Crossover
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Autore: Nekoi    29/07/2011    0 recensioni
"[...] Ne aveva viste eccome, vipere mangiauomini dal viso angelico e dal cuore crudele, incapaci di amare e desiderose solo di spolpargli le ossa, e aveva accuratamente evitato di averci a che fare. [...]" Cosa succede quando un Capitano perde la bussola e a riportargliela è un'adorabile sirena con i capelli rossi e l'espressione curiosa? Crossover tra "Pirati dei Caraibi" e "la Sirenetta" :3 spero vi piaccia.
Genere: Comico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Film
Note: Cross-over, Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno
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1. Bussola

Tutto cominciò con una bussola.
Era un piccolo oggetto dall’aspetto piuttosto malconcio, che non mostrava d’avere un valore particolare, e scivolava lentamente verso il fondo sabbioso, lasciando dietro di sé una sottile scia di bollicine. Per i pesci, le alghe e tutte le forme di vita che galleggiavano nell’oceano, quello era un evento totalmente insignificante, tranne che per qualcuno. Qualcuno con lunghi capelli rossi che trovò in quel pezzo di legno marcio un autentico tesoro e, tenendolo stretto in petto, si allontanò a energici colpi di pinna, dritta in superficie.

 

*

«Maledizione!» tuonò una voce roca, impregnata di rhum e tabacco, facendo a gara col rumore delle onde per vedere chi sferrava il colpo più rumoroso «Fottuta maledizione!» aggiunse, rincarando la dose, prima di esibirsi in grugniti prolungati misti a borbottii e altre maledizioni sparse «Fottutissima maledizione, Capitano!» aggiunse una seconda voce, appartenente ad un uomo barbuto e piuttosto rotondo, che se ne stava appollaiato dentro una cima arrotolata. Gibbs, questo era il suo nome, si teneva il mento barbuto fra le mani e rimaneva ad osservare con scarso interesse la figura del proprio capitano che andava avanti ed indietro sul ponte, con la schiena incurvata ed un’andatura degna di un ubriaco; Jack Sparrow, dal canto suo, continuava a bestemmiare ogni santo possibile e a imprecare contro qualunque cosa venisse a contatto con i suoi stivali.
«Fottutissimo ponte! Fottutissima cima! Fottutissimo pappagallo del fottutissimo marinaio Cotton!» quel turpiloquio sembrava l’unica cosa fosse in grado di dire al momento, e doveva comunque costargli una certa difficoltà, visto che teneva i denti così stretti da rendere le vocali incomprensibili.
«Fottutissimo pappagallo!» gli fece eco dal basso Gibbs, prima di alzarsi mollemente in piedi e mettergli una mano sulla spalla, in una sorta di gesto comprensivo e rassicurante tipico degli uomini virili «Suvvia Capitano, una donna è una donna, in fondo ragionano con l’utero e…» non fece tempo a finire la frase che due occhietti neri circondati da kajal gli si puntarono in faccia con aria minacciosa. Deglutì rumorosamente, prendendo ad accarezzarsi la barba con fare pensieroso «Oh beh..allora…beh, se è per il rhum, faremo rifornimento, l’ho detto a Cotton di non esagerare…» ma dopo la seconda occhiataccia, Gibbs capì che forse era meglio rimanere accucciato nella cima e non fiatare più di tanto.
«E’ la bussola Gibbs. Quella dannata bestiaccia…» disse Jack, indicando la scimmia gracchiante dell’ex Capitan Barbossa, che rimaneva appollaiata sull’albero maestro mostrando i denti a tutti «…l’ha scaraventata in mare» aggiunse, lanciando un’occhiata prima all’acqua scura, poi alla scimmia e iniziando a saltellare sul posto, con versi ed espressioni grottesce dirette all’animale. «MALEDETTA BESTIA!» gridò infine, accucciandosi vicino a Gibbs con aria stravolta.
«Dunque siamo…» iniziò a dire il Primo Ufficiale, fermandosi un attimo a riflettere, per poi affermare con tono perplesso «…dove siamo?»
«Non lo so» sospirò Jack, allungando la mano verso una fortuita bottiglia mezza piena, attaccandovisi con la stessa dedizione con cui un poppante si attacca al seno materno «…ma di certo, siamo nella merda.»
Mentre snocciolava quest’affermazione in tono solenne, il sole andava tuffandosi nel mare caraibico, specchiandosi in mille sfumature d’arancione e verde; tanta poesia sprecata, quando ci son di mezzo pirati, rhum e scimmie incarognite.

