“Suze!”
Bussai alla porta della nostra stanza.
Era barricata là dentro da quasi cinque ore, circondata da
parrucchieri,
truccatrici e stilisti.
Provai di nuovo.
“Suuuuuuuze!”
La sua segretaria fece capolino dalla soglia.
“Chiede qual è il problema.”
Passò le dita sulla tastiera del BlackBerry,
pronta a prendere nota di ogni singola parola.
“Dille che si sta facendo tardi. Io mi avvio, la aspetto
là.” Mi voltai per
andarmene, ma mi ricordai all’ultimo di una cosa.
“Giusto, dille che le lascio
la limousine, che ho con me il cellulare e che la amo.”
Sorrisi a quel manico
di scopa con gli occhiali e scesi in salotto.
Legai il
papillon bianco immacolato. L’avevo
convinto io, dovevamo farci riconoscere: cravatta e papillon bianchi in
mezzo
ad un mare di nero. Coordinati manco dovessimo andare al ballo del
diploma.
Chiusi i gemelli ed infilai la giacca, per poi spostarmi
nell’ingresso ed
afferrare le chiavi dell’Audi. Salii in macchina e accesi il
motore, facendo
rombare i cavalli. Mi chiamò giusto in quel momento.
Lanciai un’occhiata alla foto apparsa sul display:
gliel’avevo scattata qualche
sera prima dopo le prove per gli Oscar, mentre dormiva dopo che avevamo
fatto
l’amore. Era steso a pancia in giù, la testa
girata verso di me e l’espressione
beata, perso nei sogni; il lenzuolo di qualche millimetro appena sotto
la linea
stretta dei fianchi, i capelli arruffati e le mani affondate sotto il
cuscino.
Un dipinto.
Sbloccai lo schermo e portai il telefono all’orecchio.
Non gli diedi nemmeno il tempo di rispondere e, sorridendo, gli
sussurrai un
“Sto arrivando.” mentre la mano non occupata
correva al volante.
---
Ripresi a fare
avanti ed indietro davanti a quella
specie di arco allestito per l’entrata al red carpet,
lanciando occhiate
impazienti e continue all’orologio.
Vidi Nicole salutarmi agitando la mano e riuscii a sorriderle giusto in
tempo
prima che venisse risucchiata dalla ressa all’ingresso. Un
delirio. Tra
fotografi, giornalisti, e quei pochi fan che erano riusciti a trovare
biglietti, non avevo idea di chi fosse peggio.
Vidi il luccichio dell’Audi da chilometri di distanza.
Era incredibile quanto tenesse a quella macchina: la faceva lucidare
almeno tre
volte a settimana e tutte le domeniche la portava dal meccanico per la
revisione
settimanale.
Mi sfrecciò davanti ai duecento, sfanalando come un matto.
Mi passai una mano
sugli occhi. La discrezione fatta persona. Era anche vero che quando si
metteva
al volante dell’Audi ritornava bambino; il piccolo Rob che
giocava da solo con
le macchinine nel grande salotto di casa Downey.
Aspettai che voltasse nel parcheggio, mi guardai attorno per cercare
eventuali
sguardi indiscreti, e dopo un attimo lo seguii.
Non ci vedevamo da soli pochi giorni, ma quando lo raggiunsi e
incrociai il suo
sguardo, per un attimo temetti mi avrebbe sbattuto contro la macchina e
violentato seduta stante.
Lo aspettai all’ingresso delle toilette mentre recuperava la
mia cravatta – si
era occupato lui degli abiti ed aveva insistito per consegnarmi la
cravatta di
persona – e chiudeva la macchina pigiando violentemente sul
tasto del telecomando,
raggiungendomi quasi di corsa. Mi trasse all’interno della
costruzione che
ospitava i bagni tirandomi per il bavero della giacca, incurante del
fatto che
fosse la stessa che avrei indossato per la serata e che rischiava
seriamente di
danneggiarla.
