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Autore: RoSyBlAcK    30/03/2006    7 recensioni
Sono passati anni dalla sconfitta di Voldemort, ma certe ferite non si rimarginano. Soprattutto se hai una figlia di 11 anni, nascondi un terribile segreto, e hai perso i contatti con le persone più importanti della tua vita. Ma Hermione Granger e Ginny Weasley sono donne forti, e troveranno le risorse per sopravvivere, crescere e trovare quello che cercano, in un modo o nell'altro.

La mia prima e più grande sfida letteraria in campo di fanfiction, e richiede la vostra supervisione :P
Genere: Triste, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Ginny Weasley, Harry Potter, Hermione Granger, Ron Weasley | Coppie: Harry/Ginny, Ron/Hermione
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Molti, moltissimi, hanno letto questa ficc

Molti, moltissimi, hanno letto questa ficc. E molti, moltissimi, l’hanno definita di una tristezza immensa. Ebbene sì, è quello che volevo fare quando l’ho iniziata, quello che ancora voglio fare ora, che non ho ancora finito di scriverla. Perché secondo me dopo tutto quello che successe a Harry, Ron ed Hermione, dopo la guerra contro Voldemort…come potevano le loro vite tornare normali?

Ma c’è un altro fatto… una frase che mi disse una volta mia madre in un brutto momento della nostra vita: “dopo la tempesta viene sempre il bel tempo”… non dimenticate questa frase mentre leggete le mie parole, e magari piangerete un po’ meno. Spero di avervi incuriositi e non di avervi incoraggiato ad andarvene dalla mia fiction… se non è così, buona lettura!!

Grazie in anticipo per le recensioni!!

Un bacionee!!

SOLO MOMENTI

Capitolo 1

Vorrei dimenticare

Ginevra apre i suoi grossi occhi azzurri nella piccola stanza flebilmente illuminata dal pallido sole invernale. Si alza e si avva alla finestra. la spinge, e la luce bagna tutte le superfici della camera. Una leggera brezza di mare le scompiglia i capelli rossi, e lei resta li, immobile, lasciandosi accarezzare da quel freddo vento salmastro che trasporta il lontano ruggito dell’oceano.

Per qualche breve istante, il peso che le opprime i polmoni pare quietarsi, finchè la radiosveglia non parte con il suo insistente chiacchiericcio.

-buon giorno! È il 4 febbraio 2006…- già, 2006. la specchiera nell’angolo le restituisce un’immagine che Ginevra tenta disperatamente di ignorare: l’immagine di una donna triste e sola. Una donna di ormai quasi trent’anni. I lunghi capelli rossi le ricadeno sulle spalle magre, il viso pallido e i grossi occhi pieni di rancore. Chiude la finestra e si sfila la leggera camicia da notte, per poi entrare nuda in bagno e immergersi nella calda acqua della doccia. Il silenzio che ricopre tutto quanto la circondi, è insieme confortante ed immensamente angosciante.

Non c’è più nulla nella sua vita che valga la pena essere vissuto. Si insapona con cura le pieghe bianche delle gambe e della pancia, massaggiandosi la pelle piena di piccoli brividi, tentando di non sentire la solitudine che le attenaglia lo stomaco, e l’ansia che le riempe il cuore. Cos’aveva sbagliato? Lei lo sa. Ginevra Weasley, aveva sbagliato tutto. appoggia la fronte al muro bagnato, mentre l’acqua le appiccica i capelli alle guance e alla fronte come durante una piovuta copiosa… la piovuta copiosa di tanto tempo prima… Ginevra vorrebbe non possedere più il ricordo di quel giorno, eppure lui è li, immobile nella sua mente come se fosse l’unico degno di essere trattenuto dalla sua memoria.

esce dalla doccia, si avvolge nell’accappatoio, e si lava i denti accuratamente. Ha quasi un ora prima di iniziare a lavorare.

Prende a pettinarsi con calma, fissando lo spettro di quella che una volta era stata una ragazza piena di vita e di voglia di ridere. Le labbra a forma di cuore pargono ora un palloncino sgonfiato, le guance incave danno al suo piccolo naso una piega malinconica. Si infila un paio di jeans e una maglietta troppo larga. Si spruzza del profumo e lascia perdere il trucco. Infondo non le importa di piacere a nessuno.

Caccia nella tracolla i soldi e il cellulare, i-pod e l’agenda, l’ombrello e un paio di guantini rosa. Si infila le scarpe da ginnastica e un maglione.

Esce, chiudendo la porta del piccola appartemento alle sue spalle.

