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Autore: morgana85    29/07/2011    5 recensioni
Non aveva mai creduto molto alle profezie o a qualunque cosa si dicesse fosse in grado di prevedere il futuro. Ma in quel momento, con quello strumento magico – che aveva assunto uno strano fascino ai suoi occhi - a portata di mano, si chiese se potesse ritrovare anche ciò che era stato, invece di quello che ancora doveva venire.
Storia partecipante al secondo turno del Contest a squadre Storytelling indetto da Fabi Fabi
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Blaise Zabini, Pansy Parkinson
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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Titolo: Lucciola
Personaggi: Pansy Parkinson, Blaise Zabini
Avvertimenti: One-shot
Genere: Generale, malinconico
Rating: Verde

Introduzione: Non aveva mai creduto molto alle profezie o a qualunque cosa si dicesse fosse in grado di prevedere il futuro. Ma in quel momento, con quello strumento magico – che aveva assunto uno strano fascino ai suoi occhi - a portata di mano, si chiese se potesse ritrovare anche ciò che era stato, invece di quello che ancora doveva venire.

NdA: il pacchetto scelto dalla mia squadra – le Viperteeth Peruviane – è stato:
 
Staff only
Parole:  pozione, poltrona, camino, punizione, risata   
Pairing canon: Remus Lupin/Ninfadora Tonks
Personaggio impopolare: Dolores Umbridge
Pairing Crack: Sibilla Cooman/Alastor Moody 1 punto extra
Immaginehttp://m0thyyku.deviantart.com/art/divination-114621463?q=boost%3Apopular%20in%3Aphotography%2Fabstract&qo=171
Citazione:  Adoro gli scandali che riguardano gli altri, ma quelli che riguardano me non m'interessano. Non hanno il fascino della novità. O. Wilde, il ritratto di Dorian Gray
Luogo:  Hogwarts
Incantesimo:  Alohomora
Genere/avvertimento: lime
 
Quello che è sottolineato, sono gli elementi che sono stati utilizzati nella mia storia ^^
In qualunque modo vada, è stata un’altra piccola sfida emozionante, soprattutto con il fatto di riuscire ad utilizzare più elementi possibile! XD
 
 
 
 
 

~Lucciola                                                 

I miei sogni sono lucciole, perle di un animo ardente.                                                   
Nelle tenebre calme della notte lampeggiano                                                   
in frammenti di luce.                                                  
 
-- Rabindranath Tagore -                                                  
 
 
 

Da quanto tempo era sdraiata su quel letto? Minuti, ore, giorni? Non avrebbe saputo dirlo con certezza.
Ogni cosa intorno a lei aveva contorni vaghi e sfocati, facendo somigliare tutto ad un insieme di forme e colori di un sogno ormai giunto al termine.
Quasi per istinto, strinse le dita della mano sinistra, cercando si afferrare qualcosa. Quando si accorse che il suo pugno non racchiudeva altro che aria corrugò la fronte infastidita, voltando il viso in quella direzione.
Strano, ricordava di avere una bottiglia di ottimo whisky con sé. Possibile che fosse scivolata sul pavimento senza che se ne rendesse conto? Assottigliò lo sguardo, spingendolo un po’ più lontano, incontrando la sagoma affusolata della bottiglia poco più in là, appoggiata sul comodino. Qualcuno doveva essere entrato nella sua stanza, o doveva averla accompagnata, ma non aveva memoria nemmeno di quello.
Con uno sforzo si sollevò a sedere, prendendosi il capo tra le mani e appoggiando i gomiti sulle gambe incrociate. Quanto avrebbe dovuto aspettare, prima che il mondo smettesse di ondeggiare davanti ai suoi occhi? Prese un profondo respiro prima di provare a sollevare una palpebra, poi l’altra.
La luce intensa del tramonto, incredibilmente limpida in quella giornata di primavera inoltrata, le ferì gli occhi e risvegliò il mal di testa. Si, aveva bisogno di una doccia per schiarirsi le idee. E di una pozione di Madama Chips, o di qualunque altra diavoleria in grado di restituirle la capacità mentale di formare anche un solo pensiero coerente. Ma soprattutto di una doccia.
L’acqua tiepida e scrosciante – le ricordava la pioggia, che adorava – fu un vero toccasana. Avvertiva il torpore abbandonare il suo corpo, in maniera lenta ma costante, insieme alle infinite gocce cristalline che le scorrevano sulla pelle. La sensazione di aver preso nuovamente il controllo di sé la fece sospirare di sollievo.
Cercò a tastoni l’accappatoio – che profumava ancora di lui, di quella notte forse lontana una vita – e se lo strinse attorno al corpo, quasi in cerca di calore. Gettò una rapida occhiata allo specchio, ma ciò che vide la infastidì a tal punto da costringerla a distogliere lo sguardo. Le ombre violacee sotto gli occhi e il colorito pallido e sciupato del viso erano una prova fin troppo evidente della sua momentanea debolezza.
Si asciugò velocemente, infilandosi la vestaglia di seta e tornando in camera per cercare qualcosa da indossare. Non appena aprì l’anta del grande armadio di legno scuro – uno dei privilegi che riservava la carica di Caposcuola, una camera tutta per lei – qualcosa ne uscì rotolando, finendole dritta su un piede. Imprecò ad alta voce, massaggiandosi le dita e rivolgendo un’occhiata infuocata al colpevole del misfatto.
La sua sfera di cristallo, quella che Daphne le aveva regalato solo qualche mese prima per il suo compleanno.
Un sorriso amaro le increspò le labbra, mentre scostava i capelli ancora umidi dal viso e sbuffava sonoramente prima di abbassarsi per raccoglierla.
 
