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Autore: elyxyz    26/07/2011    10 recensioni
Un giorno lontano, avrebbero raccontato ad Eloise che, aprendo gli occhi sul mondo, ella aveva visto come prima cosa Axel Vandemberg.
(…) Immerso in una quieta serenità, il principe si chinò in avanti, per annusare il profumo buono che emanava la creaturina e sfiorare con le labbra la piccola voglia a forma di petalo di rosa sulla guancia destra della neonata.
Fu come rimanere sospesi sul ciglio di un brivido.
Quella bimba sarebbe stata sua. Tutta sua. Solo sua. Non di Bryce o di Fabian, né dei suoi genitori. Solo sua.
Eloise gorgogliò in risposta ai suoi pensieri, facendogli traboccare il cuore.
Axel Vandemberg aveva appena tre anni e ancora non poteva saperlo, ma quel giorno se ne innamorò perdutamente.
«Va bene, Axel. Hai vinto tu. E’ tutta per te».
Tutta per te.

[Personaggi: Axel Vandemberg, Eloise Weiss, Margaret Carlton Weiss, Domenic Weiss]
(Prequel)
TERZA CLASSIFICATA al Contest “Rosa rosae”, indetto da Mirya – EFP Forum.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Castello di Aldenor

Sono sempre un po’ titubante quando posto in un fandom nuovo, ma è un brivido che mi piace! ^^

Spero che la fic possa essere di vostro gradimento.

 

Questa storia si è classificata terza (a parimenti con Lady Antares Degona Lenan e Ruta Yawara) al contest “Rosa rosae”, indetto sul Forum di EFP da Mirya, il cui tema era scrivere una fic sfruttando il tema delle rose a proprio piacere, ma con la dovuta rilevanza.

Nelle note finali, ulteriori spiegazioni.

 

 

<>O<>O<>

 

 

 

Ad Andrea, piccolo angelo arrivato fra noi.

Ti voglio bene, piccolo.

 

 

 

~ Folium rosae ~

 

 

 

Una mano le toccava il viso, piccola e leggera. Un profumo dolce di pelle di bambino e sapone, poi una voce femminile che parlava al termine di una risata.

 

 

Il palazzo della Reggenza di Aldenor era immerso nel pigro silenzio del tardo pomeriggio, sonnacchioso e indolente, accompagnato dal frinire delle prime, temerarie cicale che cadenzavano il passare delle ore col loro frenetico, parossistico stridio.

Un delicato venticello d’inizio estate diffondeva il pastoso profumo delle rose di maggio e gonfiava le tende immacolate del salone, vezzeggiandole con sinuose dita impalpabili, quasi che fossero state candide vele di un antico galeone a lungo trascurate da una protratta bonaccia.

Lady Margaret Carlton Weiss riposava, adagiata sul velluto cobalto di una chaise longue, appesantita dal suo dolce fardello.

Forse ella doveva essersi appisolata un istante, colta dal languore, poiché, quando riaprì gli occhi, non era più sola nella stanza: il piccolo Axel Vandemberg, secondogenito di re Jordan IV, Monarca della Nazione Sovrana di Aldenor e di Lady Jeriane Shaffer, sostava a pochi passi da lei e sembrava essere rimasto in contemplazione della sua figura dormiente con abbondanza di tempo – sebbene tale considerazione fosse un concetto relativo, data l’età dell’infante.

«Axel», lo chiamò allora, con tono materno, ed il piccino parve destarsi da un lungo e viscoso sogno ad occhi aperti da cui si era lasciato irretire.

Sussultando colpevolmente, il bambino si riebbe e nascose di scatto le manine dietro la schiena, come se fosse stato scoperto a compiere una qualche marachella degna di una punizione esemplare e tentasse tardivamente di celare le prove del misfatto.

Lady Margaret gli sorrise gioviale e lo pregò di approssimarsi a lei, benché il principino si stesse dimostrando inspiegabilmente reticente e timido, cosa che, fino a quel momento, non era mai stata nella sua precoce e testarda natura.

«Axel, tesoro, avvicinati». Gli ordinò, con gentile fermezza, esortandolo incoraggiante, corroborando l’invito con un cenno del capo.

Il piccolo Vandemberg, riottoso ad assecondarla, scosse la massa di ricci dorati che lo faceva assomigliare al più bello dei cherubini e, al contempo, al più disobbediente dei monellacci e rimase fermo dov’era, strappandole una smorfia di pacata esasperazione.

