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Autore: Moony3    01/08/2011    8 recensioni
Questa storia è un Antefatto della mia precedente long fiction: "La Chiave del Tempo" (quindi, essendo un Antefatto, può essere letta da tutti).
È strettamente legata al Tempo, ma non racconta di un Viaggio nel Tempo: è un Viaggio nel Tempo.
Vi ritroverete infatti a passeggiare tra i secoli, guidati da personaggi - a volte famosi (ma non troppo) altre no - che vi permetteranno, cortesi, di sbirciare nelle loro vite.
Perché, tra le altre cose, questa storia è stata la scusa ideale per immaginarmi quello che potrebbe essere successo prima degli avvenimenti raccontati da J. K. Rowling.
Se anche voi siete afflitti da questa curiosità, liberate la fantasia e partite per questo (non così) lungo viaggio sulle tracce de "I Custodi delle Chiavi del Tempo".
Genere: Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio, Famiglia Black, Nuovo personaggio, Teddy Lupin | Coppie: Remus/Ninfadora
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
Capitoli:
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Per la serie: a volte ritornano... eccomi qua. Con una nuova storia.
Una storia che richiede qualche premessa, mi sa.
Perché è una specie di esperimento ed è un po' complicata da "presentare".
Per svariati motivi... 
- Questa storia è un Antefatto della mia precedente long fiction "La Chiave del Tempo" (ed è dedicata a tutti coloro che, sorprendendomi non poco, hanno mostrato di gradire il mio precedente "delirio" e mi hanno chiesto informazioni sull'oggetto che gli ha dato il titolo) quindi, essendo un Antefatto, può essere tranquillamente letta anche da chi non conosce "La Chiave del Tempo".
- Questa storia è nata con il preciso scopo di spiegare come una Chiave del Tempo sia potuta arrivare tra le mani di Ted Remus Lupin. Si conclude infatti nello stesso istante in cui comincia "La Chiave del Tempo".
- Questa storia è composta da dieci capitoli (compreso questo) che, pur essendo strettamente collegati l'uno all'altro, potrebbero, in un certo modo, essere considerati "autosufficienti". Nel senso che ogni capitolo si svolge in un anno ben preciso, raccontando un episodio che aiuterà il Caso (o il Fato, o la Fortuna, o quello che preferite) a portare una delle Chiavi tra le mani di Ted Remus Lupin.
- Questa storia non ha, per i motivi spiegati qui sopra, un protagonista vero e proprio. Ne ha diversi, e molto variegati, anche: i Custodi delle Chiavi del Tempo, appunto.
Alcuni sono famosi (ma non troppo, tra i protagonisti principali non troverete Harry, Ron o Hermione, per intenderci) altri sono stati soltanto nominati da J.K. Rowling (un esempio su tutti, il sorprendente zio Alphard... che ha sorpreso me per prima: mai mi sarei aspettata di coinvolgerlo in una delle mie storie e invece...) altri ancora sono stati totalmente inventati da me (eh, dove J.K. è stata avara di informazioni ho dovuto supplire in qualche modo).
- Questa storia copre un arco di tempo lunghissimo (20 secoli, per la precisione) e mi sembrava carino caratterizzare in qualche modo le diverse epoche, giusto per far percepire lo scorrere del Tempo. Io ci ho provato... se ci sia riuscita o meno non sta a me dirlo.
- Questa storia è strettamente legata al Tempo ma, a differenza del suo "Seguito", non racconta di un Viaggio nel Tempo: è un Viaggio nel Tempo. 
Quindi preparatevi a girovagare tra i secoli, guidati da personaggi - a volte amabili altre meno- che vi permetteranno, cortesi, di sbirciare nelle loro vite.
Perché, tra le altre cose, questa storia è stata anche la scusa ideale per soddisfare la mia capricciosa curiosità e tentare di ipotizzare quello che potrebbe essere successo (anche molto) prima degli avvenimenti raccontati da J. K. Rowling.
Quindi, se anche voi siete afflitti dalla mia stessa capricciosa curiosità, liberate la fantasia e godetevi la prima tappa di questo (non così) lungo viaggio sulle tracce de "I Custodi delle Chiavi del Tempo".






