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Autore: claws    01/08/2011    5 recensioni
«Posso perdonare tutto quello che è successo da quando scelsi te come madrepatria, solo perché sono un eroe. Ma gli eroi non dimenticano.»
La Battaglia di Yorktown. E tutte le promesse, la rabbia, la voglia di libertà che divisero per sempre l'Inghilterra dalla sua colonia.
[≈2900 parole]
[Quarta classificata a pari merito al contest "Una storia per una canzone", indetto da Parsifal]
Genere: Guerra, Malinconico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: America/Alfred F. Jones, Inghilterra/Arthur Kirkland
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Storie della Storia' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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Note Autrice:

{EDIT: inserito il banner di Hiko a fine storia}

In teoria non dovrei avere la connessione Internet, in realtà sono troppo esaltata e l'ho fregata momentaneamente - quindi non so quando potrò rispondere, mi spiace!

Perdonate se le note sono prima della storia, ma dovrei puntualizzare alcuni dettagli.

Nel titolo, «Blood's Revolution», quel «Blood», ossia «sangue» in italiano, vuol essere inteso come nel modo di dire «sangue del mio sangue».

Lo sgualembro è una tecnica di combattimento con la spada che consiste in un colpo di taglio diagonale, dalla spalla al fianco opposta, eseguito dall’alto verso il basso.

La «red coat» è la giubba rossa utilizzata da un corpo militare degli inglesi, chiamato per questo le giubbe rosse: erano soldati molto disciplinati, si diceva fossero i meglio addestrati d'Europa. E non utilizzavano stivali, o perlomeno non quelli da pirata, come accade nella storia.

Al tempo della Rivoluzione Americana, la composizione della bandiera degli Stati Uniti era la stessa di oggi, con l'eccezione di tredici stelle su sfondo blu invece di cinquanta - a simboleggiare le tredici colonie americane che si ribellarono.

Il Leone è uno dei più celebri simboli del Regno Unito. Qui, con una licenza poetica, ho ¨spostato¨ il simbolo direttamente su Arthur, nominandolo Leone d'Inghilterra, il che mi sembrava troppo epico perché non venisse pronunciato - lo stesso vale per America e per l'Aquila.

Francia non è presente con le truppe di terra, perchè ho preferito immaginarlo nelle battaglie marittime tra Francia e Inghilterra.

Questa storia è arrivata quarta al contest «Una storia per una canzone» indetto da Parsifal - la canzone che ho scelto è stata «Blood», di Papa Roach.

Non so come esprimere la mia esaltazione per un risultato del genere, ma in casa avranno pensato che sia il caso di ricoverarmi da uno psichiatra in gamba. Se potessi piangerei di gioia, ma dato che sono di stampo Arthuriano, non piango.

Inoltre Hiko ha creato un banner che è una meraviglia, appena capirò come inserirlo lo metterò. Insomma, non saprei come ringraziarle. *commossa*

Mi sono divertita tanto a scrivere questa storia, benché l'argomento non sia uno dei più allegri. Scrivere di Arthur e Alfred è sempre molto intrigante, e muoverli in uno scenario di guerra, oltre a essere stato molto interessante e coinvolgente, mi è sembrato davvero azzeccato per questi due. Per me, loro sono cane e gatto: se davvero volessi renderli come coppia, non potrei mai scrivere qualcosa di sdolcinato - a parte che non so scrivere romanticherie a priori xD

Vi ringrazio per avermi lasciato qualche minuto per spiegare, buona lettura! :D

claws_Jo





















Blood's Revolution

... Because freedom doesn't come free.


[1584, prima dello scoppio della guerra anglo-spagnola]

«Arthur, quando tornerai a trovarmi?»

L'inglese gli accarezzò la testolina bionda. «Presto, Alf. Devo solo tornare a Londra per discutere di alcuni problemi con il Re, e poi sarò di nuovo qui.»