«Temi che io ti sgridi perché non dovresti essere qui?», tirò a indovinare la donna, sapendo di aver fatto centro ancor prima di terminare la frase, poiché il visetto paffuto del figlioccio era un libro aperto per lei. «Non lo farò, Axel, stai tranquillo». Precisò, rassicurante.

In tutta risposta, il bambino rilassò le braccia, che si misero a penzolare lungo i fianchi, e si avvicinò cautamente, quasi con un timore reverenziale.

«Vieni, accomodati al mio fianco». Lo invitò la nobildonna, abbassando le gambe distese sui cuscini imbottiti per fargli posto, e il principe si accoccolò vicino a lei. «A quest’ora non dovresti fare il riposino con Bryce?», s’incuriosì. «Scommetto che sei sgattaiolato via, senza che la tua balia se ne accorgesse». Ipotizzò, con semplicità.

Axel annuì di rimando, chinando la testolina e oscillando i piedini che ciondolarono sospesi oltre il bordo della poltrona.

Lady Margaret gli fece una carezza di sincero affetto, lisciandogli la zazzera bionda.

«Ti andrebbe di fare merenda con me?», propose, stimando quanto fosse vuoto quel pancino.

La proposta stupì il bambino, che nondimeno si mostrò lusingato.

«Se rimani qui per un po’, nessuno avrà da ridire». Gli chiarì la dama. «Tuttavia, è buona cosa non far preoccupare chi ti vuol bene. Mi concederesti il permesso di avvisare la tua bambinaia?», chiese, con solenne rispetto e femmineo garbo. Ed egli acconsentì.

Il tintinnio argentino di un campanello risuonò ridente tra le pareti della stanza e una cameriera comparve, solerte, ricevendo le dovute istruzioni.

Quando Margaret dedicò nuovamente la sua attenzione al piccolo ospite, si accorse che questi stava fissando con evidente interesse il suo ventre prominente, dimostrandosi, per la prima volta da che era iniziata la gravidanza, veramente incuriosito dalla faccenda.

La nobildonna non aveva mai dato molto peso alla sua indifferenza giacché, si era detta, i lattanti non erano una novità per Axel Vandemberg: il suo fratellino Bryce, il terzogenito figlio del Re di Aldenor, aveva solo un anno in meno di lui e condividevano ogni cosa da che era venuto al mondo.

Quel pomeriggio, tuttavia, sembrava che Axel si fosse dilettato in comportamenti inconsueti: la sua comparsa imprevista, la titubanza sorprendente e quella neonata curiosità per il suo grembo fiorente.

«Vorresti toccarlo?», si ritrovò a chiedere, più per gentilezza che per reale convinzione, ma inaspettatamente lo vide annuire.

«Sì».

Le sue manine scattarono senza indugio, incuranti di sgualcire gli inserti di merletto sulla veste ricamata di pregiata mussola; parvero essere rimaste in attesa di quel momento da sempre, da prima ancora di aver concepito quell’idea e forse persino quella creatura stessa.

Il contatto durò un solo istante e poi Axel squittì, spaventato e confuso, sgranando gli occhioni di cielo e strappando le ditina come se si fosse scottato.

Lady Margaret rise in risposta del suo sconvolgimento.

«Il bambino si è solamente mosso». Gli spiegò, paziente, accarezzandosi in modo rassicurante. «Senti, sta scalciando!», lo incitò, afferrandogli un polso e guidandolo verso la fonte del movimento, incurante del suo turbamento interiore.

Axel spalancò la boccuccia in una perfetta ‘O’ sdentata, prendendo l’iniziativa personale di posare anche l’altra mano, venendo gratificato in ciò da una scarica di colpetti.

«-ose». Esclamò, come se volesse comunicare con il feto dentro la pancia.

«No, tesoro». Lo corresse la donna, sorridendo, stupita dalla sua intraprendenza. «Rose è un nome bellissimo; ma se sarà una bambina, la chiameremo Eloise».

Il principino increspò le labbra, contrariato. «-ose». Ripeté, abbracciando il pancione come se fosse stato un’enorme boccia di cristallo, schioccando un sonoro bacio alla sua sommità.

 

La passione di quell’abbraccio era come il sole cocente, avvolgeva e toglieva le forze, riempiva tutto di una luce troppo intensa per poterla sopportare.