---
Quando vidi che
si fermava, lasciando i pantaloni
slacciati solo a metà, e riemergeva dalla mia spalla, mi
chiesi seriamente il
perché. Paranoie che divennero inutili quando finalmente mi
accorsi di “Highway
to hell” che suonava a tutto volume.
Mi era sembrata la suoneria ideale, mentre la impostavo quel
pomeriggio, per il
red carpet, ma in quel momento mi fece girare parecchio le scatole.
Risposi quasi ringhiando per l’interruzione.
“Pronto.”
“Rob, amore, stai bene?”
Cazzo.
Diventai di zucchero - letteralmente -, casomai diventasse sospettosa.
“Certo, certo, tesoro, tutto ok. Ero nel bel mezzo di un
interessantissimo
discorso con Jude.”
Lo vidi sogghignare, mentre armeggiava con lo sguardo puntato sui miei
pantaloni.
“Oh, mi dispiace, volevo solo dirti che sono arrivata, sono
nel bagno delle
signore a rifarmi il trucco.”
Lei ridacchiò, io congelai.
“Ti aspetto fuori dalla porta.” Sorrisi
forzatamente al telefono, quasi Susan
potesse vedermi dall’altro lato della cornetta, e feci
immediatamente segno a
Jude di smettere di cercare di lasciarmi letteralmente in mutande. O
peggio.
Mi addossai al muro, premendo un orecchio sull’intonaco.
Jude mi guardò interrogativamente, ancora indeciso se
arrabbiarsi o meno del
fatto che lo avessi appena respinto poco gentilmente.
Quando lo vidi boccheggiare in cerca delle parole, gli intimai di
tacere prima
di combinare danni irreversibili.
“Di là c’è Susan.”
Gli sillabai. In due secondi si appiccicò orecchio al muro
accanto a me.
“Dici che ha sentito?” sussurrò.
“Non ne ho idea. Non mi ha detto nulla, e se non ha sentito
gli AC/DC a tutto
volume non ha sentito neanche noi.”
Ascoltai.
Non si sentiva assolutamente nulla.
“Anche tu, sceglierti posti come questo!” lo
sgridai, soffiando sottovoce.
“Ma se fino ad un attimo fa saltavi quasi, urlando che non ci
avrebbero mai
trovati!” mi fulminò. “E poi
è l’unico posto dove ho trovato ganci per gli
abiti.” Accennò alle giacche e le camice appese
ordinatamente alla parete.
Dopotutto dovevamo presentare un Oscar, serviva attenzione e quella
cura per i
dettagli che mi contraddistingueva.
Mi accorsi solo in quel momento del fatto che alla mia camicia
mancavano i
primi due bottoni. Mi staccai lentamente dal muro, additandola
inorridito.
“J-Jude.”
Mi fissò un secondo senza capire, poi seguì il
mio dito.
Lo vidi strabuzzare gli occhi e smettere di respirare.
Mi avvicinai per toccarla e accertarmi che non fosse un sogno.
Niente, mancavano due bottoni.
Cazzo.
Guardai sul pavimento ma non ne trovai traccia e mi voltai a
fissare Jude,
ancora immobile nella stessa posizione.
Gli lanciai un’occhiata di fuoco, assottigliando gli occhi.
“Io ti uccido. Te e il tuo piccolo amichetto ninfomane lassotto.”
---
Arrivai sano e
salvo al red carpet, grazie a Dio.
Bè, quasi.
Jude aveva riparato al danno coprendomi i bottoni mancanti con la sua
cravatta
e fregandomi il papillon.
Uscii dall’ombra per mano a Susan e cominciai a muovere i
primi passi sul
tappeto rosso, sperando che nessuno si accorgesse del fatto che,
contrariamente
ai miei soliti standard, indossavo una cravatta e non un farfallino.