Prologo

Il sogno di Cormiac



Britannia, Ante diem sextum Nonas Maias 811 ab Urbe condita. *  

Il ragazzo si raggomitolò su se stesso, stringendo tra le mani il medaglione caldo e pulsante che portava al collo.
Nel tentativo di riprendere fiato inalò a pieni polmoni l'aria fresca, profumata di resina e di erba, e serrò gli occhi, desiderando ardentemente che il mondo smettesse di vorticare come una delle trottole che, quando era piccolo, gli costruiva il nonno.

Un improvviso scalpitare di zoccoli lo riportò al presente.
Letteralmente.
Per qualche astruso motivo la cosa lo fece sorridere: trovava molto gradevole il concetto di presente, al momento. E molto rassicurante, anche.
Chiedendosi un po' smarrito che fine avesse fatto il canto dolce e misterioso che aveva riempito le sue orecchie fino a qualche istante prima, il ragazzo tentò di aprire gli occhi.
Impresa difficilissima.
Non si era mai sentito tanto stanco in vita sua. Né tanto confuso. 
Stava cercando di ricordare perché una parte di sé gli stesse suggerendo di essere contento di quello che aveva appena fatto - cosa non semplice tenuto conto che, al momento, aveva qualche problema persino a ricordarsi il proprio nome - quando una mano lo afferrò per la tunica di lana grezza sollevandolo di peso da terra. E scuotendolo con un'energia quanto meno inopportuna, a suo parere.

«Aulo, hai l'intelligenza di un Troll di Montagna!» tuonò una voce roboante risolvendo, se non altro, la questione del nome.

Aulo riconobbe subito quella voce, caratterizzata dal buffo accento tipico della gente che popolava quel desolante luogo privo di palazzi di marmo e di Terme degne di questo nome.
Apparteneva al suo nuovo maestro, quella voce.
Un gigante strambo - si ostinava a portare i lunghi capelli color paglia acconciati in trecce, come una donna - che si occupava di cose altrettanto strambe.
E parlava di cose strambe, anche.
Solo Minerva sapeva, ad esempio, cosa potesse essere un Troll di Montagna.
Aulo non ne aveva la più pallida idea, ma sospettava non dovesse essere qualcosa di particolarmente intelligente.
Sospirando, il ragazzo si sforzò di aprire gli occhi, chiedendosi per l'ennesima volta perché quel grosso pazzo si fosse tanto intestardito nel prenderlo con sé.
Forse perché anche a lui capitava di fare, di tanto in tanto, cose strambe, dovette ammettere con un certo disagio.
Come saltare torrenti o abbattere suo fratello Tiberio semplicemente desiderandolo. Comodo, certo... ma strambo.
Richiamando ogni oncia dell'energia che gli rimaneva il ragazzo riuscì finalmente ad aprire gli occhi, pentendosene all'istante.
Il volto barbuto del maestro era inquietante già di suo.
Aulo faceva davvero fatica ad abituarsi alle lunghe barbe, spesso decorate da assurde treccine, che nascondevano i menti degli uomini di quella terra triste e nebbiosa. Per non parlare dei disegni blu che ornavano, a volte, i loro visi.
Il suo maestro non aveva disegni blu, ma aveva gli occhi di quel colore e ad Aulo sembravano strani anche quelli. Sbagliati, in un certo senso. Sbagliati come quella terra in cui suo padre lo aveva portato a forza un paio di anni prima.
Occhi sbagliati e inquietanti. Se poi lampeggiavano anche di rabbia come in quel momento...
Aulo non aveva mai visto nulla di più terrorizzante, nei suoi quattordici anni di vita. Neppure Tiberio che sbaciucchiava Lucilla poteva competere.

