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Autore: 68Keira68    19/07/2011    1 recensioni
(Partecipante al concorso One Shot dell'Estate)
Come può una settimana di vacanza essere resa ancora
più importante per due giovani fidanzati? Semplice, se
l'ultimo giorno di ferie coincide con il loro primo anniversario!
Peccato però che il bell'Ivan, tra il viaggio e i bagagli
pare essersi completamente scordato del suo anniversario, e rischia di
incorrere nelle ire della fidanzata Giada. Ma se la propria ragazza
è un'amante di Shakespeare e si è a Verona, la
città resa famosa dall'amore tra Romeo e Giulietta,
riuscirà Ivan a trovare un modo per farsi perdonare?
"Colazione a letto, a
cosa devo l'onore Giada?" chiese afferrando un Pan di Stelle.
La frase mi lasciò interdetta al punto che fui quasi tentata
di rispondergli male. Considerai però che si era appena
svegliato, magari aveva bisogno di un aiuto per azionare i neuroni.
"Oggi è un giorno speciale, ricordi?"
Genere: Comico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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oh Ivan perchè sei tu Ivan?

Partecipante al concorso one shot dell'estate! 

Oh Ivan, Ivan, perchè sei tu Ivan?

L’aria mattutina filtrò dalla finestra spalancata che mi donava la splendida vista di una Verona che a poco a poco si destava, salutando il nuovo giorno. La luce del sole che si faceva strada lungo il cielo azzurro illuminò il tinello, dove l’aroma del caffè che stava uscendo dalla caffettiera si mescolava a quello degli oleandri del cortile del palazzo, creando un profumo divenuto ormai famigliare dopo una settimana di vacanza. Un profumo che sapeva dell’estate finalmente giunta, della vacanza tanto attesa durante il duro anno universitario e del relax meritato dopo mesi passati chini sui libri.

Con l’aiuto di una presina, afferrai la caffettiera e versai il contenuto in due tazze poste su un vassoio piene per metà di latte caldo. Aggiunsi sopra la schiuma di altro latte montato, due cucchiaini di zucchero e le accompagnai a un corredo di biscotti di vario genere, dalle semplici Macine ai più sfiziosi Pan di Stelle. Sorridendo ammirai la colazione pronta per essere consumata.

Afferrai il vassoio di plastica azzurra per i manici e mi diressi in camera da letto, assicurandomi con solo un’occhiata al grande specchio, posto nel corridoio che collegava le varie stanze, di essere minimamente presentabile. I capelli mogano, solitamente lisci e tenuti lunghi poco sopra la vita, erano arruffati, privati del sapiente colpo di piastra che gli avevo dato la sera precedente prima di uscire per il centro, mentre gli occhi nocciola erano ancora un po’ arrossati per il sonno. In compenso la veste da notte in raso rosa che mi copriva fin sotto la coscia, mi fasciava bene come avevo previsto comprandola.

Con il gomito abbassai la maniglia d’ottone della camera cercando di fare il minimo rumore possibile. Le tende ancora tirate costringevano la stanza a stare nascosta nell’ombra, celando l’arancione allegro che sapevo colorare le pareti, in tinta con le coperture rosso scuro. Poggiai il vassoio sul comò subito alla sinistra della porta e con passo felpato aprii la finestra, inondando di luce un pavimento ricoperto di vari capi di vestiario, dalle mie decolté a un paio di canotte da uomo che notai sorridendo maliziosa ricordando il perché quegli abiti si trovassero per terra. Un fagotto che scorgevo sotto il lenzuolo sul letto si espresse in un lamento, rigirandosi in modo da dare le spalle alla crudele luce. Divertita, gattonai sul letto, avvicinandomi ad una massa di ricci biondi che accarezzai con dolcezza, togliendoli dal volto che incorniciavano.

“Amore, sono le dieci. Il mondo ti richiama tra i vivi” scherzai a voce bassa.

