Serie TV > Il Trono di Spade/Game of Thrones
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Autore: sistolina    04/08/2011    3 recensioni
Daenerys Targaryen, Jon Snow, Tyrion Lannister, Bran Stark, ai capi opposti Sette Regni, accomunati dal destino e da una nascita che sembra averli segnati per sempre.
Jaime e Cersei Lannister, Robb Stark, Viserys Targaryen, coloro le cui vite sono state cambiate per sempre da quelle nascite.
L'inverno sta arrivando, ma il passato è importante quanto il futuro nel gioco dei troni...
1)Viserys/Daenerys → Stormborn
2)Jon/Robb/Bran → Summerborn
3)Jaime/Cersei/Tyrion → Deathborn
SPOILER!!!!!
4)Lyanna/Rhaegar/Jon → Bloodborn (questa OS è interamente frutto di una supposizione riguardo la possibile nascita di Jon, non è propriamente uno spoiler, anche se basata su dettagli evincibili dalla saga, nè ha la pretesa di essere verosimile. E' solo un'ipotesi sui veri genitori di Jon che a me interessava approfondire)
Genere: Generale, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Deathborn


 

“They can write a ballad about us.
A war for Cersei's cunt. ”
 
 
I festeggiamenti sembrarono non finire mai, e con essi le urla, i canti, le dispute per il vino e le puttane, le pisciate a pochi metri dai suoi piedi. E aveva già visto troppi cazzi penzolanti sui campi di battaglia, per sentire anche solo il lontano desiderio di vederne altri. La testa gli doleva selvaggiamente, il sangue secco fra i capelli e sul viso gli rendeva difficoltosi i movimenti, e la pietra che lady Stark aveva usato per colpirlo, gli aveva fatto crescere un bozzo sopra l'orecchio grande come una mela matura.
 
Nothin’ goes as planned.
Everything will break.
People say goodbye.
In their own special way.
 
Un soldato barcollante, dal naso adunco cosparso di foruncoli, si trascinò incespicando fino al limitare della foresta. Cucita sul petto la trota dei Tully sembrava saltare davvero, illuminata discontinuamente dalle luci delle torce infuocate. L'occhio ancora aperto di Jaime lo scrutò con una smorfia
“Ti cascasse il cazzo” lo freddò distogliendo lo sguardo dalle mani che armeggiavano tremolanti con i calzoni. Non è che fosse semplicemente una donnicciola schizzinosa. Era che avrebbe preferito una fica. La sua fica. La fica di sua sorella. Non era nemmeno bello da pensare, o cavalleresco, o romantico, ma aveva in mente solo Cersei da quando era partito da Approdo del Re per tagliare la coda al giovane lupo. E di rado, con Cersei, qualcosa era cavalleresco, o romantico. Di solito era qualcosa di veloce, strappato a qualsiasi momento stessero vivendo, pericoloso, sterile e dolorosamente eccitante. Doloroso fino allo spasimo, quasi come se i loro artigli di leone strappassero la carne dalle ossa, i muscoli dal cuore lacerando la pelle fino a vedere il sangue, e sentirlo scorrere fra le dita. Non gli venivano in mente immagini di tramonti infuocati o albe dorate, quando pensava a lei. Solo all'oscurità nella quale dovevano celarsi, all'odore del sesso e della colpa, mischiato al suo seme sulla pelle bianca di lei.
E gli sarebbe andato bene anche così, specialmente in quel momento, specialmente legato ad un tronco nel mezzo del nulla, con il respiro che si condensava in spesse nuvole bianca davanti alle sue labbra sanguinanti, con il cazzo di un maledetto Tully a sventolargli davanti al viso.
“Fottiti Sterminatore di Re” lo rimbeccò l'altro farfugliando. Ma Jaime Lannister non era tipo da scomporsi per una cosa del genere. Il cucciolo di lupo lo aveva sconfitto, umiliato, e preso prigioniero, il sangue rappreso gli faceva bruciare gli occhi, e probabilmente gli si stava allargando un buco in testa che lo avrebbe ucciso lentamente e dolorosamente, ma perché abbattersi? La notte era limpida e stellata, anche se gelida, e lui era ancora giovane e bello, per quanto non lo credesse possibile con tutte le ferite che aveva subito nel Bosco dei Sussurri. E Tywin Lannister lo avrebbe riscattato, a qualunque costo, perché lui era l'erede di Castel Granito, malgrado Jaime stesso avesse fatto tutto il possibile per trasformare qualcosa di immensamente naturale, come ereditare un titolo, in una battaglia all'ultimo sangue, uno scontro di volontà, un duello di resistenza e cocciutaggine fra un padre dispotico e un figlio testardo. In quel momento, legato come un maiale ad un tronco ruvido le cui schegge gli graffiavano il collo e la nuca, ereditare Castel Granito e i possedimenti dei Lannister non sembrò una così grave sconfitta a Jaime Lannister.
 