«Si può sapere cosa ti è venuto in mente? Giocare con una Chiave del Tempo! Sciocco marmocchio! Si vede che il caldo sole di Roma - che tanto rimpiangi - ti ha cotto quello che dovresti avere, da qualche parte, in quella testa dura!»

Aulo sbatté le palpebre, cercando una motivazione plausibile.
Era bravo a inventarsi motivazioni plausibili. Ma ci ripensò, ricordando perché aveva deciso di giocare con quel grosso medaglione che il suo Maestro chiamava Chiave del Tempo.
Scosse il capo e, stringendo convulsamente tra le mani l'oggetto in questione, sorrise: aveva salvato il padre! Lo aveva fatto davvero! Aveva impedito a quei quattro barbari dipinti di blu di ucciderlo nell'imboscata tesagli, in quella stessa radura, mentre tornava da un viaggio a Lundinium**.
«Dovevo salvare mio padre. Missione compiuta» proclamò quindi compiaciuto, fissando fiero gli occhi chiari del maestro.
«Dovevi...» l'uomo lo guardò allibito. Una scintilla di comprensione smorzò per un istante la rabbia che gli deformava il viso. Poi proseguì, incerto. «Ma tuo padre sta benissimo. L'ho visto qualche istante fa. E' venuto a cercarti per proporti di accompagnarlo a pescare».
Aulo sorrise radioso e si agitò nella stretta dell'uomo. «Ora sta benissimo. Te l'ho detto: missione compiuta! Non ho permesso a quei quattro... er... Troll di Montagna dipinti di blu di toccarlo!»

«Il puledro dice il vero, Cormiac».

Aulo sobbalzò al suono di quella voce profonda, piacevolmente sorpreso dal raffinato accento che ricordava molto quello di Asklipios - il suo vecchio maestro greco - e un po' irritato dal termine che il proprietario della voce in questione aveva usato per riferirsi a lui: puledro?
Afferrando i polsi del maestro, che ancora lo teneva per la tunica impedendogli di toccare terra con i piedi, il ragazzo girò il capo, intenzionato a scoccare un'occhiata di dignitosa disapprovazione allo sconosciuto, ma riuscendo solo a fissarlo con aria probabilmente un po' ebete: bocca spalancata e occhi sgranati per l'assoluto stupore non aiutavano a esprimere dignitosa disapprovazione, purtroppo...
Usare una Chiave del Tempo non doveva essere salutare.
No davvero. Dava le allucinazioni. Come il succo dei papaveri.
Non era proprio possibile che a parlare fosse stato un...
Aulo lasciò i polsi del maestro e si sfregò gli occhi con energia.
Per tutti i fulmini di Giove Tonante, sembrava proprio una di quelle creature di cui gli aveva parlato Asklipios.
Un... centauro, ecco! Era davvero identico a quello che, sempre secondo Asklipios, aveva istruito il giovane Ercole, ricordò Aulo - che era un grande estimatore di Ercole - osservando incredulo il torace umano della creatura, il viso glabro e i lunghi capelli neri. Neri come il manto che ne ricopriva il corpo equino e come la folta coda.
Ecco spiegato il rumore di zoccoli che aveva sentito prima.
Il suo maestro non aveva un cavallo, infatti. Non gli serviva. Aveva l'irritante abitudine di scomparire e ricomparire a suo piacimento. Arte della Smaterializzazione, la chiamava. 
Una volta aveva coinvolto anche Aulo in questa sua abitudine: un istante prima erano nella capanna del maestro... e un istante dopo in un'assurda bottega dove un assurdo vecchio di nome Olivander gli aveva venduto una bacchetta magica che Aulo aveva reputato assurda, all'epoca.
Non era stata un'esperienza particolarmente piacevole, ma Aulo sperava di imparare presto a Smaterializzarsi: si sarebbe fatto molte risate alle spalle di Tiberio.