 

 

***

 

 

Lady Margaret Carlton Weiss riposava, adagiata fra le coltri del suo letto a baldacchino, stremata dalla fatica che, solo poche ore prima, l’aveva resa madre.

Ella sorrideva radiosa, col pensiero volto alla sua creatura che finalmente aveva stretto al seno e che, in quel momento, dormiva nella culla di pizzi accanto a lei.

L’aveva ammirata solamente per qualche istante, la sua Eloise, ma era certa che fosse semplicemente perfetta. La sua piccina aveva la pelle d’alabastro, così liscia e chiara da non aver eguali tra le Novem Nationes, con l’unica eccezione di una minuscola voglia, dal color rosa pallido appena un po’ più scuro del suo incarnato. La cosa bizzarra consisteva nella sua forma di petalo di rosa.

L’Archiatra Reale, ad ogni buon conto, l’aveva rassicurata garantendo che quel minimo difetto sarebbe scomparso presto da sé, ancor prima dell’incedere dell’autunno.

Ma chissà come, le parole di Axel e quel suo comportamento di due mesi addietro le tornarono alla mente come un tarlo pronto a rosicchiare la sua gioia di madre.

«Rose». Aveva detto lui, con una convinzione così tenace da sfociare quasi nel presagio.

Le leggende antiche avevano sempre sussurrato questo – tra le nebbie dei gelidi inverni accanto a focolari spenti, in refoli di respiro condensato che avviluppavano il cuore –, avevano bisbigliato di persone segnate sin dalla nascita; parlavano di Prescelti destinati a grandi cose e, al contempo, a grandi sofferenze.

Del resto, al mondo non erano mai esistite le rose senza spine.

Lady Margaret scacciò quel pensiero angoscioso, lo chiuse fuori dal petto e si fece il segno di croce.

Quello non era il tempo di lasciarsi suggestionare, era il tempo della gioia, il tempo della festa.

Un discreto bussare alla porta contribuì a distrarla ed ella concesse al visitatore il permesso d’entrare.

Il suo orgoglioso consorte fece capolino, inaspettatamente accompagnato dall’incolpevole fautore dei suoi turbamenti: il piccolo Axel Vandemberg lo tallonava, infatti, con le ditina aggrappate strette ad un lembo della sua redingote.

«L’ho scovato qua fuori». Spiegò l’uomo, mettendo una mano sulla spalla del figlioccio come a rassicurarlo. «Il principino sembrava curiosamente ansioso di conoscere la nostra primogenita!», precisò poi, dandogli una paterna spinta affinché prendesse coraggio.

Il bambino incespicò per qualche passo, impreparato; gonfiò successivamente il petto, raccattando brandelli di ardimento e precoce intraprendenza, e si diresse verso la culla, sollevandosi sulle punte dei piedini per riuscire a sbirciare il suo prezioso contenuto – la novità che aveva messo a soqquadro l’intero palazzo della Reggenza, in un andirivieni infinito di persone, quasi che il castello fosse stato un enorme formicaio calpestato.

Aggrappandosi con forza ai bordi ricamati, egli cercò di scorgere il fondo della cesta, eppure arrivò a malapena a intravedere il lenzuolino decorato prima che il suo gesto facesse oscillare il lettino sospeso, risvegliando la piccola occupante che riempì l’aria di assordanti vagiti.

Dalla sorpresa egli scattò all’indietro e per poco non sarebbe atterrato sul sederino, se la presa salda del Lord Cancelliere di Aldenor non l’avesse salvato da un penoso capitombolo.

Domenic Weiss rise del suo sconcerto, sollevandolo in aria sopra il paniere di vimini.

«Vedi com’è bella?», domandò retorico, avvicinandolo alla figlia.

Un giorno lontano, avrebbero raccontato ad Eloise che, aprendo gli occhi sul mondo, ella aveva visto come prima cosa Axel Vandemberg.

Il principino allungò le manine verso di lei, quasi che fosse stata una bambola da raccogliere e stringere a sé.

«Vuoi prenderla in braccio?», gli propose Lady Margaret, intromettendosi fra loro, scambiando uno sguardo con il marito che sottintendeva un lungo dialogo silenzioso.

«Sì». Le rispose Axel, immediatamente, senza neppure un dubbio, mentre ancora penzolava tra le braccia del migliore amico di suo padre.

