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Autore: Elanor Eliniel    21/07/2011    3 recensioni
"Mentre si inoltrava nel giardino, e poi tra le fronde dei boschi di betulle, sentì amaro il sapore del fallimento e della colpa. Una vita dedicata a difendere la Terra di Mezzo ed alte questioni, ma l’incapacità di proteggere colei che amava sopra ogni altra cosa. L’inettitudine a guarirla fino in fondo, l’aver violato la sua mente, quella sensazione di non aver fatto abbastanza, la rabbia, il dolore, la colpa affollavano i suoi pensieri, soffocandolo."
Una fanfiction che cerca di costruire la loro tragica storia, soltanto accennata in vari punti dal Professore. Sono graditissime recensioni!
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Elladan, Elrohir, Elrond, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Altrove si narra della conclusione della Terza Era, della sconfitta di Sauron e di come Elrond fu tra i saggi che s’adoperarono per stabilire il Dominio degli Uomini nella Quarta Era. La gloria degli eredi di Elros fu ristabilita nella nobile figura di Re Elessar, Aragorn figlio di Arathorn, da Elrond chiamato Estel allorché gli fece da padre.
Ma l’ultimo, cocente dolore che quelle terre mortali riservarono al Mezzelfo fu la perdita dell’adorata figlia Arwen, che scelse di condividere la sorte degli Uomini per amore del Re.
Così, il destino di quelle terre e degli eredi di Elros fu pienamente compiuto e dopo l’amara separazione dalla Stella del Vespro, destinata a durare sino agli sconvolgimenti di Arda, il potere di Vilya ebbe termine ed Elrond comprese che era giunta l’ora di veleggiare verso Ovest e seguire i desideri del suo cuore.
Arwen aveva fatto la sua scelta e così lui stesso: l’avrebbe ricordata per sempre come la radiosa Regina di Gondor e non avrebbe mai conosciuto i segni del tempo sul suo viso mortale, né l’ora della sua dipartita; aveva lasciato i suoi figli gemelli come Signori d’Imladris finché l’ultimo dei suoi abitanti non l’avesse abbandonata ed essi lo avrebbero seguito infine al di là del Mare.
Fu pensando a ciò che lasciava dietro di sé e a ciò che lo attendeva che conduceva la bianca nave sulle acque tranquille di Belegaer, lungo la Via Dritta. Gandalf discorreva amabilmente con gli Hobbit, ma Galadriel era in piedi dietro di lui, avvolta in candide vesti.
Le mani del Mezzelfo tremavano lievemente sul timone, frementi, ed i suoi occhi scrutavano l’orizzonte, ansiosi di scorgere le beate sponde di Aman. La figlia di Finarfin comprendeva la tempesta che gli agitava l’animo e poggiò le mani sulle sue, placandole.
- Manca molto anche a me – disse.
Impazienza e timore aleggiavano nella mente del Mezzelfo in un riaffiorare di desideri sopiti, di nostalgia repressa. Agognava a quelle sponde con ogni fibra del suo essere; la distesa blu gli parve interminabile mentre osservava gli ultimi bagliori rossastri del tramonto sparire e la penombra del crepuscolo allungarsi.
Iniziò a piovere.
Gocce d’acqua cominciarono a susseguirsi, cadendo su di lui una dopo l’altra mentre i suoi compagni di viaggio si mettevano al riparo; ma egli non si mosse, ché quella leggera e delicata pioggia di fine estate gli riportava alla mente il tocco ed il riso di Celebrìan.
- Non siamo lontani dalla nostra meta! – gridò ai suoi compagni.
Restò lì a guida della nave, alto e impassibile per tutta la notte; infine l’aria divenne più leggera e frizzante e canti nella sacra lingua di Valinor risuonarono sulle ali del vento. La cortina di pioggia si dissolse ed apparvero loro le bianche sponde di Aman illuminate dal chiarore dell’alba.
