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Autore: Querthe    03/04/2006    9 recensioni
Una cortissima storia di come potrebbe finire malissimo il regno di Selenity. Non sempre i buoni vincono...
Genere: Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Mamoru/Marzio | Coppie: Mamoru/Usagi
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la fine
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Mamoru aveva smesso da tempo di pensare a sé come Tuxedo Mask o come Principe Endimion. Lui era solo lui, dopo quello che era successo. Le battaglie vinte, quelle perse senza incidenti, i dispiaceri e i problemi di ogni giorno erano solo lontani ricordi dopo quel mattino, quando la Terra si era fatta nera e con lei la Luna.
Tutti gli esseri viventi si erano fermati, come raggelati per un istante da quel soffio di malvagità pura, distillata e concentrata che si era scaricato nel sistema solare, inghiottendo uno dopo l’altro i pianeti, gli asteroidi e tutto il resto.
Già, tutto il resto…

 

Mamoru si fermò di fronte all’ammasso fumante e grigiastro che anni prima era stato il castello del suo amore, la residenza di pietra bianca e lucida che permetteva di vedere la Terra in tutta la sua magnificenza, un grosso globo azzurro che riempiva il cielo nero come il giaietto. Ora quel globo c’era ancora, silenzioso e immobile, intento lentamente a riprendersi dalle ferite che gli erano state inferte dalla guerra.
Ma nessuno avrebbe potuto curare le sue ferite… Non più, oramai.

 

Con il braccio destro l’uomo, i lunghi capelli neri a coprirgli la parte sinistra del volto come il mantello gli copriva quella del corpo, la barba lunga e incolta, estrasse la lunga e sottile spada che portava al fianco e si diresse risoluto, il nulla nel cuore verso il portone di ingresso, dove famelici esseri che appartenevano agli incubi peggiori lo stavano attendendo.
“Selenity, aspettami, ti sto raggiungendo…” mormorò come una preghiera mentre iniziava a correre.

 

Il cancello si chiuse alle sue spalle, lasciando dentro le urla e le grida che riempirono il castello per quella che sembrò un’eternità. Ma anche l’eternità ha una fine, ed il cancello si riaprì. Mamoru, sporco in volto di sangue suo e dei nemici, uscì strascicando la gamba sinistra, la spada spezzata gettata a terra, dove una debole polvere si sollevò per poi posarsi lieve sull’oggetto come un sudario di tranquillità.
“E’finita…” sospirò, gettando a terra il mantello lacerato in più punti, mostrando l’armatura rovinata e mancante di alcune sue parti.
Una benda copriva la spalla sinistra, quasi ad evidenziare la mancanza del braccio che il suo nemico gli aveva strappato assieme ad Usagi, quel giorno maledetto. Lei era stata fortunata, in qualche modo. Chibiusa, invece, era rimasta viva.

 

Mamoru guardò la Terra, e sorrise, un sorriso sghembo, tirato, quasi una ferita tra la barba nera e sporca.
“Certo che è strano. Alla fine sono quello che è sopravvissuto nonostante tutto. Tu cosa ne pensi, Rei? Già, sei morta per prima. Eri la più pericolosa per loro…” mormorò, estraendo da un sacchetto alla cintura alcune piccole pergamene di protezione. “Me le avevi lasciate prima di sparire per sempre, dicendomi che sarebbero servite più a me che a te.” Le lasciò andare, facendole dondolare nel vento finché sparirono dalla vista. “E tu, Haruka, e tu, Michiru, sempre assieme nella vita, sempre assieme anche nella morte. Cosa è rimasto di voi, se non il mio ricordo e questi piccoli oggetti? Tutto ciò che eravate è qui, con me.” Sfiorò il fodero di una scimitarra, rovinato ma ancora bello. Sfregò con la mano un piccolo pezzo della montatura di uno specchio, sperando che fosse come la lampada di Aladino, e che il suo desiderio si avverasse. Non successe nulla.

 

Mamoru guardò l’oceano, estraendo un foglio scritto fitto fitto.
“Il tuo diario segreto, Ami. Quello che ne rimane dopo che il castello è stato distrutto. Mi sembra giusto ridartelo… Spero solo che ti arrivi, laggiù, sulla Terra, in fondo al mare. Ti prego oceano, cullala nel suo sonno eterno con la tua ninnananna senza fine. Proteggila tu, io non l’ho saputo fare…” pianse, una lacrima a troppo repressa dentro di lui cadde a terra, assorbita dall’arida sabbia della Luna. “Già, le mie sono lacrime salate, non come le tue, Mako. Tu respiravi, e la terra fioriva. Ora cresce sopra di te, proteggendoti come una Madre protegge una figlia, come Usagi fece con Chibiusa, come io non ho potuto fare con lei e le sue amiche…” Inspirò. Gonfiando i polmoni di secca aria che gli bruciò come fuoco nelle vene. “Come io non ho potuto fare con le mie amiche! Perdonami Minako, perdonami…” gridò, cadendo in ginocchio, la fronte quasi a toccare il terreno, il pugno chiuso a battere il terreno, stringendo una catenella d’oro fatta di piccole maglie a forma di cuore, avvolta attorno ai resti di una tiara. “Tu perdonavi tutti…” singhiozzò, le lacrime ormai senza freni si fecero strada in lui, scuotendone il corpo con possenti colpi.

 

Sollevò nuovamente la testa e il busto, guardò ancora la Terra e lasciò cadere le vestigia delle sue due amiche. Ora solo ciò che rimaneva di Usagi, solo il pegno che si erano scambiati prima che lui partisse per la guerra sulla Terra gli rimaneva. Teneva quella ciocca di capelli color del grano sul suo cuore, racchiusi in una piccola teca di cristallo puro e indistruttibile, un dono che lei gli aveva fatto distillando il suo amore e il suo seme di stella. Tutto ciò che gli era rimasto di lei.
“Perché?” gridò, le braccia larghe come a voler sfidare il mondo intero, a voler dimostrare che tutta la sua forza era lì, racchiusa in quel piccolo gioiello. “Perché sono sopravvissuto solo io di voi? Perché?” singhiozzò. “Perché tutto questo? Ne valeva la pena?”

 

“Papà!” disse una flebile voce dietro di lui. Chibiusa era uscita dal castello, salva ora che gli incantesimi che la tenevano prigioniera erano finiti assieme al loro creatore.
Mamoru vedendola ebbe la risposta alla sua domanda.
   
 
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