All that you rely on
And all that you can fake
Will leave you in the morning
But find you in the day
 
E Cersei, oh, Cersei avrebbe scatenato sui lupi e le trote tutto il suo esercito. Avrebbe lasciato un solo cavaliere per proteggere lei, Joffrey, Tommen e Myrcella, e avrebbe mandato il resto della guarnigione in quella bassa valle merdosa a sterminare chiunque fosse così folle da mettersi fra loro. Era sempre stato così, da che Jaime aveva memoria.
Si mosse piano, attento che la corda che gli scarnificava i polsi non si tendesse troppo, e cambiò posizione per sedare i crampi feroci alle cosce e ai polpacci.
Si chiese se il corvo con la notizia della sua cattura fosse già arrivato ad Approdo del Re, se Tyrion e Cersei avessero già fra le mani la prova tangibile della sua inettitudine. Suo fratello si sarebbe scolato una brocca di vino di Arbor, scagliandosi contro gli Stark, i Tully, la politica e la guerra, scopando qualche puttana tanto per rimarcare la sua obiezione. E la sua dolce sorella avrebbe affilato gli artigli di Lannister di cui era ampiamente dotata, e non solo in senso lato.
 
Flashback*******************************************
 
La musica aveva suonato, i guitti avevano messo in scena le loro farse da guitti, e gli invitati avevano riso e atteso che lord Tywin Lannister facesse lo stesso. Ma suo padre non aveva riso, limitandosi a torcersi le mani nell'attesa.
Ora il vino scorreva a fiumi, e la confusione riempiva ogni angolo del grande salone, mentre gli uomini, giovani, vecchi, barbuti o glabri che fossero, ridevano chiassosamente, sbattendo i grossi corni di birra sui tavoli, imprecando e colpendosi il ventre con grosse mani pelose, il viso paonazzo, e qualche servetta con il corpetto slacciato e le gonne sollevate seduta in grembo.
Jaime osservò gli stessi uomini fedeli a lord Tywin, compunti e fieri nelle loro armature scintillanti il giorno, trasformarsi in orsi sguaiati e paonazzi mentre facevano scivolare le dita nei corpetti delle donne dai capelli scompigliati.
Cersei ammiccò nella sua direzione, gli occhi di smeraldo accesi di malizioso divertimento: lei amava quelle immagini oscene, come amava le risatine delle fanciulle che si scioglievano dagli abbracci degli anziani per lasciarsi scivolare nelle tende dei più giovani, la notte, quando l'intero castello sembrava silenzioso. Era allora che accadeva: sua sorella sgattaiolava fuori dalla sua stanza, veloce e silenziosa come una leonessa, infilandosi in quella di Jaime, sotto le coperte di sfarzosa porpora che rivestivano il suo baldacchino. Si stringeva a lui e si avvolgeva attorno alle dita i capelli biondi identici ai propri, intrecciandoli indissolubilmente, finché l'alba non faceva la sua comparsa dietro le pesanti tende e filtrava debolmente, traslucida e tagliente, fra le pieghe del sonno. Allora Cersei svaniva, con quello stesso sorriso, fra le nebbie del sogno.
 
Oh you’re in my veins
And I cannot get you out
Oh you’re all I taste
At night inside of my mouth
 
Si voltò in una risatina, sgusciando fra gli invitati nelle sue ampie gonne verde smeraldo impreziosite da raffinati merletti di Myr. La loro balia diceva sempre che se sua sorella avesse indossato un farsetto e un paio di brache, e Jaime un vestito, nessuno, nemmeno il lord loro padre, li avrebbe distinti.
Allora sorriso di lei si era acceso di furbizia e divertimento. Il giorno dopo, le servette avevano trasportato un grosso baule di quercia nella sua stanza, e Jaime non aveva avuto dubbi sul suo contenuto.
La seguì, senza esitare nemmeno un istante, scivolando con altrettanta facilità fra le ombre oblunghe delle torce di Castel Granito, la fortezza che suo padre, orgogliosamente, gli aveva giurato sarebbe stata sua.
Ma a Jaime non importò nulla di Castel Granito, né del trono, se mai avesse potuto essere suo, ma solo dell'orlo del vestito di Cersei che si muoveva sinuosamente nel corridoio, a pochi metri da lui, allontanandosi e avvicinandosi nuovamente alla sua vista, vicino eppure inafferrabile.
 