Un secondo lamento fu tutto quello che ricevetti in risposta. Sospirai. Sette giorni di vacanza e tutte le mattine la stessa identica storia. Svegliare Ivan era un’impresa che richiedeva idee sempre più astute per compierla. Questa volta avevo puntato sull’odore del caffélatte ma le lusinghe di Morfeo si stavano rivelando più forti della sua promessa di un buon liquido caldo. Decisi di giocare sporco. Non avrei voluto arrivare a tanto ma…

“Se sono le maniere forti che devo adottare, ti avverto che non ho scrupolo a usarle” lo minacciai.

Accostai il mio viso al suo e implacabile iniziai a lasciare una scia di baci lungo il suo collo, risalendo su per il mento. Ora di arrivare alla guancia, la mia tattica stava già dando i suoi frutti dato che Ivan aveva voltato la testa nella mia direzione. Giunta alle labbra, mi bastò poco per ridestare completamente la sua attenzione.

Un suo braccio mi cinse la vita. Bastò una lieve pressione per farmi sdraiare accanto a lui sul letto, imprigionandomi tra le sue braccia.

“Sai, a questo punto credo che preferisco i tuoi modi bruschi alle maniere gentili” mugugnò, ancora mezzo assonnato come i suoi occhi azzurri tenuti socchiusi a difesa della luce.

“Ti ho portato una piccola sorpresa” annunciai ridendo e mi liberai dalla sua presa per portare il vassoio sul letto.

La vista delle due tazze sortirono più effetto del loro solo odore dato che Ivan si rizzò a sedere, guardandole con voglia.

“Colazione a letto, a cosa devo l’onore Giada?” chiese afferrando un Pan di Stelle.

La frase mi lasciò interdetta al punto che fui quasi tentata di rispondergli male. Considerai però che si era appena svegliato, magari aveva bisogno di un aiuto per azionare i neuroni.

“Oggi è un giorno speciale, ricordi?” tentai allusiva.

La pelle bianca della fronte si corrugò un attimo prima di rilassarsi. Mi rivolse un’occhiata comprensiva e annuì dicendo. “Giusto, l’ultimo giorno di vacanza va trascorso in grande stile”.

Non fosse stato per i trenta gradi che tiranneggiavano fuori, probabilmente sarei gelata sul posto. Non sapevo quale reazione fosse la più adatta, se arrabbiarmi e rovesciargli il caffélatte sul capo o sentirmi semplicemente delusa. Come poteva aver dimenticato che quel giorno era il nostro primo anniversario?

Ma poi la ragione, fortunatamente per i suoi capelli, prevalse. Tra i preparativi del viaggio, gli esami universitari che avevano tenuto impegnati entrambi fino all’ultimo e l’euforia di quella vacanza era plausibile che gli fosse passato di mente. Presi un profondo respiro, facendo presente a me stessa che quella appena trascorsa era stata una settimana splendida e che non aveva senso rovinarla all’ultimo giorno facendo una scenata, per quanto potesse essere meritata. Gli avrei dato tutto il giorno di tempo e se si fosse ricordato prima di mezza notte, si sarebbe salvato da una litigata che avrebbe certamente ricordato anche in futuro.

Cercando di tenere a bada la delusione, mi consolai dedicandomi alle Macine immerse nel latte e caffè. Peccato che questo mi andò quasi di traverso quando Ivan decise di dare l’ultima stoccata.

“Temo di dovermi assentare questa mattina. Mia zia mi ha quasi supplicato di andare a trovare un nostro amico che non vedo da una vita. Ti spiace se ti lascio sola per un paio d’ore?”

Prendendo un bel respiro, contai fino a dieci. Bene, si ricordava di andare a trovare un lontano signor Nessuno ma non del nostro anniversario?

Sentii sulla lingua una risposta velenosa, ma mi trattenni, decidendo di restare fedele alla mia decisione e dargli una possibilità di salvezza.

“D’accordo, però oggi pomeriggio mi porti in centro a comprare i souvenir” contrattai, modulando il mio tono di voce.

Ivan  mi lasciò un bacio sulla fronte e annuì prima di scendere dal letto e vestirsi.

“Ti lascio le chiavi della Punto, così sei libera di spostarti” suggerì.

