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Autore: apochan kenshiro    22/07/2011    2 recensioni
Dopo una normale serata in compagnia, Alessio e Cecilia decidono di prendersela con calma, ma l'inverno e la notte non sono d'accordo...
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Sono una fanatica del genere, ma solo a livello letterario e non cinematografico (sono troppo impressionabile e fifona...) e dopo aver letto a ripetizione molti racconti del genere, soprattutto di matrice gotico-ottocentesca, ho deciso di scrivere e pubblicare questa piccola storia...
Buona lettura...
Genere: Horror, Mistero, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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 L'urlo alle tre 

 

Quella sera Cecilia stava tornando da una delle sue solite uscite con gli amici: un giro a Firenze, un po’ di sana baldoria per le strade del centro e tante risate in macchina, mentre il povero Alessio guidava, decisamente lucido, causa la legge che prevedeva il tasso zero di alcool per i patentati fino a ventun’anni.

Era inverno e faceva decisamente freddo, quel freddo che ti penetra nelle ossa e ti fa desiderare di vivere ai tropici, mentre l’allegra brigata di amici cantava allegramente, pigiata nella piccola Panda turbo, rigorosamente verde smeraldo, di Alessio, che ogni tanto scuoteva la chioma bruna sconsolato, mentre Cecilia, accanto a lui, gli faceva compagnia, molto meno “allegra” rispetto agli altri tre sul sedile posteriore.

Erano venuti via da Firenze prendendo la A11, l’autostrada, con l’idea poi di uscire a Prato est e poter essere scortati a casa dal loro amico fortunosamente astemio. Si fermarono dunque prima in centro, in piazza Mercatale, dove Sergio fu condotto su in casa, fra sbuffi d’aria fredda condensata, schiamazzi e “SHHH” rumorosi; poi fu il turno di Marina, decisamente barcollante, che abitava proprio sul viale della Repubblica, deserto a quell’ora di notte; dopo toccò a Lorenzo, detto Renzo, che stava nell’odiosa via Marco Roncioni,  che ad Alessio toccò imboccare facendo un giro spaventoso, a causa dei sensi unici.

Dopo i tre allegri amici pratesi rimase solo Cecilia assieme ad Alessio, che come lei abitava in provincia di Pistoia. Percorsero quasi silenziosamente la superstrada, fra monconi di discorsi e la stanchezza, mentre la radio a basso volume faceva da sottofondo. All’altezza del comune di Agliana, già in provincia, il ragazzo, passando la rotonda, girò a sinistra, verso la piccola frazione de La Ferruccia, dove abitava la ragazza.

In quella zona aveva cominciato a levarsi una fitta nebbia, dovuta alla presenza dei campi ed alla forte umidità. Mentre imboccavano la via principale del paesino, la nebbia si infittì. Alessio proseguì a diritto finché la ragazza non lo fece bloccare:“Fermo Ale! Hai superato il mio incrocio!”. Il ragazzo pigiò improvvisamente il freno, inchiodando e facendo sobbalzare sé stesso e la sua amica. “Accidenti, Ceci, scusa … ma con questa nebbia non vedo niente … inoltre i fendinebbia della mia Panda sono rotti …” “Fa niente Ale … facciamo una cosa: accosta qui a destra … io torno a piedi, tanto non sei andato molto avanti …” “Ma, con questa nebbia non puoi andartene così, da sola! Senti, ti accompagno …” “Grazie …”

Così il ragazzo accostò, spengendo la macchina e tirando il freno a mano. Uscirono e chiusero le portiere che fecero un sonoro schiocco metallico. La lattea nebbia circondava tutto e la strada era a malapena visibile, grazie ai radi lampioni posti sul ciglio, che spandevano la loro luce come isolette fluorescenti; guardando avanti a loro i ragazzi vedevano solo un’informe abisso oscuro, circondato da banchi di nebbia: faceva ancora abbastanza freddo e l’umidità non migliorava l’ambiente. Su tutta la zona aleggiava un silenzio inquietante, interrotto raramente dal lontano passaggio di una macchina, su via Marx, che portava a Quarrata.

