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Autore: thefung    28/07/2011    9 recensioni
Isabella Swan è una ragazza di diciassette anni a cui viene diagnosticata la leucemia. Non reagisce male alla notizia, infatti è convinta che la sua vita non abbia senso, che questa malattia sia una 'manna dal cielo', mandata per alleviare tutte le sue sofferenze terrene. All'ospedale di Phoenix incontra un ragazzo dalla bellezza sconvolgente, Edward Cullen, suo coetaneo che, nonostante le carattersitiche fisiche, rimane sempre coi piedi per terra. E' qui per assistere una sua parente in malattia e, giusto per scacciare la noia, decide di scambiare due parole con Bella. Quest'ultima, piuttosto che raccontare al ragazzo il vero motivo per cui si trova lì, inventa una scusa, nascondedogli la sua malattia.
Da quelle che sembrano poche ed insignificanti parole, nasce un'amicizia che ben presto diventa un'attrazione travolgente. Purtroppo però il loro sogno sembrerebbe irrealizzabile, perché c'è ancora qualcosa che Edward non sa e che minaccia di distruggere tutto.
Tratto dal capitolo 11: "Lo sai che dalla calligrafia di una persona si può capire come essa sia?", mormorò Edward fissando il mio foglio scarabocchiato. Mi accigliai. "Mi stai dicendo che faccio schifo?". Sorrise. "No, affatto. Sto dicendo che tu sei diversa, sei speciale."
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Bella/Edward
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
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Your Guardian Angel

*° Capitolo Quattordici: Soluzione °*

Scusate per la mia assenza, per il mio ritardo e per tutto il resto.
Questo capitolo è dedicato a tutte voi che continuate a seguirmi, nonostante io sia pessima.
Vi ringrazio e mi scuso ancora, davvero dal profondo.
 
POV BELLA
 
“Toc toc”, un mormorio divertito, seguito da un lieve colpetto sulla superficie della porta, mi fece sobbalzare, sebbene lo stessi aspettando da un pezzo.
Non avevo fatto altro che chiedermi, con un misto di irritazione, ansia e sarcasmo, quando mia madre avrebbe ceduto alla morbosa curiosità che avevo letto nei suoi occhi non appena Edward era saettato fuori dalla porta di casa, mormorando scuse e saluti indistinti. Sapevo che sarebbe salita in camera non appena avrebbe trovato un istante libero, avida di conoscere le ‘vicende sentimentali di sua figlia’. Già la immaginavo, tutta entusiasta e saltellante, finalmente alle prese con i problemi di cuore che aveva sempre desiderato, da eterna adolescente qual era.
“Avanti”, risposi rassegnata, nascondendo la testa sotto il cuscino e raggomitolandomi su me stessa, come se il solo fatto di essere coperta avesse potuto proteggermi dall’interrogatorio di Renée.
Memorizzai con nervosismo crescente ogni suo minimo movimento, ogni rumore che avvertii non appena varcò la porta della mia camera: il cigolio prodotto dalla porta spalancata con foga, i suoi passi frettolosi nel raggiungere il letto, il rumore sordo mentre si inginocchiava sul pavimento, accanto al materasso.
Rimanemmo in silenzio per un paio di minuti: probabilmente si aspettava che sarei stata io a prendere parola e a confidarmi con lei, che le avrei raccontato tutto per filo e per segno e che avrei confermato ciò che lei, da mamma veramente intuitiva, aveva immaginato e, sicuramente, sperato fosse accaduto.
“Bella?”, mi richiamò con voce carica di aspettativa.
“Mmm?”, ribattei con finta innocenza dal mio angolino, ancora speranzosa di poterla scampare.
“Cos’è successo prima, con Edward?”, eccola, la fatidica domanda.
Renée si alzò in piedi – ormai la sua sete di sapere aveva raggiunto il culmine – e scostò lenzuola e cuscino per potermi guardare in faccia.
Sospirai profondamente: d’altronde avevo sempre saputo che sarebbe dovuto succedere.