Arricciai il naso. Nello stato d’animo in cui ero c’era il rischio che partissi per Venezia per dissolvere il nervoso da lui procurato.

“Nah. Credo che metterò un po’ a posto la casa. Non vorrei che i tuoi zii dovessero pentirsi di avercela lasciata in loro assenza”

Gli zii di Ivan, Giovanni e Claudia, erano due cinquantenni pimpanti, che in occasione delle ferie avevano deciso di regalarsi sette giorni in un albergo in Sardegna, proponendo a loro nipote  e a me di trascorrere quella stessa settimana a casa loro a Verona. Poiché sia Ivan che io non eravamo in ottime condizioni economiche ed eravamo ormai tristemente rassegnati a trascorrere le vacanze nell’uggiosa Torino nostra città natale, avevamo colto al volo la proposta. Così avevamo vissuto sette magnifici giorni in Veneto all’insegna del relax low cost. Non potevamo chiedere niente di meglio.

“D’accordo. A dopo allora” Un ultimo sorriso fu tutto quello che ottenni prima che Ivan scomparse assieme ai suoi jeans e alla sua maglietta nera che, come non potei fare a meno di notare nonostante la rabbia, gli fasciava maledettamente bene il torace da giocatore di basket.

Aprendo con uno scatto secco il cassetto del comodino accanto al letto, recuperai una vecchia copia consunta di un compendio delle opere di Shakespeare e raggiunsi le pagine inerenti a “Romeo e Giulietta”, augurandomi che la dolcezza che riempiva quella storia scacciasse il nervoso che mi aveva assalita. Per fortuna, il libro sortì l’effetto sperato, con l'aiuto del fatto che adoravo quella storia, tanto che non viaggiavo mai senza il volume in valigia. Il logoro stato in cui esso verteva era la prova del numero di volte che lo avevo afferrato per leggerlo, talmente tante che avevo imparato le battute della tragedia veneta e di un altro paio di opere a memoria. E mentre rileggevo la romantica quanto triste storia dei due giovani innamorati, sperai ardentemente per Ivan che quando si fosse ricordato del nostro anniversario, avrebbe trovato parole abbastanza brillanti per farsi perdonare.

 

Ore 20.30. La pizza nel piatto, completamente intatta, mi guardava invitante da quasi mezz’ora. I peperoni che le facevano da condimento mi stavano quasi supplicando di addentarli, ma il mio stomaco era ermeticamente chiuso. La giornata stava volgendo al termine ma nessuna illuminazione era giunta alla mente del mio quasi ex ragazzo per ricordargli quale giorno fosse. Il mio umore era più nero del cielo notturno, tanto che anche se si fosse rammentato che era il nostro anniversario avrebbe ormai dovuto accompagnare gli auguri con un diamante per farsi perdonare.

Lanciai un’occhiata al diretto interessato. Ignaro della spada di Damocle che gli aleggiava sul capo, faceva andare goduto le mandibole ingurgitando un quarto di pizza alla volta, fermandosi solo di tanto in tanto per mandare giù un sorso di coca cola per aiutarsi nella deglutizione.

Mi morsi il labbro. A quel punto avrei tranquillamente potuto iniziare a urlargli contro di come fosse talmente insensibile da dimenticarsi del nostro primo anniversario, ma un’irriducibile speranza mi faceva desistere dal mio intento.

C’è ancora qualche ora. Continuavo a ripetermi, mentre i biglietti del concerto di Max Pezzali, il mio regalo di anniversario comperato più di due mesi prima, bruciava come una patata bollente dentro la mia borsetta.

Mezz’ora più tardi ero riuscita a mandar giù appena metà pizza, in compenso bevvi con gusto l’ammazza caffè offertoci dal cameriere.

Ivan pagò il conto e mi porse il copri spalle.

“Andiamo a fare una passeggiata. Voglio portati in un posto” mi disse sorridendo.

I suoi occhi azzurri brillavano, divertiti da chissà cosa. Non riuscii a trattenermi dal lanciagli un’occhiataccia. Gli avessi detto contro tutti gli improperi che stavo pensando si sarebbe tolto quell’espressione di inspiegabile beato divertimento.