*

Quel che Jack Sparrow ignorava, era che la sua bussola era nelle mani più sicure di tutti i sette mari, nelle mani di una sirena dai capelli rossi e dalle squame color smeraldo che ora nuotava a tutta birra verso un pezzo di scoglio nel mezzo del nulla, riconoscibile fra mille per essere l’unico nel raggio di chilometri ad avere un albero maestro su cui, per giunta, stava pigramente appollaiato un gabbiano dall’aria tonta. Quando vide quella testolina rossa spuntare dalla spuma marina, seguita da un pesce giallo, per poco non gli prese un infarto: aprendo le ali andò incastrandosi in un lembo di vela, ruzzolando malamente giù dall’albero e finendo per avere un tetè-à-tetè- con la pietra umida. La sirenetta rise, appoggiando entrambi i gomiti sullo scoglio «Oh, Scuttle, possibile che ti succeda ogni volta?» chiese, prima di depositare una borsa davanti a sé, con un rumore ovattato «Non crederai mai a quello che ti ho portato!»
«Oh, ma che cosh’è? » fece in tempo a chiedere il pennuto prima di ficcarci dentro la testa, prendendo a scavare con le penne irsute, prima di estrarre una bussola dall’aspetto malconcio «Oooooh! » esclamò, guadagnandosi un’occhiata perplessa da parte del pesce che, raggiunta la ragazza, se ne stava col muso di fuori ad osservare la scena «Ma queshto è un rariiiiisshimo eshemplare di vattelapesca! Gli essheri umani lo ushano per…per…» e arricciò il becco, per quanto un pennuto possa avere un’espressione, facendo come per schioccare le piume «…lo regalano alla pershona amata! » e se ne uscì con questa frase gettata a casaccio, snocciolandola come la più illuminante tra le verità. Sulle labbra della sirenetta andò allargandosi un sorriso allegro, mentre le veniva restituito il tesoro «Alla persona amata?! Ma cosa…significa? Sugli altri che ho trovato la freccia girava…» domandò poi perplessa, porgendo di nuovo l’oggetto al pennuto-barra-saggio-improvvisato, il quale si grattò le penne del cranio per trovarle una risposta sensata «…beh ecco, shi muove quando trovi la pershona amata! » e asserì a quest’affermazione con sicurezza, incrociando le ali.
«Ariel, mi pare una cosa assurda! » borbottò il pesce giallo, dando qualche colpo di pinna per richiamare l’attenzone della sirena, che ora stava contemplando l’oggetto con occhi sognanti «Dai andiamo, altrimenti…» ma non fece in tempo a finire, che gli occhioni blu dell’amica si spalancarono, mentre un’espressione allarmata si faceva largo sulla sua faccia «La cena! È già il tramonto…oh povera me! Se ritardo ancora questa volta dovrò andare a lezione da Sebastian per un mese intero! » e, con gesti rapidi, infilò tutto nella borsa, rituffandosi in acqua ed urlando un «Grazie Scuttle! » ad un metidabondo pennuto in contemplazione di un amo da pesca.