Allora, dove andiamo?” la voce da baritono di Alessio ruppe l’irreale silenzio. “Mh … non saprei Ale … credo di qua … alla peggio torniamo indietro e quando arriveremo a casa mia ti offrirò una cioccolata calda!” “Ma non sveglieremo tua madre? È tardi!” “No, lei non c’è … è andata giù ad Arezzo con mia nonna, a trovare dei parenti … quindi nessun disturbo …” “Sempre se riusciamo ad imboccare la strada per casa tua …” “Ma quanto sarai pessimista!” ed i due scoppiarono in un’allegra risata, che sembrava venir inghiottita da quell’incredibile nebbia, che aveva ingurgitato tutto.

Si misero dunque in cammino, l’uno stretto all’altra, un po’ per scaldarsi, un po’ per non perdersi di vista in quel mare impalpabile. Camminavano raso al ciglio della strada, compiendo movimenti lenti e tastando attentamente il terreno, poiché alcune zone oltre la carreggiata non erano asfaltate e vi si trovavano anche alcune buche. Il tempo sembrava scorrere molto lentamente, mentre Alessio e Cecilia, in assoluto silenzio, attraversavano la nebbia, in direzione di casa di lei.

Improvvisamente la nebbia sembrò farsi più rada, ma alla vista dei due non si profilò l’incrocio che conduceva alla via dove lei abitava: non c’era nessun lampione nelle vicinanze e quelli che dovevano almeno illuminare da lontano, sembravano essersi spenti per capriccio. Davanti ai due ragazzi si ergeva la scura sagoma di un’enorme villa, mentre pochi metri più in là, scorreva turbolento il torrente, l’Ombrone, in piena a causa delle piogge di alcuni giorni addietro. Alessio e Cecilia si arrestarono, attoniti, mentre la cadente ed oscura villa si stagliava sopra di loro.

Ma … dove siamo?” “Non so come sia possibile, ero convinta che ci fossimo diretti verso via Branaccia ...” “Ceci, dove ci troviamo?” “Siamo andati dalla parte opposta, verso l’Ombrone, e … siamo davanti alla villa de’ Baldi …” “Strano … non l’avevo mai notata …” “Forse perché non passi mai dalla Fiorentina …” “Sia mai! L’ultima volta sono quasi volato al distributore per far passare quel pazzo frettoloso … preferisco la vecchia Pratese: poco trafficata e tranquilla.” “Sì … certo … sai una cosa?” “Uh?” “Questa villa mi ha sempre affascinato ed allo stesso tempo deluso …” “Perché?” “Perché è una villa stupenda, del XVIII secolo, credo; il mio ex professore di storia dell’arte mi disse che aveva al suo interno degli affreschi stupendi, eppure guarda in che stato si trova!” Alessio si voltò ad osservarla più attentamente: era un gigantesco edificio a tre piani, con accanto quelle che sembravano delle stalle; la porta principale era murata con cemento e mattoni, ed intorno e sul tetto semidistrutto vi crescevano erbacce di ogni sorta; le pareti, di un color crema sbiadito, erano in alcuni punti piene di crepe, in altri l’umidità aveva creato bolle e spaccature nell’intonaco, e l’opera di desolazione era stata completata da alcuni vandali, che avevano ritenuto opportuno autografare la villa con i colori sgargianti delle loro bombolette spray; inoltre molte persiane alle finestre erano rotte, scolorite e penzolanti, ed ancora di più mancavano, rivelando vetri rotti o totalmente mancanti ed un buio impenetrabile.