Aveva ancora tre ore di tempo, dopodiché avrebbe saputo cosa volesse dire far arrabbiare Giada De Michelis.

Cercò di prendermi per mano ma afferrai la tracolla della borsa prontamente, portandola fuori dalla sua portata.

Tesoro, fidati è meglio così, o potrei stritolartela.

Gli lanciai un’occhiata di sbieco. Ciò che vidi mi lasciò sbalordita. Ivan si stava sforzando di non ridere! Era forse un’aspirante suicida? A meno che non fosse completamente idiota doveva aver compreso che ero arrabbiata anche se gli era oscuro il motivo, eppure stava ridendo!

Vidi rosso. Con mezzo milioni di insulti uno più fantasioso dell’altro, aprii la bocca per parlare. Peccato però che non riuscii a dire neanche una parola della mia brillante e tagliente arringa perché Ivan mi chiuse le labbra con un bacio inaspettato.

Poggiando le mani sul suo torace, lo allontanai, sorpresa del suo gesto e più che favorevole a dirgliene quattro. Se credeva che un semplice bacio bastasse per farmi desistere da litigare, si sbagliava di grosso.

Purtroppo però Ivan fu ancora una volta più veloce di me e iniziò a parlare per primo.

“Hai visto dove siamo?” mi chiese.

Corrugando la fronte interdetta, mi guardai attorno. Presa dai miei pensieri non mi ero nemmeno resa conto che eravamo entrati in un cortile dall’aria medioevale. I mattoncini rossi di un edificio decorato da rosoni bianchi e piccole finestrelle chiudevano il lato sinistro mentre un muretto ricoperto di una rigogliosa edera occupava gli altri tre lati. Vicino ad uno di questi, la statua in bronzo di una figura femminile dall’esile quanto aggraziato corpo mi guardava con la sua espressione perennemente dolce, ricambiando la mia stupita. Eravamo in via Cappello, nel cortile della casa che la tradizione popolare vuole essere appartenuta a Giulietta Capuleti, raffigurata nel bronzo davanti a noi.

Durante la nostra vacanza eravamo già andati a visitare i luoghi che facevano da teatro alla tragedia shakespeariana, ma nonostante fossi stata ovviamente attratta dalla suggestiva palazzina medioevale e dal balcone di Giulietta, ormai divenuto il simbolo della loro storia, solo ora mi accorgevo di come alle quattro del pomeriggio, la presenza del sole a picco e di un centinaio di turisti armati di macchina fotografica rovinassero l’atmosfera del luogo, quasi un santuario dell’amore profondo quanto tormentato. Un’atmosfera gustabile a pieno solo nel silenzio di una notte calda come quella, preservata dalla luce dello spicchio di luna che faceva da guardiana alle stelle nel cielo scuro.

“Vieni”

Ivan mi prese per mano e mi condusse al portone in ferro che dava l’accesso alla palazzina. Stranita, mi opposi, cercando di fermarmi.

“Ma Ivan, l’orario delle visite è finito da un pezzo, non possiamo entrate!” gli feci presente.

Il giovane si voltò scuotendo i ricci dorati e mi regalò un sorriso sghembo che parve quasi brillare nell’oscurità. Con la mano libera sventolò una grossa chiave in ferro.

“Il custode è un vecchio amico di famiglia, gli ho chiesto come favore se mi lasciava le chiavi del portone per stasera e me le ha concesse” mi rivelò, palesemente fiero delle sue conoscenze.

La rabbia che mi aveva quasi annebbiato la mente, cominciò a dissolversi grazie al lume della comprensione che lento ma inesorabile iniziava a farmi curvare gli angoli delle labbra all’insù.

“Non è che per caso lo hai visto stamattina questo tuo vecchio amico?” gli domandai ironica. Che fossi stata avventata nell’arrabbiarmi con lui? La speranza che Ivan non si fosse scordato del perché quel giorno fosse importante si accese, ma cercai di tenerla a bada. Non era sicuro che ci trovassimo in quel luogo per il nostro anniversario.

Ivan non rispose ma il suo sorriso si allargò. “Vieni” mi ripeté.