Oh you run away
Cause I am not what you found
Oh you’re in my veins
And I cannot get you out
 
Incespicò in un gradino, e quasi cadde, artigliando la parete con le mani affusolate, sbattendo in un sostegno per le torce, quasi incendiandosi i lunghi boccoli biondi scompigliati per la corsa.
E la risata di Cersei che si perdeva nell'eco del silenzio, nel buio della notte, nel chiarore delle fiammele che rischiaravano i corridoi altrimenti scuri come la pece sui tetti delle case del popolino. Solo la sua voce lo guidava in quell'intricata sequela di corridoi senza nome, nel ventre stesso del castello.
Cersei si fermò improvvisamente, costringendolo ad arrestarsi di colpo per non sbatterle addosso, e lo afferrò per la manica del farsetto per trascinarlo dietro un angolo buio del corridoio. Si portò il dito davanti alle labbra, con lo stesso sorriso cospiratore che metteva su quando tramava qualche scherzo per la loro balia.
La fissò con aria interrogativa, mentre sua sorella gl'indicava con un cenno qualcosa che si muoveva nell'oscurità appena dietro l'angolo.
Jaime si sporse oltre il muro e li vide: due figure, un uomo e una donna, a giudicare dalle spalle larghe dell'uno e la linea esile dei fianchi dell'altra, erano addossate alla parete, e si muovevano ritmicamente, emettendo versi incomprensibili e ansiti smodati, afferrandosi l'un l'altra come se non conoscessero altro appiglio per restare vivi. Lei gemeva, invocando la Madre, il Guerriero, perfino lo Sconosciuto, e lui imprecava rudemente, con voce roca, grugnendo come un maiale. Fu uno spettacolo bieco e volgare, qualcosa che Jaime non avrebbe voluto vedere.
Ma Cersei sorrise, avvicinandosi a lui con l'indice sollevato, accarezzandogli gli zigomi pronunciati, l'unico dettaglio del loro aspetto che permetteva ad un occhio attento di distinguerli
“Sai cosa stanno facendo?” gli sussurrò all'orecchio soffiandovi dentro fiato caldo. Jaime lo sapeva; aveva sentito spesso le servette parlare di quando questo o l'altro soldato di suo padre entrava in loro facendole gemere e implorare. Il più delle volte ridevano, facendo strani gesti con le mani, avvicinando i pollice e l'indice con ridolini sconnessi, ma altre volte si perdevano con lo sguardo oltre il presente, come se la Fanciulla fosse scesa su di loro per concedere la sua benedizione.
Ma non aveva mai capito, fino a quel momento, cosa davvero volesse dire.
 
Everything will change.
Nothin’ stays the same.
 
Deglutì, annuendo, mentre sua sorella ridacchiava in quello stesso modo malizioso delle servette di Castel Granito. Gli avvicinò le labbra all'orecchio e sussurrò “Lo faremo anche noi, un giorno. Io sposerò un principe, e tu una lady di qualche terra lontana, e anche noi faremo l'amore” ma la rabbia montò cieca in lui a quell'immagine, il corpo di sua sorella nelle grinfie di un indegno maiale che le avrebbe sbuffato addosso mentre la faceva sua. Jaime Lannister non lo avrebbe permesso. Sarebbero rimasti insieme per sempre, come era destino, come la Madre aveva deciso, portandoli insieme nel grembo di lady Joanna.
Serrò la mandibola in un gesto automatico, così rabbioso da intaccare perfino la luce negli occhi di lei
“Mai” sibilò serrando le mani a pugno lungo i fianchi.
 
And nobody here’s perfect.
Oh but everyones to blame.
 
Fine flashback**********************************************************
 
 
Everyone who isn't us is an enemy
 
 
Lancel rotolò su un fianco, occupando l'intera lunghezza del letto a baldacchino con il suo esile corpo di adolescente. I capelli biondi gli ricadevano quasi ordinatamente sul viso arrossato, e la mano ossuta dalle unghie curate reggeva distrattamente il capo. I suoi occhi la stavano divorando, colmi di quella malizia ingenua che Cersei detestava. Non voleva che la guardasse in quel modo, sognante e innamorato. Non voleva che fosse giovane e inesperto. Non voleva che si invaghisse di lei, quando tutto quello che Cersei voleva era qualcuno dentro di sé, qualcuno che non le ricordasse gli orrori della vita matrimoniale con quel cinghiale borioso di Robert, che la facesse sentire una vera regina, qualcuno che fosse come Jaime. Ma Lancel, con i suoi baffi appena accennati sul labbro superiore e gli occhi grandi e perennemente spalancati di sorpresa, non aveva niente di lui. Nemmeno il cazzo.
 
All that you rely on
And all that you can save
Will leave you in the morning
And find you in the day
 
Si passò una mano fra i capelli biondi un po' aggrovigliati, lisciandoli con stizza. Il lembo bruciacchiato di pergamena giaceva ancora accartocciato a terra, raggrinzito e incartapecorito. Aveva provato una perversa soddisfazione quando la fiamma della candela aveva cominciato a divorarlo, a sciogliere l'inchiostro nero che gocciolava in rivoli opachi sulla carta che si consumava. Si era sentita libera e potente, come se fosse stata capace di bruciare così anche la verità che i corvi le avevano portato con sé dal Tridente. Ma quelle stesse parole la fissavano ora da quella pergamena annerita, ugualmente lapidarie, ugualmente vere, ugualmente inequivocabili.