Dopo neanche mezzo metro mi sentii picchiettare su una spalla. Mi
voltai e con
la coda dell’occhio vidi Suze illuminarsi d’immenso.
“Jude!”
Si salutarono con baci e abbracci come bravi e vecchi amici, e solo
quando si
staccarono notai quelli che sembravano i miei occhiali in mano a Jude.
Cercai in una delle tasche interne della giacca senza trovare nulla.
Non c’era
dubbio, erano i miei. Lui notò la direzione del mio sguardo
e me li porse, per
poi rispondere alla domanda muta di Susan.
“Li avevi lasciati in… ehm… in
bagno.” Improvvisò.
Bè, non era del tutto una bugia, in bagno
c’eravamo stati
Li presi e li inforcai, ringraziandolo e stando al gioco.
“Che fortuna che li abbia trovati tu, o non li avrebbe
più rivisti.” Susan gli
si appolipò ad un braccio, ringraziandolo almeno un miliardo
di volte.
Lui mi lanciò uno sguardo di sottecchi.
“Sono sicuro che qualcuno, trovandoli, avrebbe ricollegato le
iniziali a lui.”
Accennò al “RDJ” scritto con i
brillantini sulla stecchetta sinistra degli
occhiali.
Susan continuò a ringraziarlo per una decina buona di
minuti, finchè non le
feci presente che era già tardi ed eravamo solo
all’inizio del tappeto.
***
Quando
finalmente riuscimmo ad entrare nel teatro,
mi sedetti sfinito al mio posto e, dopo un fugace gioco di sguardi,
Jude si
sedette un paio di posti più in là. Il tutto
ovviamente casuale.
Suze si piegò in avanti a parlare con Helena, ed io ne
approfittai per
sporgermi dietro di lei.
Inutile dire che lo sguardo cristallino di Jude era esattamente puntato
su di
me.
“Da dove sei entrato?” gli sillabai. Mi ero
informato, infiltrandomi tra gli
addetti, e tutti avevano detto che mister Law non era passato dal
tappeto
rosso.
Inclinò la testa, stabilendo un contatto migliore.
“Sono entrato dal retro, troppa gente.”
Inarcai le sopracciglia. Jude Law che aveva paura della gente.
Possibile quasi quanto vedere un ippopotamo con le ali.
In quel momento Suze ritornò a sedere composta,
interrompendo il contatto tra
me e lui e cominciando raccontarmi
cosa
si erano dette lei ed Helena.
***
Non ero
più riuscito ad avere nemmeno un minimo
contatto con Jude, perciò attendevo impazientemente il cenno
dell’addetto che
avrebbe significato che i prossimi a salire sul palco saremmo stati noi.
Finalmente, mentre Oprah cominciava il suo discorso, un ragazzo dello
staff ci
fece segno di seguirlo e ci condusse alla green room.
Ci piazzò in una stanza enorme, davanti ad un televisore che
ovviamente mandava
la diretta degli Awards.
La green room era praticamente disabitata; noi eravamo tra gli ultimi
presentatori e dopo di noi ci sarebbe stato tutto il tempo per gli
altri di
prepararsi, vista la pubblicità già in programma.
Mi stravaccai su una poltrona, spedendo Jude al bar per i drink. Non ne
era
particolarmente entusiasta, ma non replicò.
In tutta risposta, lui tornò con due tazze di tè,
da bravo inglese.
“Mi prendi in giro?”
Mi porse la mia tazza ghignando.
“Tanto non puoi bere alcolici, mi spieghi cos’avrei
dovuto prendere?”
“Qualunque cosa, ma non il tè! Sono un dandy
americano, non una checca
inglese.” Mi guardò storto.
“Chi sarebbe una checca inglese?”
Mantenni il contatto visivo. Questa volta stava a me sogghignare.
“Non io.”
“Ah, è così, eh?”
posò le tazze sul tavolino davanti a me e mi
afferrò un
polso, facendomi alzare a forza dalla poltrona e tirandomi nella stanza
accanto.