Una volta aperto il portone, mi lasciai condurre dalla presa delicata ma sicura di Ivan su per una scalinata in fondo a sinistra di un piccolo atrio color avorio. Ero emozionata. Desideravo entrare nella casa di Giulietta da una vita, ed ero rimasta molto delusa dal fatto di averla potuta vedere solo dall’esterno durante la settimana a causa della fila chilometrica di persone che si accalcava sulla sua soglia.

I piccoli gradini in marmo chiaro terminarono su un corridoio dello stesso colore dell’atrio, ornato di numerosi quadri di epoche e autori diversi raffiguranti però lo stesso soggetto, due giovani innamorati di nome Romeo e Giulietta. Ivan aprì la prima porta in legno a sinistra, accedendo ad una camera da letto che mostrava una perfetta ricostruzione di un ambiente medioevale.

“Visita pure la camera, torno subito”

Sorpresa da quella decisione, stavo per ribattere, ma Ivan era già scomparso giù per le scale. Scuotendo la testa per le stranezza del giovane decisi comunque di assecondarlo, smaniosa di visitare la camera dell’eroina shakespeariana.

La stanza era piccola, ma graziosa, presentante un letto a baldacchino con i tendaggi bordeaux, a cui piedi si trovava una cassapanca in legno di noce. Un armadio a due ante occupava quasi interamente la parete di sinistra, insieme ad un tavolino da toeletta sottostante uno specchio dalla elaborata cornice in ottone. Ma era sul muro opposto alla porta d’ingresso che un’apertura ad arco mostrava il vero protagonista della stanza, il luogo che era stato lo scenario della storia d’amore più famosa e tragica mai raccontata. Il luogo che aveva riempito le fantasie romantiche di milioni di lettrici, facendo ansimare, gioire e piangere per i due protagonisti veronesi. Il luogo che più di una volta aveva riempito i miei sogni, immaginandomi nei panni della dolce Giulietta, vittima delle sue sventure ma anche di un amore tanto folgorante come quello da lei vissuto. Quasi seguendo un richiamo, mi avvicinai alla balaustra in mattoni che contornava quel piccolo ma tanto importante balcone.

La calda aria estiva mi salutò, agitando il bordo della gonna del corto vestito color argento che avevo scelto per quella sera. Alzai gli occhi al manto stellato e la luna, la stessa che il poeta inglese descrisse malata e livida di rabbia nei confronti della giovane Capuleti, ricambiò il mio sguardo, investendomi con la sua luce di tutto il magico romanticismo che quel posto era capace di trasmettere. L’intero cortile assunse un aspetto diverso. L’edera, tenacemente attaccata al muretto, sembrava riflettere la luminosità delle stelle e bagnare i mattoncini di quella luce incantata. Ogni cosa sembrava ovattata ed ebbi la forte sensazione che in quel piccolo cortile il tempo si fosse fermato in quell’epoca romanzata che lo aveva consacrato.

Respirai a fondo l’aria della notte, godendo della sensazione del soffio del vento tra i miei capelli.

Sei bella in questa notte e mi sovrasti come un alato messaggero celeste…

Una voce chiara e profonda mi giunse da sotto il balcone, catturando la mia attenzione. Il mio cuore perse un battito riconoscendo immediatamente il proprietario. Abbassai lo sguardo, incredula di quello che stava succedendo. Eppure non c’erano dubbi, il giovane ragazzo che scorgevo in ginocchio rivolto verso la mia persona era Ivan.

…cavalcante su pigre e sbuffanti nuvole per voltare in seno all’aria, sorvola i mortali che, nel levare lo stupido sguardo verso l’altro, si piegano all’indietro e fan biancheggiare gli occhi.

Realizzando stupita ciò che stava accadendo, sentii le lacrime pungermi gli occhi ma riuscii a ricacciarle indietro nonostante la felicità che provavo fosse quasi palpabile. Aveva imparato a memoria il testo di “Romeo e Giulietta”! Il lume che si era acceso quando aveva aperto il portone dell’edificio si fece più acceso e una vocina interiore mi sussurrò che la mia intuizione era giusta. Ivan non aveva scordato il nostro anniversario. Un calore confortevole mi invase il petto. Ero stata una sciocca a giudicarlo insensibile, non avrei dovuto dubitare di lui. Mi sentii leggera, sollevata, come se per tutto il tempo il pensiero che si fosse dimenticato di una data tanto importante per noi avesse gravato sul mio cuore come un macigno.

