l'unica della famiglia che avesse ereditato i tratti degli O'Brian, occhi verdi e capelli rossi. Inoltre Evangeline aveva notato come la nipotina avesse la stessa grinta che aveva caratterizzato lei da giovane.

«Nonna, vi stiamo aspettando in ingresso» disse Andalysia, accennando con il capo alla sala. Eibhean si affrettò a raggiungere gli altri, mentre Evangeline vi si diresse con un passo lento, ma non abbassò lo sguardo. Un nobile Purosangue non abbassa mai lo sguardo.

Suo figlio e sei dei fratelli Deamundi erano schierati in ingresso, pronti ad accoglierla. Alla sua sinistra Eibhean, e poi Tricolon con quei suoi riccioli scuri, Liutpridus, il più energico dei fratelli e infine Cassian, primogenito e erede del titolo di conte di Con Cetchthach. Alla sua destra invece Andalysia e Luisdel, così diverse come poche sorelle: la prima, rossa di capelli, aveva il carattere forte degli O'Brian, la seconda, mora e con gli occhi scuri, era pudica e aggraziata come si conveniva ad una nubile Purosangue. L'altra sorella, Rosmerta, era già andata in sposa a Vladimir Destesky, principe di Russia, sebbene avesse solo ventitré anni.

Tra le due ali create dai suoi figli, stava Meccorin Daemundi, conte di Con Cetchthach. Stava facendo girare un bicchiere di vino rosso, roteando con un lieve colpo del polso il calice di cristallo. Il suo sguardo era puntato sulla madre, ma non aveva nulla di benevolo nei suoi confronti. Era uno sguardo di avvertimento. Non osare sfidarmi, diceva.

Evangeline restò impassibile. Era conscia di aver generato un assassino e non aveva più l'illusione di poter influenzare in qualche modo le sue scelte. Ormai era tardi. Tardi per lei, vecchia e stanca della vita, ma tardi anche per lui, convinto di essere nel giusto. Ma questo non significava che avrebbe mai abbassato gli occhi di fronte a suo figlio.

Proprio in quel momento qualcuno bussò alla porta. «Andalysia, vai ad aprire» ordinò il conte, senza distogliere lo sguardo da sua madre.

La ragazza si affrettò ad eseguire gli ordini del padre. «Signor O'Duibne, prego» sussurrò in un tono strano, troppo dolce per lei, facendo entrare un giovane signore di bell'aspetto.

«Conte Deamundi» salutò l'uomo, con un inchino, mentre Maccorin si limitò ad un cenno del capo.

Dopo di lui, arrivarono molti altri maghi e streghe, ma Evangeline non era particolarmente interessata a seguire le presentazioni. Preferì ascoltare i bisbigli dei suoi due nipoti più giovani. «Da quando in qua fai gli occhi dolci a O'Duibne?» sibilò Eibhean, rivolto alla sorella.

Andalysia assunse un'aria di superiorità. «Non sono affari tuoi».

«Lo sai che nostro padre vorrebbe che sposassi Belisar MacGaril» rispose il fratello, accennando con il capo ad un ragazzetto biondo dall'aria non tanto sveglia che era appena arrivato al magione dei Daemundi.

Andalysia lo incenerì con lo sguardo. «MacGaril è un idiota» sibilò con astio. Evangeline non poté darle torto: Belisar non sembrava un tipo tanto arrivato. Forse era il risultato di qualche strano incrocio tra parenti, visto che le famiglie nobili erano tutte imparentate tra loro. Anzi, se non ricordava male, la madre di Belisar doveva essere Grainne O'Brian, una sua cugina di secondo grado.

«Almeno MacGaril è un nobile» rispose Eibhean, con un'occhiata d'intesa.

Ma a quelle parole Andalysia gli rivolse un sorriso provocatorio. «Nemmeno la tua Ailionora è nobile, a quel che mi risulta» insinuò.

Eibhean le lanciò un'occhiataccia e fece per rispondere qualcosa, ma Evangeline non riuscì ad ascoltarlo, perché suo figlio la chiamò. «Madre, è gradita anche la vostra presenza, alla riunione».

Evangeline si diresse con passo da funerale verso il salotto, dove gli ospiti stavano cominciando a prendere posto intorno ad un lungo tavolo di legno scuro. Il conte Deamundi, seduto a capotavola, fece segno alla madre di occupare la sedia alla sua sinistra. Proprio di fronte ad Evangeline, alla destra di Meccorin, stava Giustinianus MacGaril, quell'idiota borioso che aveva sposato sua cugina Grainne O'Brian, e il cui figlio ritardato Belisar era il miglior partito per Andalysia. Oltre a suo figlio Meccorin, anche i tre nipoti più grandi, Cassian, Liutpridus e Tricolon, erano stati ammessi alla riunione.

