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Autore: 8WeirdSisters8    05/08/2011    8 recensioni
Molly ed Arthur: una coppia rodata e avvincente.
Ma cosa scopriremmo se andassimo ad indagarne il passato? E' stato facile finire insieme? O il nostro Arthur ha avuto delle difficoltà nel pronunciare il suo fatidico, primo "Ti Amo"?
Una commedia romantica, divertente e spensierata, sulle fatiche, le incomprensioni e i meritati successi di Arthur Weasley e Molly Prewett prima che fossero i "Signori Weasley".
Scritta in occasione del Contest "Quel TI AMO maledetto" indetto da Bell25_, dal quale infine è stata ritirata, e vincitrice del Premio Risata. Yuppi-dù!
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Arthur Weasley, Molly Weasley, Nuovo personaggio | Coppie: Arthur/Molly
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra, Contesto generale/vago
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A R., per le cui pene d'amore un vademecum sarebbe superfluo.


Il vademecum



Dovete comportarvi come se lei fosse il centro della vostra esistenza.

Apollyon Pringle trovava che Arthur Weasley fosse uno strazio. In quanto custode, a ben vedere, era fermamente convinto che tutta Hogwarts abbondasse ostensibilmente di strazi di notevoli dimensioni – ma si riteneva abbastanza obiettivo da riconoscere che nessuno, quanto a raccattare le pluffe durante le partite, poteva competere con quel Weasley.
Era per questo che, quando lo beccava fuori dal letto oltre l’orario consentito, si limitava a infliggergli tremende punizioni della durata di un solo giorno e non invece, com’era tentato di fare, di un’intera settimana.
Il diciassettenne Arthur Weasley, tuttavia, pareva non percepire la gentilezza di Pringle nel riservargli quello speciale trattamento, perché nel ripulirgli da cima a fondo quel vecchio e muffito ripostiglio che il custode si ostinava a chiamare studio non vedeva nulla di speciale. Eppure lui, Arthur, ci vedeva benissimo.

In quel momento, un’espressione sconfortata in viso, vedeva perfettamente quanto fosse inutile continuare a insistere con lo straccio su quell’indefinita, sospetta macchia bruno-verdastra che incrostava la scrivania di Pringle. Quanto desiderava di poter formulare uno sbrigativo “Gratta e netta”, ma quel maledetto custode gli aveva proibito rigorosamente di utilizzare la magia.
Decise mentalmente che, a punizione conclusa, sarebbe passato dall’infermeria, per accertarsi di non aver contratto nessuna malattia mortale in quello sgabuzzino.
D’un tratto conservò le braccia al petto e iniziò a fissare ostinatamente la macchia, forse sperando che quella, intimidita dallo sguardo feroce di lui, decidesse di sparire da sola. La macchia però, a quanto pareva, aveva abbastanza coraggio per resistere al suo sguardo, per quanto feroce fosse.
Arthur, alto e magro, il viso latteo spruzzato di lentiggini e i pantaloni della divisa che gli andavano forse un po’ corti sulle caviglie, si accorse in un unico, glorioso istante di lucida euforia, uno di quelli in cui il Destino in persona sembra picchiettarci con l’indice sulla spalla e indicarci benevolo la via, di un volumetto impolverato proprio a due dita di distanza dalla sua acerrima nemica, la macchia.
Il volume, rilegato in cuoio e dalla copertina un po’ sgualcita, titolava: “Quando la magia non basta: trucchi per conquistare una strega”.
Fu fulmineo: lo fece scivolare in tasca e, quella sera, quando venne via dall’ufficio di Pringle, lo portò con sé.
Chissà cosa ne avrebbe pensato il vecchio Apollyon.

Si trovava sul suo letto, al dormitorio di Grifondoro. I suoi compagni dormivano tutti, compreso Albert Pickwick che ronfava nel letto accanto al suo.
Sfogliò velocemente il libro, facendo scorrere le dita sulle pagine.
Ne venne giù un bel po’ di polvere ed il frammento di non si sa più che cosa, ma era meglio non indagare.
Arthur fremette: il libro giungeva proprio al momento giusto. Era quasi un anno ormai che usciva con Molly Prewett e si era accorto (come poteva non farlo!) di provare … ecco, qualcosa … sì, insomma. Era convinto di amarla. E capiva che era giunta l’ora di dirglielo. Lei voleva sentirlo, glielo leggeva negli occhi, quando i suoi splendidi occhi castani s’illuminavano d’aspettativa ogni volta che incontravano i suoi. Doveva dirglielo e basta.
Così si era lambiccato il cervello per una settimana, pensando al come, al dove e al quando. Ma ogni volta che aveva progettato il come, si trovava nel dove e l’orologio batteva proprio il suo quando, il coraggio gli veniva meno, rivelando così una capacità finora ben dissimulata: l’inettitudine ad esprimere i propri sentimenti.
E aveva dovuto, talvolta, sostituire il silenzio imbarazzato, denso di attesa delusa, con qualche sua sciocca scoperta sul funzionamento di frigoriferi o succhiapolveri (così chiamava gli aspirapolvere) o altri aggeggi babbani. Molly, col più entusiastico dei sorrisi, aveva finto eguale trasporto e così, entrambi, complici nel loro reciproco imbarazzo, avevano messo una pezza sull’occasione mancata ed erano andati avanti.