Sporgendomi con il busto dalla balaustra, pronunciai la frase che più di tutte era legata a quel balcone quasi senza nemmeno accorgermene, come se fosse una naturale conseguenza del gesto del giovane.

O Ivan, Ivan, ma perché sei tu Ivan? Rinnega tuo padre, rinuncia al tuo nome: e se non vuoi farlo, basta che tu giuri d’essere il mio amore perché io non sia più una De Michelis

Se pensavo però che per quella sera le sorprese fossero finite, ero in completo errore. Ivan cominciò a salire verso il balcone usufruendo di una scala a pioli che non avevo ancora notato pendere dal parapetto a causa dell’oscurità. Un’ennesima prova della perfetta organizzazione della sorpresa.

Ti prendo in parola: chiamami amore e sarò ribattezzato. Da questo istante non sarò mai più Ivan” pronunciò a metà della salita.

Ma chi sei tu, che, così protetto dalle tenebre, sorprendi i segreti miei?

Ivan raggiunse la balaustra, ma non la scavalcò. “Il mio nome non ti direbbe chi io sia; il mio nome, santa mia cara, è odioso a me perché è nemico a te. Se lo avessi scritto strapperei il foglio”.

Mi avvicinai a lui, tanto che solo un soffio separava i nostri visi. I suoi occhi azzurri splendevano come zaffiri nel buio, illuminati, ne ero certa, dall’avermi procurato la felicità che vedeva riflessa nelle mie iridi nocciola.

Ma come sei venuto, dimmi, e perché? I muri del giardino sono alti e difficili da scalare e, dato chi sei, questo nome ti sarebbe mortale se un parente mio ti ci trovasse.

Il mio cuore batteva impazzito, oppure semplicemente innamorato di quel giovane dai capelli color biondo oro che accarezzai con dolcezza.

Sono volato sopra questi muri con le ali dell’amore, ché nessun limite di pietra può chiudere la via della passione. Tutto ciò che amore osa è lecito all’amore. I tuoi parenti non sono un ostacolo per me.” Rispose prontamente.

Con un agile balzò scavalcò il muretto di mattoni. Con un braccio mi cinse la vita e mi trasse a sé, posando l’altra mano sul mio viso. Socchiusi gli occhi e con le dita sfiorai la sua guancia.

C’erano almeno mille parole che avrei voluto rivolgergli. Avrei voluto ringraziarlo per il gesto che aveva fatto, per l’idea che aveva avuto. Per essersi ricordato di come desideravo visitare quel posto, per conoscermi così bene da sapere cosa amo. Avrei voluto chiedergli come era riuscito ad architettare tutto quel meraviglioso sogno per farmene dono, ma la commozione era talmente tanta che non riuscivo a riordinare nemmeno un pensiero per formulare una frase. Così decisi di continuare ad affidarmi a parole già vergate secoli prima, ma sempre valide perché uguali erano i sentimenti dei cuori che le pronunciavano.

Ho paura, poi che è notte, che tutto questo sia solo un sogno, troppo dolce e lusinghiero per essere vero

Era un battuta di Romeo, ma esprimeva perfettamente ciò che provavo.

Ivan mi sorrise dolce e mi posò un casto bacio sulla guancia. “Buon anniversario, amore mio”. Il suo sussurro scese come miele nelle mie orecchie.

Sentivo di nuovo le lacrime minacciare di uscire, ma riuscii a reprimerle. Non era il momento di piangere, neppure per la gioia.

“Allora non te ne eri dimenticato” mormorai facendo scivolare le mie dita ad accarezzargli il mento, dove sentivo la ruvidità data da un leggero accenno di barba.

Ivan accennò ad una risata. “No, mia malfidata fidanzata, nonostante tu sia convinta del contrario da stamattina” mi canzonò.