‹‹Da quando Divinazione è entrata a far parte delle materie degne della tua attenzione, Daphne?›› domandò, il tono di voce incredibilmente ironico, mentre abbandonava i libri sul basso tavolino poco distante e si accomodava sulla sua poltrona preferita – quella che tutti chiamavano il trono della Duchessa -, proprio di fronte alla sua compagna di Casa.
‹‹Credevo che ormai mi conoscessi, mia cara Pansy. Adoro gli scandali che riguardano gli altri. E questa›› indicò con un breve cenno la sfera che stringeva tra le mani, lucida e trasparente ‹‹è una delle fonti più attendibili che una strega possa desiderare››.
Osservò incuriosita per qualche istante gli strani giochi di luce che il fuoco nel camino proiettava su quella superficie così liscia, rimanendone ammaliata.
‹‹Non credi di esagerare?›› scosse il capo, senza riuscire a trattenere una risata. ‹‹In fondo, si tratta solo di qualche stupido pettegolezzo. Hai pensato alla possibilità che qualcuno possa fare lo stesso con te?››.

‹‹Oh, poco male. Gli scandali che riguardano me non mi interessano. Non hanno il fascino della novità››. La risata di Daphne, allegra e incantevole, si unì alla sua. ‹‹Avanti, fammi vedere cosa sei in grado di fare››.
‹‹Dubiti della mia abilità? Attenta a ciò che chiedi, potrebbe non essere ciò che speri››. La vide sporgersi verso di lei. ‹‹Sei pronta?››. Si allungò per prenderle una mano, posandola poi sulla sfera. ‹‹Ora chiudi gli occhi e concentrati››.
Obbedì, ma non senza prima rivolgerle un’occhiata decisamente scettica. Fece come le era stato detto, canalizzando le sue energie su un unico pensiero.
‹‹Guarda guarda, interessante››. Spalancò gli occhi non appena la voce di Daphne si insinuò nel silenzio ovattato che l’aveva accolta senza che quasi se ne accorgesse.
‹‹Qualche rivelazione illuminante?›› era inutile, proprio non riusciva a soffocare l’ironia nella sua voce. ‹‹Mi hai vista salire al trono d’Inghilterra?››
‹‹Molto spiritosa›› ribatté scocciata Daphne, facendo una smorfia. ‹‹Vedo un anello. Un gioiello splendido››. La vide socchiudere gli occhi, come se stesse cercando di guardare oltre una fitta cortina di nebbia. ‹‹Sembra antico e molto prezioso, uno di quei cimeli di famiglia che si tramandano da generazioni››. Il sorriso sornione che le incurvò le labbra la fece quasi preoccupare. ‹‹Potrebbe essere il tuo anello di fidanzamento. E a regalartelo potrebbe essere proprio il tuo adorato Malfoy››.
‹‹Oh, smettila!›› le tirò uno dei cuscini di velluto a cui era appoggiata, stemperando tra le risate quel momento che le aveva fatto tremare il cuore.
 
