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Autore: loonaty    02/08/2011    3 recensioni
[legato a "Muri di cenere" ed a "Piccola volpe rossa"]
"In quel momento, quando le disse di darle la bambina e andare a vedere come procedeva il combattimento, Sakura pregò che Naruto stesse bene. Perché vedere così Hinata, lasciarla sola con una bambina appena nata, così debole e impotente, era una crudeltà che non poteva farle.
Poi, seduta su quel masso, a fissare il silenzio davanti a se aveva scoperto un desiderio più vero e profondo – egoistico- mentre con le dita accarezzava il proprio addome appena rigonfio. Perché era Sasuke quello che non doveva morire. Perché era suo. Perché era la cosa più importante che avesse assieme alla vita che cresceva nel suo grembo."
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Hinata Hyuuga | Coppie: Sasuke/Sakura
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la serie
- Questa storia fa parte della serie 'Cuori di plastica'
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Ho usato il grigio per questa storia perché aiuta a comprendere l'atmosfera. Perchè volevo rendere ancora più reale la sensazione della polvere nei polmoni e delle lacrime negli occhi.
Se vi sembra una cosa stupida siete liberi di pensarla così.
Io vi dico che sì, è una cosa stupida, ma volevo farla.
Con questo buona lettura ^^



IL VILLAGGIO SPEZZATO



Sakura stava seduta.
Le mani strette tra le cosce, palmo contro palmo.
Gli occhi spenti sull’erba bruciata, sulle case distrutte, sulla polvere ed il sangue che incrostava le pareti.
La strada deserta.
Sakura si alzò dirigendosi lentamente verso quel cratere scavato dove prima si trovava l’ingresso del villaggio.
I suoi passi risuonavano, tonfi vuoti , una sentenza di morte.
Senza vedere scivolò lungo il lato meno ripido camminando poi fino al centro di quella conca.
 
Sakura stava in piedi.
Le mani strette a pugno senza più nessuno a cui dedicare uno Shannaro fatto come si deve.
Gli occhi spenti sui due corpi davanti a lei.
Senza, per la prima volta, saper cosa dire.
Perché Sasuke le dava le spalle. Quelle forti e muscolose che ora parevano non reggere il vuoto ed il silenzio che le circondavano.
La testa chinata in avanti.
Il kimono bianco lacerato e sporco di sangue.
E quella vista le provocò una stretta al cuore.
Perché qualcosa ora riempiva quel silenzio.
C’erano lacrime a solidificare la polvere sul volto impassibile di porcellana. Perché Sasuke piangeva e lei no e questo la faceva sentire una presenza inutile, infima. Si sentiva sporca fin dentro, spregevole fino al punto di non versare nemmeno una lacrima quando il vendicatore per eccellenza cadeva in ginocchio, accanto al corpo del proprio migliore amico.
 