Mi mollò accanto al biliardo e chiuse a chiave la porta.
Sorrisi mefistofelico, accennando al tavolo.
“Cos’è, hai voglia di una pa-”
Mi interruppe, saltando a sedere sul biliardo e tirandomi addosso a
lui,
facendo scontrare le nostre bocche.
“Voglio farti vedere chi è la checca,
qui.”
Appoggiai un ginocchio accanto a lui, cercando di issarmi sul tavolo, e
gli
finii a cavalcioni sul bacino. Gli lasciai un bacio a fior di labbra.
“Bè, teoricamente qui le checche al momento sono
due.”
Sorrise, afferrandomi per i fianchi – il colletto era
severamente vietato,
cinque minuti e toccava a noi – e infilandomi poco
gentilmente la lingua in
gola.
---
Entrammo da due
parti opposte, camminando in
sincrono nemmeno a farlo apposta, e in un paio di metri raggiungemmo il
microfono.
Partii io a parlare, ma nemmeno a metà discorso fui
interrotto da Rob, che
stese tutti con il suo solito carisma.
“Calmati.”
Gli poggiai una mano all’altezza del taschino per dare
più enfasi alle mie
parole, lasciandola poi scivolare involontariamente fino quasi
all’ombelico.
Lo vidi aprire leggermente la bocca, in cerca d’aria, quando
gli sfiorai i
muscoli del torace, e cercai immediatamente di richiamare
l’attenzione su di me
per evitare che qualcuno notasse la lascivia del mio gesto e la sua
reazione
non propriamente usuale.
Quando mi interruppe la seconda volta, decisi di rendergli pan per
focaccia.
Dopo una mia battuta particolarmente spinosa lo vidi boccheggiare in
cerca
delle parole e voltarsi verso di me. Mi rispose sagacemente –
come sempre, con
la sua retorica infallibile la si spuntava raramente -, per poi
incatenare lo
sguardo al mio, e per un momento credetti veramente che volesse
baciarmi. O
l’avrebbe fatto lui o l’avrei fatto io.
Giusto in tempo una lucina rossa si accese dietro le quinte, segnalando
un
momento di silenzio troppo lungo e catturando il mio sguardo,
riportandomi con
i piedi per terra.
Annunciai le nominations e la mia voce, registrata nei giorni
precedenti, prese
ad elencarle. Cercai di trattenermi un minimo e gli sfiorai appena la
mano.
Cinque minuti massimo – sperando in un discorso molto breve da parte dei vincitori
– e sarei stato libero di
violentarlo dietro le quinte.
Quando venne annunciato Iron man 2 non potei fare a meno di lasciarmi
scappare
un sorrisino all’indirizzo di Rob, accanto a me, e pregai con
tutte le forze
che vincesse solo per vedere il suo sorriso soddisfatto.
“E l’Oscar va a… Inception.”
Notai che ci rimase palesemente male, anche se
cercava di non darlo a vedere, mascherando il tutto dietro il suo
solito
sorriso cortese.
Porsi il premio ai vincitori e aspettai fin troppo pazientemente che la
platea
si concentrasse su di loro.
“Possiamo bere un bicchier d’acqua?”
chiesi innocentemente ad una delle ragazza
che ci avevano portato le statuette.
“Certo.” Mi sorrise. Non attesi un secondo di
più, afferrai Rob per un braccio
e me lo tirai dietro nel backstage.
Cercai una nicchia buia tra le quinte e gli carezzai il viso, vedendo
la sua
facciata sgretolarsi sotto le mie dita.
“Siamo obiettivi, Inception è decisamente
migliore, in quanto ad effetti
speciali.” Provò ad auto convincersi con una
smorfia. Non era stato lui, ad
essere nominato direttamente, ma gli dispiaceva come se lo fosse stato.
