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Autore: Soe Mame    19/07/2011    5 recensioni
[Spinoff prequel de Il bronzeo addormentato nel bosco]
Dieci anni dopo la festa in onore del principe del regno d'Egitto, ma sei anni prima del suo risveglio per il primo bacio d'amore, uno dei musicanti di Brema si avventurò per il mondo, finendo tra le grinf- ehm, amorevoli mani di un'incantevole strega...
Genere: Demenziale, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri personaggi, Doma, Joey Wheeler/Jounouchi Kazuya, Mai Valentine
Note: AU | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
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Tutti i personaggi appartengono ai rispettivi proprietari; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.

PARODO



Johnoh alzò lo sguardo dalla tazza fumante che gli scaldava le mani, respirando il leggero profumo dolciastro che si levava da quella strana bevanda dorata.
Quasi rannicchiato su una sedia di corallo, avvolto da una pesante coperta dai colori accesi, Johnoh lanciava fugaci occhiate alla splendida donna seduta dall'altra parte del tavolo di corallo, che ricambiava il suo sguardo incuriosito e un po' timoroso con un paio di occhi truci.
Johnoh, si era reso conto, era precipitato nella piscina ricoperta di minuscoli diamanti della donna, nel retro della sua scintillante casa: la proprietaria lo aveva fatto entrare dalla finestra, dato che, a detta sua, gli avrebbe sporcato lo zerbino di seta, e gli aveva dato la coperta e la bevanda.
Tuttavia, per tutto quel tempo, non aveva fatto altro che scrutarlo come se fosse il suo più acerrimo nemico.
Il musicante non aveva potuto far altro che distogliere lo sguardo, non trovando altro modo di impegnare i propri occhi se non guardandosi intorno: la casa della donna era interamente composta di pietre preziose.
Lui non conosceva i nomi delle pietre, si limitava a rimanere meravigliato dalle pareti bianche, dai mobili rossi, azzurri o verdi, dagli argentei vetri delle finestre, dal rosso acceso delle porte.
Quello in cui si trovavano doveva essere una specie di soggiorno; in realtà, neppure Johnoh aveva capito dove si trovasse esattamente.
"Forse è il caso che dica qualcosa..." pensò, faticando a sopportare oltre gli occhi di sugilite della donna puntati contro: "Magari potrei ringraziarla...".
- Ehm... - fece, indeciso sul come rivolgersi alla padrona di casa: - Vi... vi ringrazio molto per avermi ospitato... E mi dispiace di essere precipitato nella vostra piscina... -
"Ma che sto dicendo?" si rimproverò Johnoh, imprecando contro se stesso.
Al disagio della situazione si aggiungeva anche la bellezza non indifferente della donna: in quegli anni, durante i suoi concerti, Johnoh aveva visto molte donne, con alcune si era anche intrattenuto a parlare; per questo poteva asserire con assoluta certezza che la padrona di quella casa scintillante fosse tra le più belle che esistessero.
"Però..." rimuginò, un po' intimorito: "... ha qualcosa di strano. Non so esattamente cosa, ma... ".
- Volevi essere lasciato a mollo? - rispose la donna, con uno strano sorriso.
Johnoh trasalì, scuotendo la testa.
- Comunque, non avrei potuto fare altrimenti. - continuò lei, lanciando una rapida occhiata alla sacca bagnata del ragazzo: - Non potevo certo permettere che qualcuno affogasse nella mia piscina. -
- Beh, magari n- -
- I cadaveri puzzano. -
Il giovane musicante sentì il sangue gelarglisi nelle vene: "... c-cosa ha detto?"
- Quelli in acqua, poi... Sarebbe stato decisamente irritante avere l'acqua della piscina infetta e tutta quella puzza intorno! - esclamò la donna, serissima, mettendo le braccia conserte.
Per poco la tazza non cadde dalle mani di Johnoh: quella donna non stava scherzando.
- Mi... mi avete salvato solo perché eravate preoccupata per la vostra piscina? - chiese, incredulo, quasi balbettando per lo shock.
La proprietaria della casa alzò un sopracciglio: - E per cos'altro, sennò? -.
Di fronte allo sguardo sconvolto del giovane, la donna parve rimanere per un attimo pensierosa.
Poi scoppiò a ridere, una risata stridula che perforò i timpani del ragazzo: - Non penserai mica che l'abbia fatto per salvare te? - rise, quasi a lacrime.
Johnoh era rimasto semplicemente senza parole.
Istintivamente, posò la tazza sul tavolo, cominciando a temere che si trattasse di veleno.
