Partecipante al concorso one shot dell'estate!
Oh Ivan, Ivan, perchè sei tu Ivan?
L’aria
mattutina filtrò dalla finestra spalancata che mi donava la
splendida vista di
una Verona che a poco a poco si destava, salutando il nuovo giorno. La
luce del
sole che si faceva strada lungo il cielo azzurro illuminò il
tinello, dove
l’aroma del caffè che stava uscendo dalla
caffettiera si mescolava a quello
degli oleandri del cortile del palazzo, creando un profumo divenuto
ormai
famigliare dopo una settimana di vacanza. Un profumo che sapeva
dell’estate
finalmente giunta, della vacanza tanto attesa durante il duro anno
universitario e del relax meritato dopo mesi passati chini sui libri.
Con
l’aiuto di una presina, afferrai la caffettiera e versai il
contenuto in due
tazze poste su un vassoio piene per metà di latte caldo.
Aggiunsi sopra la schiuma
di altro latte montato, due cucchiaini di zucchero e le accompagnai a
un
corredo di biscotti di vario genere, dalle semplici Macine ai
più sfiziosi Pan
di Stelle. Sorridendo ammirai la colazione pronta per essere consumata.
Afferrai
il vassoio di plastica azzurra per i manici e mi diressi in camera da
letto,
assicurandomi con solo un’occhiata al grande specchio, posto
nel corridoio che
collegava le varie stanze, di essere minimamente presentabile. I
capelli
mogano, solitamente lisci e tenuti lunghi poco sopra la vita, erano
arruffati,
privati del sapiente colpo di piastra che gli avevo dato la sera
precedente
prima di uscire per il centro, mentre gli occhi nocciola erano ancora
un po’
arrossati per il sonno. In compenso la veste da notte in raso rosa che
mi
copriva fin sotto la coscia, mi fasciava bene come avevo previsto
comprandola.
Con
il gomito abbassai la maniglia d’ottone della camera cercando
di fare il minimo
rumore possibile. Le tende ancora tirate costringevano la stanza a
stare
nascosta nell’ombra, celando l’arancione allegro
che sapevo colorare le pareti,
in tinta con le coperture rosso scuro. Poggiai il vassoio sul
comò subito alla
sinistra della porta e con passo felpato aprii la finestra, inondando
di luce
un pavimento ricoperto di vari capi di vestiario, dalle mie
decolté a un paio
di canotte da uomo che notai sorridendo maliziosa ricordando il
perché quegli
abiti si trovassero per terra. Un fagotto che scorgevo sotto il
lenzuolo sul
letto si espresse in un lamento, rigirandosi in modo da dare le spalle
alla
crudele luce. Divertita, gattonai sul letto, avvicinandomi ad una massa
di
ricci biondi che accarezzai con dolcezza, togliendoli dal volto che
incorniciavano.
“Amore,
sono le dieci. Il mondo ti richiama tra i vivi” scherzai a
voce bassa.
Un
secondo lamento fu tutto quello che ricevetti in risposta. Sospirai.
Sette
giorni di vacanza e tutte le mattine la stessa identica storia.
Svegliare Ivan
era un’impresa che richiedeva idee sempre più
astute per compierla. Questa
volta avevo puntato sull’odore del caffélatte ma
le lusinghe di Morfeo si
stavano rivelando più forti della sua promessa di un buon
liquido caldo. Decisi
di giocare sporco. Non avrei voluto arrivare a tanto ma…
“Se
sono le maniere forti che devo adottare, ti avverto che non ho scrupolo
a
usarle” lo minacciai.
Accostai
il mio viso al suo e implacabile iniziai a lasciare una scia di baci
lungo il
suo collo, risalendo su per il mento. Ora di arrivare alla guancia, la
mia
tattica stava già dando i suoi frutti dato che Ivan aveva
voltato la testa
nella mia direzione. Giunta alle labbra, mi bastò poco per
ridestare
completamente la sua attenzione.
Un
suo braccio mi cinse la vita. Bastò una lieve pressione per
farmi sdraiare
accanto a lui sul letto, imprigionandomi tra le sue braccia.