Lesse dal primo capitolo:

Regola1: dovete farla sentire come se fosse il centro della vostra esistenza*.
Circondatela di attenzioni, quand’è presente lasciate ogni altra occupazione e rivolgetele tutta la vostra concentrazione. Dovrà credere di essere come l’acqua per un Avvincino: essenziale. Siate un Avvincino credibile!


*eccetto il Quidditch, naturalmente.


La mattina seguente, un pallido sole faceva del suo meglio per penetrare la foschia e illuminare un’Hogwarts che andava svegliandosi lentamente. Arthur aveva letto tutta la notte ed era fermamente convinto di poter riuscire, seguendo i consigli del libro, a confessare finalmente il suo amore a Molly.
Decise, per sicurezza, di consultare anche il suo amico Albert.
“Dovresti dirglielo velocemente e così toglierti il pensiero”, sosteneva con la voce di chi si crede un esperto in materia, “Non darle il tempo di dire nulla, appena la vedi glielo dici. Così, ti amo. Pensa di dirlo allo specchio, lo stai dicendo alla tua immagine riflessa, a nessun altro. Che male può fare? Ti amo. Ecco, magari biascicalo, non dirlo troppo chiaramente. Non usare un tono squillante, altrimenti saresti troppo teatrale. Come se lo dicessi al tuo gatto, ecco”.
Arthur annuì nervosamente. Prese nota di non consultare mai più Bertie per le questioni amorose.
Era intento a farsi il nodo alla cravatta, operazione che richiedeva sì e no quindici minuti ogni mattina, quando il centro della sua esistenza fece il suo ingresso nel dormitorio maschile.
Arthur sorrise, in modo non troppo convinto, mentre sentiva il battito cardiaco aumentare.
Calmati, si disse, nemmeno avessi visto il Gramo, dai, calmati…
Sudava abbondantemente.
Molly gli sorrideva con tenerezza, ma lui non riusciva a guardarla. Soprattutto perché oltre il suo capo, Albert s’agitava entusiasta, continuando a sussurrare: “Diglielo, dai… ora! Diglielo!”.
“Buondì, tesoro”, squittì dolcemente Molly.
Calmati, respira, calmati, respira… E’ il centro della tua esistenza.
“Non troppo chiaramente, mi raccomando”.
“Ciao…”, riuscì finalmente a formulare lui.
Non è un gramo, è il centro della tua…
“Biascicato, come se avessi una sciarpa in bocca…”
Della tua esistenza… della… oh, zitto Albert… non è un Gramo
“Pss! Al tuo gatto, parla al tuo gatto”
“Oh, accidenti! Si può stare un po’ tranquilli?!”, sbottò spazientito Arthur all’indirizzo di Bertie.
Ma il guaio era fatto: sul viso di Molly passò prima un’espressione ferita e poi una offesa. Strinse pericolosamente le labbra.
“Ma certo, ti rendo la tua tranquillità”.
Stava girando sui tacchi e lasciando il dormitorio, mentre Arthur cercava di rimediare, strepitando e confondendosi: “No! Non tu! Lui!”, indicò Albert, “No, tu… tu non Gramo, ma il centro! Sono il tuo Avvincino!”.
Afferrò, d’impeto, una cornetta con tanto di filo appeso, solo una fra le varie cianfrusaglie babbane che teneva sul baule. “Tesoro! Ti prego, io ti…”
Molly aveva già lasciato la stanza, quando completò la frase:
“…amo”.
Strinse disperatamente la cornetta al petto.
“Caspita, amico… sei capace di dirlo a quell’inutile chincaglieria babbana e non alla tua ragazza? La situazione è proprio grave”.