La donna si asciugò una lacrima, riuscendo a placare le risate: - Oh, voi umani siete così stupidi che quasi mi fate tenerezza... -
Il ragazzo si tirò indietro quanto più gli era possibile, la schiena ormai completamente premuta contro lo schienale di corallo: - ... "umani"? - ripeté, boccheggiando.
"Questa donna..." capì, sgranando gli occhi in un'espressione di puro terrore: "... questa donna... questa donna non è umana!".
Lei mise i gomiti sul tavolo, posando il viso sulle mani, mentre un sorriso sinistro appariva sulle sue labbra ben disegnate: - Una rana o un rospetto, un topino o un corvetto, un gattino o una civetta, un gufo o una creatura maledetta! - canticchiò, la voce improvvisamente infantile.
Johnoh deglutì a fatica, un groppo alla gola che quasi lo stava soffocando: "... cosa... cosa sta...?".
- Sotto il cielo stellato me ne vado per il mondo, con la mia veloce scopa giro tutto in tondo, con un cappello a punta sui miei capelli, vado di casa in casa a portar via i bimbi belli! -
Il musicante rabbrividì, una goccia di sudore freddo gli accarezzò una tempia, fino alla guancia.
- Sono bella e attraente, ma con me non comportarti da fetente... - continuò, la voce da bambina, sedendosi sul tavolo con un movimento elegante: - Sarebbe un atteggiamento da punire e quindi io potrei anche farti... -
Improvvisamente, la manica di Johnoh prese fuoco.
Il ragazzo si alzò di scatto, urlando terrorizzato, la sedia si rovesciò, la coperta gli cadde dalle spalle.
In preda al panico, il musicante cercò di spegnere la fiamma dandosi degli schiaffi sul braccio, imprecando ad ogni colpo, quando, in un istante, le fiamme scomparvero così come erano apparse.
- ... morire. - concluse la donna, con un sorriso soddisfatto, la voce tornata normale, da adulta.
Ancora scosso dai brividi, Johnoh si lasciò cadere sul pavimento, le gambe che non riuscivano più a sorreggerlo.
- S-siete... - farfugliò, sbiancato in volto: - ... u-una... una... una strega? -.
- Esatto, mio caro! - trillò l'altra, facendogli segno di vittoria con due dita: - Eppure pensavo fosse piuttosto ovvio... sono bella, vivo in una casa fatta di pietra preziosa... non conosci la celebre "Strega della Casetta di Gioielli"? - chiese, ravviandosi i lunghi capelli biondi con fare vanitoso.
La mente di Johnoh era completamente vuota.
Non riusciva a muoversi, non riusciva a ragionare.
Sentiva tutto il suo corpo tremare, forse vigliaccamente, forse a ragione; sentiva delle gocce sul viso, sul collo e lungo la schiena, sentiva quasi dolore agli occhi per quanto li stava tenendo spalancati.
Soltanto quando si sentì quasi mancare si rese conto di aver smesso di respirare ed espirò con un ansimo, faticando poi ad inspirare.
- Che brutta cera... - ridacchiò la Strega: - Qualcosa non va? -.
"E ora cosa faccio?" fu l'unico pensiero che riuscì a formularsi nella mente del ragazzo.
- ... no. - rispose, la voce improvvisamente roca.
La donna sorrise, soddisfatta, ma Johnoh riprese: - ... no, non conosco la Strega della Casetta di Gioielli. - specificò.
Per poco, la Strega non cadde dal tavolo: - P-prego? - balbettò, colta di sorpresa.
- Non vi conosco affatto. - ripeté Johnoh, recuperando le forze: - Non ho mai sentito il vostro nom- -
- Com'è possibile? - protestò la donna, saltando con i pesanti stivali neri sul pavimento: - Io sono la celebre, famosa e ricercata Strega della Casetta di Gioielli, sono conosciuta nel bizzarro ducato di Toon, mi conoscono nel ricco regno di Domino, sanno chi sono nel vegetariano regno d'Egitto... Si può sapere da dove vieni? - quasi ringhiò, lo sguardo improvvisamente irato.
Quell'improvviso cambiamento di carattere lasciò Johnoh piuttosto perplesso, ma non si fece scoraggiare: - Vengo da Brema. - rispose, deciso: - Sono un musicante e non mi sono mai interessato di streghe, fate o roba del genere! -.
- Oh, non mi parlare di quelle farfalline tutto puccio e zucchero! - rabbrividì la Strega, quasi disgustata.