“Sai,
a questo punto credo che preferisco i tuoi modi bruschi alle maniere
gentili” mugugnò,
ancora mezzo assonnato come i suoi occhi azzurri tenuti socchiusi a
difesa
della luce.
“Ti
ho portato una piccola sorpresa” annunciai ridendo e mi
liberai dalla sua presa
per portare il vassoio sul letto.
La
vista delle due tazze sortirono più effetto del loro solo
odore dato che Ivan
si rizzò a sedere, guardandole con voglia.
“Colazione
a letto, a cosa devo l’onore Giada?” chiese
afferrando un Pan di Stelle.
La
frase mi lasciò interdetta al punto che fui quasi tentata di
rispondergli male.
Considerai però che si era appena svegliato, magari aveva
bisogno di un aiuto
per azionare i neuroni.
“Oggi
è un giorno speciale, ricordi?” tentai allusiva.
La
pelle bianca della fronte si corrugò un attimo prima di
rilassarsi. Mi rivolse
un’occhiata comprensiva e annuì dicendo.
“Giusto, l’ultimo giorno di vacanza va
trascorso in grande stile”.
Non
fosse stato per i trenta gradi che tiranneggiavano fuori, probabilmente
sarei gelata
sul posto. Non sapevo quale reazione fosse la più adatta, se
arrabbiarmi e
rovesciargli il caffélatte sul capo o sentirmi semplicemente
delusa. Come
poteva aver dimenticato che quel giorno era il nostro primo
anniversario?
Ma
poi la ragione, fortunatamente per i suoi capelli, prevalse. Tra i
preparativi
del viaggio, gli esami universitari che avevano tenuto impegnati
entrambi fino
all’ultimo e l’euforia di quella vacanza era
plausibile che gli fosse passato
di mente. Presi un profondo respiro, facendo presente a me stessa che
quella
appena trascorsa era stata una settimana splendida e che non aveva
senso
rovinarla all’ultimo giorno facendo una scenata, per quanto
potesse essere
meritata. Gli avrei dato tutto il giorno di tempo e se si fosse
ricordato prima
di mezza notte, si sarebbe salvato da una litigata che avrebbe
certamente
ricordato anche in futuro.
Cercando
di tenere a bada la delusione, mi consolai dedicandomi alle Macine
immerse nel
latte e caffè. Peccato che questo mi andò quasi
di traverso quando Ivan decise
di dare l’ultima stoccata.
“Temo
di dovermi assentare questa mattina. Mia zia mi ha quasi supplicato di
andare a
trovare un nostro amico che non vedo da una vita. Ti spiace se ti
lascio sola
per un paio d’ore?”
Prendendo
un bel respiro, contai fino a dieci. Bene, si ricordava di andare a
trovare un
lontano signor Nessuno ma non del nostro anniversario?
Sentii
sulla lingua una risposta velenosa, ma mi trattenni, decidendo di
restare
fedele alla mia decisione e dargli una possibilità di
salvezza.
“D’accordo,
però oggi pomeriggio mi porti in centro a comprare i
souvenir” contrattai,
modulando il mio tono di voce.
Ivan mi lasciò un
bacio sulla fronte e annuì prima
di scendere dal letto e vestirsi.
“Ti
lascio le chiavi della Punto, così sei libera di
spostarti” suggerì.
Arricciai
il naso. Nello stato d’animo in cui ero c’era il
rischio che partissi per
Venezia per dissolvere il nervoso da lui procurato.
“Nah.
Credo che metterò un po’ a posto la casa. Non
vorrei che i tuoi zii dovessero pentirsi
di avercela lasciata in loro assenza”
Gli
zii di Ivan, Giovanni e Claudia, erano due cinquantenni pimpanti, che
in
occasione delle ferie avevano deciso di regalarsi sette giorni in un
albergo in
Sardegna, proponendo a loro nipote
e a
me di trascorrere quella stessa settimana a casa loro a Verona.
Poiché sia Ivan
che io non eravamo in ottime condizioni economiche ed eravamo ormai
tristemente
rassegnati a trascorrere le vacanze nell’uggiosa Torino
nostra città natale,
avevamo colto al volo la proposta. Così avevamo vissuto
sette magnifici giorni
in Veneto all’insegna del relax low cost. Non potevamo
chiedere niente di
meglio.