Mamma dovette cavare informazioni dalla mia bocca con le pinze, interpretare i miei grugniti e i mugolii vari, i silenzi secondo lei ‘carichi di significato’, analizzare i miei attimi di incertezza con aria da Sherlock Holmes in versione femminile e americana, ma, alla fine, sembrò soddisfatta e la sua curiosità fu messa a tacere.
“Oh, tesoro, quanto sono felice!”, esclamò con un trillo e stampandomi un forte bacio sulla guancia, incurante del fatto che, solitamente, la gente a quell’ora della notte dormisse.
“Edward è davvero un bravissimo ragazzo … così dolce, premuroso … quando vi rivedrete?”
Oh.
“N-non lo so”, balbettai, preoccupata di una qualche sua reazione isterica.
“Ma siete o non siete fidanzati?!”, domandò con un cipiglio perplesso e irritato.
“Non abbiamo avuto tempo di parlarne!”, sbottai, ormai allo stremo delle forze, “Sei spuntata fuori all’improvviso e lui è scappato via!”
Attese un attimo, in piena meditazione zen. “Questo è vero”, rifletté con le sopracciglia ancora aggrottate, “ma il bacio non dovrebbe parlare da sé? Non dovrebbe essere segno di una dichiarazione?”
A quel punto, mi alzai in piedi e, fingendomi più stanca ed esasperata di quanto in realtà fossi, spinsi mia mamma verso la soglia della mia camera. “Buona notte, mamma!”
Lei sembrò alquanto sorpresa dalla mia reazione, ma, per una volta, non ribatté e si limitò semplicemente a salutarmi con un bacio ed un sorriso.
Non appena se ne fu andata, chiusi la porta con un tonfo e corsi alla mia postazione precedente, riagganciando il lenzuolo e coprendomi fino al mento.
Fu proprio in quel momento che, al buio e con la testa finalmente sgombra, mi lasciai andare ad una risatina strana, eccitata, euforica, vera. Una risatina che nemmeno io ero capace di spiegarmi. Non avrei mai smesso di pensare a ciò che era successo quella sera, al bacio e a tutto il resto.
E non importava che non sapessi assolutamente come la situazione si sarebbe evoluta o come avrei dovuto comportarmi con Edward nei giorni a venire: in quell’istante tutto sembrava splendido, regnava quella perfezione che avevo visto soltanto nelle fiabe da bambina e che ero convinta non avrei trovato in nessun altro posto.
Fu così che mi addormentai, con le labbra tese in un sorriso e la mente lontana da qualsiasi altra cosa che non fosse lui: Edward.
 
 
* * * * * *
 
 
L’indomani mattina, non ci fu bisogno delle solite e odiate cannonate affinché mi svegliassi: bastò semplicemente il sole. I suoi raggi, infatti, quel giorno erano così caldi, forti e insistenti che riuscirono a penetrare nella stanza semplicemente attraverso le fessure delle tapparelle, donandomi un risveglio piacevole e, per la prima volta da moltissimo tempo, pacifico.
Stropicciai gli occhi con calma, giusto per godermi quel momento di pace mattutina che, ne ero certa, non si sarebbe ripetuto molto presto.
Seppure fossimo a ottobre inoltrato, il sole era sempre presente ed i suoi raggi, in quel momento, sembravano penetrare nella pelle come per iniettarvi linfa vitale con la dolcezza di una carezza.
Mi cambiai lentamente, andai in bagno e ritornai nella mia stanza per preparare lo zaino: erano tutte azioni che compivo ogni mattina, quasi meccanicamente per quanto erano divenute ripetitive e noiose, ma che quel giorno richiesero cura, dedizione, quasi; oltre ad un sorriso sulle labbra che ormai era diventato onnipresente.
Scesi le scale quasi saltellando, zaino pendente da una spalla e la mano sinistra a tracciare i contorni del corrimano in legno.
“Buongiorno”, mi rivolsi a Charlie, sprofondato nella poltrona del salotto con gli occhi chiusi, sebbene la televisione fosse accesa. Della serie, passare da un letto a un altro.