Per quanto Alfred attendesse il suo ritorno, il vascello inglese che lui avrebbe riconosciuto tra mille non attraccò per molti anni a seguire, costretto in mare dalla furia e dalla rabbia di Spagna.



[1760, dopo la presa di Montreal nella Guerra dei sette anni]

«Arthur, dopo la guerra non cambierà nulla, vero?»

«No, non cambierà niente. I tuoi cittadini avranno gli stessi diritti che abbiamo noi inglesi. Puoi starne tranquillo.» E Arthur quasi sorrise, prima di scomparire dietro il legno della porta.

Ma i nomi che comparivano su vari documenti in disordine sulla scrivania di America, fogli che si accatastavano come casse di frutta al mercato, non recavano buone notizie: Navigation Acts, Molasses Act, Sugar Act, Stamp Act, Tea Act, Quebec Act.



...Ad Arthur tutte quelle bugie sarebbero costate care in seguito.



[Yorktown, 14 ottobre  1781]


«Arthur, perché? Perché hai privato della libertà la tua colonia?»

Le gocce di pioggia producevano una litania malinconica quando si schiantavano sul terreno. Il fango lordava le uniformi sia dell'Esercito Continentale che di quello Britannico, tuttavia moschetti e fucili erano puntati gli uni contro gli altri.

Attendevano solamente che i due uomini, le loro Nazioni, cominciassero a duellare come eroi epici nell'ultimo scontro.

«Non dirmi che hai voluto tutto questo.» Rincarò lo statunitense.

Inghilterra non rispose. Le lacrime si confondevano con la pioggia, formando rivoli d'acqua lungo la giubba rossa, fino a raggiungere il grilletto del fucile. Riusciva a stento a puntare il suo nemico - un tempo sua adorata colonia.

«Posso perdonare tutto quello che è successo da quando scelsi te come madrepatria, solo perché sono un eroe. Ma gli eroi non dimenticano. E tu lo sai. Lo sai perché non mi hai raccontato altro, quando ero piccolo, avevi così tante storie di cui parlarmi.»

La pioggia precipitava dal cielo con tanta forza che il fucile, brandito da Arthur, cominciò a tremare.

O forse era lui ad essere scosso?

«Dopo questa guerra l'avrai capito.»

Gli eserciti erano immobili alle loro spalle. I vessilli portati dagli alfieri non accennavano a sventolare sopra gli elmi dei soldati, i cavalli dei generali nitrivano e s'impennavano, come se avessero avvertito l'elettricità che avvolgeva le due figure al centro del campo.

«Ti credevo capace di tanto, credevo che potessi darmi la libertà che mi spettava, e quando ero piccolo lo credevo davvero. Ero felice.»

«Sono l'Inghilterra, Alfred» esordì l'altro «sono stato anch'io un possedimento altrui, prima dell'Impero Romano, poi della Danimarca. Anche io ho combattuto contro altre Nazioni per trovare la libertà. Questo è il tuo turno.»

America non lo ascoltò nemmeno. «Basta, Inghilterra. Ho rinnegato il mio rispetto e affetto per te, quando è cominciata questa guerra.»

«Non ne dubito.» Nonostante la consapevolezza di aver troncato i rapporti con la sua colonia, Arthur non era ancora riuscito a metabolizzarli. Erano come un albero caduto lungo la strada, una interminabile giornata di bonaccia mentre navigava verso i mercantili spagnoli, quando ancora braccava Spagna e i suoi commerci. Erano il pezzetto di metallo incastrato tra due ingranaggi della sua anima; compromettevano tutta la sua persona, i suoi pensieri, amalgamati con le paure e l'indignazione degli inglesi. E tramortivano in particolare un muscolo striato racchiuso dalla gabbia toracica.

A quello stesso organo aveva mirato Alfred, quando aveva puntato la baionetta contro l'inglese.

Un secondo prima di essere colpito dalla lama, Inghilterra fece un rapido passo indietro, ansimando per lo spavento e la pioggia, che rendeva i respiri veloci e brevi.

