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Autore: Mayo Samurai    12/08/2011    5 recensioni
e se Arthur, per via di un suo stesso incantesimo tornasse piccolo? e se Alfred, costretto forze maggiori (il mio volere) dovesse prendersene cura?
un'altra long fic tutta made in Moniko-chan! :D
Genere: Comico, Fluff, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: America/Alfred F. Jones, Inghilterra/Arthur Kirkland
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Per l’ennesima volta la testa di America crollò sotto il suo stesso peso, e per l’ennesima volta Alfred si svegliò di soprassalto, spaesato e assonnato.
Si stropicciò gli occhi e li spostò poi sulla piccola figura del bambino accanto a sé.
Arthur aveva ancora la febbre.
Tossiva ogni tanto e respirava affannosamente, aveva fatto una veloce ricerca in internet e aveva letto di tenere il paziente coperto, purché la temperatura corporea non fosse troppo alta.
Prese la pezza dalla piccola fronte aggrottata e la immerse nella bacinella accanto a sé, ci aveva messo del giacchio dentro, ma ormai era tutto sciolto, come l’acqua, ormai finita.
Sbuffò e andò in cucina per rifornirsi, tremando per la stanchezza e nervosismo: era tutta la notte che lo sorvegliava, sentiva il cervello chiuso in una morsa pressante, che gli aveva causato un bel malditesta, risalì le scale e si risedette sulla sedia, sistemandogli il panno sulla fronte.
Il bambino sospirò sollevato e sembrò calmarsi. Aveva il terrore che sarebbe finito cotto vivo, ma aveva letto che se il paziente, sudato, prendeva aria le cose peggioravano, e perciò era in costante ansietà. Non sapeva se tenerlo coperto o scoperto, aveva il continuo terrore di sbagliare, e peggiorare drasticamente la situazione.
Alfred si tolse gli occhiali e li poggiò sul comodino, prima di strofinarsi con vigore il viso, sperando di svegliarsi.
L’unica cosa che lo teneva sveglio in assenza di caffè era il pensiero che era tutta colpa sua se Arthur si era ammalato, avrebbe dovuto dargli ascolto e magari esser più convincente, o almeno richiamarlo prima, o…
Sentì il bambino tossire e bloccò i suoi pensieri, Arthur sembrava che si stesse svegliando: “A-Alfred?” Chiese confuso, il delirio della febbre doveva avergli offuscato la mente.
“si, sono io..” sussurrò sedendosi sul letto e carezzandogli la guancia.
L’altro rimase un attimo in silenzio, mentre grosse lacrime cominciarono a scenderli dalle guancie.
“no! Non piangere va tutto bene, ci sono qua io, tranquillo…” cercò di calmarlo ma fu inutile, con un gemito il piccolo scosse la testa, singhiozzando leggermente:”m-mi dispiace… sono solo uno stupido e inutile bambino!” singhiozzò portandosi le manine al viso e strofinandosi debolmente le guancie, a quanto sembrava, l sua mente era ferma a qualche ore prima, quando Alfred lo aveva ritrovato nel bosco, zuppo e ferito: ”ti do un sacco di problemi vero?” fece un paio di respiri profondi e ricominciò a parlare: ”sarebbe meglio che non esistessi… come dice Ian, sono inutile e debole, non diventerò mai una nazione!” il tono si era alzato leggermente, causando uno restringimento della morsa che attanagliava la testa di America.
“no, non è vero, tu non sai inutile, te l’ho già detto ricordi? E smetti di pensare male… diventerai una delle nazioni più potenti che siano mai esistite… te lo assicuro…” mormorò chinandosi sul bambino.
“crescerai, certo ci vorrà del tempo, ma vedrai, crescerai e diverrai forte…” gli carezzò la testolina umida e sorrise dolcemente, scostò delicatamente le mani dal viso di Arthur, e con la pezza gli asciugò le lacrime: ”ora, pensa solo a dormire e a guarire, ok?”
Il piccolo lo guardò confuso, poi annuì e chiuse gli occhi, addormentandosi immediatamente, sfinito.
Alfred sospirò sollevato, prendersi cura di un bambino non era facile, però, stranamente, quando era piccolo, non gli era mai sembrato che Arthur fosse così stanco… cioè, lui lo era sempre quando arrivava, magari era scocciato per qualche litigata, ma quando stava con lui era sempre pieno di energie, e le brutte occhiaie che aveva quando arrivava sparivano.
Che facesse finta di avere tutta quell’energia? Si chiese Alfred mentre si sistemava sulla sedia, molto più scomoda del letto, magari sarebbe riuscito a stare in piedi tutta la notte in questo modo.
Si grattò il collo e sbadigliò, era abituato a fare maratone notturne di videogiochi, ma ciò significava tenere la mente vigile, patatine e coca cola a volontà, con quelle almeno riusciva a superare la notte, e la mattina era sempre fresco come una rosa.
Guardò ancora un attimo la figura di Britannia, il quale aveva cominciato a respirare un po’ meglio, e si lasciò scappare uno sbadiglio, ma non si addormentò.
Lui era l’eroe, e non un eroe qualunque, era l’eroe di Arthur, e non poteva permettersi di abbandonarlo. L’aveva giurato a sé stesso e all’inglese, che gli sarebbe rimasto sempre vicino: ”per l’eternità! Visto che siamo nazioni!” aveva esclamato allegramente stringendo Arthur a sé, facendogli scappare una risata.
Sorrise a quel ricordo e si sistemò sulla sedia, motivato a combattere contro sé stesso e a rimanere sveglio a vegliare Arthur, anche per tutta la notte se era necessario.
 