Elrond percepì lo stupore dei due Hobbit e la commozione di chi fa finalmente ritorno alla propria casa sui volti di Galadriel e Gandalf. Ma quella non era mai stata la sua casa, eppure, rivolgendo il pensiero ad Eärendil ed Elwing e alla sua amata sposa, pensò che avrebbe potuto esserlo per sempre.
Veleggiarono accanto alla splendida isola Tol Eressëa mentre il sole intraprendeva il proprio cammino nel cielo e scorsero la città di Avallònë ricca di luce e di musica; pure, proseguirono verso il porto elfico di Alqualondë, la città dei Teleri di Re Olwë.
Elrond sentì il cuore in gola battere all’impazzata man mano che s’avvicinavano al bianco molo e ad un tratto scorse due alte figure sulla riva, di cui una dai capelli d’argento.
La osservò per alcuni lunghi minuti, aguzzando la vista, ma non appena la lontananza si ridusse, si rese conto che non si trattava di Celebrìan; l’Elfo al suo fianco aveva il volto saggio e i capelli d’oro, nonché una corona sottile sul suo capo. Vide gli occhi di Galadriel dilatarsi per la sorpresa e comprese che doveva trattarsi del Re dei Noldor Finarfin e di sua moglie Eärwen.
Non appena il vascello raggiunse quelle beate sponde, Galadriel scese con grazia e rapidità, per ricongiungersi dopo innumerevoli anni ai suoi genitori; Gandalf la seguì aiutando i piccoli Mezzuomini e seguito con un balzo da Ombromanto.
Elrond restò momentaneamente indietro, dopo aver gettato l’ancora nelle acque di Eldamar ad assicurarsi che il vascello fosse correttamente ormeggiato; frattanto si chiedeva quasi con angoscia dove fosse la sua amata. Ebbe la delicatezza di non imporre la propria presenza nel momento in cui la fiera Galadriel tornava ad essere null’altro che una fanciulla.
Allorché ebbe terminato di sciogliere e ripetere i più difficili nodi marinareschi che gli sovvenivano, mise anche lui piede sulla riva senza morte, sforzandosi di ignorare i propri timori e dubbi.
- Salute a voi, Alto Re e Regina dei Noldor – fece chinando il capo, quando finalmente raggiunse il resto della compagnia.
- Salute a te, figlio di Eärendil! – esclamò il Re - Trascorrevamo qualche tempo ad Alqualondë presso i parenti di mia moglie, quando abbiamo scorto la vostra nave entrare nella Baia di Eldamar. –
Ma in quel preciso istante, risuonò un rumore di zoccoli e tutti si voltarono per veder sopraggiungere due figure al galoppo. Il cuore di Elrond mancò un colpo nell’ammirare il viso di colei che avanzava rapidamente verso di loro; credette per un attimo di essere a Gondor presso sua figlia Arwen, tale era la somiglianza. I lunghi capelli scuri di Elwing volavano nel vento e i suoi occhi grigi come le stelle non erano mai stati così luminosi. Accanto a lei splendeva la figura di Eärendil il Beato in sella al suo destriero; i suoi capelli erano dell’oro di Laurelin come quelli di sua madre Idril e i suoi occhi azzurri come il mare lo scrutavano con orgoglio.
Elrond avanzò lentamente verso i suoi genitori, dopo millenni di separazione, quasi credesse si trattasse di un sogno; ma sua madre smontò in fretta da cavallo correndogli incontro, scossa dai singhiozzi e gridando il suo nome. Eärendil la seguiva senza correre, ma del pari commosso.
Elwing strinse a sé suo figlio, in lacrime, ed egli cercò di rammentare cosa significasse l’abbraccio di una madre; allorché ella si decise a staccarsi da lui, anche Eärendil abbracciò Elrond ed entrambi avevano gli occhi velati di lacrime.
Fu come riavere indietro un piccolissimo pezzo di un’infanzia perduta per sempre; d’un tratto rammentò il calore di Elwing che lo stringeva e suo padre che rientrava in casa profumando di salsedine e lo sollevava in aria. Poteva credere persino che fossero trascorsi pochi giorni se dimenticava per qualche istante di non essere più così giovane da due ere.