Non appena sentì la mia voce, saltò quasi in aria e spalancò le palpebre, rivelando riflessi pronti e scattanti da poliziotto, nonostante gli acciacchi dell’età.
“Oh, Bella, sei tu”, esclamò, senza preoccuparsi di non far trasparire il sollievo dalla sua voce.
Ridacchiai in risposta, dirigendomi verso la cucina.
“Ah, Bells!”, mi voltai, sentendomi chiamare ancora. L’espressione di mio padre era perplessa, le sopracciglia aggrottate a formare un’ulteriore ruga sulla fronte. “Come mai lo zaino? Oggi dobbiamo andare all’ospedale”
Aprii la bocca per replicare, ma dalle mie labbra a formare una piccola O, non uscì alcun suono. Me n’ero completamente dimenticata!
Lasciai scivolare lo zaino dal braccio, facendolo atterrare mollemente a terra. Poi, a passi pesanti e strascicati, andai a sedermi sul divano accanto a mio padre, il quale ancora mi fissava con quell’espressione di chi non sta capendo più nulla.
Sprofondai anche io tra i morbidi cuscini colorati del sofà, e tentai di seguire con occhi assenti il servizio trasmesso dalla CNN.
“Bella, qualche problema?”.
“No”, risposi scuotendo la testa per dare più enfasi alla negazione. “Mi è sembrato semplicemente strano che … me ne fossi dimenticata”
Charlie sorrise, allungando lentamente una mano verso la mia, appoggiata sul bracciolo del divano. “Stavi pensando ad altro, vero?”, domandò in una risatina leggera, forse per vendicarsi della figura fatta poco prima.
“Certo che pensava ad altro!”, s’intromise Renée con tono allegro, facendo capolino dalla cucina e salvandomi da quella situazione. “La mia bambina non pensa mai all’ospedale, perché è una cosa troppo triste. Lei sa che pensarci le farà venire le rughe prima del tempo, perciò evita.”
Scambiai uno sguardo sconvolto con mio padre, poi risi, ormai certa che nella mia famiglia non ci fosse più nessuno in grado di salvarsi dalla pazzia.
“Ehi!”, protestò Renée, offesa, poi si unì alle nostre risate, senza alcun apparente motivo.
Che bel quadretto familiare, pensai sorridente. Da bambina, avrei fatto di tutto per un momento del genere, ma col tempo mi ero rassegnata all’idea che se i miei non litigavano e non si parlavano era già un progresso. In quel momento, invece, tutto sembrava diverso, carico di un’atmosfera nuova, che non riuscivo a definire. Sapevo soltanto che mi piaceva. E tanto.
 
 
* * * * * *
 
 
“Siamo giunti ad un momento molto delicato, Isabella”, il tono del dottor Banner era solenne e serio, mentre tastava con tocco attento e gentile le chiazze nude sul mio cranio.
Renée, in piedi accanto a me, stringeva forte la mia mano, mentre i suoi occhi, spalancati e luminosi, saettavano da me al dottore come una pallina da tennis.
 “Senti mai nausea?”, domandò, sempre con quel tono distaccato e professionale.
Avevo imparato a conoscere un po’ meglio il Dottor Banner, col tempo, e avevo compreso che utilizzava quella voce soltanto quando era estremamente concentrato su qualcosa, proprio come in quel frangente.
“N-non mi sembra”, balbettai, colta alla sprovvista.
“Sì, invece, Bella.”, intervenne mia madre con aria di rimprovero. “Non ricordi che, qualche giorno fa, a cena, non hai mangiato perché sentivi male allo stomaco? E tutte quelle volte che salti la colazione?”
Gli occhi del dottore adesso erano puntati verso di me, attenti. “Sono sintomi da non sottovalutare assolutamente, questi. Entro poco tempo, infatti, diventeranno sempre più forti ed insistenti: come già sai, perderai sangue, vomiterai spesso e, come stiamo già vedendo, i capelli cadranno. Stiamo entrando nella fase più intensa della chemioterapia, perciò vi devo chiedere molta cautela.”