“E' stata una disfatta. Robb Stark ci ha teso una trappola.
Ser Jaime è stato catturato”
 
Vergate con calligrafia incerta su quel maledetto foglio di pergamena, strappato e stropicciato innumerevoli volte, macchiato di sangue rappreso di un qualche soldato fortunato che non era Jaime, la canzonavano rilucendo debolmente alla luce delle candele che colorava la sua camera da letto di un caldo rosso rubino.
E Lancel continuava a fissarla, gli occhi verdi sfumati di venerazione e ammirazione, così diversi da quelli di suo fratello, che in quel momento l'avrebbero guardata appena dischiusi, costringendola con il silenzio a raggiungerlo per finire quello che avevano iniziato.
Si avvicinò al letto, lentamente, sinuosamente, conscia del potere e del controllo totale che esercitava sul ragazzo. Una sensazione così appagante, disse a se stessa mentre s'inginocchiava mollemente sul materasso, scostando una ciocca di capelli dalla fronte di Lancel. Questo lei amava, il potere, il controllo, la supremazia su qualcuno che si concedesse a lei completamente, disarmato come quando era venuto al mondo, affidando se stesso alle sue mani come creta da modellare.
Non era stato così con Jaime, che era così forte, e determinato, e testardo, anche quando Cersei s'illudeva di averlo in pugno. E Jaime era il figlio che Tywin voleva, l'unico che meritasse la sua considerazione, quando gli altri erano una storpiatura del mondo e una donna, che agli occhi del lord di Castel Granito non era un'onta meno grave dell'essere un nano.
Lasciò scivolare la veste a terra, beandosi per un attimo dello sguardo ammaliato di Lancel, e lottò contro quella fitta di tristezza al ventre che le rammentava Jaime, prigioniero, lontano mille leghe, ferito, sofferente, magari rinchiuso in una fredda cella da campo in balia degli elementi e del gelo del Nord.
Chiuse gli occhi, e quando li riaprì, suo fratello ricambiò il suo sguardo, follemente bello e sornione, nel suo sorriso gemello.
 
Flashback***********************************************************
 
L'avevano fatto ancora. Scambiarsi le vesti era uno dei suoi giochi preferiti. Jaime rideva, guardandola spogliarsi e infilare le sue membra longilinee nei calzoni da caccia che le piaceva indossare, ma non amava quel gioco quanto Cersei. Ovvio, perché essere lei non era divertente come essere se stesso. Non agli occhi di lord Tywin Lannister.
Suo fratello aggrottò le sopracciglia quando gli mostrò l'abito che avrebbe dovuto indossare quel giorno; non era un amante dei pizzi di Myr, o dei merletti. E Cersei lo sapeva. Osservare il corpo di lui strizzato dentro i suoi abiti le dava un perverso brivido di piacere, una sensazione che, come le altre, si perdeva rapidamente nell'entusiasmo della sua giovane età.
Ma non quella sera, quella sera lady Joanna stava dando alla luce un bambino, e il castello era in acceso fermento, un turbinare di servette al lavoro, septon che ciondolavano a benedire ogni cosa con i loro più disparati accenti, maestri della Cittadella che si trascinavano con le loro catene di metalli al collo con assoluta e pacata lentezza, quasi lottando contro il respiro febbrile di quella notte a Castel Granito.
Solo suo padre, l'uomo che non aveva mai riso, restava immobile dinnanzi alla camera della moglie, le mani strette a pugno sulle ginocchia, immobile. Solo un uomo come lui avrebbe potuto trasformare l'ansia e l'emozione di diventare nuovamente padre in una sferzante e minacciosa immobilità.
Jaime sbuffò
“Questi merletti mi fanno grattare sorella” borbottò lamentoso “dovevi scegliere proprio questo vestito 'stasera?”
Camminavano l'uno affianco all'altra, i passi che echeggiavano nella vivace attesa, scivolando fra i servi e gli stallieri, i fabbri, le cuoche e i mendicanti che si affannavano davanti alle porte nell'attesa che la buona novella riempisse i cuori di gioia e le loro tasche di conio.
Non conoscevano a sufficienza lord Tywin per sapere che nemmeno la gioia più grande della sua vita, la nascita di Jaime, aveva aperto le sue tasche dorate a straccioni e accattoni. Probabilmente, nemmeno diventare re dei Sette Regni lo avrebbe permesso.
Colpì la mano di lui ancora intenta a stropicciare i suoi preziosi merletti, e lo condusse lungo un corridoio scuro, stretto e impolverato, uno di quei passaggi che non usava più nessuno se non qualche servetta in amore con lo spasimante del giorno. Qui e là, nella semioscurità del pavimento trasandato, qualche straccio o una scopa di saggina interrompevano per un attimo la loro corsa, facendoli trasalire.
Cersei risalì una scala di pietra dai gradini ricoperti di polvere e lerciume, soddisfatta dei suoi stivali di cuoio che si muovevano agilmente negli anfratti di quello strano passaggio segreto.
Jaime si teneva a poca distanza, ma sembrava molto meno a suo agio, goffo com'era nelle ampie gonne color porpora dei Lannister. Sbuffava e imprecava quando gli orli si sfilacciavano urtando contro gli spigoli celati dall'oscurità, o la delicata pelle delle braccia si graffiava contro le protuberanze del legno dei camminatoi.
Alla fine, quando anche Cersei cominciava a sentire il peso di quella corsa notturna, la luce soffusa dell'anticamera della stanza che lord Tywin e lady Joanna condividevano da anni, illuminò debolmente il cammino davanti a loro, attraverso una crepa nel legno della paratia di quercia lucidata che fungeva da parete.
Suo padre era ancora immobile, seduto su uno sgabello dalle gambe che terminavano in zampe di leone, e stringeva i pugni chiusi sulle ginocchia con sempre crescente decisione. L'unica traccia del suo stato d'animo era la gamba destra che dondolava debolmente, di quando in quando, se la tensione raggiungeva il massimo del sopportabile. Le urla della lady sua madre, però, spezzavano perfino il rigido silenzio di lord Tywin.
Jaime le si accostò, cingendola delicatamente per la vita, sporgendosi oltre la sua spalla per osservare il padre
“Sembra una statua” osservò con un fil di voce che la stessa Cersei faticò a cogliere. Il viso del padre era terreo e quasi intagliato nel marmo, con le palpebre semichiuse che non sbattevano mai, e le labbra serrate in un tagliola mortalmente sigillata.
L'ennesimo urlo, coronato da qualcosa che si frantumava a terra cadendo in un tintinnare di cocci mortali, sembrò scavare nel viso di lord Tywin un'ultima ruga profonda, che gli solcava le sopracciglia bionde in mezzo agli occhi, fino al naso diritto, quasi sfiorando le labbra sottili.
Il maestro uscì dalla camera claudicando vistosamente, e il lord suo padre gli lanciò un'occhiata obliqua; non era un uomo che tollerava la debolezza, e anche nella vecchiaia sarebbe stato eretto e poderoso come un cavaliere. Sempre, qualunque cosa fosse accaduto. Questo aveva sempre pensato Cersei di lord Tywin Lannister. Ma l'uomo che aveva di fronte in quel momento, sembrò frantumarsi sotto i suoi occhi come una scultura di ghiaccio colpita da una mazza ferrata.
Il maestro sussurrò qualcosa, debolmente, come se non avesse la forza di parlare, poi s'interruppe per un lungo momento, mentre il pallido viso dell'altro sbancava pericolosamente
“Ma il...bambino è sopravvissuto” un maschio, pensò brevemente Cersei, un altro maschio a cui somministrare onori e glorie, un altro maschio al quale donare terre e possedimenti, al quale dare in sposa una fanciulla vergine di poco più che dodici anni da ingravidare fino allo sfinimento a malapena guardandola negli occhi.
 
