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Autore: MarchesaVanzetta    08/08/2011    3 recensioni
Bisogna darci un taglio. Ma sarò abbastanza coraggiosa per farlo? Saprò rimediare con un semplice gesto ad anni di violenze perpetuate a me stessa?
L'avevo scritta per l'otto marzo ma... non mi convinceva. Adesso sono sicura che riesca a passare tutto il dolore di milioni di donne. Nella speranza di un futuro migliore.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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 Non senti che piango mentre stendo?
Lacrime silenziose bagnano le tue camice bianche, i miei vestiti che, anno dopo anno, tendono sempre di più al marrone, al grigio, al nero, come una vecchia signora. Io vestita di marrone, quando all’epoca in cui eravamo felici, novelli sposi, vestivo solo di giallo, rosa, azzurro.
Lacrime che cadono sulle mie mutande bianche un po’ ingrigite, senza fronzoli, senza i pizzi che piacciono tanto a te. A cosa serve comprare della biancheria accattivante quando mi tocchi solo per darmi uno schiaffo? A cosa serve vestirmi allegra, quando dentro il mio umore è nero, come le nubi che si stanno addensando sulla nostra casa?
Bella certo, chi lo nega? Poco fuori dalla città, perché potessimo vivere in mezzo al verde. Gialla, perché portasse allegria. E grande, così che potesse accogliere tanti bambini.
Ricordi i nostri sogni di adolescenti? Ci vedevamo con sette, otto pargoli in braccio, a riempire la casa con le loro urla e i giocattoli colorati. Invece neanche un bambino è nato da questo amore ormai sterile. Meglio, avrebbe vissuto nell’infelicità. E poi tu, ipocrita, che quando ci sono amici sei tanto gioviale e cortese e alle loro domande sulla prole rispondi con un “Ci stiamo lavorando” malizioso. Chi ci sta lavorando? Ti ricordi che per fare un bambino ci vogliono due persone? No, forse no.
 
Ti accorgi dei miei singhiozzi, mentre stiro?
La stanzetta che fa da lavanderia è inondata dal vapore, caldo, appiccicoso, denso. Io sono qui dentro da ore, perché con i pantaloni stirati alla perfezione e il colletto della camicia inamidato tu domani possa andare al lavoro.
Già, il lavoro. Cos’è che mi avevi detto? “Che ne dici di restare a casa per un po’? Appena ci saremo abituati entrambi cercherai un lavoro”. Io, stolta, ti ho creduto e ormai sono cinque anni che lavoro come una schiava in casa tua. Sì, tua, che senso avrebbe chiamarla nostra quando l’unico padrone sei tu?
Ma d’altronde, che senso ha tutta questa nostra vita insieme? Dove sono tutti quei dolci sogni, quelle vane promesse di un futuro felice insieme?
È finito tutto nella spazzatura, quella spazzatura che devo portare fuori io e che prima devo anche differenziare perché tu, credendo il riciclaggio l’ennesima stronzata dei politici, sbatti tutto nello stesso cestino, proprio come un maiale. Anzi, un po’ peggio.
Cosa ho trovato in te che poi si è perso? Gli anni della nostra gioventù sono ormai ricordi lontani, quasi di un’altra vita, di un altro te, di un’altra me. Forse è davvero così. Ci hanno rapito gli alieni e ci hanno piazzato in un universo parallelo, dove tu sei un buzzurro e io sono una donna docile e remissiva. Vedi fino a che punto arriva il mio cervello disperato pur di fuggire dalla realtà, pur di fuggire da te?
Ecco, anche l’ultima camicia è stata stirata, i calzini piegati, i pantaloni messi sulle loro grucce. Posso dedicarmi alla cucina, così che tu, quando rientrerai dal lavoro (duro, durissimo! Che giornata sfiancante hai avuto facendoti entrambe le tue segretarie! E quel pranzo di lavoro nel ristorante più lussuoso della città… che fatica fare conversazione con un vecchietto che capisce un terzo delle parole che dici!) mi troverai indaffarata tra pentole e fornelli, preparando una cena che sarà consumata in silenzio sul divano, guardando i tuoi stupidi quiz televisivi e i telefilm americani subito dopo.
 
Percepisci il mio tentennare, indecisa se prendere il sale o il veleno per topi?
Intuisci almeno la mia profonda disperazione, il baratro che mi squarcia il petto ogni volta che ti guardo, che mi guardo?
Noti lo sguardo di disprezzo che mi rivolgo quando sono davanti a uno specchio, un vetro, una pentola o una qualsiasi superficie riflettente?
Disprezzo per essere stata debole, per averti assecondato, per non aver combattuto per la mia libertà, per essere una schiava senza vie di fuga: le mie amiche non sanno niente di tutto questo, mi vergognavo ad ammettere la mia stoltezza, non sono economicamente indipendente per far piacere a te, mio aguzzino, e i miei genitori, dopo quella litigata a causa tua in cui presi le tue parti non muoverebbero un dito per me.
Ho intorno solo terra bruciata.
Come si fa quando la tua unica ancora durante la tempesta è ben legata alla tua caviglia? Come si fa quando rimani solo tu?
Bisogna darci un taglio. Ma sarò abbastanza coraggiosa per farlo? Saprò rimediare con un semplice gesto ad anni di violenze perpetuate a me stessa?
 
 
 
 

Cronaca cittadina
Corso Venezia, trovato un uomo riverso sul suo divano, morto. La moglie è scomparsa.
 

  
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