A nulla le valsero le folli corse tra coralli e alghe, visto che ad aspettarla sulla soglia del palazzo di Atlantica c’era una sorella maggiore molto irritata, affiancata da un granchio altrettanto irritato e da un padre che , non era certamente il ritratto della felicità.
«Sei in ritardo Ariel…» annunciò in tono grave, scuotendo poi la testa canuta «…possibile che non arrivi nemmeno puntuale per il compleanno di tua sorella Adella? » la sorella citata, piena di anemoni nei capelli, la guardava torva da dietro le spalle del padre «Mi hai rovinato la festa» sibilò, gli occhi ridotti a due fessure e la postura severa le davano molti più anni di quanti ne avesse compiuti quel giorno.
«Mi dispiace – la voce della sirenetta era colma di sincero dispiacere- ma ero a cercare il regalo e…» ma a nulla servì, dal momento che Adella le girò le spalle, scivolando silenziosamente dentro il palazzo senza rivolgerle la parola. Tritone la guardò sconsolato «Santo Cielo Ariel, cosa c’è che non va? Possibile che non riesca a capire nemmeno cosa sia importante per gli altri...? » e scosse la testa, lanciando uno sguardo a Sebastian, il compositore di corte, che gli galleggiava a fianco «Sua maestà ha perfettamente ragione! Sai quanto tua sorella ci tenesse a…» ma non fece in tempo a finire la frase che Ariel assunse un’espressione imbronciata ed esplose, urlando in tono acuto «Non combino mai niente di buono vero?! » prima di estrarre una conchiglia variopinta dalla borsa e gettarla ai piedi -ops, pinne- del padre e poi schizzare via, seguita dal pesce giallo. Il Re sospirò tristemente «…non ho idea di cosa passi per la testa a queste sirene…» ammise, rientrando mesto nel palazzo e passandosi una mano tra i capelli «…credi che dovrei seguirla e parlarle? » domandò poi al granchio che lo seguiva «Maestà, bisogna imporsi! » affermò sicuro, scuotendo la testolina rossa «La famiglia è la cosa più importante» aggiunse. Ma l’unica risposta che uscì dalle labbra di Tritone fu una serie di sospiri sconsolati, che si dispersero fra le mura del palazzo.
Flounder inizialmente faticò a stare dietro alla sirenetta e, quando finalmente le si affiancò, ne capì ben presto il motivo: dai begli occhi blu di Ariel stavano colando grossi goccioloni che andavano mischiandosi all’acqua salata, e che lei faceva una fatica pazzesca a trattenere, come evidenziato dalle labbra contratte. Il pesce sentì una fitta fino alla punta delle pinne «Coraggio…»  le disse, quando finalmente si fermarono davanti alla grande lastra di pietra che segnava l’accesso alla Caverna, l’unico posto dove Ariel potesse portare i suoi oggetti senza il rischio che venissero inceneriti dal Tridente del padre e una sorta di nascondiglio, in cui potevano essere liberi dall’assillante presenza del compositore-babysitter. La sirenetta non disse ancora nulla, limitandosi a liberare l’ingresso e a sgusciare dentro in silenzio, per poi accovacciarsi sul fondo sabbioso, rimirando il bottino giornaliero tra le mani; era stanca di litigare, stanca di dover passare le ore a lezione di canto quando avrebbe potuto esplorare i fondali e i relitti che questi ospitavano, accontentarsi di sognare quello che non avrebbe mai potuto essere. Non era come le sue sorelle, cui bastava l’Oceano per sentirsi appagate, sognava quella libertà che può nascere solo dalla scelta a lei negata: sarebbe stata una sirena per sempre, senza poter nemmeno provare ad essere qualcosa di diverso. E a quanto pare non era nemmeno buona come sirena, visto le continue lamentele e i rimproveri che le spettavano quotidianamente da parte di tutta la famiglia, granchio compreso; tenendo la bussola tra le mani, iniziò a fantasticare su come poteva essere quella libertà cui tanto anelava, mentre sfiorava dolcemente il quadrante coi polpastrelli.
E fu allora che qualcosa di straordinario accadde: quella freccia, che sembrava inchiodata in quella posizione, iniziò a ruotare furiosamente attorno al proprio perno diverse volte, dapprima fissandosi su una tacca del quadrante nord est e lì rimanere qualche secondo, per poi continuare a spostarsi con estrema lentezza. Per Ariel la sorpresa fu tale che rischiò quasi di farla cadere «Flounder! » gridò, spaventando il pesce dopo una mezz’ora buona di silenzio, per poi piazzargli la bussola davanti al naso «Si è mossa! La freccia si è mossa! » affermò in tono vivace, non aspettando nemmeno la risposta dell’amico per schizzare verso l’apertura della grotta e sgusciare fuori in preda all’entusiasmo, seguendo la direzione indicatale dalla bussola.