«Dovresti stare attento, Inghilterra. Saresti dovuto stare attento, perché non sapevi cosa stava succedendo alla tua piccola colonia indifesa. Ora questa colonia vuole la libertà. Tu gliel'hai negata, hai sputato sui rappresentanti che avremmo voluto portare al vostro Parlamento. Non immaginavi una guerra, eh, Inghilterra?»

«Idiota. Ti ho cresciuto. In tutti questi secoli, pensi che non ti abbia conosciuto fino in fondo? Ti credi un eroe, America, ma riuscirai a salvare tutto il tuo popolo?»

I soldati cominciarono a rumoreggiare da ambo le parti - tuttavia nessuno aveva abbassato le armi.

Il generale britannico Cornwallis, in sella, attendeva con impazienza l'inizio dello scontro. Aveva disubbidito agli ordini dei suoi superiori solo per assistere a uno stupido discorso tra due Paesi che, benchè parlassero la stessa lingua, non riuscivano a comunicare?

«Non credo che tu non mi abbia conosciuto. Penso piuttosto che tu non capisca tutte le offese e le ingiustizie che hai sputato contro di noi, che ti abbiamo servito per decenni, e che abbiamo sopportato i tuoi soprusi. Non hai capito il nostro cambiamento.»

«Questa guerra è uno stupido pretesto, America. Sei tu che non hai capito nulla.»

«Allora spiegami, lurido inglese!»

«Dovresti riflettere, prima di parlare come un marmocchio sconsiderato. Non arrabbiarti per qualcosa che non riesci a contemplare.»

Fu l'ultimo momento di esitazione, per Alfred. Nel mezzo delle loro allocuzioni aveva ricaricato la baionetta - ed Arthur non lo aveva fermato dal prepararsi per un nuovo attacco.

Inghilterra si esibì in un sorriso cinico ed irritante. «Tu, mia piccola colonia, saresti dovuto rimanere con me. Sarebbe stato meno doloroso, nel breve e nel lungo periodo.» Assottigliò gli occhi per prendere meglio la mira.

«Ah, sì?» Il tono era quello di sfida. «E sentiamo, mia arrogante madrepatria: perché?»

«Un eroe alquanto stupido.» Sentenziò l'inglese. Prese un profondo respiro, prima di riprendere la sua spiegazione. «Questa guerra è una follia. Una pazzia in cui siamo finiti entrambi. L'unica differenza è che, per quanto tu ne uscirai vincitore formalmente, avrai perso tanto. Tante cose, tanti uomini, e tutta quella sfrontatezza che esibisci davanti a me. E solo allora penserai che da questa confusione non avrai ricavato altro che documenti che certificano la tua vittoria e un Paese da ricostruire.»

Un fulmine si abbattè poco lontano, con un frastuono feroce che aggredì i timpani delle migliaia di presenti.

«Da questa guerra, distruttore di sogni, guadagnerò anche la libertà!» Alfred, con uno scatto, imbracciò la baionetta e premette il grilletto.

Il colpo, tuttavia, non raggiunse l'obiettivo. Arthur alzò il braccio che reggeva il fucile, e l'attacco si schiantò sul ferro dell'arma inglese, rimbalzando fino a terra.

«Sei troppo inesperto, America. Io posso vantare secoli di guerra sui mari, tu solo tanta incoscienza.»

«Quell'esperienza sarà la tua rovina, Arthur!» Era la prima volta che lo chiamava per nome. Voleva ristabilire un dialogo umano, da persona a persona, e non tra due Nazioni?

Era ancora un bambino, Alfred. Uno stupido ragazzino che giocava a fare l'eroe.

«Ti sopravvaluti troppo. La tua sicurezza è solo una maschera. E sarà proprio la tua superbia a farti fuori. Dovresti abbandonarla e pensare sul serio a quello che accadrà tra poco.» Aggiunse lo statunitense, detergendosi il viso con una manica della giacca blu.