Quando tutti ebbero preso posto, il conte Deamundi sollevò la bacchetta verso il soffitto e recitò: «Glan na fuil..

«...tri bas na sasanachfuil!» risposero gli ospiti in coro, imitando il gesto del capotavola. Evangeline si meritò un'occhiataccia del figlio per non aver preso parte a quel rito, ma non aveva intenzione di unirsi a quel gruppo di fanatici assassini. Se evitare di gridare il motto “Purezza di sangue attraverso la morte dei sasanachfuil” era l'unico modo per sottolineare la sua indipendenza, era disposta anche a sopportare le occhiate di rimprovero da parte del figlio. Lui doveva sapere che lei disapprovava completamente quelle riunioni e tutto ciò che ne conseguiva.

«Fratelli, possa un giorno la nostra amata patria essere liberata da coloro che hanno il sangue impuro» esclamò il conte Deamundi, appoggiando le mani con le dita incrociate sul tavolo.

«Dio lo voglia!» risposero gli altri membri del gruppo.

Dopo un attimo di silenzio, il conte espose il problema per cui aveva indetto quella riunione: «Fratelli, un grave attentato al nostro orgoglio di celti ci è stato mosso contro» annunciò in tono drammatico, osservando uno ad uno i suoi ospiti. «Fratello Scipio, vuoi esporre tu il problema».

Scipio Diablaiocht annuì con serietà. «Come Capo del Dipartimento Affari Esteri, ho saputo che la finale di Coppa del Mondo di Quidditch, alla quale partecipa la nostra nazionale, si terrà in Inghilterra, nonostante le proteste irlandesi».

Un cupo silenzio seguì quelle parole. «Come si permettono?» esclamò indignata una donna mora, seduta poco lontano da Evangeline.

«Sorella Daireen ha ragione, è un vero oltraggio. Noi, costretti a disputare una gara sul suolo dei nostri oppressori!» protestò Giustinianus MacGaril, riscuotendo il consenso generale.

«Fratelli, vi prego» disse mollemente il conte Deamundi, per tranquillizzare gli animi. Il lungo tavolo piombò nuovamente nel silenzio. «L'unica cosa che possiamo fare, per evitare di esporsi troppo, è boicottare in toto l'evento» spiegò ai suoi ospiti.

«Boicottare?» protestò la donna mora di nome Daireen. «Io chiedo che cadano delle teste per questo affronto!»

«La sicurezza sarà altissima» intervenne O'Duibne, in tono serio. «Il mio superiore Claiomh, Capo del Dipartimento della Difesa, è già stato interpellato dal suo corrispettivo britannico per accordarsi sugli Auror che saranno presenti allo stadio. È praticamente impossibile penetrare».

«Ma soprattutto è rischioso» aggiunse il conte Deamundi, con serietà. «Ricordate che la nostra copertura non deve saltare. O vogliamo fare la fine di Xavier O'Costal?» domandò ai suoi compagni, in tono provocatorio. Tutti rabbrividirono di fronte a quell'agghiacciante prospettiva: O'Costal, il traditore che, per smania di potere, aveva finito per farsi beccare insieme ai suoi compagni e ora si ritrovava a marcire in prigione.

«Questo è quanto, fratelli» concluse il conte Deamundi, dopo aver appurato che tutti i compagni erano ancora fedeli all'ideale per il quale combattevano. «Se qualcuno di voi, come fratello Scipio, dovesse essere obbligato a presentarsi alla partita, finga un malore improvviso, qualsiasi cosa: nessuno di noi deve mettere piede sul suolo britannico» commentò il mago, scandendo per bene le ultime parole.

«Preferirei morire» sentenziò con astio sorella Daireen.

Il conte Deamundi annuì soddisfatto. «Per il secondo punto in programma, lascio la parola a fratello Sigfrid».

Un uomo pelato, con i tratti del volto taglienti, si schiarì la gola, poi cominciò a parlare: «Sono venuto a sapere, tramite dei miei informatori, che presto in Parlaimint ci verrà presentata la proposta di legge di Aletheia O'Gara, il Capo del Dipartimento dell'Istruzione Magica».

A quell'informazione, le persone sedute attorno al tavolo si lanciarono occhiate preoccupate: per quanto la O'Gara fosse membro del Partito della Tradizione, sembrava particolarmente incline a fare favoritismi per i sasanachfuil. «Cosa dice il testo della legge?» domandò Cassian Deamundi, seduto a fianco di Evangeline.

L'uomo pelato scosse la testa. «Non lo conosco nei dettagli, ma pare che l'idea fondamentale sia quella di istituire dei corsi di cultura irlandese per favorire l'integrazione dei sasanachfuil attraverso la conoscenza delle nostre tradizioni».