*

Ormai, a bordo della Perla Nera, le imprecazioni del Capitano erano finite in fondo alla seconda bottiglia di Rhum ed il russare dei suoi marinai strisciava attraverso le assi di legno del ponte, arrivando alle sue orecchie ovattato e lontano, come se provenisse da un’altra dimensione. Strinse gli occhi, per poi allargarli e cercare di mettere a fuoco qualcosa giusto per testare che la sua vista funzionasse ancora, decidendo poi di alzare le chiappe da quella cima umida in cui, per altro, Gibbs aveva trovato un comodo giaciglio, prendendo a russargli nell’orecchio come una segheria. Ci vollero ben più di tre passi per permettergli di assumere quell’andatura da ubriaco che, in lui, equivaleva alla normale postura da sobrio e portarlo ad appoggiarsi alle sartie «Chissà dove accidenti è finita... » mormorò, lanciando uno sguardo alle acque nere dell’oceano, che andavano inghiottendo anche la più flebile luce lunare. Non sapeva se dirsi preoccupato o meno: in passato, ogni qual volta la bussola veniva persa o sottratta, gli tornava sempre indietro, e questo bastava a rassicurarlo appena. Ma ora, senza niente di spettacolare da cercare, senza che qualcuno lo cercasse per ammazzarlo o per imprigionarlo –cosa assai rara-, la bussola era solo un gingillo rotto in cerca di padrone e difficilmente sarebbe tornata indietro da sola; forse, per una volta, Jack Sparrow avrebbe dovuto accantonare l’aria da intrepido figlio di buona donna e diventare preda dell’ansia, come tutti gli uomini normali. Anche perché senza quella bussola non sapeva minimamente che direzione prendere, non desiderando almeno coscientemente- nulla in particolare; tutti questi pensieri, in realtà molto più arzigogolati nel suo piccolo cranio, lo stavano facendo uscire pazzo. Per questo, quando sentì un tonfo e vide una delle cime tese traballare, diede la colpa al vento, senza nemmeno curarsi del pappagallo di Cotton che aveva iniziato ad agitarsi come un pazzo scriteriato e a svolazzare a lato della nave, almeno finchè questo non gli sbattè contro la faccia. «Ma che diavolo…!» urlò, mentre il cappello cadeva sul legno del ponte con un levigato ‘plop’ e veniva subito afferrato da una mano, candida e affusolata, per poi scomparire del tutto. Jack iniziò a guardarsi attorno decisamente perplesso, avanzando tentoni nel buio e osservandosi attorno con fare sospetto «Maledetto spirito! » urlò poi, tendendo le mani avanti e facendo come per catturare qualcosa a lui invisibile, sbracciando come un ossesso «Guarda che non temo né te né il demonio che ti ha mandato qui per prendermi eh! »
Dal canto suo, lo ‘spirito’ se ne stava seduta a lato di una delle feritoie per i cannoni con la bussola in una mano ed il cappello nell’altra ad osservare quel bizzarro personaggio cercare di scacciare le mosche: i suoi occhi azzurri ne osservavano le movenze con avidità, non perdendosi un solo traballamento delle ginocchia o smorfia del viso, e tanta era la curiosità che finì per sporgersi oltre il bordo della feritoia, ficcandosi il tricorno malconcio sulla testolina rossa e appoggiando i palmi aperti sul legno del pontile, dimentica di una delle regole fondamentali di Atlantica “non farsi vedere dagli esseri umani”.