“Iron man potrà anche non aver vinto
l’Oscar per gli effetti speciali, ma prima
o poi uno di quei premi sarà tuo. Te lo meriti e lo sai. Lo
meritavi già ai tempi
di Charlot.”
Mi sorrise appena, lasciandomi poi un bacio a fior di labbra.
“Andiamo.” Mi prese la mano e si appostò
appena dietro le quinte, aspettando
che i vincitori terminassero i ringraziamenti. Gli pizzicai un fianco
quando lo
trovai a cercare di specchiarsi in uno dei gemelli. Per quanto fosse
afflitto,
non sarebbe cambiato mai. Ma d’altronde, come aveva detto
lui, era importante
la cura per i dettagli. Era grazie a quelli che in due anni di
frequentazioni
clandestine non ci eravamo fatti ancora scoprire da nessuno. Escluso
Guy, certo,
ma sospettavo fosse dotato di poteri paranormali.
“Narcisista.” Lo apostrofai, guadagnandomi
un’occhiataccia.
Uscimmo qualche secondo prima della fine del discorso, sistemandoci in
uno dei
palchetti laterali come se fossimo stati sempre lì. Come da
accordo, una delle
ragazze di prima consegnò la nuova busta a Robert.
Quando i riflettori tornarono si incentrarono di nuovo su di noi, lo
vidi
improvvisamente smettere di applaudire e prendere a guardarmi. Lo
fissai
interrogativamente, mentre continuavo a battere le mani.
L’attenzione era
tornata a noi, meglio non commettere gesti avventati.
Ma a quanto pareva, come solito lui se n’era accorto prima di
me.
“Jude Law non ha più un passaggio per gli
after-party, se qualcuno fosse
interessato.”
Cercai di nascondere un sorriso.
Ecco la vendetta per il simpatico epiteto di poco prima.
Lui non aveva nemmeno pensato a come spiegare questa battuta, lo
sapevo, agiva
d’istinto, ma come sempre il suo istinto era nel giusto ed il
gesto si sarebbe
di certo giustificato alla platea con il fatto che avevo applaudito
tanto
vigorosamente ad un vincitore che non era il film di cui era
protagonista lui.
Annunciò le nominations e, come la mia poco prima, la sua
voce pre-registrata
partì con i titoli, facendomi dannare con quel suo accento
mostruosamente
sensuale.
Approfittando del fatto che fossero tutti presi dal video, ci spostammo
di
nuovo nel palco centrale, come da copione, invertendo le posizioni di
prima
davanti al microfono.
“E l’Oscar va a...” approfittai della
scusa di leggere la busta per portarmi
più vicino a lui. “The social network.”
Lo vidi sorridere appena. L’avevamo
visto insieme, accoccolati sul divano nel mio salotto, al caldo sotto
un plaid.
Ci era piaciuto.
Applaudii e ringraziai la ragazza con le statuette, porgendo la sua a
Rob.
Cercando di passare inosservati, scivolammo finalmente dietro le quinte
e di
nuovo nella green room. Non mi feci scrupoli a tirarlo di nuovo nella
sala del
biliardo.
Chiusi a chiave e ripresi la posizione di poco prima, tirandomelo
addosso
sorridendo.
Anche questa era fatta.
***
“Robert?”
La voce di Susan ci arrivò alle orecchie forte e chiara
nonostante la
lontananza.
Lanciai un’occhiata all’orologio accanto alla porta
e tirai una gomitata nelle
costole a Robert, sdraiato placidamente accanto a me sul tavolo. Gli
Oscar
dovevano essere finiti da almeno venti minuti, facendo due calcoli.
Saltai giù dal tavolo, recuperando la camicia di Rob e
tirandogliela addosso
mentre cercavo la mia.