«Cormiac, lo stai strangolando, credo. Forse faresti meglio a posarlo a terra» propose il centauro con olimpico distacco.

Cormiac ubbidì, trattenendo però Aulo per una spalla. E, guardando intensamente il centauro, chiese: «Dice il vero? Ha salvato il padre? Ha... cambiato il corso della storia?»
Il centauro annuì solenne. Poi, indicando il medaglione che il ragazzo portava al collo, precisò: «La Chiave del Tempo è stata probabilmente usata, Cormiac. Sirio risplendeva in modo straordinario questa notte. Segno indiscutibile di una prossima anomalia temporale. E se il puledro sostiene che ha salvato il padre... noi non possiamo che fidarci della sua parola. Come ben sai».
Cormiac, ancora arrabbiato, costrinse Aulo a guardarlo: «Aulo è pericoloso interagire con leggerezza con il corso del Tempo! Chissà che cambiamenti hanno provocato le tue azioni, o provocheranno... hai ucciso gli aspiranti assassini di tuo padre?»
Il ragazzo sgranò gli occhi, raccapricciato: «No! Che idea, maestro».
Il mago annuì, un po' rinfrancato. «Hai usato la magia contro di loro?»
Aulo scosse il capo, oltraggiato: possibile che il suo maestro lo ritenesse davvero così stupido? «Ma certo che no! Lo so che è proibito! Me lo hai ripetuto fino alla nausea! Me lo hai perfino fatto scrivere su un'ottima pergamena. In caratteri runici! Un grande spreco di tempo ed energia, se vuoi conoscere il mio parere» concluse con patrizio sdegno. Poi, notando lo sguardo non esattamente radioso del maestro, pensò bene di precisare: «Li ho solo anticipati. E ho versato del succo di papavero nella loro cervogia.*** Tanto è talmente orribile la cervogia che non se ne sono neppure accorti».
«A parte il fatto che la cervogia è deliziosa, e quando avrai la barba te ne accorgerai...»
«Neppure morto. A parte il fatto che non mi lascerò mai crescere la barba, la cervogia ha lo stesso aspetto della pipì di cavallo. Oh, senza offesa, signore» si affrettò ad aggiungere il ragazzo, occhieggiando il centauro che liquidò la cosa con un leggero sbuffo e un vago cenno della mano. Rassicurato, Aulo affermò convinto: «Il vino con il miele. Quello sì che è delizioso».
Cormiac si massaggiò la fronte e sospirò. «Riprenderemo questa fondamentale discussione in un altro momento, Aulo. Hai drogato gli aspiranti assassini di tuo padre, quindi. Non ti è venuto in mente che lo cercheranno ancora?»
«Mica sono stupido. Certo che mi è venuto in mente. Infatti ho aspettato che si riprendessero, mi sono finto estasiato dalla loro abilità in battaglia - ho decantato l'eroismo con cui hanno combattuto con versi degni di Orazio - e ho lasciato loro la toga di papà in ricordo dell'impresa. Quella buona, non quella che indossa per viaggiare. Ma quei quattro pare non sapessero che non si usa la toga buona per viaggiare. Certo, ora papà dovrà procurarsene una nuova, però quelli se ne sono tornati soddisfatti da dove son venuti».
Il centauro ridacchiò con una piacevole risata profonda. Cormiac lo fulminò con lo sguardo e proseguì: «Ma come hai fatto a venire a conoscenza dell'esistenza delle Chiavi del Tempo e dell'incantesimo per azionarle, Aulo».
Il ragazzo ebbe la buona grazia di arrossire, si grattò un orecchio e, disegnando distratti semicerchi con la punta un po' sbucciata del calzare, ammise: «Ti ho visto mentre le mostravi a Urien. Per caso!» si affrettò a precisare, notando che il maestro, dopo avere esalato un secco sbuffo, aveva alzato gli occhi al cielo. «E ho sentito mentre gli hai rivelato l'incantesimo».
«Sì. Urien non l'ha capito molto bene».
«Ho notato. Invece di azionare la Chiave del Tempo ha trasfigurato il tuo gatto in un calice. Grazioso, non fosse stato per i baffi. Ma io non sono Urien!» affermò sdegnato Aulo. Quindi estrasse una bacchetta magica di lucido legno scuro ed eseguì un perfetto Incantesimo d'Appello. Immediatamente una tavoletta cerata, di quelle che Aulo si ostinava a usare per prendere i suoi appunti, sfrecciò docile nelle mani del ragazzo che la porse al maestro. «Ho scritto qui tutto quello che hai detto a Urien. E ho agito quando tu sei andato a portare alla figlia del fabbro l'unguento che guarisce le verruche».
Cormiac prese la pergamena e aggrottò la fronte, Aulo rise divertito. «E' stenografia. Me l'ha insegnata il mio vecchio maestro - quello che tu definisci Babbano – se vuoi te la insegno. E' molto più pratica delle tue rune, sai?».