Fu un attimo: un movimento brusco del bucaniere che lo portò a girarsi di scatto e a cadere sul suo piratesco didietro, il rosso acceso dei capelli della sirena che ne catturò l’attenzione, gli occhi azzurri di lei e quelli nocciola di lui che si fusero in un solo sguardo e mischiarono in questo le proprie emozioni. Ariel arretrò appena, lasciando andare la bussola all’istante, proprio nel momento in cui la freccia di questa si puntava dritta sullo strambo umano, e rimase lì immobile, senza sapere cosa diamine fare.
Sparrow, dal canto suo, stava lì con le chiappe ben ancorate al legno umido e marcio, totalmente rimbecillito dall’alcol e dalla bellezza straordinaria di quell’esserino che aveva ancora il proprio cappello in testa, osservandola come se non avesse mai visto una sirena in vita sua. Ne aveva viste eccome, vipere mangiauomini dal viso angelico e dal cuore crudele, incapaci di amare e desiderose solo di spolpargli le ossa, e aveva accuratamente evitato di averci a che fare.
Ma quando il blu di quegli occhi gli invase il cervello, gli sembrò che le proprie membra avessero la stessa identica consistenza del corpo molliccio delle meduse, mentre il cuore per la prima volta gli battè così forte da ricordargli di averne uno.
Anziché alzarsi, come avrebbe fatto una persona normale, si girò sulla pancia e iniziò a sgomitare verso la sirena con fare assolutamente ridicolo «Buonasera» disse poi, allargando un sorriso sghembo e mimando il gesto di togliersi il cappello, dal momento che non poteva realizzarlo concretamente. Ariel lo fissò a lungo, in silenzio, le labbra arricciate in un’espressione particolarmente curiosa: era diverso, dagli altri esseri umani che aveva avuto modo di osservare, aveva un’odore molto simile al suo. Mare e vento, mischiati a qualcosa di acidulo che non riusciva ad identificare.
«Buoonaaseera» ripetè il bucaniere, mentre lei stava allungando le braccia sul pontile e assumendo la sua stessa identica posizione, guardandolo dal basso «Tu puoi…insomma…comprendi?» farfugliò poi, ottenendo in cambio un sorriso, terrificantemente dolce «Certo.» la voce della sirena aveva un che di delizioso, come se tutti i campanellini d’argento del mondo risuonassero insieme nella più grande botte di Rhum della storia.  Jack deglutì.
«Potresti ridarmelo…?» chiese, indicandole il tricorno troppo largo per la sua testa minuta «…è prezioso» aggiunse, dandosi un tono particolarmente serio.
Ariel portò entrambe le mani al cappello, afferrandolo con delicatezza per poi porgerglielo «E’ molto bello. Cos’è?» chiese con aria curiosa, afferrandosi il viso tra le mani, gomiti fissi sul legno «Stai dicendo di non aver mai visto un cappello in vita tua?» domandò esterrefatto il bucaniere, prima che lo scintillare verdastro delle squame della sua coda lo riportassero alla realtà, ricordandogli chi era la sua interlocutrice. Si rizzò a sedere istantaneamente, stringendo il cappello come fosse un orsacchiotto «Aspetta, momento, qui le domande devo proprio farle io. Come diamine hai fatto ad arrivare qui?» strizzò gli occhi in sua direzione, in quello sguardo fintamente minaccioso che avrebbe – a suo avviso- dovuto metterle paura. «Ho seguito il vattelapesca!» disse Ariel indicando la bussola che, da centro principale dei pensieri del Capitano, ora giaceva abbandonata sul pontile, piccola e malconcia. «La freccia si è mossa e vuol dire che…che avrebbe indicato…» ma non riuscì a finire la frase: le iridi azzurre si incastrarono irreparabilmente in quello sguardo torvo e reso scuro dal trucco scadente, mentre le labbra riuscirono appena a farfugliare ancora qualche suono, prima di rimanere semiaperte a mezz’aria. Un rossore acceso andò chiazzandole le gote.
Jack tossì appena, lanciando lo sguardo verso la bussola e, dopo il sollievo iniziale per il suo ritrovamento, tornando a fissare la sirena «…questo è bizzarro.» asserì, schiacciandosi il tricorno in testa e prendendo ad accarezzarli la barba imperlinata «…vedì cherì, quella è una bussola che…».
«Bussola!» esclamò Ariel entusiasta, ora che sapeva il nome di quell’oggetto «…a cosa serve?! Le altre si muovevano, cioè la riga in mezzo si muoveva, questa invece era…ferma…» e lo inondò di domande, tanto che al bucaniere per un attimo girò la testa. Iniziò a sbracciare, cercando di zittirla con mille «sssht!» per poi appoggiarle le mani sulle spalle nude con rassegnazione «No. No, cherì calmati, sveglierai tutto l’equipaggio e non sono certo uomini onorevoli come il sottoscritto. Comprendi?»
La ragazza annuì, zittendosi all’istante «Dunque…» riprese Jack, schiarendosi la voce «…anzitutto, zuccherino, non è che hai un nome? Cioè, giusto per sapere…»
«Ariel» rispose questa, chinando il capo di lato, un’espressione piuttosto perplessa in viso «Tu?» domandò poi, con una vocina semplicemente adorabile, tanto che il pomposo Capitan Jack Sparrow per un attimo si dimenticò tutta la pappardella imparata in anni e anni di presentazioni ad amici e nemici «Sparck. Cioè Jackow. Cioè Capitano Sparrack…cioè…ehm» deglutì, prendendo un lungo respiro e ripetendosi mentalmente “namio-renge-kyo” – di cui non sapeva esattamente il significato, ma i musi gialli gli avevano assicurato fosse ottimo per rilassarsi-  per poi ripetere «Jack. Chiamami Jack.»