- Siamo fieri di te, figliolo – esclamò il Marinaio con la sua voce rassicurante e possente.
- Ho solo tentato di adoperarmi per non disonorare il sangue che scorre nelle mie vene, padre. – rispose lui continuando a sentirsi come un bambino, il bambino che non aveva mai potuto essere.
 - Hai portato speranza attraverso questi secoli e meritato la gioia di Valinor – sussurrò Elwing.
Elrond la osservò per qualche attimo in quegli occhi grigi così identici ai suoi, prima di parlare.
- Dov’è lei, madre? –
Non precisò a chi si riferisse, ma lei, Elwing, era sua madre ed era certo che lo avrebbe capito.
- Nei giardini di Lòrien, dove ogni notte dorme del sonno di Estë. – rispose la Mezzelfa..
- E’ un viaggio di molti giorni sino alla dimora di Irmo – fece il Marinaio.
Allora Elrond si tranquillizzò e si disse pronto a partire immediatamente, pronto a viaggiare giorno e notte.
- Ciò non è possibile per i nostri piccoli amici, che pure dovranno recarsi in quei giardini. Ma quest’oggi riposeremo presso i parenti di mia madre – disse Galadriel – E poi intraprenderò con gli Hobbit questo lento cammino. Quanto a te, Elrond, è giusto che tu giunga in quei boschi dorati prima di me, sei dunque libero di proseguire senza di noi. –
- Ti ringrazio Galadriel, così sarà fatto. – rispose lui.
Gandalf avanzò tra i presenti sino a porsi accanto ad Elrond.
- Cavalcherò con te e ti guiderò attraverso le terre senza morte, Mastro Elrond. –
- Non so come renderti grazie, Mithrandir. –
Il suo volto s’illuminò mentre gli rispondeva e prendeva le briglie del destriero di Elwing che ella stessa gli porgeva.
- Va’, figlio mio – fece sorridendo – Io ti aspetterò nella mia torre, dove occasionalmente e con un po’ di fortuna troverai anche tuo padre, di ritorno dal suo errare nei cieli. –
- Non mancherò di far ritorno – promise lui rivolto a entrambi i genitori – Ma ora i giardini mi richiamano. –
 
Gandalf ed Elrond presero congedo dai presenti e, montati a cavallo, galopparono via, veloci come il vento. Percorsero la Baia di Eldamar, sino a giungere alla fenditura nei Pelòri e alla città dei Noldor, Tirion, ove sostarono per una giornata. Ripartirono lesti per addentrarsi nei boschi senza fine di Oromë e lì Gandalf condusse il compagno per segreti sentieri impressi nella sua mente, impiegando molti soli. Infine, giunsero ai confini dei giardini dei Valar e lì Gandalf si fermò.
- Ecco, questa è la dimora di Irmo ed Estë e il mio compito è terminato; da qui potrai proseguire da solo alla ricerca di ciò che desideri. -
- Senza il tuo aiuto avrei vagato a lungo in tristezza e solitudine in cerca della via – rispose il Mezzelfo – e nulla di ciò che potrei aggiungere manifesterebbe appieno la mia gratitudine per questo, amico. –
Era ormai il tramonto allorché Elrond si congedò dallo stregone e gli ultimi raggi vermigli brillavano tra le foglie dorate degli imponenti mellyrn. S’inoltrò in quei giardini e scorse, senza troppa attenzione, meravigliosi fiori d’ogni sorta: fiori gialli sbocciavano sul soffitto creato dai rami intrecciati, nell’erba facevano capolino il dorato elanor e il candido niphredil; cespugli di rose ornavano il sentiero che stava seguendo. Sarebbe stato di certo travolto da tanta bellezza se vi avesse prestato attenzione, ma egli proseguiva dritto senza curarsi di ciò che lo circondava, come un marinaio che avvista terra dopo aver trascorso mesi e mesi in un oceano sconfinato.