«È uno scandalo! Come se, per essere irlandesi, fosse sufficiente la cultura!» protestò Giustinianus MacGaril, battendo il pugno sul tavolo. Alcuni mormorii d'assenso accolsero quell'esclamazione.

«Credo che la cosa migliore da fare sia convincere gentilmente miss O'Gara che non è una buona idea presentare in Parlaimint quella legge» propose sorella Daireen, con un tono falsamente gentile che fece rabbrividire Evangeline.

Il conte Deamundi annuì con serietà. «Volontari?»

«Possiamo farlo noi, padre» intervenne Liutpridus, accennando a sé e ai suoi fratelli. Evangeline si voltò verso i suoi nipoti con il cuore infranto: aveva tanto sperato che almeno loro si salvassero da quella trappola infernale, ma, evidentemente, l'ascendente del padre su di loro aveva provocato effetti devastanti.

Il conte Deamundi fece un segno d'assenso con il capo. «Agite con discrezione: minacciatela quanto necessario, ma non fatevi scoprire» ordinò loro, con tutta la naturalezza del mondo. Liutpridus sorrise e gonfiò il petto con orgoglio, scambiando occhiate fugaci con i fratelli Cassian e Tricolon.

Il conte Deamundi osservò per un attimo i suoi ospiti, scrutandoli con i suoi occhi blu come un cielo stellato. «Molto bene, la riunione è finita» annunciò poco dopo, alzandosi dal tavolo. «Glan na fuil...»

«...tri bas na sasanachfuil!» completarono gli altri, alzandosi a loro volta. Gli ospiti lasciarono lentamente la sala, seguendo il gentile invito di Cassian Deamundi, che indicava loro un altro salotto dove gli elfi domestici avevano preparato calici di vino e piccole prelibatezze.

«Sorella Daireen» chiamò il conte Deamundi. La giovane donna si voltò verso il mago con sguardo interrogativo. Meccorin aspettò che tutti gli altri avessero lasciato la sala, poi chiuse il portone per non essere udito da orecchie indiscrete. Fece segno alla donna di sedersi nuovamente, poi si accomodò a capotavola. «Ho un compito per te, Daireen» annunciò in tono serio. «Ma è una cosa che deve restare tra noi».

«Avete la mia parola, conte» annuì la donna, immaginando che la faccenda si sarebbe rilevata interessante.

Meccorin Deamundi sembrava piuttosto a disagio, come se dovesse ammettere qualcosa di terribile. «La presenza della figlia di mio cugino si sta rivelando decisamente ingombrante» disse alla fine, con lo stesso risentimento che avrebbe usato un peccatore penitente davanti al suo confessore. «Prima rovinò il piano per recuperare la lancia di Lugh, poi interferì con quello della setta degli Eletti, portando alla cattura di O'Costal».

Daireen si fece più attenta: aveva come l'impressione di sapere dove sarebbe andato a finire quel discorso. Il conte Deamundi fece una piccola pausa, poi riprese: «All'inizio, considerato che era solo una bambina, potevo anche essere magnanimo e ignorare la sua presenza, ma ora sta cominciando ad essere davvero intollerabile».

«Mi state chiedendo di ucciderla?» sussurrò Daireen, mentre uno strano brillio le illuminò per un attimo gli occhi scuri. La ragazzina era una lurida sasanachfuil, ma era sempre stata intoccabile, almeno fin quando non l'avesse deciso il conte Deamundi. In pochi sapevano il reale motivo di quella assurda tutela e probabilmente il conte stesso non l'avrebbe mai ammesso con nessuno, ma la stretta parentela tra di loro faceva sì che avessero parte del patrimonio genetico in comune e non una singola goccia di sangue dei Deamundi di Con Cetchthach, per quanto impuro e contaminato da quello inglese, doveva andare sprecato. Ma ora... be', la ragazzina si era dimostrata davvero inopportuna e Meccorin era disposto a sacrificarla. Se si fosse comportata in modo più discreto, avrebbe anche potuto sopportare la puzza del suo sangue impuro che sporcava il suo prezioso casato, ma non era disposto a tollerare una presenza così molesta. Dopotutto, se una mano ti è motivo di scandalo, tagliata.

Ora come ora, gli erano completamente indifferenti le sorti della piccola sasanachfuil: gli bastava che la smettesse di intralciare i piani dell'EIF. «Fa' quello che credi» rispose a Daireen, scuotendo leggermente la testa con disinteresse. «Dopotutto, non fosti sempre tu ad occuparti della madre?»

