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Autore: Selene Silver    20/07/2011    7 recensioni
«Davvero, Page, non è…»
«Non è
normale?» aveva pronunciato la parola con scherno, avvolgendosi una ciocca dei suoi capelli intorno a un dito. Erano lisci (non ricci) e castano chiaro (non dorati), e gli sfuggivano dalle dita (invece che inanellarvisi attorno).
«Be'… no.»
«E ti importa davvero così tanto di ciò che è "normale", John?»

Vorrei preventivarvi che è una Jimbert. Una STRANA Jimbert, ma pur sempre una Jimbert u.u (Okay, potete ufficialmente avere paura XD)
Genere: Dark, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Meet me in the middle of the night

Dunque, miei cari, vorrei dedicare questa fic a tre persone:
Thief_, per averla letta in anteprima e avermi invogliato a postarla,
Jules_  per avermi detto di volerla leggere
E ghirigoro, che si è appassionata alle Jimbert (spero di non shockarti ^^)
Ah, già. Vorrei anche dedicarla a chiunque avrebbe voluto un paring diverso (più o meno) dallo Jimbert su EFP XD
VI AMO (ma chi ti credi di essere?) 

 

John aveva paura. Non aveva idea del perché quella storia fosse cominciata. Forse era stato perché si sentiva solo, escluso dall'intimità degli altri del gruppo, e si era sentito eccezionalmente amato quando l'altro aveva iniziato ad avvicinarsi a lui con quel sorrisetto. O forse il motivo era semplicemente che Page era una fottuta gattamorta, di quelle che prima o poi ti infastidiscono così tanto da obbligarti a portartele a letto. Il fatto che lui non fosse mai stato avvicinato da una ragazza del genere, poi, aveva reso tutto più facile per quel dannato.

In pratica, il piccolo, discreto, solitario John Baldwin, detto John Paul Jones, era caduto nella trappola e nel letto di James Patrick Page, e sembrava che non ci fosse modo per uscirne.

 

Jimmy sapeva di avere qualcosa che non andava, qualcosa di radicato profondamente nel proprio carattere. Qualcosa di marcio, gli aveva detto una volta una ragazza con cui era stato ai tempi di sessionman, e da quando lei gliel'aveva urlato contro, andandosene poi sbattendo la porta, quelle parole avevano continuato a sbatacchiargli in testa. C'era qualcosa di marcio nel modo in cui aveva trattato Jeff quand'erano insieme negli Yardbirds. C'era qualcosa di marcio in tutte le sue relazioni. In lui.

«Robert… no.»

«Hai paura?»

«Non è questo… È che sono… sbagliato, capisci? Sono marcio

Era ciò che gli aveva detto al loro primo bacio, quando si era sentito per la prima volta perfettamente a proprio agio, completo, fra le braccia di qualcuno. E l'aveva detto con il cuore in gola, la paura che Robert capisse che era vero e lo spingesse via. Ma lui aveva riso, e l'aveva baciato, mormorando qualcosa come "Non dire stupidaggini, Pagey".

Ed erano passati gli anni più belli della sua vita accanto a quel sole splendente, aveva avuto qualcuno a cui appoggiarsi, aveva avuto tutto ciò che chiunque avrebbe voluto da una relazione. E per tutto il tempo si era sentito bene, e quel qualcosa dentro di lui non aveva mai alzato la testa. Fino a quel momento, cioè. Fino a qualche giorno prima, quando era tutto scoppiato per l'ennesima volta. Si era sentito trascurato. Messo da parte. E anche se sapeva di non averne il diritto, aveva iniziato a urlare, insultandolo per cose che non avrebbe mai voluto dire.

«Eri troppo impegnato, vero, Plant?! Avevi tua moglie, le tue groupie, le tue serate di bisboccia con gli amici… e poi ogni tanto ti veniva voglia del piccolo Page, vero? Il piccolo Page, che invece se ne stava chiuso nella sua casa troppo grande, pensando a dove fossi tu, se saresti venuto!»

Sapeva di star urlando una marea di fandonie, impazzito come una ragazzina che pensa di essere stata tradita dal suo fidanzato, mentre Robert stava lì con gli occhi sgranati e la bocca socchiusa, e l'aveva odiato perché non rispondeva e non si difendeva, fino a che non l'aveva mandato fuori dalla propria camera e si era buttato sul letto, tremante di rabbia - e perché stava per piangere, ma questo non l'aveva voluto ammettere neppure a sé stesso -, con la certezza di aver rovinato tutto, e la consapevolezza che presto gli sarebbe mancato, anzi, gli mancava già adesso…

E quel qualcosa aveva alzato di nuovo la testa.