“Vestiti, c’è Susan!” gli
sibilai, vedendolo guardarsi intorno confuso,
chiudendo gli ultimi bottoni e sistemando il papillon. Lo osservai
balzare
agilmente a terra. Cercai di sistemarmi i capelli, recuperai le palline
da
biliardo e le sparsi sul tavolo facendo più rumore
possibile. Robert mi guardò
aggrottando le sopracciglia, e indicai eloquentemente il tavolo.
Sembrò capire,
perché sorrise malandrinamente e si affrettò a
staccare due stecche dal muro,
lanciandomene una e correndo ad aprire la porta con gli occhi che
brillavano.
Un bambino, un bambino. Si divertiva come un matto, con cose del genere.
Giusto in tempo, vidi Susan arrivare un decimo di secondo dopo e mi
feci del
male fisico per trattenere la risata che mi nacque alla vista del
sorriso
angelico di Rob.
“Amore!” la salutò, come se non avesse
finito due minuti prima di scoparsi
allegramente quello che lei credeva il suo migliore amico.
Quasi mi ruppi una costola, per resistere. Mi dispiaceva per Susan, ma
l’Oscar
gli ci voleva senza dubbio.
---
Almeno il party
di Vogue passò senza ulteriori
complicazioni, anche se più di una volta mi ero ritrovato a
perdere tutti i
contatti con Jude, per poi ritrovarli qualche attimo dopo, scoprendolo
appartato in un angolo con questa o quella celebrità. Una
volta lo beccai con McGregor,
ma fortunatamente ci pensò lui a discostarsi in fretta.
Sapeva che non
sopportavo Ewan.
Lui, d’altronde, non sopportava Val, eravamo pari. In effetti
l’unico con cui
andava abbastanza d’accordo era Jamie, grazie a Dio.
Susan arrivò improvvisamente a trascinarmi verso una vecchia
amica proprio
mentre cercavo di scivolare silenziosamente verso Jude, venendo
braccato quasi
alla fine del percorso. Mi lasciai tirare, sillabandogli le mie scuse e
vedendolo annuire, sorridendo appena.
Sospirai, voltandomi e buttandomi nella conversazione, emanando carisma
da
tutti i pori come sempre.
---
Me lo vidi
portar via quando era praticamente tra le
mie braccia, ormai.
Avevamo già avuto la nostra dose di scappatelle, quel
giorno, ma non sembrava
mai abbastanza da compensare quei periodi interminabili che passavamo
lontani.
“Scusa.” Scandì silenziosamente,
seguendo Susan.
Non glielo potevo impedire, era sua moglie. Gli sorrisi, cercando di
non far
trapelare la delusione, a quanto pareva riuscendo in pieno. Quando
c’era Susan,
a poca distanza, orbitava solamente attorno a lei e non potevo farci
niente,
anche se la cosa mi pesava in modo inimmaginabile. Ma lui non sembrava
capirlo,
non sembrava curarsene. Ed io di certo non sarei andato a
rinfacciarglielo, lo
conoscevo, avrebbe finito per sentirsi l’unico colpevole.
Presi un altro calice di quello che credevo fosse champagne e lo
svuotai in un
sorso, senza perdere d’occhio un secondo la schiena di
Robert.
Rideva, gesticolava, raccontava aneddoti e barzellette.
Stringeva Susan, respirava tra i suoi capelli, le lasciava un bacio
sulla
tempia.
Abbandonai il bicchiere sul primo tavolo che mi capitò e mi
precipitai a grandi
passi verso l’uscita.
Era ora di andarsene, la mia serata era finita, cominciava la loro.
Mentre mi avviavo a cercare un taxi, chiamai Ben per farmi prenotare il
primo
volo disponibile per l’Inghilterra.
***
“Sei
sparito, ieri, nessuno ti ha visto andare via.”
“So anche passare inosservato, sai?” forzai una
risatina nella cornetta.
Lui mi seguì. “Ho notato.”
Non mi hai visto. Mi hai lasciato andare.
Non mi hai fermato.