 
 
Si accorse di essersi addormentato con le braccia incrociate e testa a penzoloni quanto qualcuno gli suono direttamente nelle orecchie un campanello.
Fece un balzo e cadde a terra, trascinando con sé la sedia, facendo un gran fracasso. Si rialzò dolorante e sbirciò Arthur, minimamente toccato da tutto quel rumore.
Il campanello suonò di nuovo e appurato che non c’era nessuno in camera capì che qualcuno stava suonando alla porta.
Si alzò barcollando, manco fosse ubriaco si trascinò al piano inferiore, lasciandosi cadere sulla maniglia.
“santo cielo Alfred, ma che ti succede?” la voce del fratello, nonostante fosse una delle più basse che avesse sentito, gli trapanò le orecchie dolorosamente, mentre sentiva le sue mani prenderlo per le spalle e sollevarlo, visto che era finito in ginocchio.
“Matthew?” mormorò cercando di fare leva sulle gambe, diventate improvvisamente di gelatina.
“si, sono io ma che ti è successo? Hai delle occhiaie terribili!”
Alfred barcollò un attimo, e prima che finisse a terra Canada riuscì a farlo sedere sul divano.
“ho tenuto d’occhio Arthur per tutta la notte… è colpa mia se si è ammalato, e devo vegliare su di lui…” disse, con mezza voce, stanca e pesante.
“dio, Alfred sei un cadavere… anche se scotti come una stufa!” Matthew si allarmò quando sentì la fronte del fratello in fiamme: “tu devi riposare, guarda, ci penso io a te e a Inghilterra, ora fila a dormire, ti accompagno.”
America scosse la testa, che rimbombò dolorosamente: “noo, devo… pensarci io…” si portò una mano alle tempie e chiuse gli occhi, fermandosi, a differenza del salotto che girava vorticosamente.
“non ti reggi nemmeno in piedi, vieni…” mormorò Canada, riuscendo a trascinarlo a letto, e lasciandolo dormire tranquillamente.
 
 
 
 
Quando si svegliò aveva una gran sete, assaggiò l’aria trovandosi la bocca secca ma impastata. Fece per alzarsi, ma un capogiro lo fece desistere da ogni intento.
“no, stai giù, Arthur sta bene.” Matthew gli mise la pezza sulla fronte, e sistemandogli le coperte gli porse un bicchiere d’acqua, che non tardò a scolare.
“d-dov’è?” domandò. Era senza occhiali e steso sul letto, con il pavimento che ondeggiava. I cuscini lo tenevano sollevato di poco, in modo che potesse bere senza problemi ma che rimanesse abbastanza comodo.
“qui accanto a te.”
Abbassò lo sguardo e si ritrovò ad affondare il naso negli spettinati capelli del bambino, che riposava placido, con la testolina poggiata al suo braccio e il corpicino rannicchiato contro il suo petto.
“si è svegliato mezzora fa senza febbre e ha insistito per vederti.” Canada rise gentilmente: “ci tiene a te, ha detto.”
Alfred guardò commosso il piccolino sdraiato vicino a sé, e con le ultime forze che gli rimanevano gli carezzò la testa: “grazie…” mormorò prima di riaddormentarsi, molto più sereno.
 