«Jack.»

Ripeté il nome cautamente, come se stesse usando la voce per la prima volta. Ed il bucaniere non potè fare a meno di notare quanto quella voce fosse dolce e piacevole.
«Jack.» ripetè ancora, per poi annuire sfoderando un gran sorriso, mostrando dei denti incredibilmente bianchi «Jack!» disse ancora, come per essere assolutamente sicura di aver capito «Sì, siamo tutti qui.» rispose lui con espressione sorniona, prendendo a giocherellare con le due treccine di barba, arricciandole come se fossero i boccoli di una ragazzina «Ariel» aggiunse poi, dando un lieve colpo di tosse.
Rimasero a fissarsi -entrambi con le labbra tirate fino alle orecchie- per almeno dieci minuti buoni; gli sguardi giusti non hanno bisogno di parole. Finchè poi Jack ruppe il silenzio con un borbottìo, temporeggiando in attesa di avere le parole giuste sulla lingua «…tu…» iniziò, lanciando lo sguardo al cielo, per poi mettersi in posizione supina a fissare le stelle «…beh, insomma, tu non hai paura di salire così, sulle barche che vanno a zonzo?».
La sirena mugolò «Talvolta. Però solo così riesco ad osservare gli umani»
«Perché ti piacciamo tanto? Insomma, siamo rozzi, puzziamo e ammazziamo tutti i tuoi fratelli»
«Fratelli?» domandò lei, perplessa, prima di sdraiarsi supina con la coda penzoloni «I pesci» disse il bucaniere, grattandosi con gusto il naso «…insomma, che ci trovi di bello in noi?»
Ci fu un lungo attimo di silenzio. Poi, con voce titubante, Ariel riprese a parlare «Voi potete sentire il sole sulla vostra pelle. Vedere l’orizzonte, spostarvi, ballare. Il vostro mondo non ha confini e siete…liberi. Liberi di scegliere chi diventare, cosa fare, voi…voi siete liberi» anche un ubriaco avrebbe potuto leggere quella vena di malinconia che permeava la voce della sirenetta. E alla parola “libertà” i sensi del bucaniere iniziarono a fremere «Libertà…per te cos’è la libertà, Ariel? »
«Avere la possibilità di scegliere…» affermò sicura, girando il busto così da potersi nuovamente appoggiare al pavimento di legno con i gomiti, tornando a guardare la figura del pirata «…è per te cos’è la libertà, Jack?».
Come lei, anche l’uomo non ebbe alcuna esitazione a rispondere «La Perla Nera» fu la serafica risposta che fece arricciare interrogativamente le labbra della sirenetta «Cos’è…la perla nera?».
«Questa» disse Jack, battendo il pugno tre volte sul ponte «…è la Perla Nera. Legno marcio, per lo più, con una ciurma di canaglie ubriache e vele nere. Ma è libertà. La Perla Nera accarezza le onde per portarti all’orizzonte…oltre ogni immaginazione. Comprendi? In luoghi che non avresti mai potuto nemmeno sognare. Luoghi oltre la comprensione.» non si accorse, il buon bucaniere, del tono che andava assumendo la sua voce: sognante, poetico, sembrava quasi il tono di un ragazzino che si trovava a dover descrivere la fanciulla amata. Un primo amore, quello per la Perla, che permeava da ogni singola parola di Jack, centellinata a dovere, per poi giungere alle orecchie di un essere melanconico e tutto sospiri, che