Il suo sguardo penetrante lasciò i miei occhi, andando ad incrociare quelli preoccupati di mia madre. “Nei primi tempi, non esitate a portarla all’ospedale, dove vi daremo indicazioni su cosa fare. Col tempo, ci prenderete anche voi la mano e non sarà più necessario portarla ogni volta fin qui”
Renée continuava ad annuire come un robot, così meccanicamente da pensare che si trattasse di un tic nervoso.
Osservai il dottore, serio e concentrato, allontanarsi per compilare i soliti moduli; e mi accorsi che qualche minuto dopo, quando ebbe sollevato nuovamente la testa, sembrava una persona completamente diversa. Il volto sorridente e pacifico, infatti, emanava una radiosità incredibile che lo faceva sembrare quasi un angelo, all’interno di quella stanza bianca.
“Bene, direi che possiamo anche terminare qui”, esclamò con tono benevolo, dandomi un lieve buffetto sulla guancia. “Sono felice che tu stia reagendo meglio alla terapia”
Per la seconda volta nella giornata, mia madre mi salvò da una situazione imbarazzante, prorompendo con una risata cristallina. “Oh, sì, pensi che ne ha una tutta sua … decisamente di un altro genere”, annunciò entusiasta, dandomi una leggera gomitata con fare cospiratorio.
Il dottor Banner sembrò illuminarsi. “Ah, capisco!”. Detto questo, fece l’occhiolino e mi accompagnò con una mano sulla spalla sino alla soglia della stanzetta bianca.
Mi lasciai trascinare in giro per l’ospedale da Renée, che ancora non aveva smesso di tenermi per mano. Sembrava così serena, quel giorno, nonostante le indicazioni del dottore non fossero state delle più allegre.
Il fattore perdita di capelli, infatti, non era un qualcosa che spaventava a morte soltanto me, ma anche lei. Forse era stupido parlarne in quel modo, visto che la caduta dei capelli era decisamente una delle conseguenze minori della leucemia; eppure, il pensiero di dover perdere un qualcosa di così determinante per tutte le donne mi terrorizzava. Avrei perso la mia femminilità? Mi avrebbero scambiato per un maschio quando camminavo per strada? E con Edward? Come avrei spiegato il mio essere diventata improvvisamente calva?
Non appena nominai mentalmente il nome di Edward, i miei pensieri presero strade completamente diverse, abbandonando quelle tristi riflessioni legate alla leucemia e passando ad altre di decisamente altro genere.
“Dici che è così evidente?”, domandai di punto in bianco, proprio mentre stavamo per imboccare l’uscita dell’ospedale.
“Cosa?”. Si fingeva confusa, lei, ma sapevo bene che aveva intuito perfettamente a cosa mi stessi riferendo.
“Dai …”, mormorai a disagio. “Parlo di Edward”
“Ah, lui!”, esclamò Renée con l’aria di chi ha scoperto l’acqua calda. “Be’ … diciamo che se chiedessi a quel vecchietto laggiù il motivo per cui stai sorridendo, non penso che arriverebbe alla conclusione che c’entra Edward, ma, agli occhi di qualcuno che ti conosce anche solo un poco, è chiaro che ti è successo qualcosa di … bello”, spiegò con un sorriso materno.
Sospirai, continuando ad osservare il traffico mattutino di Phoenix. “Prima dovevo avere l’aria parecchio depressa …”
“Nah”, ribatté ironicamente, “semplicemente esistono persone un tantino più allegre”. Mi mise un braccio attorno alle spalle, stringendomi goffamente a sé. “Per me sei una figlia meravigliosa così come sei, tesoro”
Se fossi stata una figlia modello così come mia madre mi descriveva, probabilmente l’avrei ringraziata di quel complimento e le avrei ricordato il bene che le volevo, ma purtroppo non lo ero, perciò rimasi in silenzio, imbarazzata, per diversi minuti, lasciando che la conversazione si disperdesse così, nel vuoto.
