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Autore: zenzero    25/07/2011    6 recensioni
Fanfiction su "Io e Te" di Niccolò Ammaniti.
E' il 9 gennaio 2010 e Olivia Cuni si trova alla stazione di Cividale del Friuli. Ma non si sente affatto bene.
Attenzione, spoilers. Linguaggio un pò crudo.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Olivia

Il treno non arriva. E’ da mezz’ora che lo aspetto seduta sulle panchine di Cividale del Friuli.  C’è un cattivo odore, il solito puzzo delle stazioni, che mi fa rivoltare le budella.  E’ un insieme di catrame, sudore, olio di motore,  fumo di sigaretta.

Ah, mi è tornata voglia di sigarette. Frugo nelle tasche di un giubbotto che mi sta tre volte più grande ma non trovo niente.

Cazzo, le ho finite!  Non mi conviene comprarne altre, così faccio un giro per la stazione a chiederne qualcuna. C’è una coppietta a pochi metri da me, con trolley e valigie, pronti per partire. Sembrano felici. Che invidia.

Mi avvicino e chiedo al ragazzo, sembra un fumatore.

- Avete una sigaretta per caso?

Mi guardano. Anzi, si può dire che mi osservano. Anche se ormai mi sono un po’ abituata non è molto piacevole. Ma non hanno tutti  i torti. Sono in uno stato pietoso. Alta e secca come Jack Skeleton, con questo orrendo giubbotto enorme, le scarpe sporche, la pelle bianca bianca, i capelli biondi stinti. E gli occhi stanchi.

- Non fumo, - mi risponde lui senza smettere di fissarmi.

- Va bene, grazie lo stesso, - dico io con un sussurro, e mi allontano.

Sono sicura che adesso si staranno facendo un paio di discorsi su di me, ma tanto chissenefrega.

Ho bisogno di una doccia.

Dio, che schifo.

E il treno non arriva.

Comincio a sentire freddo. Freddo, freddo freddo. Mi friziono le braccia ma non passa. Quando arriva, il treno? Guardo sul tabellone elettronico e così scopro che ha un ritardo di circa ’15 minuti.

Non ci voleva.

No, non posso aspettare così tanto. Non ce la faccio.  Se rimango ancora qui mi viene l’agitazione. Anzi, Già ce l’ho. Mi stanno tremando le mani. E il mio cuore batte velocissimo ma lo sento appena dal polso.  E non passa. Anzi, più ci penso più si rafforza.

Comincio a boccheggiare. Mi manca l’aria. Non c’è un cazzo di aria in questa stazione.

Basta.

Vado in bagno.

Mi ci trascino poggiando una mano sul muro annerito. Un normale cesso di stazione. Almeno, è libero. C’è un puzzo di pipì e di odori vari che ammorba l’aria.

Faccio pipì sul bagno turco, e mi schizzo un po’ sulle gambe. Quanto li odio, i bagni turchi.

Mi appoggio al lavandino ma sollevo la testa troppo velocemente e mi sale una nausea fortissima. Tossisco. E poi rigetto  nel lavandino. Una roba bianca che credo sia il panino che ho mangiato stamattina.

Apro il rubinetto e mi pulisco bocca e faccia . L’acqua ha un sapore metallico.

 

 

Dicono che a trent’anni si dovrebbe mettere la testa a posto. Magari anche sistemarsi. Io ne ho trentatré e non ho fatto né l’una né l’altra cosa. Allora, o non è vero o sono io che non ne sono capace. Non che non ci abbia provato, certo. Ho avuto così tante storie, con così tanti uomini diversi, che ormai non le distinguo tra loro. Una vale l’altra.

Anche ora, che mi sto dirigendo dal mio fidanzato, non credo che durerà a lungo. Come con gli altri.

So che non mi dovrei far prendere da questi brutti pensieri, ma è più forte di me. L’ansia si è un poco calmata ma presto so che ritornerà. Non ce la faccio. Non so nemmeno se ce la faccia a uscire da questo schifoso cesso. Sto ancora tremando.

La mano scende istintivamente nella sacca  interna dello zaino.

La sacca dove tengo le siringhe.

No.

Mi devo controllare. Non posso ricascarci ancora una volta, nella merda più nera. Mi schiaffeggio la mano. Ma non serve a nulla. La bastarda scivola tranquilla nello zaino, tira la zip, fruga nella tasca. Le dita palpano un involucro di plastica. Dentro ci sono le mie siringhe. Dovevo buttarle ma non ne ho avuto il coraggio.

Il desiderio dentro di me cresce. Sempre di più. Pensare ad altro è inutile.

Che schifo.

Ci ricasco ancora una volta. Anche quando ormai il mio corpo non ce la fa più. M,i ricordo improvvisamente di un impegno che presi, molto tempo fa. Col mio fratellino, Lorenzo. Un sacco di tempo fa. Quanti anni saranno passati, mi chiedo mentalmente. Nove, forze dieci anni. In tutto questo tempo non l’ho mai rivisto. Ci siamo sentiti qualche volta, al telefono. Qualche lettera. Mi faccio sempre più schifo.

Dieci anni fa, quando lui era appena un moccioso, rintanato in cantina per un casino che aveva combinato, gli avevo promesso che non ci sarei più ricascata. Non mi sarei più fatta. E allora ci credevo davvero. Che ingenua, che ero.

-Mi dispiace, fratellino, - dico ad alta voce, come se fosse accanto a me, - Non ho mantenuto la promessa.

 

   
 
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