Fatele sempre un regalo originale

La Sala Grande si stava svuotando dopo il pranzo. Gli studenti, appesantiti dal generoso pasto che gli elfi delle cucine preparavano ogni giorno, stavano lentamente diradandosi, il passo intorpidito e lo sguardo beato. Arthur s’intratteneva al tavolo dei Grifondoro, a leggere altri passi del Manuale.

E’ essenziale che la riempiate di doni. Fatele sempre un regalo originale, perché se ne possa vantare con le amiche. Se è sensibile alle lusinghe, ciò la renderà entusiasta e sarà assolutamente vostra. Evitate i classici mazzolini di fiori, siate fantasiosi e intraprendenti!


E in basso, nelle note:

L’autore diniega ogni responsabilità in caso vengano travisate le parole di cui sopra e venga recapitato un uovo di drago, un corno di Erumpent o simili pericolosi oggetti, il cui traffico illecito non è da noi in alcun modo incentivato.


Fu così che si convinse: le avrebbe fatto recapitare un magnifico pattino a rotelle! Ma sì, un pattino a rotelle! I Babbani ne andavano pazzi e, quando lui lo aveva trovato, abbandonato e solo in un parco di Londra l’estate scorsa, il pattino aveva subito suscitato il suo più spiccato interesse. Aveva ruote, era di plastica e non una sola goccia di magia! Cosa c’era di meglio?
Fu per lui più che immediato convincersi dell’assoluta genialità della sua pensata e si congratulò con se stesso. Molly, intenerita, l’avrebbe perdonato, sarebbe corsa da lui e in quel momento esatto, in quel magico momento, le avrebbe rivolto quelle agognate parole d’amore.
Corse in Guferia. Adocchiò un solitario barbagianni, un tantino spennato e dall’aria traballante. Ai suoi occhi però, accecati d’amore, era perfetto. Gli consegnò il pacchetto col prezioso manufatto babbano e lo istruì perché lo recapitasse a Molly.
Sospirò di sollievo. Ecco fatto. Sorrise compiaciuto.
Era fatta.
Peccato che non lo fosse nel senso che intendeva lui.


“Cosa diavolo sarebbe?!”
“Non ho idea… sembra una scarpa. Però c’è il nome di Molly sopra”.
Due ragazze commentavano un nuovo, particolare ornamento che pendeva da uno degli angoli della Bacheca, giù alla Sala Comune di Grifondoro. Riderellarono fra loro per altri dieci minuti e si allontanarono.
Il pacco, a quanto pare, non era giunto a destinazione: il barbagianni, ballonzolando al vento, era riuscito ad entrare nella Torre da una delle finestre, fiondandosi dritto dritto contro il muro. Doveva essere, questa, una sua usanza a giudicare dall’aspetto scarmigliato. La confezione, durante il volo instabile e nell’urto, s’era andata erodendosi, sicché adesso il pattino giaceva lì, appeso sotto lo sguardo divertito o perplesso dei Grifondoro. In molti notarono il biglietto recante il nome di Molly.
Ci furono grandi pettegolezzi attorno alla faccenda, qualche risata e un po’ di colpevoli allusioni, poi, col tempo, la vicenda perse d’interesse e il pattino finì con l’assumere la personalità anonima di un tachimetro, per dirla alla Babbana. Ma il babbanese lì, purtroppo per Arthur, non lo parlava quasi nessuno.
Molly, per parte sua, liquidò la faccenda come uno squallido, incomprensibile scherzo.


E’ opportuno scriverle un biglietto affettuoso ed elegante

Sgonfiato dal fallimento della sua ultima impresa, angosciato dalle chiacchiere inutili di Albert su come riconquistare la sua Molly (“Ma devi farlo sembrare casuale, hai capito? Non deve capire chi le abbia stretto la mano nella folla. Come se stringessi una foglia morta!”), Arthur si ritirò in dormitorio a leggere il manuale e pensare.
Gli occhi gli caddero su un particolare paragrafetto:

Le streghe vanno vezzeggiate con gesti, parole, ma anche lettere e poesiole, se sete in grado di elaborarle (e in caso non lo foste, potete sempre trovare l’ispirazione in componimenti altrui).

“Ma questo tipo t’invita a scopiazzare! Forte!”, fu il commento di Bertie, che leggeva da sopra la sua spalla.


Scrivetele un sonetto! Se abbastanza spiritosa, lo apprezzerà. Anche nel caso la poesia non fosse nelle vostre corde, è opportuno, di tanto in tanto, scriverle un biglietto affettuoso ed elegante. Ecco di seguito qualche esempio:
1)Tesoro, hai su di me l’effetto di un litro di Whisky Incendiario.
Teneramente tuo,

2)Sei il Lumos che illumina la mia vita. Ti amo.