Everything is dark.
It’s more than you can take.
 
Cersei avrebbe pianto, se suo padre non fosse stato così sconvolto. Avrebbe pianto se avesse pensato alle parole del maestro, a quel “ma” che solo dopo avrebbe compreso con tutta la sua devastante disperazione.
Lord Tywin si riscosse per un attimo dal suo addolorato torpore
“Un maschio? Gli dèi sanno essere crudeli” sussurrò debolmente.
Il maestro scosse la testa calva ricoperta di macchie scure
“Lo sono mio lord” bisbigliò con voce querula “e spesso ci mettono alla prova con le loro scelte. Ma questo non vuol dire che non abbiano un percorso per ognuno di noi, nella loro immensa onnipotenza” quelle parole odoravano di preamboli ad un discorso che, di certo, non sarebbe piaciuto a suo padre.
Jaime si agitava alle sue spalle, spostando il peso da una gamba all'altra, in attesa.
Cersei osservò lord Tywin ricacciare indietro ogni emozione, ogni fragilità e ogni incertezza, ergendosi in tutta la sua gloriosa figura
“E sia allora...mostratemi mio figlio” il maestro della Cittadella si mosse piano verso la stanza, come se non desiderasse altro che poter disobbedire a quella richiesta. I suoi occhi acquosi di un colore indefinibile fra il grigio e l'azzurro sembravano persi in un orizzonte di disperazione e morte. Cersei rabbrividì, e sentì Jaime fare lo stesso
“Perché nostro padre è così provato?” domandò Jaime facendo scorrere la mano sulle spalle di lei.
“E' successo qualcosa. E quello stupido maestro inetto non è stato nemmeno capace di dire cosa...” ribatté lei con la rabbia che le increspava i boccoli biondi.
Pochi attimi dopo, ogni risposta alle domande che non avrebbero mai voluto pronunciare arrivò, fra le braccia tremolanti e incerte del fragile maestro.
Lord Tywin si avvicinò al fagotto che l'altro stringeva fra le braccia, scostando la coperta. I suoi verdi occhi di leone si fecero bianchi, giganteschi e opachi, prima di chiudersi lentamente, sofferenti
“Dunque, mi rimane solo Jaime” sussurrò “mio figlio, la mia ultima speranza” Cersei serrò i pugni lungo i calzoni da caccia di stoffa morbida.
“Lady Joanna...lei...non so quanto resterà sveglia...mio lord...desidera vedervi” Tywin Lannister non posò una sola volta di troppo lo sguardo sul piccolo che vagiva piano. Non lo guardò, né lo tocco, né diede segno di averlo mai visto, se non per quello sguardo vitreo che sembrava averlo inghiottito.
Oltrepassò il querulo maestro e scomparve dietro la pesante porta laccata della sua camera da letto. Tutta l'allegra confusione, l'attesa, il giubilo e la gioviale atmosfera di quella notte sembravano essere state risucchiate in un vortice di cupa disperazione.
Quando l'uomo si voltò per seguirlo, il bagliore di una torcia illuminò il viso dell'ultimo nato di casa Lannister. Per poco Cersei non si fece scoprire, soffocando un grido sulla spalla di Jaime.
 