l’osservava rapita «Mi sembra di poter vedere la libertà» rispose solamente la sirena, socchiudendo appena gli occhi azzurri, snocciolando un delizioso sorriso dalle labbra rosee. Lo sguardo del pirata, che nel frattempo si era messo nella stessa posizione della sirenetta, gomiti sul legno e pancia a terra, fu attratto da quelle labbra come se fossero il polo magnetico dell’intero universo: le fissava quasi imbambolato, le iridi color nocciola fisse su quella curva adorabile e, al contempo, invitante. Sentiva baffi e barba fremere fino al bulbo pilifero, una sensazione che dava i brividi e un tremendo fastidio al contempo; se fosse stata una donna qualunque non ci sarebbe stato il minimo problema, insomma, uno sguardo languido ed una voce suadente funzionano sempre. Ma con Ariel era come se fosse regredito di mille anni, a quando era solamente un embrione di bucaniere nemmeno buono per spazzare il ponte: i suoi sorrisi lo inebetivano e avrebbe dato qualunque cosa per annegare nell’azzurro dei suoi occhi.
E la sirenetta continuava a sorridere.
Da qualche parte, sotto alle gote arrossate, tra le clavicole appena sporgenti, sentiva pulsare il proprio piccolo cuore (una parte del suo corpo decisamente umana) con una ferocia inaudita. Non si sarebbe sorpresa nel vederlo balzare fuori dal petto e correre verso il bucaniere, verso il suo odore di sale e terra e vento. Chiuse gli occhi, protendendo il viso verso di lui ed allargando appena le narici: quel sentore, forte e quasi acre, in cui si mischiavano tutti gli odori del mondo che lei adorava. La pelle che emanava il profumo del sole, l’odore di legno che si sprigionava dai vestiti, tutto aveva un sapore tremendo di malinconia; quando Ariel riaprì gli occhi, aveva in viso un’espressione triste, ed il sorriso che la seguì fu vano «Non hai idea di quanto sia profonda la mia invidia» disse poi, a bassa voce, stendendosi prona sul pontile. Jack la fissò perplesso «Non hai nulla da invidiarmi» rispose, allungando una mano verso il suo viso così da sistemarle una ciocca, sfuggita dalla presa dell’orecchio. Il gesto fu così lento e struggente che gli fu davvero difficile riuscire controllare la mano, evitando che scivolasse sulla sua pelle deliziosa «Voglio dire, tu hai a disposizione il sole e l’oceano» asserì con un sorriso «…puoi nuotare in spazi sconfinati…».
«Ma non posso vedere meraviglie. Sono intrappolata nella vita di palazzo e l’unica cosa che posso fare è raccogliere oggetti…esplorare relitti di velieri incauti…» disse Ariel, con un sospiro «…tu vedi le meraviglie…tu…raggiungi l’orizzonte. Io…non potrò mai» le sue labbra, Dio, le sue labbra! Com’era difficile riuscire a resistere al loro muoversi lento, doversi trattenere dall’afferrare quel viso delizioso e di baciare quella bocca che sapeva d’oceano! Ma non poteva, e se lo ripeteva mentalmente quel dannato bucaniere, non poteva, non poteva. E lei era lì, con occhi lucidi e gote arrossate, e non poteva fare altro se non struggersi su quella linea rosa che si incurvava in mille sorrisi.