Cormiac grugnì, sibilando minaccioso: «Hai rischiato grosso, Aulo. Avresti potuto cambiare la linea del Tempo in modo imprevedibile. Avresti potuto incontrare te stesso, e cose terribili capitano a chi incontra se stesso. Inoltre, senza contare che hai offeso la cervogia e le rune, hai distrutto una Chiave del Tempo».
«Distrutto una Chiave del Tempo?» mormorò il ragazzo guardando sconcertato il medaglione che ricordava una versione più grossa e decorata della sua Bulla.****
«Sì. Ogni Chiave del Tempo può essere usata un'unica volta. Ne sono state create sette, Aulo. Tre sono già andate distrutte. Quattro con questa. Ora dimmi: cosa dovrei fare con te?» chiese con una punta di rassegnazione Cormiac.
Il ragazzo si rigirò il grosso medaglione tra le mani, poi mormorò mortificato: «Mi dispiace. Davvero. Sono molto utili, queste. Pensavo di usarne una per impedire la proclamazione dell'attuale Imperatore di Roma».
Cormiac lo interruppe, deciso: «Non ci pensare neppure».
«A papà non piace questo Nerone. Dice che non somiglia neppure un po' a Claudio, ma gli ricorda Caligola. Asklipios mi ha raccontato tutto di Caligola. Era terribile vivere ai tempi di Caligola».
Cormiac inarcò un sopracciglio. «Quello che ha eletto senatore la sua capra?»
«No. Quello che ha eletto senatore il suo cavallo. Era un cavallo non una capra. Papà dice che era il senatore più intelligente dell'epoca. Il cavallo, dico».
«Non mi stupisce» intervenne il centauro, scuotendo compiaciuto la folta coda.
«Comunque, grazie a una di queste possiamo cambiare la storia...» esclamò euforico Aulo.
«No, che non possiamo! Non hai ascoltato una sola parola di quello che ho detto, vero? E' pericoloso interagire con il Tempo».
«Ma...»
«Ma niente, Aulo. Non intendo discutere della cosa» affermò con decisione Cormiac riappropriandosi della Chiave.
«Maestro, capisco che ne rimangono solo tre, ma possiamo sempre crearne altre».
«No, Aulo. Il problema non è il numero delle Chiavi rimanenti. Sarei ben felice di distruggerle tutte, ad essere sincero. E non ne saranno create altre, te lo assicuro. Il segreto delle Chiavi del Tempo morirà con il loro creatore».
«Morirà! Quindi è ancora vivo, il loro creatore. Lo cercherò e convincerò lui!»
«Puoi provarci, se vuoi. Ma non riuscirai a trovarlo».
«E cosa me lo impedirebbe?»
«Il fatto che lui non vuole essere trovato» concluse secco Cormiac, guardando Aulo con una serietà inusuale per lui. «E con questo considero concluso il discorso. Ora smettila di tentare di distrarmi, perché so perfettamente che era questo il tuo scopo principale e che dell'attuale Imperatore di Roma non ti interessa proprio nulla...» sogghignò notando l'improvviso rossore del ragazzo. «E rispondi alla mia domanda: cosa dovrei fare con te?»
Aulo lo guardò in tralice e, non scorgendo più rabbia negli occhi del maestro, sorrise furbo e propose: «Lasciarmi andare a pescare con papà, naturalmente, visto che è venuto a cercarmi. Non si può dire di no a Publio Valerio Corvino».
«Forse a Roma. Ma qui si può. Io, per lo meno, posso, te lo assicuro».
Aulo abbassò il capo, abbacchiato, poi sbadigliò vistosamente: viaggiare nel Tempo non era uno scherzo.
Era faticoso. E sconcertante. Una parte di lui ricordava la tristezza e il dolore provato per la morte del padre, ma un'altra no. Perché non aveva mai provato quella tristezza. Era strano avere ricordi diversi che si accavallavano.
Cormiac ridiede al discepolo la tavoletta cerata: «Credo che, per punizione, sia equo che tu ricopi questa, in bella grafia, su di una pergamena. Aggiungendo le notizie che ti ho appena dato sulle Chiavi del Tempo. Oh, usando i caratteri runici, naturalmente».
Il ragazzo sbuffò oltraggiato.
Non vedeva il padre da più di un anno - una parte di lui ne era convinta, per lo meno. L'altra non era d'accordo, certa com'era di averlo visto qualche ora prima, a pranzo – voleva solo godersi la sua compagnia e quel gran rompinoci del suo maestro lo affliggeva con un simile, noioso, lavoro.
Cormiac nascose un sorriso intenerito sotto la folta barba e aggiunse burbero: «Dopo che avrai procurato qualche bel pesce per cena, naturalmente. Ora fila, tuo padre ti aspetta al torrente».
Aulo alzò gli occhi, scrutando incredulo il maestro - che non era poi così male, bisognava ammetterlo - si sistemò rapido un calzare e, dopo un'ultima occhiata ammirata al centauro, se ne andò saltellando allegro alla ricerca del padre.