 
 
 
Quando si svegliò per la seconda volta la febbre si era attenuata, e si sentiva molto meglio. Solitamente non si ammalava quasi mai, e quando gli capitava, durava pochissimo.
Ringraziò il fatto di essere una nazione e si mise a sedere, accorgendosi di esser solo nella stanza. Cercò gli occhiali e li inforcò, riuscendo a mettere a fuoco finalmente l’ambiente attorno a sé. Senza quei piccoli pezzi di vetro era perduto.
Si grattò il collo e si sistemò i cuscini, in modo da potersi rilassare e stare comodamente seduto.
Si ricordava di aver sorvegliato Inghilterra per tutta la notte, che fosse arrivato suo fratello e che Arthur avesse dormito con lui. Ma ora nessuno dei due era nella stanza, e per via delle porte spesse non sentiva nessun rumore giungere da fuori.
Per questo motivo quando la porta si aprì di scatto fece un balzo, prima di capire che chi aveva spalancato la porta con tale vigore era Arthur, che con un vassoio in testa, sostenuto dalle piccola braccia, entrò nella stanza, seguito da Matthew che cercava di fermarlo.
“v-va piano… rischi di rovesciare tutto!”
“devo portarglielo in fretta! Così si sveglia!” esclamò mollando tutto sul comodino e accorgendosi solo adesso che Alfred era sveglio, e lo guardava divertito.
“ALFRED!” urlò, e gli balzò in braccio, affondando il viso tra le pieghe della maglietta e stringendo la stoffa.
“mi dispiace! Mi dispiace tantissimo! Ti sei ammalato per colpa mia! Matthew me lo ha detto! È tutta colpa mia!” disse, alzando la testa e mostrando i suoi occhioni pieni di lacrime.
“su,su non è niente davvero, ora sto molto meglio.” Rispose il ragazzo, carezzandogli le guancie e asciugandogli il visetto.
“ti ho tenuto d’occhio come tu hai fatto per me!” esclamò sorridendogli: “un favore per un altro!”
Alfred lo guardò ammirato: “ti ha cambiato la pezza e ti ha tenuto compagnia.” Disse Canada avanzando e sedendosi sul letto: “è stato un bravissimo cavaliere.”
Il bambino sorrise felice e si allungò per recuperare il piatto sul vassoio, ancora posato sul comodino.
“ti ho anche preparato il pranzo! Apri la bocca!” disse deciso, afferrando con una mano la forchetta e sistemandosi sul bacino di America, che guardò dubbioso la pietanza.
Canada rise: “è semplice riso, e visto che c’è un coraggioso cavaliere qui con te io posso anche andare, sono giù da basso, se vi serve aiuto.” Commentò, prima di uscire e chiudersi la porta alle spalle.
Alfred lo guardò riconoscente, e ben presto si ritrovò la forchetta sulle labbra, mentre Arthur continuava a premere dicendo: ”di aaaaah!”
E così America fu imboccato amorevolmente da un piccolo Inghilterra, che si stava, a quanto pare, divertendo un mondo a prendersi cura dell’americano.
Premuroso come il giorno che lo conobbe il quel campo d’erba sconfinato, Arthur si rivolgeva al ragazzo chiedendogli di continuo se avesse bisogno di qualcosa, morbosamente attaccato a lui e insistente come le nonne, che ti vogliono sempre rifilare qualcosa da mangiare, dicendo: “ sei così magro! Tieni! Mangia qualcosa!”
Alfred si divertiva vederlo scorrazzare per la stanza, a piedi scalzi balzava di continuo sul letto, per andare da un capo all’altro, per recuperare magari un cuscino o un libro a caso che il ragazzo gli indicava.
Canada si occupò di loro tutto il giorno, preparandogli la cena e affermando che prendersi cura di Arthur in quelle condizioni o Alfred era la stessa identica cosa.
Solo verso sera, Alfred avvertì una spiacevole fitta alle meningi, segno che si stava sforzando troppo, nonostante si sentisse in forma. Ma Matthew fu irremovibile, preparò la cena per tutti e tre e non gli permise di scendere, dicendo di aspettare almeno il giorno successivo, giusto per evitare qualsiasi caduta rovinosa, causata da capogiri improvvisi.
Il piccolo Britannia non si staccava mai da lui, cenarono insieme, e dopo essersi cambiato, si infilò sotto le coperte con lui, dicendo di voler finire il suo lavoro di cavaliere.
Alfred lo guardò amorevolmente, ringraziandolo e ringraziando la fortuna di avere Arthur lì con sé.
 