«Bada a te stesso, America, perché in questa battaglia sarò il tuo incubo e demone peggiore, che ti annienterà.»

Due secondi dopo, contemporaneamente, i due puntarono le armi da fuoco l'uno contro l'altro e spararono.

Alle loro rispettive spalle, ribelli e inglesi cominciarono la loro offensiva.




Inghilterra e America furono inghiottiti dalla pioggia. I due eserciti, trincerati e distanti mezzo miglio tra loro, non riuscirono più a individuarli.

Nemmeno il Conte de Rochambeau, il generale George Washington e il marchese Lafayette, al comando delle truppe franco-americane, che erano ben più vicine ai due Paesi, li avevano più visti.

Eppure stavano duellando come due lupi per decidere chi, tra i due, sarebbe stato il nuovo capo del branco. I colpi a fuoco non avevano mai colpito punti vitali, per la loro esperienza o i loro riflessi nessuno dei due aveva ferito gravemente l'avversario.

I rivoli di sangue si mescolavano alla pioggia - che stava diminuendo lentamente d'intensità - e alla polvere, raggrumandosi sui vestiti e le armi.

Terminati i proiettili, fu la volta delle spade, appena incrostate da piccoli scivoli d'acqua e terra.

«Ricordo ancora tutte le volte in cui mi dicesti "Tornerò presto, hai la mia parola"» esordì Alfred, menando uno sgualembro - prontamente bloccato - verso la spalla del nemico, «e per anni non ti vidi tornare. Quando mi promettesti che niente sarebbe cambiato, mentre tutto si trasformava a causa tua

«Forse hai dimenticato le mie profonde scuse per te a ogni mio ritorno nelle tue terre.»

«No, le rammento. Piuttosto, però, mi ricordo la sofferenza dell'attesa, e la delusione del perdono.»

Arthur si esibì in una stoccata - e se avesse indossato un tricorno, avrebbe davvero dato l'idea di un veterano e pirata inglese del Seicento -, tuttavia il colpo non andò a segno, perché il fuoco franco-americano lo aveva colpito, in quello stesso istante, alla spalla dominante, la cui mano stringeva con forza l'elsa della spada.

Il ferro cadde a terra con un suono quasi tintinnante, oscurato dal lamento di dolore dell'inglese, che si riversò al suolo quando lo stivale di Alfred lo spinse al torace.

Lo statunitense gli puntò la punta dell'arma bianca alla gola, con un sorriso di scherno sul viso lurido d'acqua. «Mia madrepatria, è forse tua prerogativa, tua unica natura ingannare e ferire le persone a cui vuoi bene?» Disse, modulando la voce fino a sembrare un attore di teatro, o meglio, un eroe del teatro, per rendere l'intera scena ancor più grottesca.

Inghilterra rimase ad occhi chiusi in un testardo silenzio.

Stava pensando a una contromossa, o a una eventuale, ma disonorevole, ritirata.

«O forse» aggiunse lo statunitense «non hai mai voluto bene neanche a me, la tua preziosa e adorabile colonia?»

Le corde vocali di Arthur rimasero immobili. La punta della lama gli pizzicava la gola.

«A questo punto, mi domando come tu abbia potuto mascherare le tue intenzioni per così tanti secoli.»

No, Inghilterra non poteva ascoltare oltre quei deliri.

Estrasse dallo stivale sinistro un pugnale, col quale squarciò il tessuto che rivestiva il polpaccio del nemico.

E dire che Cornwallis lo aveva deriso, quando per la prima volta lo aveva visto indossare la red coat con il paio di stivali di pelle con cui aveva solcato l'Atlantico! Al diavolo la raffinatezza, contava il salvarsi la pelle, in terra e per mare!