Fine flashback*********************************************
 
Poche ore dopo sua madre era morta, spegnendosi lentamente in un sonno indolore al sapore di papavero, e Cersei aveva visto suo padre morire con lei in un lento declino di pene e solitudine. Lord Tywin non aveva mai dato cenno di cedimento, ma qualcosa nei suoi occhi verdi era rimasto opaco, spento, come il sole schermato da una lastra di vetro ondulato.
E Tyrion, orribile e deforme nel suo corpo di neonato, aveva trascorso le sue prime ore di vita nella camera da letto di sua madre che si spegneva a poco a poco, attraversato dagli sguardi di un padre che lo disprezzava e di una corte che rideva di lui.
Ma mai, mai, nessuno, avrebbe potuto disprezzarlo quanto lei. Cersei, che pur nella sua eterea bellezza e forza di carattere, era quasi considerata meno di uno zotico nano ubriacone con la passione per le puttane da soldati.
Tywin si vergognava di quel suo figlio deforme dalla lingua lunga e il cazzo sempre duro, ma almeno non era una figlia.
E ora Jaime, era prigioniero degli Stark e dei Tully, e rischiava la morte. E a suo padre restavano il figlio nano e la figlia donna.
Un ghigno di perversa soddisfazione si disegnò sulle sue labbra.
Lancel si mosse nel sonno, sfiorandole un seno. Cersei chiuse gli occhi e pensò a Jaime, scivolando in un oblio agitato e informe, divorata da nani deformi e lupi affamati, dimenticata e inerme, sotto gli occhi vacui e delusi di suo padre scuoteva la testa e sussurrava un debole “Mi rimane solo Jaime”.
 
Oh you’re in my veins
And I cannot get you out
(In My Veins, Andrew Belle)
 