“D’accordo.
A dopo allora” Un ultimo sorriso fu tutto quello che ottenni
prima che Ivan
scomparse assieme ai suoi jeans e alla sua maglietta nera che, come non
potei
fare a meno di notare nonostante la rabbia, gli fasciava maledettamente
bene il
torace da giocatore di basket.
Aprendo
con uno scatto secco il cassetto del comodino accanto al letto,
recuperai una
vecchia copia consunta di un compendio delle opere di Shakespeare e
raggiunsi
le pagine inerenti a “Romeo e Giulietta”,
augurandomi che la dolcezza che
riempiva quella storia scacciasse il nervoso che mi aveva assalita. Per
fortuna, il libro sortì l’effetto sperato, con
l'aiuto del fatto che adoravo quella storia, tanto che non
viaggiavo mai senza il volume in valigia. Il logoro stato in cui esso
verteva
era la prova del numero di volte che lo avevo afferrato per leggerlo,
talmente
tante che avevo imparato le battute della tragedia veneta e di un altro
paio di
opere a memoria. E mentre rileggevo la romantica quanto triste storia
dei due
giovani innamorati, sperai ardentemente per Ivan che quando si fosse
ricordato
del nostro anniversario, avrebbe trovato parole abbastanza brillanti
per farsi
perdonare.
Ore
20.30. La pizza nel piatto, completamente intatta, mi guardava
invitante da
quasi mezz’ora. I peperoni che le facevano da condimento mi
stavano quasi
supplicando di addentarli, ma il mio stomaco era ermeticamente chiuso.
La
giornata stava volgendo al termine ma nessuna illuminazione era giunta
alla
mente del mio quasi ex ragazzo per ricordargli quale giorno fosse. Il
mio umore
era più nero del cielo notturno, tanto che anche se si fosse
rammentato che era
il nostro anniversario avrebbe ormai dovuto accompagnare gli auguri con
un
diamante per farsi perdonare.
Lanciai
un’occhiata al diretto interessato. Ignaro della spada di
Damocle che gli
aleggiava sul capo, faceva andare goduto le mandibole ingurgitando un
quarto di
pizza alla volta, fermandosi solo di tanto in tanto per mandare
giù un sorso di
coca cola per aiutarsi nella deglutizione.
Mi
morsi il labbro. A quel punto avrei tranquillamente potuto iniziare a
urlargli
contro di come fosse talmente insensibile da dimenticarsi del nostro
primo
anniversario, ma un’irriducibile speranza mi faceva desistere
dal mio intento.
C’è
ancora
qualche ora. Continuavo
a ripetermi, mentre i biglietti del concerto di Max Pezzali, il mio
regalo di
anniversario comperato più di due mesi prima, bruciava come
una patata bollente
dentro la mia borsetta.
Mezz’ora
più tardi ero riuscita a mandar giù appena
metà pizza, in compenso bevvi con
gusto l’ammazza caffè offertoci dal cameriere.
Ivan
pagò il conto e mi porse il copri spalle.
“Andiamo
a fare una passeggiata. Voglio portati in un posto” mi disse
sorridendo.
I
suoi occhi azzurri brillavano, divertiti da chissà cosa. Non
riuscii a
trattenermi dal lanciagli un’occhiataccia. Gli avessi detto
contro tutti gli
improperi che stavo pensando si sarebbe tolto
quell’espressione di inspiegabile
beato divertimento.
Aveva
ancora tre ore di tempo, dopodiché avrebbe saputo cosa
volesse dire far
arrabbiare Giada De Michelis.
Cercò
di prendermi per mano ma afferrai la tracolla della borsa prontamente,
portandola fuori dalla sua portata.
Tesoro,
fidati è
meglio così, o potrei stritolartela.
Gli
lanciai un’occhiata di sbieco. Ciò che vidi mi
lasciò sbalordita. Ivan si stava
sforzando di non ridere! Era forse un’aspirante suicida? A
meno che non fosse
completamente idiota doveva aver compreso che ero arrabbiata anche se
gli era
oscuro il motivo, eppure stava ridendo!