Si ferma all’edicola e prende il giornale, poi, come ogni mattina nelle ultime mattine degli ultimi anni, si siede con una tazza di caffè su una panchina sulla scogliera. Si apre il giornale sulle gambe e lo fissa, con sguardo vuoto, consapevole che nemmeno quel giorno, aprirà la Gazzetta del Profeta. Si limita a guardare l’attuale ministro sorridere dall’interno della sua cornice, sventolando la rugosa mano avanti e indietro, senza leggere nemmeno una parola.

Sono anni che non supera la prima immagine.

Da quando quell’immagine aveva mostrato ai suoi grossi occhi chiari, il corpo inerme dell’unico al mondo che era stato in grado di essere amato da lei. Continua a guardare il lento scorrere di quelle troppe, inutili parole. Il mondo si era fermato dentro di lei. Nulla, appartenteva più al suo controllo. Si chiede quanto tempo è che non sorride, che non ride magari.

Il mare sotto di lei da un isterico guizzo, e lei perde il proprio sguardo lungo l’orizzonte. vorrebbe poter tornare indietro, idietro, più indietro. Eppure sa, che quello che era stato è inrevocabile, come l’imperterrito scorrere della marea sotto il suo vigile cospetto.

La donna si lega una folta chioma riccia in una coda alta e morbida, che permette a qualche ricciolo ribelle di scivolare lungo il suo collo intrappolato in una sciarpa nera. Si chiude la camicia bianca sul piccolo seno irrigidito dal freddo e si infila una gonna nera che lasciava scoperte le cosce magre e scurite dalla collant. Prende a truccarsi con cura il viso pallido, le labbra di un rosso mattone, le palpebre scure, la matita nera, a delineare la lontana dolcezza vellutata delle sue ciglia lunghe intorno ai solari occhi nocciola, ora incupiti dal tono livido delle piccole occhiaie. Prende il profumo dal ripiano e se lo spruzza sul collo, sui polsi, piano, con calma, con cura, come sempre. certe cose non cambieranno mai. Prende la borsa e vi sbircia dentro, facendo mente locale di tutto cio che le serve. E c’è. Prende sotto braccio il libro che sta leggendo. Lo proseguirà in autobus. Entra furtiva nella stanza accanto, ovattata dal pallido buio della mattina. Scosta un poco le tende, in modo che qualche timido raggio di sole possa illuminare le pareti rosa di quella piccola camera. Si siede sul letto vicino alla scrivania e sposta un poco il piumone. Un ciuffo di lunghi capelli rosso ramato si liberano sul cuscino bianco, e la donna reprime il solito piccolo fremito. E poi eccola, la fronte candida, il piccolo naso, la bocca dai contorni leggeri, le orecchie dalla morbida curva, le minuscole mani così lisce e soffici, le spalle minute, il cipiglio ironico di quella bambina che conosce così bene. sua figlia.

-Lilian… ehi tesoro…

e i suoi grossi occhi nocciola, così uguali ai suoi eppure così diversamente innocenti, si spalancano, le sue ciglia vibrano, il suo sorriso si apre come un piccolo sipario, le sue manine si tendono verso di lei, la chiamano, con dolcezza.

-mamma…

e la giovane Hermione sorride, fiera di quell’unico e magro dono che la vita le ha fatto, di quell’ultimo motivo di essere allegra, di svegliarsi ogni mattina, di vivere giorno dopo giorno, di quell’ultimo granello di speranza e felicità che le resta.

-ciao tesoro.

-buongiorno.

Le accarezza le guance piene e le bacia il collo morbido di notte.

-allora Lil, pronta per andare a scuola?

-naaa!- ride lei, nascondendo il viso sotto il piumone e scappando verso il fondo del letto.

-ehi, patatina, guarda che non mi sfuggi!- Hermione si butta dietro di lei, attenta a non spiegazzare la gonna. Le afferra i piedi e se la tira in grembo, solleticandole la pancia piatta. 10 anni. Che splendida età, se non fosse… per quello stupido undicesimo compleanno in arrivo. Una morsa nello stomaco le fa stringere il suo piccolo corpo con un po’ più di forza.

-ma’, che hai?

-niente, dai, vestiti.

-mi porti a scuola?

-e certo, che, ci vuoi andare da sola?

Lei scuote i capelli ramati che luccicano nella fioca penombra, salta in piedi e si infila un paio di jeans. Hermione la guarda sorridendo. Cosa ne sarà di me quando arriverà quel terribile compleanno? Credevo che non avresti mai compiuto 11 anni, tesoro mio. E invece… guarda la finestra. le nuvole si stanno scostando dal sole, cercando di fargli scaldare i tetti di Londra.