Cormiac scosse il capo, divertito suo malgrado, guardò la Chiave e sussultò.
Era diversa da come se l'aspettava: il serpente che ne decorava il bordo non aveva cambiato posizione e il centro era occupato da sfolgoranti fiamme d'argento tra cui si stava formando una minuscola figura alata.
L'uomo guardò il centauro, allibito, e gli mostrò la Chiave.

«Non capisco. Non si è danneggiata. Sembra quasi che si stia rigenerando, Kyros».

Il centauro annuì. «E' così. La fenice sta risorgendo dalle proprie ceneri, Cormiac. Il puledro ha usato la Chiave con molta saggezza. Con molta più saggezza di quella che usasti tu, temo».
L'uomo sospirò, amareggiato. «Pensavo di non avere scelta, Kyros» mormorò cupo abbassando lo sguardo. «Perché mi aiutasti a creare le Chiavi del Tempo? Perché, invece di assecondare questo mio folle Sogno donandomi il tuo sapere, non mi hai fermato?»
Il centauro scrutò l'uomo per qualche istante, poi rispose: «Perché il Destino ha voluto così, Cormiac. Era scritto nelle stelle. Perché avrei dovuto ribellarmi a ciò che era scritto nelle stelle? Voi umani lo fate continuamente, lo so, ma noi centauri troviamo stupido sfidare il Destino».
«Il Destino?»
«Il Destino. La forza più potente in assoluto».
«Uhmf... parli proprio come un centauro».
«Ma pensa...»
«Non diventare impertinente, Kyros. Basta Aulo per questo».
Il centauro annuì. «Ha carattere, il puledro».
«Sì. E talento. E' strabiliante come la magia scorra potente in un ragazzo nato da Babbani. E scarseggi in Urien, figlio di maghi Purosangue, che studia con me da molto più tempo di Aulo e non sa azionare una Chiave del Tempo senza trasfigurare un gatto in un calice. Con tanto di baffi, per di più».
Il Centauro scrutò assorto il mago per qualche istante, poi chiese con la sua voce distaccata: «Perché strabiliante? Non sottovalutare quelli che tu chiami Babbani, Cormiac. Hanno immense potenzialità. Anche questo è scritto nelle stelle».
Cormiac si strinse nelle spalle, osservando pensoso la Chiave, quindi chiese: «Perché Aulo è riuscito nel tentativo di cambiare la storia, Kyros? Perché lui è tornato, la Chiave non è danneggiata e suo padre non cammina più fra le ombre? Il mio tentativo è stato fallimentare e ancora non me ne spiego il motivo: eravamo riusciti a cambiare le sorti della battaglia, senza ricorrere alla magia; Plauzio era stato fermato da Carataco, i romani erano stati respinti. Ma al mio ritorno nel presente le Chiave era danneggiata. E Plauzio trionfante. Senza contare Rhys e Caalum dispersi nel Tempo... come le Chiavi usate da loro».
Il centauro si avvicinò all'uomo. «Cormiac... tu non hai responsabilità per quello che è successo a Rhys e Caalum, lo sai, vero? Non è colpa tua se hanno lasciato chiudere il Portale».