3)Quando Beda pensò ad una bellissima principessa per farne la protagonista della sua fiaba, vide il
tuo viso.


“Quella sul Whisky è la migliore”, decretò con sicurezza Albert.
Arthur lo guardò ma non disse nulla.

Poche ore dopo, Bertie fu spedito da Molly per consegnarle un biglietto. Trottorellò giù, tutto giulivo d’esser il prescelto Cupido, prima per le scale e poi al parco.
La trovò nei pressi del Lago.
Alla sua vista, Molly inarcò le sopracciglia, mentre Bertie, per nulla sconsolato dalla fredda accoglienza, sventolò allegramente la mano nella sua direzione. La raggiunse.
“Ciao Molly”, cominciò lui, ma fu subito interrotto.
“Ti ha mandato lui, eh? Ti sei messo a fargli da portavoce? Digli che non ne voglio saper niente!”, e fece per andarsene.
Bertie le fu subito dietro, la mano che iniziava a rovistare nella tasca per cercare il biglietto.
“Ma che dici! No! Io sono venuto qui per …”, e nel frattempo cercava.
Lei lo aveva distaccato di qualche metro già, quando, trionfante, estrasse il biglietto.
“Eccolo, ce l’ho! Molly…”, ma lei non si voltava, “Molly, guarda un attimo … è … è … è”.
E fu un soffio di vento, fu una distrazione, fu il disperato tentativo di fermarla e di trovar le parole adatte. Fu tutto questo nell’attimo in cui perse la presa sul pezzetto di pergamena che, con un elegante volteggio a mezz’aria, finì in acqua.
“Accio biglietto!”. Ma era tardi ormai. La scritta era illeggibile e la pergamena fradicia.
Molly si allontanava, mentre polvere e foglie si alzavano a danzare in un turbinio violento ed il sole morente rendeva il suo garbato tributo al castello, irradiandolo d’arancio.
Albert pensò saggiamente che non era opportuno dare la notizia dell’insuccesso personalmente ad Arthur. Così scrisse un biglietto a sua volta, reclutò uno studente del primo anno e lo spedì sulle sue tracce.

Arthur, sono il Nox che spegne ogni tua speranza. Scusa, eh.


Siate sempre voi stessi

Arthur Weasley si era definito disperato diverse volte in vita sua: quando sua madre, Cedrella, aveva scoperto la sua passione per la babbanologia e, nell’intento di spingerlo verso più alte ambizioni, gli aveva sequestrato ogni suo manufatto babbano; o quando Pringle lo aveva sorpreso la prima volta a gironzolare per i corridoi di notte e lo aveva relegato fino all’alba nel bagno femminile del secondo piano, dove aveva dovuto sorbirsi gli ininterrotti piagnistei del fantasma di quella strana ragazza.
O anche quando ho conosciuto Albert, pensò risentito.
Ma solo adesso capiva che si era sbagliato: questa, solo questa era disperazione. Tutto quello che aveva provato prima era solo stupido risentimento, minimo sconforto, al massimo un filo d’angoscia. Nient’altro.
Fu proprio la disperazione a spingerlo ad aprire il libro. Sarebbe stata l’ultima volta, ma lui non lo sapeva ancora.



L’autore si scusa per l’apparente banalità delle parole che seguiranno, che pure sono le più importanti: per conquistare una strega, per rapire il suo cuore, occorre che ne siate veramente innamorati. Dunque bisogna chiederlo: cos’è l’amore?
E’ trepidante felicità, è totale dedizione, è irragionevole fervore, è distrazione costante, è dorata incoscienza, è beata ossessione, è gioia sconfinata, è disperata incertezza, è aggrovigliata speranza, è foga altalenante, è la singolare favilla che balena solo negli occhi di un amante.
Se capite quello che ho scritto, allora vuol dire che amate. A questo punto siete già in possesso di tutto quello che vi serve per conquistare la vostra strega, perché il segreto per riuscire è il seguente: siate sempre voi stessi. Tanto basterà, parola di mago.
E’ un segreto, lo so, che rende questo libro inutile.

E’ per questo, cari lettori, che ve lo svelo solo alla fine.