Lentamente, il ragazzo si rialzò, cercando di reggersi in piedi: "Una strega..." disse fra sé e sé: "Sapevo della loro esistenza, ma non avrei mai immaginato che ne avrei incontrata una...".
La guardò attentamente, la donna ricambiava il suo sguardo con uno altrettanto indagatore.
"Seppur di grande bellezza, sembra una semplice donna... ma la sensazione che dà è diversa..."
- Allora, musicante... - esordì la Strega, tornando seduta sulla sua sedia di corallo, accavallando le gambe e incrociando le braccia: - ... io ti ho ospitato in casa mia, ti ho offerto una coperta e del succo di Ranuncolo Vitreo della Valle Della Raccolta Differenziata, quindi esigerei di essere adeguatamente ricompensata. -.
- Eh? - fece Johnoh, mettendo bene in funzione le orecchie.
- Scusate, eh... - disse, una mano attorno ad un orecchio come per sentire bene: - Voi mi avete salvato solo per preservare la vostra piscina, mi avete quasi dato fuoco e pretendete pure una ricompensa? - chiese, esterrefatto.
- Sì. - fu la risposta lapidaria della donna.
- ... e cosa vorreste? - si arrese Johnoh: normalmente, non l'avrebbe mai dato vinta a qualcun altro, ma se questo qualcun altro poteva letteralmente incenerirlo con un'occhiata...
- Hai detto di essere un musicante, no? - gli ricordò la Strega, come se fosse ovvio: - Allora musica! -.
Il ragazzo sbatté più volte le palpebre, ma poi si chinò a raccogliere la sua sacca bagnata: "Se si tratta solo di questo, in fondo..." si disse, estraendo il suo tamburello.
Lasciò cadere la sacca a terra, alzò il tamburello e cominciò a battere quattro dita sulla membrana tesa, cambiando via via ritmo, accelerando o rallentando; a volte lasciava che fossero solo uno, due o tre dita a colpire lo strumento, a volte lo agitava per far risuonare i sonagli sul contorno.
Il rumore della percussione e il tintinnare dei cimbalini riempì l'aria, la donna aveva chiuso gli occhi per ascoltare meglio.
Dopo qualche istante, la voce della Strega si aggiunse alla musica: - Mediocre. -.
Johnoh si bloccò.
- ... eh? -
- Questa musica è veramente mediocre, non hai un briciolo di capacità! - esclamò la donna, aprendo gli occhi: - Ma ti pagavano pure per sentire questa roba? O eri tu che pagavi il tuo pubblico per starti a sentire? -.
Il musicante sentì come un fuoco divampargli all'altezza dello stomaco, infiammandogli il cuore, i polmoni, la testa: - Signora- -
- Signorina, prego. -
- Signorina Strega. - disse, digrignando i denti: - Se voi siete un'ignorante in materia musicale, non è certo colpa mia! -
- Non c'è bisogno di essere dei luminari della musica per capire che quest'accozzaglia di suoni altro non può essere definita se non "mediocre". - ribatté la Strega, alzandosi dalla sedia.
- Se voi siete- -
- Sta di fatto che questo non può certo ricompensarmi per il mio buon cuore. - disse la donna, interrompendolo, portando una mano al fianco con fare seccato: - Avrei dovuto tirarti fuori dalla piscina e buttarti nel bosco. -.
- Potevate anche farlo. - la provocò Johnoh, rimettendo il tamburello nella sacca con un gesto rabbioso: "Questa donna è una completa ignorante!" si disse, mantenendo a fatica il controllo: "Ignorante, altezzosa e arrogante!".
- Fuori c'è una tempesta! - gli fece notare l'altra, indicando una delle finestre d'argento: - Se fossi uscita, mi sarei ridotta come te! -.
Johnoh abbassò lo sguardo e strinse i pugni, quasi conficcando le unghie nella carne; le nocche sbiancarono, mentre stringeva i denti per evitare di riversare su quell'insopportabile creatura tutto il turpiloquio che gli venisse in mente.
Sentì la Strega sospirare, poi la sua voce, più controllata: - Temo tu ti debba sdebitare in un altro modo. -.
- E come? - ringhiò, incapace di mantenere calmo il tono, alzando gli occhi per guardarla in viso.
Lei aveva le sopracciglia alzate, le palpebre a mezz'asta e lo guardava come se fosse un esserino inferiore o come se stesse valutando una posizione più artistica per i suoi mobili: - Tu... - disse, piano: - ... sai cucinare? -.
Quella domanda spiazzò Johnoh, facendogli dimenticare per un attimo la sua rabbia.