 

Stava bevendo un bicchierino al bar dell'albergo quand'era arrivato Page, magro come un chiodo, la faccia di qualcuno che non sta bene e gli occhi guizzanti, come se stesse cercando qualcuno. E aveva trovato lui.

Gli si era seduto accanto, sorridendo e discorrendo amabilmente, quando John riusciva a vedere perfettamente che stava male; sembrava un vetro incrinato sul punto di spezzarsi. Non ricordava neppure cosa gli avesse detto quando, sorridendo dolcemente - e l'incrinatura aveva rischiato di spezzare la maschera che aveva sul viso -, gli aveva poggiato la mano sul polso e aveva chiesto: «Ti va di venire nella mia stanza, Jonesy?»

E lui, da povero ingenuo qual era, aveva risposto di sì.

 

L'aveva sbattuto contro la porta, le mani sulle sue spalle, il qualcosa che sorrideva attraverso il suo volto, distorcendogli le labbra.

«Jimmy… che diavolo…?!»

«Dai, Jonesy… non fare il puritano…» Gli aveva morso il collo, ma l'altro l'aveva spinto via, ansimando.

«Davvero, Page, non è…»

«Non è normale?» aveva pronunciato la parola con scherno, avvolgendosi una ciocca dei suoi capelli intorno a un dito. Erano lisci (non ricci) e castano chiaro (non dorati), e gli sfuggivano dalle dita (invece che inanellarvisi attorno).

«Be'… no.»

«E ti importa davvero così tanto di ciò che è "normale", John?» Gli si era schiacciato addosso; era più piccolo di quanto si aspettasse (di quanto avrebbe voluto, di quanto il suo corpo ricordava e sentiva bisogno e mancanza). Gli aveva passato un braccio intorno al collo e con l'altra mano aveva iniziato a slacciargli la cintura, sentendolo trattenere il fiato. «Davvero ti importa?»

Non aveva atteso la risposta, mordendolo di nuovo, baciandolo poi sulle labbra (meno sottili di quelle che si aspettava e voleva). Intanto le sue dita avevano toccato la pelle calda sotto i suoi pantaloni, e si era ritrovato a ridacchiare. «Eccitato, Jones?»

E questa volta, era stato John a baciarlo.

 

Andava quindi avanti da… John si fermò a pensarci. Una settimana? Sì, una fottutissima settimana in cui Page l'aveva trattato come la sua puttana, tenendoselo legato a un mignolo e lanciandogli sorrisetti, ammiccamenti e tutto il repertorio davanti a tutti. E se dopo la prima volta si era voluto illudere che Jimmy provasse qualcosa per lui, qualcosa di simile all'affetto, quell'illusione era sparita già dopo la seconda volta, quando, mentre stava per addormentarsi, nudo e schiena contro schiena con l'altro, aveva sentito le sue spalle tremare e un singhiozzo mal trattenuto spezzare il silenzio assoluto della stanza.

Qualunque cosa facessero, qualunque cosa li unisse, di sicuro non era amore.

 

«Pagey…»

Jimmy non si voltò, continuando ostinatamente a mescolare lo zucchero nel caffè. Non vederlo però non gli impedì di percepirne distintamente la presenza e di immaginarlo in modo così minuzioso da sembrare che, in effetti l'avesse guardato: nella sua mente Robert era accanto a lui, con le mani intrecciate davanti alla pancia e le spalle leggermente curve, i capelli che gli cascavano sul viso timido e un po' spaventato.

«Che c'è, Plant?» lo chiese ostentando una pura indifferenza, posando però il cucchiaino un po' troppo rumorosamente sul tavolo.

«Ehm, mi chiedevo se…» Lo sentì muoversi, e immaginò che si fosse scostato un ricciolo dal viso per metterselo dietro a un'orecchio, magari mordendosi le labbra. Sentì di star per piangere, ma mascherò la contrazione delle labbra portando la tazza alla bocca, senza bere neppure un sorso. Sapeva che si sarebbe strozzato.

«Stai… stai bene?» concluse Robert, quasi in un balbettio, e riuscì a percepire la sua frustrazione per non essere riuscito a dire ciò che voleva.

«Sì» ribatté immediatamente, senza però allontanare la tazza dalle labbra né concedergli il minimo sguardo.

«Allora… okay» capitombolò Plant, in un sussurro.