***
 
“Hanno mio figlio!” lord Tywin Lannister aveva raffreddato ogni fiamma di temerarietà negli occhi dei suoi uomini. La sua voce tonante era scoppiata rabbiosamente fra le chiacchiere da gradassi dei vassalli di Castel Granito, affossando la presunzione tanto quanto la preoccupazione come un inesorabile fulmine. I Baratheon, gli Stark, Joffrey, la guerra, perfino la possibilità di essere schiacciati dall'attacco incrociato di Renly e Stannis erano diventati ombre di fronte alla notizia che Jaime era stato preso prigioniero al Bosco dei Sussurrri.
Tyrion era terrorizzato all'idea di non rivedere mai più suo fratello, l'unico Lannister a non vedere in lui solo la storpiatura di un uomo, ed era furioso, con Jaime, per essersi lasciato sorprendere come uno scudiero alle prime armi dal cucciolo di lupo, e con quella marmaglia di vecchi ufficiali, perchè non riuscivano a vedere altro che la possibilità di compiacere il loro lord blaterando senza sosta su quello che loro già sapevano. La merda li stava ricoprendo. E lui era decisamente quello che sarebbe stato sommerso per primo, quindi che la smettessero di ciarlare sulle strategie e le trattative, e cominciassero a prendere in mano i loro cazzi mosci per fare di quell'incontro un piano d'azione.
Ma il silenzio che seguì fu più pregno di significato di ogni possibile parola uscita dalle bocche sporche della merda d'oro di lord Tywin.
E fu chiaro per tutti che “suo figlio”, l'unico che riconoscesse di avere almeno, era la priorità. Li squadrò con un gelido sguardo di perentoria disapprovazione, e la sua voce si spandette nell'aria come un affondo di lama di acciaio di Valyria: fulminea e letale.
“Fuori, tutti quanti” come sempre, quando lord Tywin Lannister dava un ordine, gli altri obbedivano. Non importava che si trattasse dei suoi vassalli, dei suoi figli, o dei suoi servi. Non importava nemmeno che fosse il re stesso a doversi sottomettere alla sua saggezza ed esperienza; non era chi sedeva sul Trono di Spade ad avere in pungo i Sette Regni, ma chi possedeva l'oro. E suo padre cagava oro, secondo le voci del popolino.
Ma non era solo questa l'arma del signore di Castel Granito. Perfino nella sua follia, Areys Targaryen aveva avuto ragione su una cosa: temerlo. Suo padre sapeva essere spietato e pericoloso, ma non aveva mai preso una decisione dettata da un organo al di sotto del collo. Razionalità, perspicacia, istinto, niente a che vedere con le passioni, e meno che mai con i sentimenti. A chi dare in sposa Cersei, a chi destinare il proprio titolo, chi tollerare nella propria vita malgrado ignobili deformità e ancor più deprecabili vizi. Non erano amore, affetto, o pulsioni, argomenti che a Tyrion erano più familiari del sorriso di suo padre. No, lord Tywin Lannister governava ogni cosa, compreso se stesso, con il severo pugno di ferro della raggelante razionalità.
Abbassò lo sguardo, mentre i generali sciamavano velocemente fuori dalla tenda, lasciando il loro signore a riflettere da solo, nel silenzio, sul destino dell'unico dei suoi figli degno di essere chiamato tale.
E Tyrion si lasciò cadere giù dallo sgabello di legno sul quale era salito faticosamente, e si preparò a seguire gli altri, ignorato e allontanato, indegno di condividere il dolore di suo padre e, meno che mai i suoi piani.
Ma quel giorno Tywin Lannister non sembrava lo stesso uomo che lui aveva sempre conosciuto. Quel giorno suo padre aveva appena perso suo figlio, e sembrava anche disposto a riconoscere di averne un altro pur di riportarlo a casa.
“Non tu” dichiarò, mentre Tyrion si voltava verso quel padre che non lo conosceva, né aveva mai desiderato conoscerlo, il padre che aveva punito la presenza di amore in lui facendo fottere la donna che amava da tutto il suo esercito, giusto per rammentargli che un essere come Tyrion, obbrobrioso e deforme, non poteva sperare in altro che in una baldracca che fingesse di amarlo.
E gli sembrò di trovarsi nuovamente al suo cospetto come quando era bambino, con lo sguardo di vetro dell'altro che si soffermava con un impeto di odio sulle sue gambette troppo corte o sulla sua testa troppo grande. Suo padre lo avrebbe tollerato, si sarebbe sforzato di farlo perché era giusto, ma mai e poi mai lo avrebbe amato.
 