Alfred cacciò un grido tremendo, tanto che i soldati franco-americani della prima linea, avanzati verso i britannici per prendere meglio la mira con l'artiglieria, si spaventarono parecchio; in quello stesso momento Arthur si scansò dalla presa della lama e si rialzò in piedi, barcollando per colpa della perdita di sangue dalla spalla.

«Non hai capito niente, America.» Rispose, con un ghigno.

Un altro sparo sfiorò la testa dell'inglese, tranciando una ciocca bionda che scese a terra mulinando sotto i colpi della pioggia leggera.

Capì di dover mettere da parte l'orgoglio e di tornare dietro le linee britanniche, o sarebbe rimasto nelle mani degli americani - il che significava la morte per i suoi soldati e la fine irreparabile di quella guerra.

Raccolse in velocità il fucile e la spada, poi, dopo aver mosso alcuni passi all'indietro per non essere colpito alle spalle, si voltò e prese a correre con foga lungo il campo, verso l'Esercito Britannico.

Era un'onta terribile, per il suo animo, per l'Inghilterra intera e per il suo re, tuttavia era un sacrificio necessario per non incappare nella totale sconfitta.

 




...Quella notte, non sarebbe bastata una bottiglia di rum per trascinare Arthur nell'oblio, lontano dall'acqua che colava sul viso, dal viso.




[Yorktown, 17 ottobre 1781]



Inghilterra era sfuggito alle sue domande, però non si sarebbe mai sottratto all'ultimo scontro.

Se Arthur fosse stato un uomo comune, quella ferita alla spalla lo avrebbe irrimediabilmente portato a un'infezione e poi all'amputazione del braccio.

Ma una Nazione vive, prima di tutto, perché il suo popolo la vuole.

E così, ancora una volta, aveva indossato la giubba rossa sopra la medicazione, ed era sceso sul campo seguito da tutto l'Esercito Britannico, per la battaglia.

Dall'altra parte della pianura, Alfred aveva piantato in terra la punta della baionetta e stava guardando verso gli inglesi; no, forse verso l'orizzonte, che si stagliava proprio alle loro spalle con quel mantello blu elettrico, o verso il fiume di York.

In piedi come uno degli eroi omerici, lo statunitense però non pensava alla battaglia, ma alla lotta interna che lo aveva portato a ribellarsi.

Non era stato facile decidere se passare dalla parte degli insorti o meno perché, malgrado tutto, Inghilterra era il suo fratellone, e duellare con un fratello è un colpo al cuore in ogni caso. Aveva impiegato molti giorni per convincersi che lui stesso, assoggettato ad Arthur e a quella madrepatria di cui non aveva mai apprezzato i pub o i paesaggi - perché le uniche volte in cui aveva toccato suolo britannico erano stati viaggi diplomatici, e non di piacere -, non poteva essere felice. E neanche libero.

Soprattutto libero.

Per lui, la libertà rasentava la purezza della felicità. In tutte le storie che Arthur gli aveva raccontato, quegli uomini vivevano nella più ampia libertà di movimento e scelta, come i racconti riguardo Robin Hood, che lo avevano affascinato da sempre.

Certo, non escludeva che Inghilterra le colorisse e ampliasse sempre più, ma questo non gli impediva di sognare, no?

Che colpa ne aveva Alfred, se tutto ciò che Arthur gli aveva narrato aveva instillato in lui una irresistibile voglia di vivere in libertà?

Questo suo desiderio di indipendenza totale, oltre ai tanti problemi che affliggevano le colonie americane, lo aveva spinto alla guerra.

Non era più il bambino di un tempo, né una colonia fragile. E neanche il pupazzo con cui Arthur poteva giocare e fingere di essere un bravo fratellone, perché alla fine la determinazione aveva invaso e infiammato il cuore di tutti gli statunitensi.

Sembrava quasi che, in contemporanea con Alfred, tutti loro avessero preso atto della loro dignità e del loro desiderio di emancipazione, e che come una sola persona avessero scelto di combattere per ottenerle.