- C-cosa? - balbettò.
- Ti ho chiesto se sai cucinare. - ripeté l'altra, cominciando già a perdere la pazienza.
- S-sì... - rispose il giovane, titubante.
- Allora cucinerai per me. - decretò la Strega della Casetta di Gioielli: - E pulirai la casa. Ti prenderai cura del mio giardino e provvederai a recuperarmi gli ingredienti che mi servono per le pozioni. - stabilì, con un tono che non ammetteva repliche.
Per un lungo istante, Johnoh rimase senza parole, lo sguardo come perso nel vuoto.
Poi si riscosse e fece un passo avanti, deciso: - Che cosa? Dovrei farti da schiavo? -.
- Detto in termini più pratici, sì. - rispose tranquillamente la Strega.
- Sentite, vi sono grato per avermi salvato dalla tempesta, qualunque fosse il vostro obiettivo... - parlò il musicante, cercando di calmarsi: - ... e vi ho già ringraziato, mi sembra troppo chiedermi di farvi da servo dopo che avete pure cercato di bruciarmi vivo! Guardate, ho ancora- -
La voce di Johnoh gli morì in gola quando notò la manica della sua maglietta perfettamente integra, nonostante prima fosse quasi completamente bruciata.
La osservò, allibito, incapace di credere ai propri occhi.
- Ma... come... -
- Due mesi. - aggiunse la Strega, con un sorriso di trionfo: - Terrai a lucido la casa e il giardino, cucinerai per me ed eseguirai ogni mio ordine. In cambio, tu avrai un tetto e del cibo. -.
A quelle parole, il ragazzo sgranò gli occhi: - E voi come... come sapete che io... -
- Te ne vai in giro con quella orrenda sacca rovinata... - notò la Strega, indicando con fare schifato ciò che Johnoh teneva per i lacci: - Vuota. Dentro c'è solo quell'inutile strumento. Hai la faccia di uno che non mangia da mesi, a stento ti reggi in piedi e il tuo stomaco sta emettendo boati di dolore da quando sei entrato. -.
Soltanto in quel momento Johnoh si accorse dei violenti rumori che provenivano dal suo stomaco.
Rosso in viso, si portò una mano alla zona incriminata e la donna sorrise, trionfante: - Immagino tu non abbia altra scelta. - disse.
Il musicante di Brema strinse i denti: non aveva nessuna voglia di rimanere un solo minuto di più insieme a quella donna, ma l'idea di poter avere pasti sicuri era improvvisamente allettante...
- ... e va bene. - si arrese definitivamente: "Del resto, fuori dovrei rubare, qui dovrò soltanto pulire... e cucinare qualcosa... In fondo, non mi sembra una cosa così svantaggiosa...".
- Ti farò vedere la casa... - riprese la Strega, facendo per uscire dalla stanza, salvo poi fermarsi e muovere le dita come se le stesse sfuggendo qualcosa.
Di fronte allo sguardo perplesso di Johnoh, lei gli chiese, brusca: - Ce l'hai un nome o devo chiamarti "Servo"? -.
- Mi chiamo Johnoh! - esclamò subito, irritato all'idea di essere chiamato in quel modo: - Voi, piuttosto, ce l'avete un nom- ehm, non penso vi chiamiate "Strega della Casa" - si corresse all'ultimo momento. Per quanto la sua manica si fosse risanata magicamente, non era detto che quella donna non lo polverizzasse.
Se poteva evitare di scoprirlo di persona, meglio.
- Strega della Casetta di Gioielli. - precisò lei, contrariata dal fatto che il suo nome non fosse stato pronunciato correttamente: - Comunque, sì, Johnoh, ce l'ho un nome. - aggiunse, liquidandolo.
- ... -
- Dato che sono la proprietaria di questa casa nonché tua padrona per i prossimi due mesi... -
- ... dovrei forse chiamarvi "mia signora"? -
La Strega sorrise, maliziosa: - Esattamente. Mi stupisci, Johnoh, vedendoti non ti facevo così perspicace. -.
- Ve lo potete scord- - Johnoh si fermò prima di parlare troppo, memore del fatto che quella malefica donna era dotata di poteri.
A giudicare dall'occhiata vittoriosa che la Strega gli rivolse, probabilmente anche lei doveva essersi resa conto dello sforzo che il ragazzo stava facendo per non contraddirla.
- Seguimi. - gli disse, sventolando una mano: - Ti mostrerò la casa. Memorizzala per bene, perché non voglio vederti. -.