La previsione di Daphne non si era allontanata poi molto dalla realtà. Quello che aveva intravisto tra i fumi del futuro – o del Destino – si era rivelato davvero un anello di fidanzamento. Ed era realmente uno dei cimeli più belli della casata dei Malfoy. Peccato che la persona a cui era destinato decisamente non era lei, ma la graziosa secondogenita Greengrass.
Quando la piccola e timida Astoria glielo aveva mostrato, le guance arrossate per l’emozione, aveva dovuto deglutire più volte per lottare contro la secchezza che le aveva improvvisamente impastato la bocca. ‹‹Sono davvero felice per te, Astoria›› aveva soffiato infine, incolpando la forte emicrania che la tormentava dal mattino per la sua mancanza di entusiasmo e allontanandosi in tutta fretta.
Si sedette sul letto, la sfera ancora tra le mani. La teneva delicatamente, le dita che la sfioravano appena per paura di romperla con un gesto troppo irruente, quasi fosse una grande e fragile bolla di sapone.
La sollevò all’altezza del viso, trattenendo il respiro. Su quella superficie senza colore vi era il riflesso del mondo intero. Notò il chiarore che irradiava dalla finestra, dove un turbinio di nuvole sembrava agitarsi al vento; vide le tende del suo baldacchino e le mura della stanza. Trovò persino la sua immagine, distorta dalla rotondità della sfera, e l’ombra delle sue mani che la sorreggevano.
Non aveva mai creduto molto alle profezie o a qualunque cosa si dicesse fosse in grado di prevedere il futuro. Ma in quel momento, con quello strumento magico - che aveva assunto uno strano fascino ai suoi occhi - a portata di mano, si chiese se potesse ritrovare anche ciò che era stato, invece di quello che ancora doveva venire. Si morse il labbro inferiore, nervosa. Non era sicura di come si facesse, non l’aveva mai usata prima. Avrebbe seguito l’istinto e le sue capacità di strega.
Prese un profondo respiro, lasciando che le palpebre calassero lentamente e abbandonando ogni pensiero, permettendo all’immagine di Draco – il suo profumo, la sua voce, il calore della sua pelle – di materializzarsi nel buio della sua mente.
Poi, senza preavviso, riaprì gli occhi puntandoli sulla sfera, dove un vapore azzurrino aveva preso a vorticare, con la stessa cadenza delle onde del mare d’inverno.
All’inizio non vi furono immagini né colori, solo il riverbero di una risata, che le giunse alle orecchie da molto lontano. Tremò. L’avrebbe riconosciuta tra mille. Non perché avesse qualcosa di speciale – era leggermente roca, quasi graffiante -, ma per il semplice fatto che l’aveva sentita così poche volte nella sua vita, da risultare per lei indimenticabile. La prima volta aveva solo sette anni ma, nonostante la giovane età e l’innocenza dei pensieri, aveva compreso che quel suono, in un modo o nell’altro, l’avrebbe sempre ricondotta a quel bambino – poi ragazzo e quasi uomo – dai capelli biondi e gli occhi grigi come fumo.
Scosse la testa, sbuffando e cercando di allontanare quel ricordo, qualcosa che non credeva le appartenesse in maniera così profonda e sconvolgente.
Quasi seguendo i suoi movimenti, la nebbiolina all’interno della sfera ondeggiò e vorticò, per poi affievolirsi fino a dissolversi. Comparve solo buio, sfumato di bagliori cremisi e oro, tipici di un camino in cui ardevano fiamme calde. Tra le ombre e gli arabeschi di luce presero forma due corpi, tranquillamente intrecciati sotto un leggero lenzuolo.
Non riuscì ad intravedere i loro volti, ma non le fu necessario. Aveva un ricordo fin troppo nitido di quella notte. La prima che aveva passato con Draco.