Jimmy posò la tazza e posò il gomito sul tavolo, coprendosi gli occhi con la mano e lasciando che i capelli gli scivolassero sul viso. Le lacrime gli facevano bruciare gli occhi, ma le trattenne con forza, e nonostante tutto si ritrovò a sorridere; un sorriso più amaro del caffè che aveva finto di bere. Era un classico, pensò, il fatto che Percy fosse quasi andato a scusarsi, quando avrebbe dovuto essere lui a farlo.

 

La mattina dopo, Robert si armò di coraggio e andò a bussare alla stanza di Jimmy. Doveva parlargli da soli, e capire cosa fosse successo. Stava ripetendosi mentalmente un discorsetto, quando arrivò davanti alla porta. Prima che potesse convincersi a bussare, però, questa si aprì. Con orrore, ne vide uscire un John Paul Jones furtivo, scarmigliato e con la camicia malamente abbottonata, che si fermò non appena lo vide, gli occhi da coniglio colto dai fari di un'auto. Guardando oltre di lui, Plant vide Jimmy in piedi nella stanza, con un accappatoio allacciato in vita e un'espressione inintelligibile.

Si sentì come se qualcuno gli avesse tirato un cazzotto nello stomaco. Portò le mani alla bocca per strangolare un singhiozzo fin troppo rumoroso, mentre gli occhi gli diventavano caldi e le lacrime cominciavano a rotolargli giù per le guance: se fosse stato un altro, un uomo più pieno di sé - meno innamorato - si sarebbe sentito umiliato, a piangere come una ragazzina come stava facendo. Invece, Robert sentì semplicemente tanto male da impazzire, da poter cascare a terra e rannicchiarsi sul posto.

Però, mordendosi con forza le labbra, raddrizzò la schiena e, attraverso gli occhi velati di lacrime, guardò prima Jimmy e poi John Paul, senza preoccuparsi che vedessero tutte le emozioni trasparire dal suo viso. Poi, senza dire una parola, voltò le spalle e se ne andò.

 

Non appena i passi di Robert smisero di rimbombare nel corridoio, John si voltò verso Jimmy. Si aspettava di trovarlo impassibile come doveva averlo visto Plant, e invece notò che aveva gli angoli della bocca tesi e gli occhi velati di lacrime.

«È per questo che l'hai fatto?» domandò, la voce priva di sfumature e il viso neutro.

Jimmy chinò il capo, in un assenso pieno di senso di colpa. Le spalle iniziarono a tremargli.

John fece un passo avanti e gli posò una mano sulla spalla. «Page…» mormorò, dolcemente. «Dovresti smetterla di punirti, sai?.»

 

Quel pomeriggio, mentre lo Starship li portava al concerto della sera, John andò timidamente a bussare alla porta della camera in cui Robert si era chiuso appena erano saliti a bordo, rassicurando tutti - soprattutto un Bonzo corrucciato, che non faceva altro che lanciare occhiatacce a Jimmy - di star bene e di essere "solo un po' stanco, niente di che".

«Notte piena, Plant?» aveva riso Cole.

Robert si era fermato un attimo e aveva accennato un debole sorriso. «Si può dire così.»

Ora, Jonesy s'impose di andare fino in fondo. Con un respiro profondo, bussò.

La porta si aprì dopo parecchio; forse Robert voleva fingere di essere addormentato. La sua espressione, quando lo vide, andò dalla sopportazione, allo shock, infine alla rabbia. «Vuoi qualcosa?» domandò dopo un attimo; la sua voce era soffocata, il tono piatto. La buona educazione di gentleman delle Midlands aveva vinto sulla collera; o magari non aveva voglia di beccarsi un calcio sulla mascella da parte di Richard per aver picchiato un compagno.

«Ehm, vorrei… parlarti.»

Robert sembrò rifletterci un attimo, forse spiazzato. «Non so se ne ho voglia» rispose infine, sempre con lo stesso tono.

John sorrise. «Invece credo tu abbia molta voglia di sentire ciò che devo dirti. Posso entrare?»

Sorpreso e sospettoso, Percy lo lasciò passare.

Jonesy osservò per un attimo la stanza; le lenzuola stropicciate, gli stivali di Robert scalciati e buttati in un angolo, il libro sulle leggende celtiche aperto a faccia in giù sul comodino, come se avesse provato a leggerlo ma poi avesse rinunciato, limitandosi a rotolarsi, insonne, sul letto.