Fine, il libro era finito. Seguivano due pagine vuote, forse per prendere appunti.
Lì per lì, non lo comprese, gli parve una fine deludente. Lo gettò di lato e prese a tamburellare nervosamente con le dita sul tavolo, l’espressione imbronciata. Nella Sala Grande il chiacchiericcio andava crescendo, man mano che gli studenti vi si riunivano.
Arthur teneva lo sguardo basso, tutto ingobbito ed intristito, con una mano si scompigliava i capelli. La personificazione della disperazione. Rimase così per qualche minuto, finché non gli parve di udire dei passi avvicinarsi. Dei passi, sì, e l’eco di una voce. Sentì una risata cristallina, ne avvertì il profumo, così inebriato d’amore o, forse, solo troppo disperato, si voltò a destra, balzò in piedi e gridò:
“Io ti amo!”.
“Cosa?!” Un attimo. Non era la voce di Molly. Di fronte a lui, lo fissava sbalordito Albert.
“Cosa?!” gli fece eco Arthur stesso, gli occhi strabuzzati. Aveva detto il suo primo “Ti amo” ad Albert. La consapevolezza per poco non lo uccise.
“Cosa?!”, il terzo venne da dietro. Ed era, lo comprese subito, la sua voce.
Si voltò, cercando di spiegare, ma non ce n’era bisogno: lei sorrideva.
“Ti amo anch’io”. E come suonarono dolci alle sue orecchie quelle parole!
Si unirono in un bacio, ridendo, mentre lui tentava di scusarsi per tutto il pasticcio combinato.
Rimasero abbracciati, mentre gli studenti si addensavano lì intorno. Qualcuno, da qualche parte, fischiò, ma loro parvero non accorgersene.
“Aspetta, c’è Lumacorno!”, squittì Molly in allarme.
“Faremo finta di non vederlo”, rispose in un sussurro divertito Arthur, “Lo snobberemo”.
Siate voi stessi … “Saremo due snob”.
Molly ridacchiò, “Dai, ci vedrà …”
“Oh, non me. Sono sempre stato invisibile ai suoi occhi”.
“Bè, non io però”, obiettò lei.
“Molly”, le rivolse uno sguardo di rimprovero, “nemmeno agli occhi di un cieco saresti invisibile, tu”.
Entrambi sorrisero, guardandosi dritti in viso. Si appartenevano e da quel momento, lo sapevano entrambi, si sarebbero sempre appartenuti.
“Comunque anche io ti amo, amico”, Albert gli diede una pacca sulla spalla e passò oltre.




NdA:
Apollyon Pringle fu effettivamente custode ad Hogwarts ai tempi di Arthur e Molly, come riferito da

Molly stessa nel Calice di Fuoco. Albert Pickwick è invece un personaggio di mia invenzione.
L’Avvicino è un demone acquatico cornuto che si trova nei laghi di Gran Bretagna e Irlanda, come
riferito ne Gli animali fantastici: dove trovarli. Il Gramo, infine, è un grosso cane nero che viene
considerato, in Divinazione, presagio di morte.

Questa storia ha avuto il gran cu...ore di partecipare al contest indetto da Bell25_ (se non andate a sbirciare nel suo profilo vuol dire che avete l'animo di Custodi di Hogwarts) "Quel TI AMO maledetto". Ed anche se mi sono ritirata prima della scadenza,  la giudiciA è stata tanto gentile da pubblicare ugualmente il giudizio, nonchè un banner strafigo. La ringrazio infinitamente e, se mai trovassi un Manuale che spiega come ringraziare abbastanza una strega, non lo userei, visti i risultati che ne ha ottuneto Arthur.

Grammatica: 10/10
Stile: 10/10
Originalità della trama: 10/10
Caratterizzazione: 10/10
Gradimento personale: 5/5

Totale: 45/45

Ci tengo a precisare che il giudizio è stato scritto prima del tuo ritiro!

Scrivo un giudizio diverso dagli altri, iniziando a dire che la tua grammatica e il tuo stile sono assolutamente perfetti. La tua storia era ordinata e piacevole da leggere, senza riscontrare errori di grammatica o di punteggiatura. La lettura è venuta così naturale da non crederci :) la caratteristica che mi ha colpito di te, più che della tua storia, è la tua naturale ironia, che riesce a strappare una risata sincera. Per l’originalità niente da dire, la tua storia è assolutamente originale. Per la caratterizzazione nemmeno, perché i personaggi erano IC e quelli inventati, e quelli comunque non descritti dettagliatamente nei libri, avevano una descrizione della personalità bellissima.
Non mi resta che farti i miei complimenti poiché è inutile dire che la storia mi è piaciuta: il 5/5 del gradimento personale parla da solo! :)

   
 
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