Sakura avanzò di un passo.
L’altro corpo, inerte, pallido come non poteva essere Naruto, giaceva davanti al moro.
La pelle macchiata di rosso che non definiva più un chackra potente, ma solo l’effimera vita umana.
Sangue.
La mantella da Hokage dimenticata da qualche parte, i vestiti quasi completamente strappati di dosso, solo qualche brandello qua e là.
E poi quel foro all’altezza del cuore.
Una ferita nera e grumosa, la pelle che si arricciava sui bordi come bruciata e Sakura riconobbe il mille falchi. Sasuke aveva fatto quello che era più giusto. Voleva avvicinarsi, consolarlo, ma quegli occhi cristallini, ancora aperti, a fissare il cielo e a rifletterlo, la tenevano a distanza. Come un amuleto.
E lei era paralizzata sul posto.
Il suo pensiero andò diretto a Hinata che poco prima aveva aiutato a partorire e allo sguardo ingenuo e dolce che puntava fuori dalla finestra, nella speranza di vedere qualcosa, qualcosa che le desse la prova che era finita, che la spronasse a superare il dolore lacerante delle doglie. Il travaglio difficile ed il pianto della bambina che arrivò implacabile, assieme a quell’esplosione di luce rossa che mandò in frantumi i vetri e arruffò i capelli neri della donna, sfinita.
E quella parola sottile e definitiva. –Kyuubi.-
-Hinata chan … S-Sei sicura?- E per una volta era lei a balbettare, stringendo tra le braccia quello scricciolo rosso e rugoso, coperto da sangue e liquido amniotico. Gli occhi di Hinata si fecero duri per non tornare mai più a velarsi di imbarazzo. Taglienti ed affilati. Da farfalle a vespe che pungevano nell’intimo, ferendo e, talvolta, uccidendo.
-Sì, sono sicura.-
Non balbettò più Hinata.
Nessuno la vide più arrossire.
In quel momento, quando le disse di darle la bambina e andare a vedere come procedeva il combattimento, Sakura pregò che Naruto stesse bene. Perché vedere così Hinata, lasciarla sola con una bambina appena nata, così debole e impotente, era una crudeltà che non poteva farle.
Poi, seduta su quel masso, a fissare il silenzio davanti a se aveva scoperto un desiderio più vero e profondo – egoistico-  mentre con le dita accarezzava il proprio addome appena rigonfio. Perché era Sasuke quello che non doveva morire. Perché era suo. Perché era la cosa più importante che avesse assieme alla vita che cresceva nel suo grembo.
Ora, lì in piedi era a conoscenza di quanto fosse potente il Byakugan.
Poiché, quando l’Hyuuga l’aveva congedata, quel rumore sordo che era rimasto sospeso nella stanza, era quello della speranza che si spezzava.
Hinata sapeva già tutto.
Sasuke allungò una mano dalle dita pallide e screpolate, una mano incrostata di sangue, verso il volto del compagno, ma si ritrasse prima che potesse sfiorarlo. Rimase sospesa a pochi centimetri dalla sua guancia.
E quel dolore lui non lo meritava.
E seppe il perché dei suoi occhi asciutti.
E seppe che era lei a doverlo risollevare.
Dopo tutto quello che aveva passato sarebbe crollato. Non avrebbe sorretto quell’oppressione, un altro peso sulla coscienza marchiata dal sigillo degli assassini.
Trovò il coraggio di avvicinarsi, di afferrare la sua mano e spingerla in basso ad accarezzare il capo dell’amico privo di vita. Guidò il suo tocco fino ad abbassare le palpebre su quegli specchi purissimi.
Prese il mento dell’uomo che amava e lo costrinse a guardarla, gli occhi neri da cui colavano lacrime rosate. Affondava i denti nel labbro inferiore. Quanto le faceva male quello sguardo? Aveva davanti poco più di un bambino.
-Sembra sia diventato bravo a distruggere tutto ciò che amo … - Mormorò, la voce spezzata così come tutto in quel dannato villaggio. Non poteva vederlo così. Affondò le unghie nella sua pelle stringendosi a lui, a voler penetrare dentro di lui, farsi carico del suo cuore, leccare via il veleno dalle molteplici ferite. Doveva appoggiarsi su di lei.
-Andiamo Sas’kè-kun- Bisbigliò a sua volta sollevandolo dalla polvere e passandosi un suo braccio attorno alle spalle.
-Andiamo.- Lo trascinò fino all’ospedale. Le lacrime si asciugarono lasciando solo una patina salata sulla pelle secca, bruciando e le ferite infertegli cominciarono a manifestare la loro presenza vomitando sangue e fiele.
Sakura sapeva che Sasuke non poteva dimenticare.
Sapeva che non si doveva dimenticare.
Con la nascita di Itachi, però, quel peso andò alleggerendosi. La vita riprese a scorrere nascondendo le sue ombre ai loro occhi alla loro apparente spensieratezza.
L’unica conferma di ciò che avevano passato restavano le punture di vespa di quel bianco accusatorio.
La conferma che Naruto era esistito davvero, che era stato reale, con i suoi capelli biondi ed il buon umore, il suo ramen  ed il dattebayò, Naruto quello che era riuscito a divenire Hokage.
 

 

Quando per la prima volta gli occhi di Kyuubi si poggiarono in quelli del mukenin e della kunoichi entrambi si sentirono morire. Occhi azzurri e cristallini in cui il cielo si rifletteva.
La bambina sorrise ai due, tenendo per mano la mamma che la tirava appena, con delicatezza. Li salutò agitando una manina elegante. In dosso una tuta arancione sgargiante.
Stava tentando di convincere la madre a fermarsi a pranzo dall’Ichiraku perché …
“C’è proprio bisogno di una bella scorpacciata di ramen, ‘ttebayò!”

   
 
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