Cormiac scosse le spalle e, puntando sul centauro i suoi brillanti occhi blu ridomandò: «Perché il mio tentativo non è riuscito, Kyros?»
«Perché, come hai detto ad Aulo, è pericoloso interagire con il corso del Tempo. Tu hai cercato di cambiare troppe cose, Cormiac. Hai salvato chi sarebbe morto, come ha fatto Aulo, ma così facendo hai ucciso chi sarebbe sopravvissuto. Hai spezzato l'Equilibrio. Aulo non l'ha fatto. Gli ha solo dato un colpetto di trascurabile importanza. Ma nel tuo caso... credo che l'Equilibrio si sia semplicemente ricostituito».
Cormiac ci pensò un istante e annuì. «Potrebbe essere una spiegazione. Quindi Aulo Plauzio ha trionfato ugualmente. Come Aulo Valerio Corvino, del resto».
«Non ci avevo fatto caso. Il tuo allievo si chiama Aulo come il generale».
Cormiac sogghignò. «Il mio allievo si chiama Aulo in onore del generale. Suo padre, Publio Valerio Corvino, è un grande estimatore di Plauzio. Così io mi ritrovo a insegnare al secondogenito di un Babbano che ha un'immensa stima del generale a cui ho tentato, in tutti i modi permessimi dalle leggi magiche, di impedire di conquistare la mia Terra. E suo figlio mi ripaga riuscendo dove io, il suo maestro, ho fallito» affermò Cormiac con amara ironia, sventolando con noncuranza la Chiave del Tempo sotto il naso del centauro.
«I discepoli a volte lo fanno. Aulo ha ingannato il fato con la stessa sapienza con cui ha ingannato gli assassini del padre».
«Sapienza, Kyros? Io direi astuzia, più che altro».
«No, sapienza. Il puledro ha fatto scelte sagge. Più sagge delle tue, pare».
«Sì, lo hai già detto. Non è necessario che tu ribadisca ancora il concetto, sai? Aulo ha agito spinto dall'amore per suo padre. Io spinto dall'odio. Forse, semplicemente, l'Amore è un consigliere migliore dell'Odio».
«L'Amore?»
«L'Amore. La forza più potente in assoluto».
«Uhmf... parli proprio come un umano».
«Ma pensa...»
«Non diventare impertinente, Cormiac. Basta Aulo per questo».
«Già, Aulo che ha l'impertinenza di non distruggere le Chiavi del Tempo che usa».
«Aulo che scriverà un'informazione non corretta sulla sua pergamena. Forse dovresti mostrargli la Chiave del Tempo e spiegargli che a volte, per motivi imperscrutabili ai più, non si esaurisce con l'uso».
«O forse no, almeno per il momento. Meno Aulo sa sull'argomento più sicuro mi sentirò. Anzi, nasconderò le Chiavi superstiti. Le metterò in qualche luogo lontano dai suoi occhi. Non sia mai che gli venga voglia di cercare di cambiare il destino di Roma».
«Il Destino è scritto, Cormiac».
«Il Destino si può cambiare».
«Solo se decide di permetterlo».
Cormiac ci pensò un istante, poi annuì sorridendo: «Sì. Questo te lo posso concedere, Kyros. Questo te lo posso concedere».