Flashback*******************************************************
 
“Sei stato bravo ser Tyrion” il maestro gli sorrise con fare soddisfatto “il lord tuo padre sarà molto fiero di te” sapeva che i suoi occhi si stavano illuminando, lo facevano sempre quando riusciva a risolvere un complesso enigma, o quando ricordava improvvisamente il nome del capostipite di quella o l'altra casata dei Sette Regni. Ma l'idea che suo padre sarebbe stato fiero di lui era decisamente lontana dalla realtà. Lord Tywin lo avrebbe a malapena degnato di uno sguardo, magari avrebbe emesso qualche verso stizzito per fargli capire che aveva di meglio da fare che ascoltare le sue insulse citazioni di alberi genealogici o i racconti delle centinaia di cose che ricordava di aver letto, e che tanto lo appassionavano.
Fosse stato per lui, Tyrion avrebbe potuto rimanere rinchiuso per tutta la vita in una torre, e non sarebbe cambiato niente. Anzi, magari ne sarebbe stato anche lieto.
Ma tentò comunque di ottenere una volta per tutte quella scintilla, un vago cenno di approvazione da parte del suo marmoreo genitore.
Corse fino al suo solarium, certo che lo avrebbe trovato lì, intento a conversare di guerra, di conio e di re con suo zio Kevan.
Quando giunse in prossimità della porta riccamente intarsiata, la tonante voce di Tywin sovrastò per un attimo i suoi stessi pensieri
“Le dannate Cappe Bianche!” urlò lord Tywin.
Tyrion si sporse nello spiraglio di luce della porta semiaperta.
Suo padre aveva rovesciato con un pugno il calice di vino che stava sorseggiando
“Fratello” tentava di calmarlo Kevan, le palme delle mani aperte in un vago tentativo di pacificazione
“Mio figlio, il mio erede, nella Guardia Reale! Aerys è davvero andato oltre questa volta...Jaime” i suoi occhi verdi lanciarono fiamme di smeraldo, mentre la luce del sole d'estate disegnava giochi pirotecnici con la polvere che si sollevava dal sontuoso mobilio
“Tyrion è...” Tywin sollevò lo sguardo sul fratello, corrugando le sopracciglia
“Tyrion? Il mio erede? Il vino ti ha dato alla testa fratello? Un nano dalla testa grossa l'erede di Castel Granito? Potrei nominare lord il guitto di corte, tanto per essere sicuro di fare una figura meschina” suo padre si prese la testa fra le mani, rabbiosamente “Ho un solo figlio, e quel figlio ha deciso di disonorarmi sputando sul suo titolo e sul suo nome, diventando il galoppino di un re pazzo e dei suoi piromanti!”
Il cuore di Tyrion perse un battito al suono di quelle parole. Lui era lì, pronto a dimostrare un'altra volta al lord di Castel Granito di essere degno del suo rispetto e del suo affetto, e suo padre rimaneva lontano, a denigrarlo di fronte al suo stesso fratello, come un essere senza importanza, frutto di un incontro sbagliato fra il suo seme e la fica di sua madre. Si pentì per quel pensiero.
Non aveva il diritto di pensare a sua madre, di parlare di lei, di ricordarla. Tyrion non poteva ricordarla: lei era morta quando era appena nato. Era morta perché lui l'aveva uccisa, squarciandole il ventre con la sua enorme testa deforme. Questo gli diceva sempre Cersei, quando osava nominare lady Joanna nei loro battibecchi, quando le rinfacciava che sua madre lo avrebbe amato, e protetto dalle sue angherie. Sua sorella rideva, e il suo petto florido che già causava duelli ad Approdo del Re, si alzava e si abbassava crudelmente, e Cersei gli ricordava chi, o meglio, cosa lui fosse, con quello sguardo di detestabile orrore sul viso angelico e perfetto.
Kevan Lannister scosse la testa
“No, Tyrion è...qui fuori che ci ascolta” disse semplicemente, cupamente, per nulla desideroso di assistere a quello che sarebbe accaduto pochi attimi dopo.
Tywin sollevò il capo dalle mani chiuse a coppa, e si voltò verso di lui, lo sguardo intaccato da qualcosa che somigliava vagamente al senso di colpa. Durò solo un attimo, perché la sua marmorea espressione di distratta noia gli paralizzò nuovamente il viso
“Figlio” il volto di Tyrion s'indurì e i suoi occhi nella testa troppo grande si serrarono
“Padre” lo disse senza provare niente, come se tutto il dolore che credeva lo avrebbe sommerso si fosse ritirato dentro di lui, da qualche parte nel suo piccolo corpo, e non desiderasse più esplodere come altofuoco. Abbassò il capo brevemente, in segno di rispetto “zio” ser Kevan lo guardò senza vederlo, deglutendo “ero qui per dirvi che il maestro è molto fiero dei miei progressi, e pensa che potrei imparare di più se” ma lord Tywin lo congedò con un frettoloso gesto della mano
“Fa' quello che devi, ho altro a cui pensare”
“Certo, vostro figlio ha deciso di mettere molte leghe fra voi” un lampo di perversa soddisfazione illuminò i suoi occhi, malgrado tutto, di Lannister “solo i Sette Dèi sanno perchè” si voltò e se ne andò, le sue gambe troppo corte, la sua testa troppo grande, il suo cuore troppo pesante.
 
Fine flashback*******************************************************
 
“Perchè io?” non capiva, non riusciva davvero a capire perché suo padre avesse deciso di rispedirlo ad Approdo del Re in sua vece.
Non gli avrebbe affidato nemmeno la cura dell'orto, brutto e vizioso com'era, figurarsi di un intero regno.
Ma lord Tywin non era famoso per dar spiegazioni, o fingere di volerne dare. Era un ordine, di quelli che gli era probabilmente costato caro impartire, e Tyrion poteva solo sforzarsi di domandare, nella speranza di ricevere.
“Sei mio figlio” ribatté suo padre semplicemente, senza battere le ciglia, senza dare segno di attribuire un qualsiasi significato a quelle parole. Era suo figlio, frutto del suo seme, un semplice dato di fatto, niente a che vedere con l'amore, l'affetto, o l'orgoglio.
Tyrion era l'unico che potesse recarsi ad Approdo del Re a svolgere le funzioni di suo padre, mentre lord Tywin impiegava ogni sua energia per salvare suo figlio.
Il Folletto annuì, certo che, se ci fosse stato lui fra le mani degli Stark, lord Tywin non si sarebbe sprecato nemmeno a svuotare il pitale pieno della sua merda d'oro parlando di come lo avrebbe riportato a casa. Se, che gli dèi non volessero, ne avesse parlato.
 
“Anyway, don't despair, I'm a constant disappointment to
my own father, and I've learned to live with it”

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Angolo della delirante autrice: non è stato facile scrivere questa OS...ammetto che non amo Cersei, e trovo Tyrion troppo meravigliosamente scritto e interpretato per essere all'altezza di poterlo riprodurre fedelmente...spero di non aver esagerato con nessuno di loro, e spero di aver fatto un lavoro mediamente degno nel caratterizzarli^^
La canzone, se vi incuriosisce, potete trovarla qui.
Fatemi sapere che ne pensate, è una cosa a cui tengo molto, e avere almeno una vaga idea dell'effetto che ha sugli altri non sarebbe male^^
Grazie a chi ha deciso di seguire, leggere, preferire, ricordare e recensire questa Serie di OS...siete fantastici, tutti quanti!
   
 
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