- ... eh? -
Nell'udire l'ultima affermazione, Johnoh non riuscì a trattenersi: "Ma che sta dicendo?".
- Odio pulire, mi secca dover cucinare e tenere a posto il giardino. - spiegò la donna, brusca: - Tu mi servi solo per questo. Ma non ti voglio intorno, devi essere soltanto una presenza silenziosa e invisibile che sistema ciò che io uso. Sarò io a rivolgerti la parola, se avrò bisogno di te. -.
Gli occhi castani di Johnoh furono completamente spalancati.
Dopo un attimo di totale smarrimento, il ragazzo rifletté meglio: "... se non ne vuole sapere di me, allora io non sarò costretto a lavorare come uno schiavo, prendendomi tutto il tempo di cui ho bisogno senza sentire lamentele..." rimuginò, mentre seguiva la donna nel corridoio di platino.

- ... secondo me, abbiamo fatto l'ennesimo buco nell'acqua. -.
Il gigante biondo e il ragazzo dal cespuglio castano si fermarono, guardando il ragazzo dai capelli ramati.
Istintivamente, il secondo portò lo sguardo chiaro verso la bacinella che il primo portava tra le mani: una piccola bacinella piena d'acqua, con un coperchio trasparente, al cui interno era stato messo un tappo di sughero tagliato a metà con sopra fissato un ago.
Al centro della bacinella si era formato un piccolo vortice che tratteneva l'acqua ai lati, lasciando asciutto il centro.
- Ma no, dai... - disse il ragazzo con i capelli castani, sfilando la bacinella dalle mani del gigante e scuotendola: - ... è soltanto un momento, lo sai che ogni tanto fa così! -.
- Vahlon, no! - quasi urlarono gli altri due, mentre il più grande si riprendeva il contenitore.
- Razza di idiota! - lo sgridò il ragazzo dai capelli ramati, quasi terrorizzato: - L'ultima volta, il coperchio è andato via e ti sei versato addosso tutto lo ieratico liquido cristallino! -
- ... che sarebbe semplice acqua, Alystehr. - gli ricordò Vahlon, minimamente preoccupato.
Alystehr si battè una mano sulla fronte, esasperato: - Sì, Vahlon, è acqua. Quel che ti stavo dicendo è che poi Lord Dahrtz se l'è presa con tutti e tre! -.
- Tanto... - fece l'altro, alzando le spalle: - Tu hai mai capito quello che dice? Io, ogni tanto, riesco ad intuire qualche parola... -.
- Rahphael riesce a capirlo. - gli fece notare Alystehr, indicando il gigante biondo, rimasto a guardare.
- E comunque... - riprese il ragazzo dai capelli ramati: - ... io continuo a dire che questo sistema non è affatto efficace! -.
- E perché? - domandò Vahlon, sgranando i grandi occhi azzurri.
- ... perché sono anni che lo usiamo e non ha portato ad alcunché. - disse Alystehr, lapidario.
Silenzio.
- Ma non possiamo separarci dall'acqua ierica, dal sacro sugo e dallo sbrillioso ago! - esclamò Vahlon, confuso dalle parole dell'altro.
- Ieratica. - lo corresse Rahphael, tranquillamente: - Sughero e brillante. -.
- E vabbè, dai! - sbuffò il ragazzo dal cespuglio castano, alzando gli occhi al cielo: - Non sono colto come Lord Dahrtz, sarà per questo che non lo capisco... -
- Vahlon, tu non capisci Lord Dahrtz perché sei analfabeta. - disse Alystehr, come se nulla fosse.
- Tu cosa proporresti, al posto di questa? - chiese Rahphael, per evitare che i due ragazzi continuassero.
- Non ne ho idea. - sbuffò il ragazzo dai capelli ramati: - Penso che persino seguire una nuvola sarebbe più utile di quella cosa. -.
Il volto di Vahlon si illuminò.
Il ragazzo alzò lo sguardo, verso il cielo ancora nero per la tempesta appena finita; gocce di pioggia erano rimaste ad imperlare le foglie degli alberi, ad impregnare il sottobosco, mentre il forte vento della bufera calava la propria intensità con lentezza: protetti dai tronchi degli alberi, i tre ragazzi non ne risentivano ma, nel cielo, le nuvole nere venivano rapidamente trascinate via.
- Una nuvola! - gridò Vahlon, indicando una piccola nuvoletta color carbone: - E' un segno! -.
- No, Vah- -
- Sì, vabbè, una mistica manifestazione divina sottoforma di cotton fioc al catrame! - disse il ragazzo, sbrigativo, per poi lanciarsi all'inseguimento della nuvola.
