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Autore: Good Old Charlie Brown    24/07/2011    3 recensioni
Per Schroeder suonare era come raggiungere un'oasi di pace dopo un lungo cammino nel deserto, era raggiungere l'Eden in cima al monte purgatorio al quale la vita sovente ci condanna.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Noccioline in Briciole.'
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Moonlight Sonata

Moonlight Sonata.

        
Alla memoria di mio padre.


        Per Schroeder suonare era come raggiungere un'oasi di pace dopo un lungo cammino nel deserto, era raggiungere l'Eden in cima al monte purgatorio al quale la vita stessa sovente ci condanna. Lì, seduto al suo piano,  gli pareva quasi di essere in paradiso, mentre ascoltava le note del suo amato Beethoven che parevano nascere direttamente dal profondo della sua anima.  Poi, naturalmente, c'era Lucy van Pelt.  Quella ragazzina, così noiosa e petulante, che sembrava non poter fare a meno di venire ogni giorno ad ascoltarlo, disturbandolo con inutili ciance sull'amore e sul matrimonio e su chissà quali altre follie, aveva finito per divenire una parte quasi essenziale di quel rito quotidiano che era per lui la musica.
          All'inizio Lucy detestava la musica e odiava quel maledetto, stupido, piano che si frapponeva tra lei e il suo adorato Schroeder; lentamente però aveva finito per apprezzarla sempre di più: sentiva che quel piano non era un muro tra lei e il ragazzo biondo, ma il legame che in qualche modo li univa, che la musica di Schroeder era il modo in cui il giovane sapeva parlarle nel modo migliore.  Così, anche per lei, la musica era diventata un rito.  Ogni  volta che Schroeder si esercitava -e lei riusciva sempre ad udire, da casa sua, la musica di Schroeder, anche quando nè Linus nè Rerun nè sua madre sentivano nulla- usciva di casa e entrava da lui salutando la "Signora Schroeder" come lei si ostinava a chiamare la madre di lui. La donna le era ormai affezionata: l'accoglieva sempre con un sorriso, con una parola di sincero interesse per i suoi fratelli (Lucy rispondeva al sorriso con un sorriso e alle domande sui fratelli con espressioni acide), con una tazza di the; la chiamava "la piccola fan di Beethoven" e la introduceva nello studio, dove Schroeder si esercitava, richiamando l'attenzione del figlio.
        Schroeder alzava la testa, senza smettere di suonare, fissava brevemente Lucy, poi con un sospiro esasperato abbassava di nuovo lo sguardo sul pentagramma ma, dentro di sè, sorrideva: anche quel  pezzo del  rito era compiuto. Il rito, poi, continuava come una variazione su un tema fisso:  lunghi silenzi dove risuonava solo la musica, intervallati ai discorsi sconclusionati di Lucy sull'amore e sul matrimonio. Brevi risposte sarcastiche del pianista. Oppure silenzi, nei quali Schroeder parlava attraverso la musica.  Tentativi di bacio sul naso o sulla fronte e Snoopy che venivano da chissàdove. Come in un gioco a due.
       
       Anche quel giorno il rito si era ripetuto.  Eppure da subito Lucy aveva avvertito che qualcosa non andava: sentiva nell'aria un qualche cosa di sbagliato, una sorta di dissonanza che disturbava il piacere della melodia: lo avvertì nel sorriso della "signora Schroeder" che la accoglieva sempre caldo, ma ora velato da un'ombra di tristezza, lo avvertì nello sguardo incerto che Schroeder stesso le rivolse, e nel fatto che aveva chinato la testa senza il suo solito sospiro esasperato.  Camminò lentamente attraverso la stanza e si sedette nel luogo che il rito prescriveva: davanti a quel piano che li separava e insieme li univa. Schroeder, che aveva interrotto l'esecuzione alla sua entrata (un altro segno di dissonanza), attaccò il primo movimento della Suonata al chiaro di luna.  Lucy fu singolarmente colpita dalla tristezza di quella melodia, dalla malinconica nostalgia che trasudava da ogni nota. Esaurito il primo movimento, inaspettatamente Schroeder non attaccò il secondo, più veloce e meno maliconico, ma riattaccò da capo, come se volesse immergersi nel ricordo e nella malinconia.
        In quel momento Lucy capì. «Che stupida sono» pensò tra sè 
«come ho potuto dimenticarmi? Quella piaga di Linus me l'aveva pure detto proprio ieri. Oggi è l'anniversario della morte del padre di Schroeder». E, improvvisamente, Lucy si sentì un'estranea in quel luogo, sentiva di essere di troppo, di disturbare il dolore del ragazzo con la sua sola presenza. Avrebbe voluto dire qualcosa di gentile o di consolante, ma non trovava le parole: tutto gli sembrava così poco, così radicalmente insufficiente. E intanto Schroeder continuava la sua triste suonata. Lucy lo fissò negli occhi, senza ricevere in cambio uno sguardo da quegli occhi inumiditi, poi si alzò e decise di andarsene per rispettare il dolore di Schroeder.Si stava dirigendo verso la porta quando Schroeder smise di suonare.
    «Lucy!» la richiamò lui. Lei si arrestò, lasciando cadere la mano che già si dirigeva verso la maniglia della porta, e lo guardò di nuovo, questa volta ricambiata dai verdi occhi del pianista.
   
«Rimani qui. Ti prego».
    Lentamente Lucy tornò indietro e sedette nuovamente accanto al pianoforte, in silenzio perché non c’era bisogno di alcuna parola. E Schroeder attese che si fosse seduta prima di ricominciare a suonare. Attaccò di nuovo la Sonata al chiaro di luna. Ma questa volta non si arrestò al primo movimento e continuò con il breve secondo (allegretto, in forma di minuetto) per approdare infine al presto agitato in cui la tristezza del primo veniva in qualche modo ripresa, benché il presto le desse una forza molto diversa. Per tutta l’esecuzione, e persino nella prima malinconica parte, Schroeder parve come più sereno e meno triste: sorrideva, con solo un velo di mestizia a Lucy che lo fissava, silente.
    Alla fine, alzate le mani dalla tastiera, Schroeder fissò Lucy negli occhi.
    «Grazie di essere stata qui ad ascoltarmi».
    E chinatosi su di lei la baciò sulla fronte.
    Lucy arrossì di gioia e di piacere.
   
 
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