Vidi
rosso. Con mezzo milioni di insulti uno più fantasioso
dell’altro, aprii la
bocca per parlare. Peccato però che non riuscii a dire
neanche una parola della
mia brillante e tagliente arringa perché Ivan mi chiuse le
labbra con un bacio
inaspettato.
Poggiando
le mani sul suo torace, lo allontanai, sorpresa del suo gesto e
più che
favorevole a dirgliene quattro. Se credeva che un semplice bacio
bastasse per
farmi desistere da litigare, si sbagliava di grosso.
Purtroppo
però Ivan fu ancora una volta più veloce di me e
iniziò a parlare per primo.
“Hai
visto dove siamo?” mi chiese.
Corrugando
la fronte interdetta, mi guardai attorno. Presa dai miei pensieri non
mi ero
nemmeno resa conto che eravamo entrati in un cortile
dall’aria medioevale. I
mattoncini rossi di un edificio decorato da rosoni bianchi e piccole
finestrelle chiudevano il lato sinistro mentre un muretto ricoperto di
una
rigogliosa edera occupava gli altri tre lati. Vicino ad uno di questi,
la
statua in bronzo di una figura femminile dall’esile quanto
aggraziato corpo mi
guardava con la sua espressione perennemente dolce, ricambiando la mia
stupita.
Eravamo in via Cappello, nel cortile della casa che la tradizione
popolare
vuole essere appartenuta a Giulietta Capuleti, raffigurata nel bronzo
davanti a
noi.
Durante
la nostra vacanza eravamo già andati a visitare i luoghi che
facevano da teatro
alla tragedia shakespeariana, ma nonostante fossi stata ovviamente
attratta
dalla suggestiva palazzina medioevale e dal balcone di Giulietta, ormai
divenuto il simbolo della loro storia, solo ora mi accorgevo di come
alle
quattro del pomeriggio, la presenza del sole a picco e di un centinaio
di
turisti armati di macchina fotografica rovinassero
l’atmosfera del luogo, quasi
un santuario dell’amore profondo quanto tormentato.
Un’atmosfera gustabile a
pieno solo nel silenzio di una notte calda come quella, preservata
dalla luce
dello spicchio di luna che faceva da guardiana alle stelle nel cielo
scuro.
“Vieni”
Ivan
mi prese per mano e mi condusse al portone in ferro che dava
l’accesso alla
palazzina. Stranita, mi opposi, cercando di fermarmi.
“Ma
Ivan, l’orario delle visite è finito da un pezzo,
non possiamo entrate!” gli
feci presente.
Il
giovane si voltò scuotendo i ricci dorati e mi
regalò un sorriso sghembo che
parve quasi brillare nell’oscurità. Con la mano
libera sventolò una grossa
chiave in ferro.
“Il
custode è un vecchio amico di famiglia, gli ho chiesto come
favore se mi
lasciava le chiavi del portone per stasera e me le ha
concesse” mi rivelò,
palesemente fiero delle sue conoscenze.
La
rabbia che mi aveva quasi annebbiato la mente, cominciò a
dissolversi grazie al
lume della comprensione che lento ma inesorabile iniziava a farmi
curvare gli
angoli delle labbra all’insù.
“Non
è che per caso lo hai visto stamattina questo tuo vecchio
amico?” gli domandai
ironica. Che fossi stata avventata nell’arrabbiarmi con lui?
La speranza che
Ivan non si fosse scordato del perché quel giorno fosse
importante si accese,
ma cercai di tenerla a bada. Non era sicuro che ci trovassimo in quel
luogo per
il nostro anniversario.
Ivan
non rispose ma il suo sorriso si allargò.
“Vieni” mi ripeté.
Una
volta aperto il portone, mi lasciai condurre dalla presa delicata ma
sicura di
Ivan su per una scalinata in fondo a sinistra di un piccolo atrio color
avorio.
Ero emozionata. Desideravo entrare nella casa di Giulietta da una vita,
ed ero
rimasta molto delusa dal fatto di averla potuta vedere solo
dall’esterno
durante la settimana a causa della fila chilometrica di persone che si
accalcava sulla sua soglia.