Osservai il traffico intenso e – per me – confortante di Phoenix, le luci, le persone che scorrevano veloci come sagome sullo sfondo di quella città così affollata e caotica. Neo -mamme con il passeggino o il figlioletto in braccio, signore anziane che si aggrappavano ai pali della luce a causa della mancanza di giovanotti pronti a prestare i loro servigi, uomini che passeggiavano tranquilli per la città, apparentemente senza un pensiero per la testa, donne e uomini impegnatissimi, con migliaia di scartoffie tra le mani che minacciavano di cadere da un momento all’altro … non ci si annoiava mai a guardare il via vai di tutte quelle persone.
Ci fu un qualcuno che, però, catturò la mia attenzione più degli altri. Si trattava di un uomo in smoking che parlava animatamente al telefono, una valigetta scura in una mano e, nell’altra, un sacchetto da cui traboccava un magnifico orsacchiotto di peluche con indosso un bavaglino su cui era scritto Teddy Bear.
Mi ritrovai a sorridere, osservandolo, e pensai che quella scena sarebbe stata capace di far stramazzare Edward al suolo dalle risate. “Un uomo facoltoso, un manager probabilmente, sempre alle prese con affari, viaggi e trattative che se ne va in giro con un orsacchiotto di peluche! Questo sì che è cadere in basso!”, avrebbe esclamato tra le risa, incurante del fatto che la gente avrebbe potuto sentirlo e dargli del maleducato.
Chissà cosa stava facendo, in quel momento. Così come avevo fatto così tante volte, lo immaginai nella sua scuola, alle prese con insegnanti, lezioni, test, compagni … sapevo bene che quei pensieri non portavano mai a nulla di buono, ma che, al contrario, non facevano altro che acuire le mie paranoie, già abbastanza numerose.
Eppure, mi bastava sempre sentire la sua voce per calmarmi, per far sparire almeno per un po’ tutti quei problemi che si affacciavano nella mia esistenza.
Diedi un’occhiata veloce all’orologio, colta da un lampo di ispirazione folgorante. Erano le 10.56.
Senza pensarci due volte, liquidai mia madre con qualche scusa a caso, inventando un negozio che dovevo assolutamente andare a vedere! Lei, un po’ scettica, acconsentì senza troppe domande, ma con un sorriso che mi fece temere avesse intuito qualcosa.
Camminai ancora per un paio di minuti, poi, quando fui certa che Renée fosse ormai lontana, presi il cellulare dalla tasca dei jeans e composi con dita tremanti il numero di Edward.
Era l’intervallo, cavoli, doveva rispondermi.
Dopo tre squilli a vuoto, finalmente, eccola, la sua voce, resa un po’ più roca e metallica dal telefono.
Pronto?
“Ciao”, dissi semplicemente, con il cuore in gola. Colta da quell’improvviso desiderio di sentirlo, non avevo badato molto alle precedenti preoccupazioni circa ciò che ci saremmo dovuti dire dopo il bacio.
Oh, ciao, Bella”, rispose lui immediatamente, nella voce una nota di sollievo che speravo di non essermi inventata. “Tutto bene?
“Sì, abbastanza. Oggi, giornata libera. Ho finito l’assistenza all’ospedale proprio qualche minuto fa”, dichiarai fiera, mentendo spudoratamente.
Beata te! Io sono a scuola … a proposito, mi hai beccato proprio nel momento giusto, sai? C’è l’intervallo, adesso.
Feci finta di non aver calcolato tutto, evitando di passare per una pazza maniaca. “Wow. E tu che fai?”
Io? Mmm …”, lasciò la frase in sospeso, lasciando che udissi rumori e fruscii indistinti dall’altra parte.
Attesi qualche secondo, un tempo che invece a me sembrò un’eternità. Quasi quasi mi preoccupai che mi avesse riattaccato in faccia e che non me ne fossi nemmeno accorta.
“Vedi, sono concentrato in un’operazione della massima importanza”, il suo tono vagamente ironico e cospiratorio fece alleggerire la mia ansia.