Potrebberero essersi dimenticati di te, Lilian? La guarda, tutta impegnata a farsi bella. Magari, di te… ma di me? a questo pensiero sorrise. che presuntuosa… eppure… come possono aver scordato? Ma Hermione sa che sarebbe giusto così. La gente deve imparare a dimenticare, altrimenti… ma lei non ci è riuscita. Come può anche solo pensare di potere? Dopo tutto quello che ha dato… dopo tutto quello che ha perso…

-mamma mi presti qualcosa?

Hermione ride.

-vieni!- la prende in braccio e la butta sul proprio letto perfettamente rifatto. Apre l’armadio e prende una sciarpa rosa che ha comprato ma mai usato… troppo colorata… cosa le servono i colori? Non c’è niente di colorato in lei… tranne Lily, ed è Lily che deve metterli. Gliela lega al collo sottile e le bacia il naso.

-bellissima. Dai, fila a fare colazione!

Ridendo, la bambina si fionda lungo il corridoio verso la piccola cucina.

Hermione la raggiunge più piano e le versa una tazza di cereali. Deve parlargliene? No. non le crederebbe. Deve vederselo davanti… guarda il suo bel sorriso. Sempre allegra, ironica, spontanea, mai timida, divertente e divertita, un’amica meravigliosa… come gli assomigli bambina mia. Le accarezza la guancia calda e liscia.

-mamma! Basta!

-scusa tesoro.

Un breve ma pieno silenzio, di quelli che si posano nel momento più giusto, che si rivela il più immensamente sbagliato.

-pensi a papà?

Hermione sorride. –lo sai che cerco sempre di evitare.

-parlamene mamma. Ti prego.

Si morde le labbra. –stasera, magari.

-andiamo al ristorante?

-prendiamo una pizza se ti va.

Lilian annuisce contenta.

-okay.

Hermione beve il suo caffè amaro. Sorride. Ci vuole così poco per te, piccola mia, a non pensare a lui… per me è così dura. Vorrei poterti parlare di lui così com’era, con tutte le sue bellissime caratteristiche e i suoi adorabili difetti… vorrei poterti donare i miei ricordi. così saresti fiera di lui, e mi toglieresti lo stupido strazio di ricordare io stessa, giorno dopo giorno, cio che mi ha dato e poi dolorosamente tolto.

-dimmi almeno il suo nome, mamma.

Hermione si mette una mano sul viso, accarezzandosi le guance.

-che te ne fai del suo nome, tesoro?

-quello che te ne fai tu. Posso pensarci. Così lo sentirò più vicino.

-ma lui non c’è, non pensare a lui, dimentichiamolo.

-l’ho dimenticato per dieci anni della mia vita… e adesso sono grande.

-tesoro mio…

-mamma. Ti prego. Come regalo di compleanno, dimmi il suo nome.

Sospira. L’aveva detto nella sua mente tante volte, eppure ad alta voce sa che avrebbe fatto tutt’altro effetto. Quante volte l’aveva chiamato…e lui si girava a guardarla, le sorrideva, e poi le urlava contro, e lei anche, e poi a fare pace, per gioco… urlato, sussurrato, detto piano, velocemente, per intero, scherzando, sul serio, piangendo, ridendo, per sgridarlo o fargli un complimento… ma era pur sempre il suo nome… la cosa più preziosa che la sua mente straziata ha….

-si chiamava Ronald Weasley. Ron Weasley.

-dove adesso, mamma?

Lei strizza gli occhi. Un lampo di luce rossa. Un dolore lancinante all’altezza del petto, e l’urlo lontano di lui… e al suo risveglio… tutto cio era era stato, era svanito. Lui era svanito, senza una meta, se n’era andato, lontano, dove lei non poteva raggiungerlo. In un posto dove lei non sa di poterlo cercare…

-non lo so tesoro.

-…come?

-vatti a lavare i denti. Dobbiamo andare con i mezzi, lo sai. L’auto si è rotta di nuovo.

Lilian annuisce e sparisce in corridoio, lasciando intatta la propria colazione sul tavolo. Hermione si appoggia al lavello. Ron… di tutto cio che mi avevi promesso… l’unica minuscola cosa che volevo mantenessi, perché ci sei dovuto sfuggire così? Il nostro amore. Perché non potevi restare per lui? e ancora guarda fuori dalla finestra.

Dove sei adesso, mio pazzo, passionale, dolce, ironico, arrabbiato, innamorato… dove sei Ron?

  
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