La prima delle sue illusioni.
Quando avvertì gli occhi farsi umidi di lacrime che mai avrebbe versato – troppo orgogliosa, troppo codarda– rafforzò la presa sulla sfera, in un moto di stizza.
Ancora vapore argenteo e un’altra immagine. Quello che vide non aveva niente di familiare, o che le ricordasse una situazione già vissuta. Vi era un semplice puntino intermittente, di uno strano verde acceso, luminescente contro il cielo screziato di blu e viola del crepuscolo.
Una lucciola. Una piccola e normalissima lucciola.
Ricordò come le amasse da bambina, quando si nascondeva di sera nel giardino di casa sua per guardare quegli strani esserini, che lei aveva sempre considerato fate.
Finché non aveva compreso che le fate avevano un aspetto ben diverso, e a volte molto meno grazioso.
‹‹La nostra bella addormentata ha finalmente deciso di tornare nel mondo reale››.
Quella voce – profonda e maschile, vellutata – la colse di sorpresa, facendola sobbalzare. La sfera le scivolò dalle dita, rotolando sulle lenzuola e cadendo per terra con un tonfo sordo. ‹‹Tu invece devi aver dimenticato la buona educazione, mio caro damerino tutto galateo. Non credo di averti  sentito bussare, prima di entrare››.
Sentì la sua risatina avvicinarsi insieme al suono secco dei suoi passi, che si fermarono proprio accanto al letto.
Cercò di ignorarlo, fissando insistentemente le lenzuola stropicciate e immaginando quale scusa avrebbe potuto inventare per giustificare il suo comportamento. Con un sospiro rassegnato si rese conto che nessuna sarebbe stata sufficientemente plausibile, non con Blaise.
‹‹Non mi aspettavo certo un’accoglienza calorosa›› un altro sogghigno, con una strana sfumatura amara ‹‹ma quantomeno un grazie per averti salvata dal vagabondare per i corridoi di Hogwarts, sola e semi cosciente››.
‹‹Bene, ti ringrazio dal profondo del cuore›› sibilò tra i denti, irritata. La voce risuonò falsa persino alle sue orecchie. ‹‹Ora puoi anche andare››.
‹‹Commovente, davvero. E io che ho perso tempo a preoccuparmi per te››.
‹‹Zabini, ti prego, il mal di testa che mi ritrovo è una punizione più che sufficiente, senza che tu sprechi le tue preziose parole per farmi la paternale. Quindi sei pregato di alzare i tacchi e permettere alle mie orecchie di assaporare un po’ di sano silenzio››.
‹‹Tieni›› allungò una mano verso di lei, ignorando le sue proteste.
Alzò gli occhi al cielo, sbuffando per l’ennesima volta, per poi osservare ciò che le stava porgendo. Una piccola fiala piena di un liquido denso e dal poco rassicurante color giallo marcio. ‹‹Non crederai davvero che io beva quella roba›› si scostò con una smorfia, scuotendo il capo.
‹‹L’effetto è garantito››.
Lo guardò sconsolata, sapendo che era più testardo di lei e che non se ne sarebbe andato finché non avesse ingurgitato quella strana sostanza. Prese l’ampolla di malavoglia, tappandosi il naso e bevendo tutto d’un fiato il suo contenuto. Rabbrividì, aveva un sapore amaro e leggermente acido. ‹‹Mi auguro sia davvero così, o ne pagherai le conseguenze››. Si lasciò cadere sul letto, portando un braccio a coprirsi gli occhi, cercando di non pensare a niente. Quasi si dimenticò della presenza di Blaise, finché non avvertì il materasso piegarsi sotto un nuovo peso e un calore diverso dai raggi del sole sfiorarle la pelle.
‹‹Cos’altro vuoi adesso?››. Nascose dietro il tono duro della voce il tremore che le percorse il corpo quando le dita del ragazzo – lunghe e forti, dalla presa sicura - si chiusero attorno al suo polso, scostando il braccio per poterla guardare in viso.