La bandiera con le tredici stelle sventolava, energica come non mai. A quel pezzo di stoffa aveva votato l'anima e il corpo. A lei sola aveva rivelato il suo sogno e sempre a lei aveva promesso di raggiungerlo.

Stava ancora rimestando ricordi e obiettivi, quando si levarono in aria le armi.

Vide che la battaglia aveva ripreso come quattro giorni prima.

Il suo istinto gli sussurrava che quello sarebbe stato l'ultimo duello con Inghilterra.

«America, che ti succede?» La voce dell'inglese piombò nelle sue orecchie con uno sprezzante tono di sfida. «Come mai sei ancora trincerato dietro i tuoi uomini, eroe?»

Alfred, benchè fossero ancora lontani, aveva la canna del fucile britannico puntata alla gola. Deglutì vistosamente.

Non lo aveva intimidito l'arma da fuoco.

No.

Era stato il viso di Arthur a sciogliergli le ginocchia.

Un volto trasfigurato dalla consapevolezza che il suo mondo e il suo impero sarebbero presto crollati.

E, prima ancora del dolore, Alfred si sentì deluso.

Inghilterra non era forse stato il suo muro da scavalcare, il pugile da mandare fuori gioco, la parete di roccia da scalare?

Vederlo in quello stato gli fece capire che Arthur sembrava più un uomo, che una Nazione. Che era sempre stato più un essere umano che un Paese, per quanto fosse attento ai problemi del Regno Unito e fosse conscio di essere una vera Nazione.

«Aspetti che il Leone d'Inghilterra venga personalmente a sbranarti?»

Il silenzio che seguì veniva continuamente interrotto dal rumore degli spari.

Quel grido aveva spezzato i confini dello spazio - mezzo miglio - giungendo ad Alfred come se glielo avesse sussurrato in un orecchio, come quando narrava racconti del ciclo bretone a lui e a Canada. E lo aveva scosso come una scarica elettrica, che al contempo gli aveva donato nuova energia.

«Se vuoi, posso ancora concederti la resa, colonia. E' la tua ultima possibilità per non essere spazzato via dalla madrepatria contro cui ti sei ribellato. E la stessa tortura per Francia, che perisca affogato nella sua Senna!»

«No.» Disse, quasi tra sé. Infine, con un respiro che saliva dalle profondità dei monti Appalachi, gridò. «No! L'Aquila americana piomberà dal cielo e i suoi artigli ti squarteranno, Inghilterra!»

Inghilterra voleva un duello epico? E America glielo avrebbe concesso, come ultimo dono prima della sconfitta, a partire dalle parole.

«Per ultima cosa, Inghilterra» aggiunse, con un altro stentoreo grido, mentre un soldato, accanto a lui, veniva ucciso da un proiettile. «Tutte quelle promesse vacue che mi hai fatto verranno buttate alla cenere e alla polvere delle miniere! Per secoli mi hanno ingannato, e tu con loro. Ma non sono né stupido, né sordo. Ho impiegato tanto a capire che c'era qualcosa, nascosto dietro ogni giuramento, e che te ne sei infischiato per anni. Questa sarà la resa dei conti, Inghilterra.»

Uno squarcio nel cielo illuminò la distesa di erba secca.

«D'accordo, America. Apprezzo il tuo tentativo.» Rispose l'inglese, con quel tono da pirata arrogante, mentre Washington gridava un ordine rimasto incompreso ad Alfred.




Come nelle precedenti battaglie, le due Nazioni caricano, sguainando baionette e spade, mentre il campo attorno a loro romba per le grida e per i passi furenti di corsa.

Tutto è pronto. O, se non lo è, non importa più.

Col cozzare delle due lame, il mondo attorno a loro scompare. Ci sono solo i loro sguardi accesi di sfida e la loro concentrazione, rabbiosa o determinata.




...Come si chiuse il sipario scarlatto, alla fine, tutti noi lo sappiamo.









  
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