Fece un paio di passi avanti e si sedette sul bordo del materasso, fissandosi le ginocchia per raccogliere le parole, mentre Robert aveva chiuso la porta e stava appoggiato allo stipite con le braccia incrociate e le sopracciglia inarcate.

Prendendo un profondo respiro, John si strinse le labbra in grembo e cominciò a raccontare.

Dopo molto tempo, quando non ebbe più parole, Robert si sedette accanto a lui sul letto, prendendosi la testa fra le mani. Infine si voltò a guardarlo negli occhi. «Mi giuri che stai dicendo la verità?»

«Ogni singola parola» annuì, ricambiando lo sguardo.

Percy lasciò sfuggire il fiato che aveva trattenuto, e infine gli sorrise. Gli si avvicinò e lo abbracciò stretto. «Grazie, Jonesy. Grazie davvero.»

Lui sorrise, appoggiando la guancia alla sua. «Non c'è di che, Robert.» Alla fine, pensò, quello era il suo compito. Supportare il tutto e mettere a posto i casini che i due geni combinavano. Magari non era come stare sul bordo del palco, sentendo i fan urlare e le luci accecanti puntate su di lui. Ma alla fine, non avrebbe desiderato nulla di più.

 

Jimmy imbracciò la chitarra e prese un respiro grande quanto il mondo. Non era sicuro di riuscire a suonare, nelle condizioni mentali in cui si trovava. Era stanco, provato, e triste. Ma aveva un senso del dovere grande quanto una casa, per cui si accinse a fare "ciò che andava fatto". Sentiva già il pubblico che ruggiva, mentre Bonzo saliva di corsa sul palco brandendo le bacchette, e Jonesy lo seguiva lanciandogli un sorriso.

Fece in tempo a domandarsi dove diavolo fosse Robert, se magari non si sarebbe rifiutato di cantare per colpa sua, quando sentì qualcuno picchiettargli una spalla.

Si voltò e lo ritrovò a pochi centimetri, e poi ancora più vicino quando Percy lo afferrò per la nuca e lo baciò; lì, nel backstage, dove potevano vederli tutti: uno di quei baci che ti spezzano il cuore e fermano il mondo. Poi Robert si allontanò e posò la fronte contro la sua, gli occhi aperti e fissi nei suoi. «Sei un idiota, Page» gli mormorò.

Quindi lo prese per mano e, sorridendo, lo guidò fino al palco. Poco prima di uscire in scena, gli lasciò la mano e si voltò verso di lui. «Puoi fare cagate del genera all'infinito per punirti e punirti ancora, ma sappi che d'ora in poi non ci cascherò più. Hai capito?»

Jimmy annuì, sentendosi la gola secca.

«Ti amo, Page, perciò vedi di non ridurti a uno straccio.» E senza dargli il tempo di replicare, era corso sul palco, e la folla aveva iniziato a urlare anche peggio di prima. Con un sorriso sulle labbra, Jimmy lo seguì. La folla urlò anche per lui, che s'inchinò e, senza perdere un altro secondo, fece cenno a Bonzo di attaccare Rock and Roll.

Ricordando quella sera, Jimmy pensò sempre che avrebbe voluto abbracciare il mondo intero, e soprattutto un certo John Paul Jones. 



Non ve l'aspettavate, eh? Confessatelo, ragazze, vi ho lasciato di stucco XD Okay, magari non vi ho lasciate di stucco, ma un commentino lasciatemelo ç_ç
Il titolo è preso da una strofa di Night Flight, perché non sapevo che titolo mettere e quando ho aperto iTunes e premuto play in modalità shuffle ha iniziato a riprodurre quella canzone. AMO IL MIO COMPUTER U.U XD
E per tornare alla storia... sì, quella gattamorta di un Page (mi sono divertita troppo a farlo così XD) ha battezzato il piccolo Jonesy! Fra l'altro, tutta la storia è ambientata nel 72-73, quando i nostri prodi cavalieri hanno girato The Song Remains the Same, perciò John Paul aveva quel caschetto alla Patty Pravo che lo etichetta come fatina (non chiedetemi perché, è una luuunga storia XD)
Mi è dispiaciuto far piangere così tanto Jimmy e Robert (ROBERT NON DEVE PIANGERE, CAZZO!), ed in effetti ho avuto l'impressione di descrivere una manica di donnicciole... ma Thief, quella carissima ragazza, mi ha detto che non è così: uno dei motivi per cui sto postando. Avrei molte cose da dire su questa fan fiction ma non trovo le parole, per cui mi limito a buttarvela qui e ad andarmene silenziosamente XD
  
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