“Mmm … sono molto curiosa”
E’ un’arte, la mia. Un compito che ho imparato a svolgere sin da quando ero in fasce poiché è davvero, davvero importante per la sopravvivenza dell’umanità e, soprattutto …  per la mia!
Ridacchiai, ormai davvero interessata e colpita. “Uh, il mistero s’infittisce”
Eh, già. Sono come un vampiro, devo agire di nascosto, senza essere visto da nessuno.
“E perché?”
Perché in molti potrebbero non capire l’importanza del mio compito, potrebbero addirittura fraintendere: farmi passare per il nemico, capisci?!”, domandò con tono teatrale.
Non volevo proprio pensare alle persone che gli sarebbero passate accanto in quel momento e che l’avrebbero preso per pazzo, sentendogli dire certe scemenze.
“Deve essere un qualcosa di incredibilmente serio. Ma dimmi, di che si tratta?”, chiesi a mia volta, dando alla mia voce un fare cospiratorio, proprio come aveva fatto lui.
Non so se posso rivelartelo, Bella … tu mi tradiresti mai?
“Mai”, risposi di getto, con una sincerità che andava decisamente al di là di quel gioco scemo.
Allora posso fidarmi”, concluse sereno, “Vedi … io … io … sono un ladro di merende!”.
A quelle parole, sussurrate con un’intensità incredibile, non riuscii a fare a meno di trattenere le risate, guadagnandomi qualche occhiata confusa da parte dei passanti.
“Tu non sei affatto normale!”
Lo vedi? Lo vedi che avevo ragione?! Non posso fidarmi di te, tu sei come tutti gli altri! Non capisci quale sia l’importanza del mio compito!”, ribatté con tono – fintamente – disperato.
“Oh, no, Edward, io capisco perfettamente! Questa è la missione per la tua sopravvivenza, poco ma sicuro!”
Stai mettendo in dubbio il mio altruismo, vero? Ma tu non mi conosci, io sono un Robin Hood dell’era contemporanea, io rubo ai ricchi per dare ai poveri!
Risi ancora, sforzandomi di ritrovare il fiato per rispondere. “Oh, ma fammi indovinare: rubi gli spuntini dietetici alle cheerleader per donarli ai secchioni ed agli emarginati?”
Rubo anche cose non dietetiche, eh, ma comunque … sì, a grandi linee la missione prevedrebbe questo.”
“Edward … allora ti lascio al tuo grande compito, non vorrei mai che a causa mia qualche sfigato rimanesse senza cibo.”, attesi un attimo, prima di continuare, incerta. “Ci … vediamo”
Sì, così potrò raccontarti l’esito della mia missione. Va bene venerdì alle 16 davanti all’ospedale? Vorrei approfittarne per comprare il regalo per Jessica e ...
“E’ vero, Jessica!”, lo interruppi immediatamente, “Me n’ero completamente dimenticata!”
E mentre parlavo, il panico cominciò ad attanagliarmi. Come mi sarei comportata davanti a tutta quella gente che mi aveva sempre tratta come uno scarto della natura? Come mi sarei vestita? Che cosa avrei comprato e … i capelli!
“... E parlare con te per bene … a sei occhi
La sua frase mi spiazzò completamente, non soltanto perché mi ero persa in pensieri di tutt’altro genere, ma perché non me l’aspettavo proprio. Mi sarebbe anche venuto il batticuore, se non fosse stato per le ultime tre parole, che mi lasciarono un po’ perplessa. “Sei occhi?”, domandai attraversando di corsa la strada.
Oh, scusami! Mi ero dimenticato che i miei occhiali non erano inclusi nell’appuntamento!
“Da quando porti gli occhi?!”, esclamai a voce troppo alta.
Lui rise. “Da un po’ di tempo, vedi, la mia missione è talmente pericolosa che a volte ci rimetto perfino io stesso …
Ma ormai non lo ascoltavo quasi più. I miei occhi erano incappati in una vetrina che sembrava essere stata costruita soltanto per alleviare le mie pene terrene.