Cavolo … davvero in brutte condizioni … io direi che è anche un tantino lugubre …” “Beh, di certo in questo stato, di notte e con questa nebbia non può fare una gran impressione. Qui in paese si è anche spesso vociferato che al suo interno si svolgessero delle messe nere …” “Questo invece è decisamente inquietante …” “Però è davvero un peccato … chissà come era bella al tempo dei Baldi … dominava tutta la campagna, maestosa e luminosa con i suoi colori …” “Non voglio essere cattivo Ceci, ma in questi momenti si vede fin troppo bene che studi storia dell’arte: noiosa al punto giusto!” “Scemo! Ha parlato il provetto ingegnere!” “Mah va!”, e mentre i due ragazzi si punzecchiavano, si sentì in lontananza il rimbombo basso e cupo delle campane. Suonarono tre rintocchi, poi inghiottiti nel silenzio.

Accidenti … sono già le tre …” e la voce della ragazza si spense senza lasciare traccia, mentre inspiegabilmente la nebbia attorno alla villa e a loro si diradava, dando loro l’impressione di trovarsi chiusi in una dimensione a parte dove i suoni non avevano lunga vita.

Istintivamente la ragazza si avvicinò all’amico, aggrappandosi al suo braccio e stringendolo forte; lui non fu da meno, accostando ancore più a sé l’amica e cingendole il busto con le braccia. “Ale …”, la voce di lei fu a malapena un sussurro, “c’è qualcosa di strano … non sono tranquilla …” “Ho la stessa sensazione …”.

Improvvisamente mentre si tenevano stretti l’uno all’altra, videro qualcosa che ghiacciò loro il sangue nelle vene: dalla finestra più lontana, posta all’ultimo piano, proveniva un piccolo bagliore glaciale e baluginante, che cominciò a danzare, passando di finestra in finestra. Alessio e Cecilia non osavano parlare: quell’improvvisa apparizione aveva tolto loro l’uso delle parola, terrorizzando ed ipnotizzando al tempo stesso le loro menti. Poco dopo il bagliore svanì e la nebbia sembrò riprendere possesso di uno spazio sottrattole.

I due ragazzi stavano per rilassarsi, sentendosi come le vittime di un’allucinazione, quando nuovamente comparve una luce, sul tetto: quella in brevissimo tempo dette corpo ad una figura, una donna, con una lunga veste e capelli fluenti, che cominciò a correre come impazzita lungo il bordo, guardandosi indietro, come se qualcuno la stesse inseguendo. Trafelata percorreva alla cieca il vecchio tetto sconnesso, ansando vistosamente e tenendo gli occhi spalancati, occhi che guardavano sempre dietro di loro, occhi pieni di terrore.

Quella continuò a correre, come una glaciale fiamma evanescente, finché non giunse al bordo che dava sul torrente, che cupo trascinava a valle le sue acque scure e fangose. La figura ristette un attimo, poi, guardato un ultima volta oltre le sue spalle, prese il proprio volto tra le mani, prorompendo in un grido acuto ed agghiacciante, per poi gettarsi, continuando ad urlare, oltre l'orlo del tetto, giù nel torrente.

Dopo ciò, la nebbia cominciò a riprendere lentamente possesso della villa ormai completamente oscura, ed i piccoli rumori, che caratterizzano anche quelle notti da silenzio di tomba, tornarono; fu di nuovo possibile vedere le isole di luce dei lampioni in quel mare di latte; anche i baluginanti ed improvvisi fari conici delle macchine di passaggio tornarono sulla via Marx, assieme al fugace rumore dei motori che passano lentamente.

Cecilia ed Alessio si sciolsero meccanicamente dal loro abbraccio di conforto e si guardarono con convinzione negli occhi. Alessio era scombussolato, Cecilia di più. La ragazza inspirò profondamente, chinando lievemente il capo e prendendo la mano destra di lui; poi tornò a guardare Alessio negli occhi, determinata ed allo stesso tempo terrorizzata:“Ti prego, Ale: andiamocene al più presto da qui...”. Il ragazzo non se lo fece ripetere ancora: rispose alla richiesta di lei con un cenno d'assenso del capo, poi, l'uno stretto all'altra, in tacito accordo, presero a ripercorrere a passo svelto il ciglio della strada, sperando si raggiungere il più velocemente possibile una delle isole di luce. 

  
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