- Ha cambiato idea velocemente circa l'uso della bussola ad acqua... - notò Rahphael, sorpreso.
- Sì... - sospirò Alystehr, salvo rimanere perplesso quando si vide consegnare la bacinella.
- Seguiremo il tuo consiglio. - gli disse il gigante biondo, serio: - Forse questa sarà veramente la volta buona. -.
Detto questo, sparì tra gli alti tronchi scuri e il fogliame, seguendo il ragazzo, lo sguardo verso il cielo, verso la nuvola.
Rimasto solo come un idiota, con la bussola ad acqua tra le mani, Alystehr disse, in un sussurro sconvolto: - ... ma io stavo scherzando... -
- E' LAGGIU'! STA SCAPPANDO! STA SCAPPANDO! RAHPHAEL, INSEGUILA! NON PERDERLA DI VISTA! -
Seguirono strani botti, rumori di qualcosa che s'infrangeva, qualcosa che veniva lanciato, scoppi di pacchetti di patatine, samba remixata, petardi, lancio di pomodori, un frana, il suono delle onde del mare e un bollire di pentola.
- Basta, rinnego ogni parentela con loro. - disse Alystehr, tagliente: - Non abbiamo lo stesso sangue. Probabilmente, da piccolo mi hanno messo nella culla sbagliata. - sibilò, estraendo un rasoio da una tasca della sua lunga giacca scura, per poi avviarsi al seguito degli altri due ragazzi.

Per quanto la proprietaria lo irritasse, la Casetta dei Gioielli riuscì ad assorbire completamente l'attenzione di Johnoh.
C'erano diverse stanze, tutte dalle pareti, dal soffitto e dal pavimento di platino, ognuna stracolma di oggetti forgiati in una qualche pietra preziosa; ogni cosa brillava come di luce propria, era un luogo irreale nella sua assurda preziosità.
"Chissà quanto vale l'intera casa..." pensò Johnoh, salvo poi decidere di non cercare di calcolarne un possibile valore per evitarsi un colpo.
C'erano almeno quattro soggiorni e una stanza simile ad una dispensa, piena di strani oggetti e ingredienti che Johnoh non aveva mai visto; c'era la cucina, enorme, con un frigorifero e un lavandino d'oro; c'era il bagno, i pezzi completamente d'argento; c'era la stanza d'ingresso, la più grande di tutti, con un forno di ossidiana in bella vista.
- Scusate... - aveva detto il musicante, alzando un sopracciglio con fare perplesso: - ... perché avete il forno nell'ingresso? -.
- Perché non posso tenerlo nell'ingresso? - aveva chiesto di rimando la donna, quasi seccata.
- Perché... avete ragione. - era infine stata la risposta arrendevole del ragazzo.
C'erano altre due stanze.
Una era la camera da letto della Strega; contrariamente a quanto Johnoh aveva immaginato, la donna lo fece entrare, mostrandogli lo sfarzo assoluto che regnava anche lì: baldacchino d'oro a nonsisaquante piazze, coperto da delicati tessuti dorati, le lenzuola e le federe di pura seta, degli scendiletto argentati, mobilia di smeraldo e zaffiro, tre armadi di corallo...
Il giovane musicante di Brema si sentiva disorientato in tutto quel lusso, quasi gli toglieva il fiato: era tutto troppo, troppo...
- Dovrai rifare il letto e pulire la camera. - aveva detto la Strega, così come aveva spiegato ogni suo compito per ogni stanza vista.
Nell'ultima stanza, Johnoh dovette entrare cautamente: era la stanza del tesoro della Strega.
Lo aveva acutamente sospettato ma quella camera fu ciò che gli confermò la sua idea: a quella donna piacevano molto le pietre preziose.
Completamente buia, non vi erano lampadari come nelle altre stanze, non c'era nulla che potesse dare luce, se non ciò che conteneva: le milioni di pietre lì presenti, sistemate su piccolissimi cuscinetti sopra delle mensole di platino che ricoprivano l'intero perimetro del luogo, riflettevano la luce che entrava dalla porta aperta, proiettando sulle pareti opposte miriadi di luci di tutti i colori esistenti.
Entrando, Johnoh era rimasto a bocca aperta, incantato.
Quella casa cominciava a piacergli.
- Questa è la mia collezione. - disse la Strega, rimanendo sulla soglia, appoggiata allo stipite della porta: - Se proverai a rubarmi qualcosa, se scoprirò che ne manca anche uno soltanto, ti scaglierò contro una maledizione peggiore della morte. -.