“Ecco perché è tutto il giorno che sogghigni divertito” lo accusai colpendolo leggera alla spalla.

Il biondo trattenne a stento un’altra risata. “Ma secondo te potrei mai dimenticare il giorno in cui il mio angelo di luce mi ha concesso di divenire il suo ragazzo?”

Ecco, se le mie gambe avevano stoicamente resistito fino a quel momento, dopo quelle parole alzarono ufficialmente bandiera bianca e cedettero. Ora sapevo perfettamente cosa si intendesse con l’espressione “ho le gambe molli”. Per fortuna però avevo il mio Romeo pronto a sorreggermi. E pensare che era tutto il giorno che lo insultavo in mille e più modi mentalmente! Se solo avessi saputo cosa stava architettando avrei represso gli istinti omicidi che mi invogliavano a scagliarli qualcosa contro.

Nemmeno Shakespeare poteva formulare una risposta adatta a una tale dichiarazione. Per ribattere dovetti usufruire di una frase più antica, che in millenni di storia milioni e milioni di amanti avevano sussurrato sul sorgere del primo raggio di sole o al calar della sera, sotto un manto di stelle o durante la pioggia, in fredde giornate invernali o in calde serate estive come quella. Una frase che contava solo due semplici parole, capaci però di racchiudere il sentimento più grande di sempre.

“Ti amo”

Il suo sguardo zaffiro si accese. Mi prese in braccio e con un bacio mi rispose. La sua bocca si posò sulla mia attenta ma passionale, vogliosa. Le mie labbra si schiusero senza opporre la minima resistenza, bensì desiderose di accogliere Ivan.

Lasciò presto la mia bocca però, per iniziare a percorrere la guancia lasciando una scia di baci lungo tutto il collo. Arrivato alla spalla, risalì su, lentamente, come se stesse assaporando ogni centimetro di pelle, per poi mordicchiare con delicatezza il collo.

Risi, in preda alla gioia, all’euforia del momento. Anche per me il tempo si stava fermando, come si era congelato per l’edificio. Non esisteva più un domani che ci avrebbe visti lasciare Verona. Esisteva solo quell’istante, solo Ivan ed io, solo le stelle che immobili erano le uniche testimoni di ciò che stava accadendo, solo la luna che quieta e indiscreta illuminava quell’incanto.

Sempre tenendomi in braccio, mi riportò dentro la stanza diretto al letto a baldacchino sul quale notai ora una coperta blu cobalto, la stessa che avevo visto a casa degli zii di Ivan.

“Hai pensato proprio a tutto” gli sussurrai all’orecchio, sfregando il mio naso contro la sua guancia.

Mi depositò sulla coperta e prima che si avvicinasse a me, sostenendosi solo sulle braccia poste ai miei lati per non gravarmi addosso, potei ammirarlo. Bagnato dai raggi lunari, con la camicia bianca con i primi bottoni slacciati che lasciavano intravedere il suo petto tornito, i pantaloni neri aderenti e i ricci biondi tenuti poco sopra le spalle, sembrava proprio un principe. Il mio principe.

“Questa notte voglio che sia indimenticabile” mormorò mentre si chinava su di me.

Forse sarà stata la magia del momento, la sorpresa inattesa che mi aveva lasciata senza fiato, scaraventandomi in un sogno ad occhi aperti nella quale mi ero lasciata guidare con il cuore traboccante di felicità.

Forse sarà stata l’atmosfera, il trovarsi nel luogo romantico per antonomasia.

Forse sarà stata la consapevolezza che era l’ultimo giorno di vacanze, o la semplice brezza estiva che continuava a soffiare, accarezzandoci la pelle e portandoci il profumo della calda stagione.

Forse sarà semplicemente stato il fatto che lo amavo. Tanto. Tantissimo.

Quello che è certo però, è che mantenne la parola.

Quella notte fu veramente indimenticabile.

Le frasi in corsivo ovviamente non sono di mia proprietà bensì sono tratte da "Romeo e Giulietta" di Shakespeare.
   
 
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