* Mi sono azzardata – per ovvi motivi – a nominare giorno e anno alla maniera degli antichi romani: ab Urbe condita significa, letteralmente, dalla fondazione della Città, dove per Città si intende Roma. "Ante diem sextum Nonas Maias, 811 ab Urbe condita"  corrisponde al 2 maggio del 58 D.C.
Almeno spero... in caso contrario chiedo umilmente perdono a tutti gli antichi romani di passaggio.
** Lundinium è l'antico nome di quella meravigliosa città che noi conosciamo come Londra.
*** La cervogia, come ben sa chi ha avuto l'indubbio piacere di leggere qualche avventura di Asterix, è una specie di antenata dell'odierna birra, molto diffusa tra le popolazioni che vivevano nell'Europa del Nord di quei tempi.
**** La Bulla - o Bulla Praetexta - era un medaglione contenente un amuleto protettivo che, ai tempi del giovane Aulo, tutti i cittadini romani nati liberi portavano fino al raggiungimento della maggiore età.


E rieccoci qui, oh Temerari che siete sopravvissuti alla prima tappa di questo periglioso - o solo noioso, magari - viaggio.
Prima di tutto vi ringrazio per la vostra encomiabile pazienza.
Mi rendo conto, infatti, che questo capitolo non ha molto di "potteriano" ed è praticamente un originale, ma abbiate fiducia, già dal prossimo le cose cambieranno: le atmosfere cominceranno pian pianino a "potterizzarsi" e i personaggi acquisteranno un barlume di familiarità...
Per quanto riguarda questo capitolo, purtroppo, non ho potuto che inventarmi di sana pianta tutti i personaggi, visto che J.K. Rowling non ci ha raccontato nulla di periodi tanto remoti... se non che il negozio di Olivander esisteva già. E infatti la bacchetta magica del giovane Aulo viene acquistata proprio lì.
Quindi non vi preoccupate se nessuno dei personaggi da me citati vi risulta familiare: Aulo (e famiglia), Cormiac (e sfortunati compagni) e Kyros sono una mia invenzione, come le Chiavi del Tempo.
J.K. Rowling non ha colpe per la loro deprecabile esistenza.
Il generale Aulo Plauzio, Carataco, Nerone e Caligola con il suo Onorevole Cavallo sono invece persone (o bestiole) realmente esistite e, di conseguenza, appartengono solo a se stesse. Con buona pace di Cormiac.
Per finire un'ultima precisazione: sono una vera frana a trovare i titoli per le mie storie ma adoro i capitoli dotati di titolo.
Così ho adottato il trucchetto di "ricavare" i miei titoli da quelli di libri più o meno famosi, se quindi vi risulteranno familiari non stupitevi troppo!
Per questo capitolo in particolare, ad esempio, mi sono ispirata a "Il sogno di Merlino", uno dei volumi - il quarto, se non erro - delle "Cronache di Camelot" di Jack Whyte.
  
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