«Allora vieni a sederti qui sul letto, tesoro, sarà più sicuro». Gli spiegò la puerpera, con materno buonsenso, ed il piccolo eseguì l’ordine non appena tornò coi piedini per terra, correndo ad arrampicarsi sul copriletto di eccellente fattura, sospirando soddisfatto quando riuscì nell’impresa.

Un istante dopo, il principino si era ritrovato a sorreggere un caldo fagottino, contemplando due occhietti illanguiditi dalle lacrime appena piante, gocce di sale sulle lunghe ciglia scure, come la rugiada dell’alba sulle castagne lustre che facevano capolino dai ricci, nel colorato autunno delle Nationes settentrionali che sarebbe giunto di lì a poco.

Eloise smise di piagnucolare, cullata dal suo dondolio, mentre Axel rimaneva incantato da lei, dal miracolo umano che ella rappresentava, e le sorrideva estasiato, orgoglioso ed emozionato.

«Avrai cura della mia bambina?», gli chiese Lady Margaret, ricevendo un così solenne, totale e assoluto, che solo a quell’età lo si poteva dare senza tentennare.

Lord Langemburg si unì all’idilliaco quadretto, accarezzando una spalla della moglie, vigilando su di loro come un buon capofamiglia.

Immerso in una quieta serenità, il principe si chinò in avanti, per annusare il profumo buono che emanava la creaturina e sfiorare con le labbra la piccola voglia a forma di petalo di rosa sulla guancia destra della neonata.

Fu come rimanere sospesi sul ciglio di un brivido.

Quella bimba sarebbe stata sua. Tutta sua. Solo sua. Non di Bryce o di Fabian, né dei suoi genitori. Solo sua.

Eloise gorgogliò in risposta ai suoi pensieri, facendogli traboccare il cuore.

Axel Vandemberg aveva appena tre anni e ancora non poteva saperlo, ma quel giorno se ne innamorò perdutamente.

 

 

«Va bene, Axel. Hai vinto tu. E’ tutta per te».

Tutta per te.

 

 

 

Fine

 

 

Disclaimers: I personaggi citati in questo racconto non sono miei; appartengono agli aventi diritto e, nel fruire di essi, non vi è alcuna forma di lucro da parte mia.

 

Note finali: La traduzione del titolo latino è “Petalo di rosa”.

Per scrivere questa fic, ho unito tre cose che amo profondamente: i bambini molto piccoli (meglio ancora se neonati), le storie pre-serie (sono sempre troppo poche, a prescindere dal fandom) e il concetto di profezia, di presagio. La predestinazione, poi, è un’idea che adoro, ogni tanto la uso nelle mie storie. Così mi son detta: «Se Eloise ha il potere di comunicare con esseri ultraterreni, perché non stabilire una sorta di contatto pre-nascita con l’anima che le è più affine?».

La storia è divisa in due momenti, ma rimane una one-shot, e l’inizio simile di entrambi è chiaramente voluto.

La frase d’introduzione della fic è copiata fedelmente dalla fine di pag. 24 di “Black Friars. L’Ordine della Spada”, di Virginia de Winter; la frase finale è il suo seguito diretto (inizio pag. 25) e la frase a metà racconto, prima degli asterischi di divisione, è una riproduzione di uno stralcio di pag. 374.

Vi è poi un riferimento, stavolta indiretto, di alcune righe: pagg. 146 e 325.

“Sul ciglio di un brivido” è un tributo all’omonima fanfiction di Dreamhunter.

 

L’intero bando del concorso si può leggere qui:

http://freeforumzone.leonardo.it/discussione.aspx?idd=9678600&tid=6cc5d3cd53f65453f1756580ebe66cdd108bf0ab78e3b4f4b27788270cb862e4

 

Ringrazio sentitamente Mirya, per il suo giudizio e le sue bellissime parole che – come autrice – mi hanno riempito il cuore. *O*

Ringrazio quanti leggeranno la fic, e mi congratulo con le altre partecipanti. ^^

 

 

Finirò di leggere tutte le storie della sezione al più presto, ma oggi voglio aggiornare perché è più di un mese che non posto nulla. Ç_ç

Per chi fosse interessato, ho appena inaugurato la mia prima fic anche sul fandom di Queer as Folk (USA) (non ha bisogno di presentazioni, vero?) “Fathers And Sons” e con il cap 41 di ‘The He in the She (l’Essenza dentro l’Apparenza)’ su Merlin.


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Come sempre, sono graditi commenti, consigli e critiche.


Grazie (_ _)

elyxyz

 

   
 
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