 «Vieni con me…»

Un sussurro che uscì quasi inconsapevolmente dalle labbra di Jack, che ora guardava la sirenetta con gli occhi più melanconici del mondo, ne divorava gli zigomi con quell’aria da cucciolo ferito che avrebbe mosso pietà in chiunque. Ariel arricciò le labbra, tirando un lunghissimo sospiro, la stessa malinconia galleggiava nei suoi occhi blu «Lo vorrei tanto…» rispose, sfoderando il più triste dei sorrisi «…ma non posso seguirti. Non ho…» e fece una pausa, mettendosi lentamente a sedere e lasciando che lo sguardo andasse a spostarsi su quelle maledette squame, facendo un cenno piuttosto eloquente con la pinna. Il bucaniere non disse nulla, limitandosi ad osservare quel verde smeraldo riflettere la luce della luna, continuando a guardarla negli occhi. Seguì un lungo silenzio che nessuno dei due osava spezzare: la sirenetta rimaneva quasi ripiegata su sé stessa, a contemplare melanconicamente le sue pinne, mentre il pirata si era girato sulla schiena a guardare le nuvole sporcare la luna e non c’era nulla che, in quel momento, potesse far sentire entrambi meglio.

Lo starnazzare del pappagallo di Cotton li riportò entrambi alla realtà.
Entrambi trasalirono, girando rapidamente gli occhi verso la fonte di quel casino, e nei cinque minuti che seguirono ci furono diversi scambi di sguardi, prima che il rumore di passi proveniente da sottocoperta indicasse che qualcun altro, oltre a loro, era sveglio e impaziente di salire sul ponte.
Ariel fece per scivolare lungo il lato della nave, decisa a tornare in acqua, ed il bucaniere fece appena in tempo ad afferrarla per un polso «Ti prego, dimmi che tornerai» le chiese, implorante, la voce poco più di un sussurro ed uno sguardo da spezzare il più duro dei cuori. La sirena rimase in silenzio per qualche attimo, donandogli un’ultimo assaggio di quegli occhi d’oceano «Ci proverò…» rispose, prima che la presa di Jack si allentasse e le permettesse di scivolare giù dalle cime e di venire ingoiata dalle onde cupe.
«Nessun addio» si ripetè il bucaniere, tornando a coricarsi sul ponte, le mani che cercavano a tentoni una bottiglia di rhum con la speranza che allieviasse quella tremenda sensazione di vuoto che andava crescendo dentro al suo petto «Tornerà…» sussurrò, iniziando a buttare giù sorsi forsennati, svuotando la bottiglia in pochi attimi.
«Tornerà…» ripetè per l’ultima volta, addormentandosi sul legno marcio.
  
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