‹‹La mia è mera curiosità ma… si può sapere cosa ci facevi con questa?››. Le mostrò la sfera, ora nuovamente trasparente, priva di ogni incanto. ‹‹Non mi risulta tu sia un’assidua frequentatrice delle lezioni della Cooman››.
‹‹E’ un regalo di Daphne›› si giustificò lei, strappandogliela dalle mani con un gesto rapido e imprevisto, che la portò ad un soffio dalle sue labbra. ‹‹In ogni caso, non sono affari che ti riguardano››.
‹‹Non si può tornare indietro Pansy››. Le sollevò il viso, posandole due dita sotto il mento e cercando il suo sguardo. Da quanto tempo non erano così vicini?
‹‹Di certo non puoi vivere di ricordi e rimpianti. Non ti resta altro da fare che guardare avanti››.
Per un attimo, un solo istante che concesse a sé stessa, permise a quegli occhi scuri – notte e nuvole e ombre – di cullare il suo dolore. Vi era una strana tranquillità in quegli abissi senza fine, sfumata di malinconia e con qualcosa di caldo – affetto, forse amore – che li rendeva liquidi e affascinanti. Soffocò il respiro per respingere le lacrime, mentre allungava una mano per sfiorargli il volto, in una carezza lieve come vento. ‹‹Fa male››.
‹‹Lo so››.
‹‹Rimarrà per sempre?›› risuonò come la domanda di una bambina curiosa.
‹‹Si››. Il suo respiro fresco, dal sapore di tabacco e menta, le scivolò sulla guancia, giù fino alla bocca. ‹‹Ma domani sarà un po’ meno intenso. E così anche il giorno dopo, e quello dopo ancora. Finché non rimarrà qualcosa di fievole e nascosto››.
Il sorriso triste che gli incurvò le labbra le fece provare l’improvvisa voglia di abbracciarlo, di avvertire il suo corpo caldo e vibrante contro il proprio. Cercò di trattenersi, limitandosi ad abbandonare la fronte contro la sua spalla, le braccia adagiate in grembo e il capo leggermente voltato verso la finestra ancora aperta. Lì, proprio in quel punto, il suo profumo era più intenso e inebriante. Bosco e pioggia. Prese un profondo respiro, scoprendo quanto in realtà le piacesse quella fragranza, che la faceva sentire in pace con il mondo e con sé stessa.
Un bagliore, poco più che un breve lampo, attirò la sua attenzione.
Una lucciola.
Sentì il cuore perdere un battito.
Contro il cielo adornato dai colori meravigliosi del crepuscolo, una piccola lucciola sembrava galleggiare nell’aria, come un piccolo granello di polvere di stelle.
La stessa che aveva visto nella sfera.
‹‹Guarda››. Avvertì il sorriso nella voce di Blaise, mentre gliela indicava. ‹‹Una lucciola. Non ne avevo mai viste, qui ad Hogwarts››. Descriveva strani disegni nell’aria, quasi stesse tracciando parole che solo loro erano in grado di comprendere. Lentamente si avvicinò, finché il ragazzo non riuscì a prenderla. ‹‹Esprimi un desiderio›› le sussurrò piano all’orecchio.
‹‹Resti con me?››. Non solo stanotte, avrebbe voluto aggiungere. Ma non lo fece, rimanendo in silenzio e pregando che lui riuscisse a comprende senza bisogno di parole. Come sempre, del resto. Lui era l’unico che ci riusciva, con lei.
‹‹Non ti ha mai detto nessuno che i desideri non si devono esprimere ad alta voce? Altrimenti non si avverano››. Gli occhi sorridevano insieme alle sue labbra, e trovò incredibilmente bello quel sorriso.
Abbassò lo sguardo, avvertendo le proprie dita intrecciarsi a quelle di Blaise, in una stretta decisa e confortante, ma non invadente. Sorrise anche lei per quell’inaspettata dolcezza, che la pervase di un delizioso languore. ‹‹Resti con me?›› domandò ancora, guardandolo negli occhi, senza più nessun indugio.
‹‹Si››.

  
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