I
piccoli gradini in marmo chiaro terminarono su un corridoio dello
stesso colore
dell’atrio, ornato di numerosi quadri di epoche e autori
diversi raffiguranti
però lo stesso soggetto, due giovani innamorati di nome
Romeo e Giulietta. Ivan
aprì la prima porta in legno a sinistra, accedendo ad una
camera da letto che
mostrava una perfetta ricostruzione di un ambiente medioevale.
“Visita
pure la camera, torno subito”
Sorpresa
da quella decisione, stavo per ribattere, ma Ivan era già
scomparso giù per le
scale. Scuotendo la testa per le stranezza del giovane decisi comunque
di
assecondarlo, smaniosa di visitare la camera dell’eroina
shakespeariana.
La
stanza era piccola, ma graziosa, presentante un letto a baldacchino con
i
tendaggi bordeaux, a cui piedi si trovava una cassapanca in legno di
noce. Un
armadio a due ante occupava quasi interamente la parete di sinistra,
insieme ad
un tavolino da toeletta sottostante uno specchio dalla elaborata
cornice in
ottone. Ma era sul muro opposto alla porta d’ingresso che
un’apertura ad arco
mostrava il vero protagonista della stanza, il luogo che era stato lo
scenario
della storia d’amore più famosa e tragica mai
raccontata. Il luogo che aveva
riempito le fantasie romantiche di milioni di lettrici, facendo
ansimare,
gioire e piangere per i due protagonisti veronesi. Il luogo che
più di una
volta aveva riempito i miei sogni, immaginandomi nei panni della dolce
Giulietta, vittima delle sue sventure ma anche di un amore tanto
folgorante
come quello da lei vissuto. Quasi seguendo un richiamo, mi avvicinai
alla balaustra
in mattoni che contornava quel piccolo ma tanto importante balcone.
La
calda aria estiva mi salutò, agitando il bordo della gonna
del corto vestito
color argento che avevo scelto per quella sera. Alzai gli occhi al
manto
stellato e la luna, la stessa che il poeta inglese descrisse malata e
livida di
rabbia nei confronti della giovane Capuleti, ricambiò il mio
sguardo,
investendomi con la sua luce di tutto il magico romanticismo che quel
posto era
capace di trasmettere. L’intero cortile assunse un aspetto
diverso. L’edera,
tenacemente attaccata al muretto, sembrava riflettere la
luminosità delle
stelle e bagnare i mattoncini di quella luce incantata. Ogni cosa
sembrava
ovattata ed ebbi la forte sensazione che in quel piccolo cortile il
tempo si
fosse fermato in quell’epoca romanzata che lo aveva
consacrato.
Respirai
a fondo l’aria della notte, godendo della sensazione del
soffio del vento tra i
miei capelli.
“Sei
bella in questa notte e mi sovrasti come un alato messaggero
celeste…”
Una
voce chiara e profonda mi giunse da sotto il balcone, catturando la mia
attenzione. Il mio cuore perse un battito riconoscendo immediatamente
il
proprietario. Abbassai lo sguardo, incredula di quello che stava
succedendo.
Eppure non c’erano dubbi, il giovane ragazzo che scorgevo in
ginocchio rivolto
verso la mia persona era Ivan.
“…cavalcante
su pigre e sbuffanti nuvole per voltare in seno all’aria,
sorvola i mortali
che, nel levare lo stupido sguardo verso l’altro, si piegano
all’indietro e fan
biancheggiare gli occhi.”
Realizzando
stupita ciò che stava accadendo, sentii
le lacrime pungermi gli occhi ma riuscii a ricacciarle indietro
nonostante la
felicità che provavo fosse quasi palpabile. Aveva imparato a
memoria il testo
di “Romeo e Giulietta”! Il lume che si era acceso
quando aveva aperto il
portone dell’edificio si fece più acceso e una
vocina interiore mi sussurrò che
la mia intuizione era giusta. Ivan non aveva scordato il nostro
anniversario.
Un calore confortevole mi invase il petto. Ero stata una sciocca a
giudicarlo
insensibile, non avrei dovuto dubitare di lui. Mi sentii leggera,
sollevata,
come se per tutto il tempo il pensiero che si fosse dimenticato di una
data
tanto importante per noi avesse gravato sul mio cuore come un macigno.