Un sorriso di vittoria si allargò sulla bocca della donna. Sì, fu lei ad occuparsi della madre. Quella sgualdrina inglese che le aveva rubato il suo uomo. Non si meritava altro, per aver osato portare l'odioso puzzo dei dominatori inglesi nell'Isola Smeralda, per aver infangato l'onore di un mago irlandese rispettabile, seducendolo con i suoi trucchi. Con quanto piacere le aveva strappato la vita dal petto! In fin dei conti, era solo per vendetta contro di lei che Daireen Cumhacht era entrata a far parte dell'EIF.

E ora, finalmente, il conte Deamundi aveva allentato le reti di protezione intorno a quella lurida sasanachfuil della figlia.

Oh, la vendetta non sarebbe potuta essere più dolce.



Uau, ragazzi, io mi sento quasi emozionata! Mi mancava troppo questa saga e sono felicissima di aver cominciato il nuovo racconto. In questo capitolo, ho pensato di dare un po' di spazio all'EIF (così come all'inizio del quarto la Rowling aveva inserito quell'agghiacciante capitolo intitolato “casa Riddle”). Il trio ricomparirà dal prossimo lunedì, promesso!

Ora vi lascio un po' di cosette da sbirciare e leggiucchiare:

  • La legge proposta dalla O'Gara potrebbe apparire favorevole per i Nati Inglesi (e così certamente la interpreta l'EIF), ma in realtà è comunque discriminatoria: comporta l'idea di mettere tutti coloro che hanno sangue inglese (fosse anche per un nonno) in classi separate per un corso intensivo di cultura irlandese; questo certo non è il modo migliore per favorire l'integrazione!

  • Per facilitarvi la comprensione delle intricate parentele magiche, QUI l'albero genealogico degli O'Brian e QUI quello dei MacGaril. Siete riusciti a scoprire chi è la mano motivo di scandalo che Meccorin Deamundi vuole tagliare? E avete riconosciuto qualcuno dei vecchi personaggi negli alberi genealogici? =)

  • QUI, invece, l'immagine del capitolo: si tratta di una rappresentazione della famiglia Deamundi.

  • Questo è l'approfondimento sulla nobiltà irlandese che avevo promesso tempo fa:

    In origine le schiatte non avevano nulla di nobile, erano semplicemente clan: gruppi di famiglie magiche unite dall'appartenenza tribale. Ogni clan era in lotta con gli altri, ma le famiglie che appartenevano ad uno stesso clan non erano necessariamente imparentate.

    Col passare del tempo, alcuni clan divennero più importanti di altri e in particolare tra il V-VI secolo d.C. spiccò il clan dei Con Cetchthach.

    Con l'avvento del dominio normanno prima e inglese poi (a partire dal XII secolo d.C.), le famiglie magiche irlandesi più importanti si chiusero in un orgoglioso isolamento, facendo crollare l'antico sistema tribale. Alcune famiglie si estinsero, altre si mescolarono con i babbani o, peggio ancora, con gli inglesi.

    All'inizio del XV secolo, furono i Deamundi, dell'antico clan di Con Cetchthach, a riportare in auge le vecchie tribù, dandogli il nome di schiatte e richiamando le famiglie di origine a farne parte. Ma ben poche erano sopravvissute immuni all'invasione britannica, ancora pure nel loro orgoglio di celti. Così i Deamundi salvarono dalla rovina solo otto schiatte, ciascuna composta da quattro o cinque famiglie; ad ogni famiglia venne inoltre assegnata ad una delle quattro contee in cui era stato formalmente diviso il territorio irlandese, solitamente quella in cui si trovava la dimora di famiglia (Maillen, Gulbain, Luachra e Temair). Per i maghi irlandesi era un modo per sostenersi a vicenda, per opporsi al dominio britannico e alle sue strutture governative attraverso la rievocazione dell'antico legame tribale.

    Con il tempo, alcune schiatte si svuotarono per l'estinzione in linea maschile delle famiglie che la componevano. Fu così istituito ilUasal Comhairle Uachtarach (Nobile Consiglio Supremo) composto dai capifamiglia, che dovevano giudicare se una famiglia fosse idonea ad entrare nella nobiltà, per rimpolpare le schiatte. L'ultima famiglia a meritare tale onore fu quella dei Saiminiu, che entrò a far parte della schiatta di Mes Gergra nel 1694. Dopodiché il sistema del Nobile Consiglio Supremo cadde in disuso.

    Con la liberazione dell'Irlanda Magica nel 1897 e la stesura della Carta Costituzionale, le schiatte nobili furono formalmente abolite, ma continuano tuttora ad esistere agli occhi di tutta la società magica irlandese.

Perdonate le note chilometriche! A lunedì prossimo (o a domani per quelli che seguono anche il corollario “Vita da Fuorilegge”).

Grazie a tutti,

Beatrix


   
 
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