- Tranquilla... - sussurrò Johnoh, troppo preso dai giochi di luce di quel posto incantato per far caso alle minacce della donna.
- Sono pietre che io stessa trovo. - spiegò lei, tranquilla: - C'è ogni pietra esistente a questo mondo. -.
Cautamente, quasi temesse di far crollare l'atmosfera magica di quel luogo, Johnoh si avvicinò ad una delle tantissime mensole, osservando una pietra rosata: - Che cos'è? - domandò, con il tono curioso di un bambino.
- Thulite. - rispose la Strega, senza distogliere lo sguardo da quello che, per due mesi, sarebbe stato il suo servo.
- E questa? - chiese nuovamente Johnoh, indicando una pietra verde poco distante dalla thulite.
- Orichalcos. - disse la donna.
Il musicante sbatté le palpebre, perplesso: - Io avevo sentito che l'orichalcos era rosso... -
- Platone era daltonico. - fu la risposta secca della Strega.
- D'accordo... - fece Johnoh, alzando le spalle e tornando a curiosare tra tutte quelle pietre.
Quando ne individuò una in cui si mescolavano l'azzurro e e il verde, gli fu spontaneo domandare: - Questa qui? -
- Indicolite. - rispose la proprietaria della casa.
- ... colite? - ripeté il ragazzo, incredulo: - Ma chi è quell'ubriaco che le ha dato un nome simile? -.
- Indicolite. - ribadì la donna, gli occhi ridotti a fessure.
- ... mh. - si limitò a dire Johnoh, minimamente convinto.
Alzò gli occhi, abbracciando con lo sguardo tutta la stanza; non era attratto dalla preziosità delle pietre, quanto più dall'atmosfera che esse creavano.
- Wow... - sussurrò, affascinato: - Ve le ricordate tutte... - mormorò con ammirazione, metà della sua mente ancora persa tra tutte quelle luci.
- Ricordo ciascuna di loro, ogni singola disposizione. - precisò la donna, dura: - Per questo saprò all'istante se ne manca qualcuna e di quale si tratta. Te l'ho mostrata perché non voglio proibirtela, facendoti così venire voglia di entrarci di nascosto. -.
Bastò un'occhiata della Strega a far capire a Johnoh che era il momento di uscire dalla stanza del tesoro.
Una volta richiusa la porta alle sue spalle, la donna parlò di nuovo: - Bene, Johnoh. Ora conosci tutta la casa e sai i tuoi compiti. Mettiti al lavoro, c'è tutta la cucina da pulire. Per quando ci torno, la voglio vedere tirata a lucido. - ordinò, imperiosa.
Johnoh trasalì: - E quando ci tornerete? - chiese, cercando di pensare a quanto tempo avesse.
La risposta della strega lo colpì come una freccia: - Non lo so. -.

La tempesta era finita.
Il vento si era acquietato, la calma era tornata in quel bosco, ora intriso del profumo della terra bagnata dalla pioggia.
Gli abitanti di quel luogo iniziavano ad uscire dalle proprie case, le case in cui si erano riparati durante la bufera.
Ed era in una umile seppur grande casa di legno e paglia che...
- Bambiiiiiiiiiniiiiiiiiiiiiiiii! - trillò una voce femminile, risuonando per tutte le stanze.
La giovane donna quasi saltellò per la stanza principale, i lunghi capelli neri legati in due code che le ricadevano sul petto, giungendo davanti ad una stanza; aprì la porta di legno con uno scricchiolio, sbirciando all'interno della camera.
Vuota.
- ... bambini? - chiamò, esitante.
La stanza era completamente avvolta nel buio, i due sacchi di paglia su cui dormivano i due bambini erano a terra, come loro solito, ma senza i loro occupanti.
Lo sguardo scuro della donna percorse tutta la stanza, confusa: "Ma dove sono andati quei due mocciosi?" si chiese, sospettosa.
Ferma sulla soglia, scrutò ogni angolo buio, ogni centimetro del soffitto, fissò ogni punto del pavimento, fino a che, giunta a pochi centimetri da lei, incontrò un paio di occhi scuri che la fissavano.
- AAARGH! - urlò, facendo un salto indietro per lo spavento.
La donna si portò una mano al cuore, dal battito fin troppo accelerato, calmandosi nel vedere che si trattava solo dei due marmocchi.
- ... eccovi. - sibilò, a denti stretti.
Il bambino sorrise, serafico, mentre la bambina alzò le sopracciglia albine, non capendo il motivo della sua reazione spaventata.