Sporgendomi
con il busto dalla balaustra, pronunciai la frase che più di
tutte era legata a
quel balcone quasi senza nemmeno accorgermene, come se fosse una
naturale
conseguenza del gesto del giovane.
“O
Ivan, Ivan, ma perché sei tu Ivan? Rinnega tuo padre,
rinuncia al tuo nome: e
se non vuoi farlo, basta che tu giuri d’essere il mio amore
perché io non sia
più una De Michelis”
Se
pensavo però che per quella sera le sorprese fossero finite,
ero in completo
errore. Ivan cominciò a salire verso il balcone usufruendo
di una scala a pioli
che non avevo ancora notato pendere dal parapetto a causa
dell’oscurità.
Un’ennesima prova della perfetta organizzazione della
sorpresa.
“Ti
prendo in parola: chiamami amore e sarò ribattezzato. Da
questo istante non
sarò mai più Ivan”
pronunciò a metà della salita.
“Ma
chi sei tu, che, così protetto dalle tenebre, sorprendi i
segreti miei?”
Ivan
raggiunse la balaustra, ma non la scavalcò. “Il mio nome non ti direbbe chi
io
sia; il mio nome, santa mia cara, è odioso a me
perché è nemico a te. Se lo
avessi scritto strapperei il foglio”.
Mi
avvicinai a lui, tanto che solo un soffio separava i nostri visi. I
suoi occhi
azzurri splendevano come zaffiri nel buio, illuminati, ne ero certa,
dall’avermi procurato la felicità che vedeva
riflessa nelle mie iridi nocciola.
“Ma
come sei venuto, dimmi, e perché? I muri del giardino sono
alti e difficili da
scalare e, dato chi sei, questo nome ti sarebbe mortale se un parente
mio ti ci
trovasse.”
Il
mio cuore batteva impazzito, oppure semplicemente innamorato di quel
giovane
dai capelli color biondo oro che accarezzai con dolcezza.
“Sono
volato sopra questi muri con le ali dell’amore,
ché nessun limite di pietra può
chiudere la via della passione. Tutto ciò che amore osa
è lecito all’amore. I
tuoi parenti non sono un ostacolo per me.”
Rispose prontamente.
Con
un agile balzò scavalcò il muretto di mattoni.
Con un braccio mi cinse la vita
e mi trasse a sé, posando l’altra mano sul mio
viso. Socchiusi gli occhi e con
le dita sfiorai la sua guancia.
C’erano
almeno mille parole che avrei voluto rivolgergli. Avrei voluto
ringraziarlo per
il gesto che aveva fatto, per l’idea che aveva avuto. Per
essersi ricordato di
come desideravo visitare quel posto, per conoscermi così
bene da sapere cosa
amo. Avrei voluto chiedergli come era riuscito ad architettare tutto
quel
meraviglioso sogno per farmene dono, ma la commozione era talmente
tanta che
non riuscivo a riordinare nemmeno un pensiero per formulare una frase.
Così
decisi di continuare ad affidarmi a parole già vergate
secoli prima, ma sempre
valide perché uguali erano i sentimenti dei cuori che le
pronunciavano.
“Ho
paura, poi che è notte, che tutto questo sia solo un sogno,
troppo dolce e
lusinghiero per essere vero”
Era
un battuta di Romeo, ma esprimeva perfettamente ciò che
provavo.
Ivan
mi sorrise dolce e mi posò un casto bacio sulla guancia.
“Buon anniversario,
amore mio”. Il suo sussurro scese come miele nelle mie
orecchie.
Sentivo
di nuovo le lacrime minacciare di uscire, ma riuscii a reprimerle. Non
era il
momento di piangere, neppure per la gioia.
“Allora
non te ne eri dimenticato” mormorai facendo scivolare le mie
dita ad
accarezzargli il mento, dove sentivo la ruvidità data da un
leggero accenno di
barba.
Ivan
accennò ad una risata. “No, mia malfidata
fidanzata, nonostante tu sia convinta
del contrario da stamattina” mi canzonò.
“Ecco
perché è tutto il giorno che sogghigni
divertito” lo accusai colpendolo leggera
alla spalla.