La luna era già alta nel cielo allorché ne intravide il pallido riflesso innanzi a sé e seppe di essere giunto sulla riva del lago Lòrellin. Smontò rapidamente dal cavallo di sua madre Elwing e lo lasciò libero di riposarsi nell’erba verde; poi si avvicinò alla riva, ove giacevano, tirate in secca, un paio di piccole imbarcazioni di legno candido. Senza indugiare ne trascinò una in acqua, inzuppandosi la parte inferiore del mantello che innumerevoli anni prima Celebrìan aveva tessuto per lui; lesto vi salì e incominciò a remare diretto verso l’isola al centro del lago; le acque scure e immobili del Lòrellin erano increspate unicamente dal suo incedere.
Tutto intorno a lui taceva nel silenzio di quella notte. Toccò terra abbastanza in fretta, ché piccola era la distesa d’acqua da oltrepassare, e balzò a terra, sentendo avvicinarsi la fine del suo viaggio. Ormai privo di cavalcatura, si spinse nuovamente tra gli alberi e la vegetazione, avanzando lentamente verso quello che gli pareva il centro dell’isola: non vi erano infatti sentieri e soltanto chi era avvezzo a calpestare quelle terre poteva giungere alla sua meta con facilità.
 
Ithil era ormai nascosta alla sua vista, quando una bianca figura gli apparve, emergendo dalle ombre degli alberi. In quell’oscurità pareva risplendere di luce propria; grigia come il crepuscolo stellato era la sua veste e dorati come il sole i suoi capelli.
Elrond non era certo di aver compreso chi fosse, pure, s’inchinò profondamente per la soggezione e la reverenza che ella gli procurava.
Estë sorrise allegramente mirando colui che aveva dinanzi.
- E’ molto che ti attendo, figlio di Eärendil – fece – A lungo ho custodito ciò che il tuo cuore desidera, ma con la tua venuta il mio compito è terminato. –
Il cuore del Mezzelfo prese a battere all’impazzata, impedendogli di rispondere con lucidità. Dopo circa mezzo millennio l’avrebbe rivista e non sapere che effetto avrebbe potuto avere quell’incontro lo gettò nel panico; si chiese se colei che stava per incontrare fosse ancora la stessa Elfa che aveva preso in moglie nella Terra di Mezzo o se i lunghi anni di separazione l’avessero allontanata da lui irreparabilmente. Non aveva mai avuto modo di riflettere su tutto ciò, ché l’unico pensiero che l’aveva animato da quando aveva lasciato i Rifugi Oscuri era stato ritrovarla; pure, ora che il momento si avvicinava, tali dubbi cominciarono a venire a galla.
Fu con immenso sforzo che abbandonò tali elucubrazioni per costringersi infine a rispondere.
- E per questo vi porgo la mia più profonda gratitudine, nobile signora. Guidate ed io vi seguirò. –
- Che il tuo cuore e la tua mente non vengano turbati inutilmente, Messere Elrond. – rispose lei – Questa è un’ora felice! Coraggio, seguimi! L’alba sta sorgendo e desterò per l’ultima volta la tua sposa. –
Elrond obbedì esitante e la seguì lentamente, come in sogno, percorrendo arcani sentieri invisibili a chiunque altro. I giardini erano ancora avvolti nell’oscurità, quando le prime luci dell’aurora cominciarono a tingere il cielo di rosa, ma il sole non era ancora sorto mentre camminava alle spalle della Valië, silenzioso e fremente.
Infine, la vide.
Il suo cuore mancò un colpo nel riconoscere Celebrìan, la bianca figura distesa sul suo giaciglio, avvolta in candide vesti. Forse era la beatitudine di Aman, forse il peso della lontananza, ma gli parve ancor più bella di come la ricordasse; la sua pelle era chiara e i suoi luminosi capelli argentei erano sparsi attorno alle sue spalle. Restò ad ammirarla per alcuni lunghi istanti, splendente bagliore nella notte morente, e rimase immobile, quasi temendo di vederla svanire se l’avesse sfiorata. Alcune lacrime gli rigarono il volto e non le nascose quando infine, con grande fatica, spostò lo sguardo su Estë.