- Potreste evitare di comparirmi davanti all'improvviso, soprattutto in stanze buie? - sospirò la donna, irritata: - Sembrate due fantasmi! -.
Due piccoli fantasmi bianchi.
Era questo che pensava chiunque incontrasse i due bambini, bianchi come nuvole, dalla pelle diafana e dai morbidi capelli lunghi.
E i loro occhi, del colore della terra, assumevano quasi una sfumatura rossastra, innaturali su quegli spettrali batuffoli di cotone.
- Ci avevi chiamati, Vyvyhan. - le fece notare il bambino, con un sorriso dolce: - Quindi ti abbiamo aspettata davanti alla porta. -.
La donna, Vyvyhan, gli lanciò un'occhiata di disappunto: - Vi ho già detto di chiamarmi "mamma". - gli ricordò, in tono seccato: - O, al massimo, "matrigna". -.
- Che c'è, Vyvyahan? - domandò la bambina, ignorandola.
Vyvyhan dovette fare un enorme sforzo per non uccidere quella mocciosa prima del tempo: aveva sposato quel ricchissimo uomo con la passione della vita contadina, ma non aveva calcolato i suoi due irritanti figli alla panna; suo marito era partito per non si sa dove da circa sei mesi e lei, in tutto quel tempo, non era ancora riuscita a sbarazzarsi dei due amorevoli pargoli.
- La tempesta è finita! - esclamò, tornando al suo tono trillante, giungendo le mani: - Adesso andremo tutti e tre insieme a raccogliere taaaaanti lamponi! -.
- Non mi piacciono i lamponi... - affermò il bambino, pensieroso.
- A me fanno schifo. - gli fece eco la bambina.
"Non vi ammazzo qui soltanto perché dopo dovrei pulire e mi accuserebbero pure di omicidio..." ringhiò Vyvyhan, tra sé e sé, cercando di mantenere inalterato il suo gran sorriso allegro.
- Andremo a raccogliere i lamponi, bambini! - trillò, mettendo in mano ad entrambi dei cestini tirati fuori dal nulla: - E riempiremo questi bei cestini con taaaaaaanti lamponi! -.
I due bambini si scambiarono un'occhiata.
- Ryansel... - disse la bambina, a bassa voce: - ... perché ci parla come se fossimo due imbecilli? -.
- Sospetto lei pensi che lo siamo, Amanetel. - sorrise il fratello, innocentemente.
Ryansel si rivolse alla matrigna, con un aspetto e un tono così tranquillo da poter fungere da calmante: - Però farai attenzione questa volta, Vyvyhan? - chiese.
- ... eh? - fece la donna, non capendo.
- Sì, sei sempre così distratta! - sorrise il bambino: - E' da circa sei mesi che andiamo sempre a raccogliere qualcosa e tu, ogni volta, torni a casa dimenticandoti di noi nel bosco, lasciandoci in luoghi sempre più lontani o nascosti! - le fece notare, senza mutare la sua espressione serafica.
- Vyvyhan è sbadata! - esclamò Amanetel, come a voler ribadire il concetto.
A quelle parole, la donna rimase pietrificata.
Ci vollero due interi minuti perché si riprendesse, limitandosi a dire, con un sorriso falsissimo: - Sì, bambini, farò attenzione! Ora andiamo a prendere tutti quei beeeeeei lamponi! -.
Ryansel e Amanetel si guardarono, per poi annuire, il sorriso sereno del fratello passato anche sul volto della sorella: - Beeeeei lamponi, Vyvyhan. -.



Note:
* "Parodo": Il primo canto del coro nella commedia greca, che apre la rappresentazione.
* Platone fu il primo a parlare dell'Orichalcos, nei dialoghi "Timeo" e "Crizia" - si presume fosse nominato anche nell'ipotetico dialogo "Ermocrate", mai trovato o, forse, mai scritto - descrivendolo come una pietra rossa; lo stesso nome "oreikalkos" significa "rame della montagna, bronzo della montagna".

Rieccomi! ^^
Ebbene sì, sono ancora viva *e mi aggiro per la sezione...*. ù.ù
Sono riuscita a decidermi circa la struttura di questa storia: sarà come quella de "Il bronzeo addormentato nel bosco", ossia sette capitoli. ^^
Credo.
Uhm... questo secondo capitolo è venuto fuori piuttosto "serio" e pacato. °^°

Spero possiate apprezzarlo lo stesso. ^^ Come sempre, se notate errori o avete consigli o critiche, dite pure! ^^
  
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