“Ci vediamo presto, Edward”, riattaccai in fretta e furia, il mio sguardo che ormai non faceva altro che rincorrere quelle parole vergate con un carattere svolazzante e azzurrino sull’entrata del negozio.
I vostri capelli non vi piacciono più? Sono troppo crespi, grassi o ispidi? Avete voglia di cambiare completamente stile senza spendere milioni dal parrucchiere?
Qui troverete la soluzione ai vostri problemi! Acquistate uno, dieci, cento dei nostri prodotti, tutti di altissima qualità, e vedrete eccome la differenza!
Senza attendere più un secondo, ricacciai il cellulare in tasca e aprii con forza la porta a vetri tappezzata di manifesti e annunci pubblicitari.
“Salve, vorrei una parrucca.”



Non avete idea di quanto mi vergogni a presentarmi qui soltanto oggi, dopo 3 mesi e 2 giorni dallo scorso aggiornamento, con ancora tantissime recensioni a cui rispondere.
Mi dispiace, mi dispiace, mi dispiace, mi dispiace.
Non so davvero come dirlo, vorrei conoscere tutte le lingue del mondo per fare almeno una bella figura, ma a parte l'italiano e qualcos'altro di antico e nuovo, so ben poco.
Potrei dirvi che ho avuto un sacco di cose da fare, ma non lo farò, perché sebbene abbia avuto gli esami e per parecchio tempo non sia stata a casa, ho avuto il tempo di stare al computer, ho provato e riprovato a scrivere questo capitolo così come altri, di storie diverse, eppure non ce l'ho mai fatta.
Tre mesi fa, finalmente sembrava che l'ispirazione fosse tornata, ma, evidentemente, mi sbagliavo.
Spero che siate disposte a perdonarmi ancora una volta, anche se non me lo merito. E, anzi, se non lo farete, sappiate che avete tutta la mia comprensione: io non so se lo farei, fossi nei vostri panni.
Nel caso scegliate di farlo, vi ringrazio davvero dal profondo del cuore, e lo fanno anche i miei Edward e Bella, nel loro piccolo.
Passando a loro, euesto capitolo è un po' di passaggio, ma serve per far capire come entrambi hanno preso la storia del bacio (non temete, Edward non se n'è affatto dimenticato!) e per sottolineare il particolare della caduta dei capelli, oltre alla fantomatica soluzione.
Se devo essere sincera, avrei voluto scrivere un capitolo molto più drammatico riguardante la caduta dei capelli, in quanto particolarmente legata a questo sintomo, ma non mi sembrava giusto rovinare l'emozione che si prova dopo un momento così romantico e dolce *.*
Prima di salutarvi e di augurarvi buone vacanze, vorrei precisare un'ultima cosa, ma non per questo meno importante. Circa tre mesi fa, ho avuto l'occasione di guardare un bellissimo film di cui in tanti mi avevano parlato bene, ma che non sapevo assolutamente di cosa trattasse: I passi dell'amore. Ecco, ne sono rimasta incantata, ma mi sono accorta che la storia somiglia davvero tantissimo a YGA!!!!!!! E vi posso giurare che io non l'avevo mai visto!!!!!! Ora, vorrei evitare di scrivere un qualcosa di identico a I passi dell'amore, ma non posso nemmeno sconvolgere del tutto la trama originaria, perché altrimenti la storia non sarebbe più la stessa! 
Detto questo ... ancora scusa, ragazze! Scusate e grazie infinite per le splendide recensioni che mi lasciate ogni volta: GRAZIE DAVVERO!!!!
Vi auguro una buonissima estate, sperando che l'ispirazione torni a farmi compagnia, e vi annuncio che purtroppo starò lontana da casa per 1 mese e, quindi, anche dal pc. =(
Ci rivediamo a settembre!!!!
Mi scuso ancora
, augurandomi di sentirvi presto tramite le recensioni di quelle sante che spero mi perdoneranno.
Un bacio grande,
Elena

   
 
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