L’Ainu gli sorrise, inondandolo di pace, per poi posare la sua santa mano sulla fronte dell’Elfa e mormorare qualcosa che Elrond non riuscì a comprendere.
- Ora, il giorno sta sorgendo ed io dormirò – aggiunse poi sollevando la sua testa dorata.
Il Mezzelfo chinò il capo in segno di rispetto e congedo, senza riuscire a profferir parola; frattanto Estë s’allontanò e sparì nella sua dimora.
Rimasto solo, egli mosse qualche passo verso la sua sposa e restò in attesa per alcuni istanti, respirando a fatica per l’agitazione.
 
Celebrìan aprì gli occhi azzurri mentre i primi raggi del sole filtravano nella radura e in un primo momento, non appena scorse Elrond in piedi, accanto a lei, sobbalzò spaventata e si mise rapidamente a sedere, di scatto. Respirò profondamente per calmarsi, incredula, non fidandosi di ciò che vedeva: percepiva tutto come vago ed indistinto, fatta eccezione per il viso di lui.
Ma allorché guardò nelle profondità dei suoi occhi grigi, comprese che erano reali e non più un felice ricordo; il suo cuore esplose e nello stesso istante, un riso di gioia le salì alle labbra.
Elrond sorrise raggiante, ché quel suono, più di ogni altra cosa gli fece capire non soltanto che ciò che accadeva era reale, ma anche come l’ombra fosse ormai sparita dal cuore dell’amata.
- Non desideravo spaventarti – sussurrò felice.
Anche il viso della dama era ormai umido, mentre allungava un mano verso lo sposo, sino a poggiarla sulla sua guancia.
Quel contatto spazzò via ogni dubbio dalle loro menti sulla concretezza di ciò che stavano vivendo e in un attimo il Mezzelfo la strinse tra le sue braccia e la baciò, per quella che parve un’eternità senza tempo.
- Ti aspettavo – mormorò lei, stretta in quell’abbraccio.
- Ti ho trovata – sussurrò lui in risposta, assaporando nuovamente il suo profumo.


FINE
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Ecco il momento per la parola fine :) :( Anche a me dispiace un po' lasciare Elrond e Celebrìan e chiedo umilmente perdono per aver fatto patire il Mezzelfo fin proprio alla fine!

Thiliol: Eheh è vero, è stata un po' cattiva...ma non aveva nemmeno uno straccio di possibilità ;) Figurati, anzi grazie e soprattutto in bocca al lupo per lo studio!
Afaneia: Bene spero sia stato un bel week end! Riguardo alla prima osservazione, io credo che a volte, su determinate situazioni, possano essere più utili quei momenti di consapevolezza improvvisa, tipo epifania di Joyce, che lunghe elucubrazioni in cui non si sa più da dove si parte e dove si vuole arrivare. Sulla seconda, sono d'accordo con te. Forse l'errore è stato "servirsi" di Morwen piuttosto che descriverla a fondo. Per il resto, spero che il finale ti sia piaciuto...un bacio anche a te!
Black_Moody: Mi fa piacere davvero come hai descritto la parte con Elrohir e la certezza finale, perché è proprio quello che speravo emergesse :) Circa Morwen sono assolutamente d'accordo sul fatto che Elrond si sarebbe "assolto" ugualmente, ho solo voluto sfruttare l'occasione per una presa di consapevolezza spontanea ed involontaria. Ecco la conclusione e grazie infinite per l'accuratezza delle tue recensioni, altro che sconclusionato poema :D
elepaddy85: Grazie di nuovo...dispiace anche a me :(

Grazie quindi a tutti voi che siete rimasti fino alla fine, in particolare Black_Moody, Thiliol, Afaneia ed elepaddy85 poiché le vostre recensioni sono state davvero utili, costruttive e gradite :D
Grazie anche a Lady Amber, Moira Riordan, viktor malfoy, bimba3, FlowerOfScotland e Ladyvale.
E grazie pure a chi legge semplicemente...alla prossima! Baci a tutti.

  
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