Il
biondo trattenne a stento un’altra risata. “Ma
secondo te potrei mai dimenticare
il giorno in cui il mio angelo di luce
mi ha concesso di divenire il suo ragazzo?”
Ecco,
se le mie gambe avevano stoicamente resistito fino a quel momento, dopo
quelle
parole alzarono ufficialmente bandiera bianca e cedettero. Ora sapevo
perfettamente
cosa si intendesse con l’espressione “ho le gambe
molli”. Per fortuna però
avevo il mio Romeo pronto a sorreggermi. E pensare che era tutto il
giorno che
lo insultavo in mille e più modi mentalmente! Se solo avessi
saputo cosa stava
architettando avrei represso gli istinti omicidi che mi invogliavano a
scagliarli qualcosa contro.
Nemmeno
Shakespeare poteva formulare una risposta adatta a una tale
dichiarazione. Per
ribattere dovetti usufruire di una frase più antica, che in
millenni di storia
milioni e milioni di amanti avevano sussurrato sul sorgere del primo
raggio di
sole o al calar della sera, sotto un manto di stelle o durante la
pioggia, in
fredde giornate invernali o in calde serate estive come quella. Una
frase che
contava solo due semplici parole, capaci però di racchiudere
il sentimento più
grande di sempre.
“Ti
amo”
Il
suo sguardo zaffiro si accese. Mi prese in braccio e con un bacio mi
rispose.
La sua bocca si posò sulla mia attenta ma passionale,
vogliosa. Le mie labbra
si schiusero senza opporre la minima resistenza, bensì
desiderose di accogliere
Ivan.
Lasciò
presto la mia bocca però, per iniziare a percorrere la
guancia lasciando una scia di baci
lungo tutto il collo. Arrivato alla spalla, risalì su,
lentamente, come se
stesse assaporando ogni centimetro di pelle, per poi mordicchiare con
delicatezza il collo.
Risi,
in preda alla gioia, all’euforia del momento. Anche per me il
tempo si stava
fermando, come si era congelato per l’edificio. Non esisteva
più un domani che
ci avrebbe visti lasciare Verona. Esisteva solo
quell’istante, solo Ivan ed io,
solo le stelle che immobili erano le uniche testimoni di ciò
che stava
accadendo, solo la luna che quieta e indiscreta illuminava
quell’incanto.
Sempre
tenendomi in braccio, mi riportò dentro la stanza diretto al
letto a
baldacchino sul quale notai ora una coperta blu cobalto, la stessa che
avevo
visto a casa degli zii di Ivan.
“Hai
pensato proprio a tutto” gli sussurrai
all’orecchio, sfregando il mio naso
contro la sua guancia.
Mi
depositò sulla coperta e prima che si avvicinasse a me,
sostenendosi solo sulle
braccia poste ai miei lati per non gravarmi addosso, potei ammirarlo.
Bagnato
dai raggi lunari, con la camicia bianca con i primi bottoni slacciati
che
lasciavano intravedere il suo petto tornito, i pantaloni neri aderenti
e i
ricci biondi tenuti poco sopra le spalle, sembrava proprio un principe.
Il mio principe.
“Questa
notte voglio che sia indimenticabile” mormorò
mentre si chinava su di me.
Forse
sarà stata la magia del momento, la sorpresa inattesa che mi
aveva lasciata
senza fiato, scaraventandomi in un sogno ad occhi aperti nella quale mi
ero
lasciata guidare con il cuore traboccante di felicità.
Forse
sarà stata l’atmosfera, il trovarsi nel luogo
romantico per antonomasia.
Forse
sarà stata la consapevolezza che era l’ultimo
giorno di vacanze, o la semplice
brezza estiva che continuava a soffiare, accarezzandoci la pelle e
portandoci
il profumo della calda stagione.
Forse
sarà semplicemente stato il fatto che lo amavo. Tanto.
Tantissimo.
Quello
che è certo però, è che mantenne la
parola.
Quella notte fu veramente indimenticabile.
Le frasi in corsivo ovviamente non sono di mia proprietà bensì sono tratte da "Romeo e Giulietta" di Shakespeare.