“Susan ha detto che dovresti venire a cena,
stasera.”
“Mi dispiace, sono tornato a Londra.”
“Di già? Pensavo volessi rimanere qualche giorno.
Fare un giro nei dintorni…”
si interruppe. Udii una porta che veniva chiusa in sottofondo e capii
che era
andato a chiudersi da qualche parte per non essere ascoltato.
“Pensavo avremmo
passato del tempo insieme.” La delusione nella sua voce mi
fece un male
tremendo all’altezza del cuore.
Lo amavo. Io lo sapevo, lui lo sapeva.
Chiusi gli occhi, cercando la scusa più facile.
Semplice, i bambini.
“Mi dispiace. Mi sarebbe piaciuto da morire, lo
sai,” ma non ce l’avrei fatta
“ma purtroppo Rudy si è sentito male e Sadie
voleva che tornassi.” Tenni gli
occhi chiusi, come se potesse impedirgli di capire che era una bugia,
anche se
non era là a leggermelo nel fondo dell’iride.
“Ora va tutto bene?”
“Si, si, certo, tutto passato.”
“Benissimo.” Lo vidi distintamente dietro le
palpebre chiuse che sorrideva di
quel sorriso luminoso tutto suo.
“Ci sentiamo.”
“Si, certo. Ma sappi che già mi manchi.”
Abbassai appena il telefono e sospirai di nuovo.
“Anche tu.”
Ed era vero.
[Ce l’ho fatta. Qualcuno dica a Dio che ora voglio una
bambolina, come minimo.]
DIO.
Al momento mi sento la regina del mondo solo per essere riuscita a
finirla.
Un parto.
Cinque mesi che questa cosa schifrepida, è in fase di
lavorazione (Manu, tu che dicevi che sarebbe stata bellissima appunto
per il tempo che ci avevo impiegato, dovrai ricrederti, mi
dispiace).
Cinque mesi buttati, insomma.
E sono solo 8 pagine, sono sembrate più che quelle de Il signore degli anelli, mentre scrivevo.
Eppure la amo. O quantomeno la prima parte, quella che aspetta
pazientemente da
marzo di essere pubblicata e che non ha mai visto così tante
correzioni in vita
sua (dall’inizio fino all’arrivo al party di Vogue,
tanto per intenderci), ma
che poi si è vista appioppare stanotte (ebbene si, alle due
del mattino mi sono
messa a finirla solo perché ci tenevo a pubblicarla oggi, 3 agosto. A qualcuno ricorda
qualcosa? Oh, già, il compleanno
di Frà!) la parte finale, che è una roba che non
si legge proprio.
Ora.
Il titolo è un verso di Numb, dei Linkin Park, che mi
è capitata come si dice a fagiuolo
mentre terminavo la stesura
del pezzo orribile di cui sopra, ed ovviamente tutto questo rusco
(termine tipicamente
bolognese per indicare il pattume, la spazzatura, i rifiuti, e tutti i
sinonimi
che volete. Se non lo conoscevate, ora lo conoscete
ù_ù “Anderson,
do your research.”) è per la cara,
carissima Vè, che mi
ucciderà per averle rovinato il compleanno. Sei la
benvenuta, cara, tutto
quello che vuoi, e, finalmente, BUON
COMPLEANNO, HO!
Poi la vorrei dedicare a tutte le donnine con cui ho
condiviso quella
magnifica nottata che sempre ricorderò, vi voglio tanto
tanto bene <3
E mi sono tolta dalle scatole anche la shot sugli Oscar, mi sento
terribilmente
realizzata. O almeno, mi sentirò terribilmente realizzata
per i prossimi cinque
minuti ._.
Ora, se permettete, vado a letto, che l’orologio segna un
orario
indecentemente vicino alle tre e mezza. E se non mi sbrigo a
pubblicare le supera anche.
Buonanotte e ancora BUON
COMPLEANNO, FRA'! <3
- G