 
 
 
 
Il giorno dopo stavano entrambi egregiamente, dopo molte raccomandazioni da parte di Matthew, diventato fin troppo ansioso, i due rimasero soli, e senza ulteriori indugi uscirono. Il brutto tempo sen’era andato e l’erba era calda e asciutta, così Arthur potè dedicarsi ai suoi giochi senza sporcarsi più di tanto.
Mentre Alfred posava il piatto sul tavolo, contenente un grossa bistecca, davanti ad Arthur, notò il calendario, e sorrise gioioso. Tra due giorni sarebbe stato Halloween.
A quanto pare Arthur non conosceva ancora quella festa, dopo tutto, pensò il ragazzo con un pizzico di orgoglio, l’ho inventato io Halloween! Quindi, scoppiò a ridere quando vide la faccia tra il perplesso e l’interessato di Arthur quando gli raccontò della festa.
“ci si traveste da mostri e si spaventa le gente.” Gli spiegò, mentre il bambino lo guardava affascinato:“si dice “dolcetto o scherzetto!” se ti danno i dolci bene, altrimenti gli si fa qualche scherzo!” Arthur ridacchiò: “è stata inventata per scacciare le malattie, ma oggi i bambini e i ragazzi la festeggiano per ottenere dolci e stare svegli fino a tardi.” Disse Alfred ridendo.
“wow… e dove la fanno?” gli chiese curioso, aggrappandosi ai suoi pantaloni.
L’altro scrollò le spalle: “dappertutto, si gira per le case.” Il piccolo annuì: “hai detto che si traveste… tu cosa ti metti… e io!?” chiese allarmato, rendendosi conto di non sapere che mettersi.
“hahaha, lo vedrai domani sera, e tranquillo, al tuo costume ci penso io.” Disse, ricordando con rammarico il magnifico travestimento di Inghilterra dell’anno scorso: un vampiro vestito di azzurro.
Era palese che il costume non andasse anche a lui, così rimediò comprandone uno da diavolo, che gli fece provare.
Inizialmente il bambino si prese un bello spavento a sentire la parola “diavolo”, ma ricordandosi che doveva terrorizzare la gente, l’idea gli piacque molto, tanto da farlo sorridere inquietante e far spaventare un po’ Alfred.
La tanta agognata serata arrivò.
Per Alfred era un divertimento normale, gli piaceva andare in giro a chiedere dolci. Per Arthur invece fu una dolorosa attesa, passata davanti allo specchio e a rompere le scatole ad America, chiedendogli di continuo tra quanto andavano.
Quando il ragazzo aprì la porta di casa, Inghilterra si fiondò in giardino, saltellando di qua e di là, incitando Alfred ad accelerare. Quasi navigava nel vestito da diavolo che gli aveva comprato da un cerchietto con le cornina scarlatte attaccate,una giacchetta dello stesso colore e pantaloni lunghi fino alla caviglia, sempre rossi e una deliziosa coda forcuta, lunga quanto il braccio, che fluttuava ad ogni passo, sfiorando il terreno. In più gli aveva disegnato dei baffetti, che lo fecero ridere molto.
L’americano rise di fronte a tanto entusiasmo, e gli prese la mano, mentre con l’altra teneva un sacchetto, iniziando il loro giro.
Molti bambini guardavano ammirati il costume di Alfred, mascherato da Jason con vestiti “modernizzati” . cioè un pastrano lungo e logoro, per metà arancio e metà verde marcio. Gilè e calzoni castani chiari, camicia bianca e maschera insanguinata da hokey sul viso, spostata sulla desta. Se da una parte Alfred attirava gli sguardi dei bambini, Arthur attirava quelli delle ragazze, intenerite dalla piccola forca di plastica rossa nella manina del bambino. Si avvicinavano con sacchetti pieni di caramelle, accompagnate dal fratellino o dalla sorellina più piccola. Si fermavano e facevano un sacco di complimenti ai due, mentre si mangiavano con gli occhi Alfred, si perdevano in moine davanti ad Arthur e alla sua adorabile coda da diavoletto, che diventava del colore della sua giacchetta.
Il bambino rimase deluso nel costatare che metteva tenerezza invece che incutere timore e sgomento come si era aspettato.
Alfred rise di gusto: “ormai è così, poche sono le cose che spaventano ad Halloween.” Disse, con una piccola punta di nostalgia.
Quando arrivarono nel cuore di Londra, Arthur gli strattonò la mano, indicandogli un signore elegantemente vestito. Da sotto il mantello e tuba neri, si intravedeva un panciotto dello stesso colore, con un bell’orologio d’oro da taschino che spuntava, nascosto da una giacca allacciata solo per i primi tre bottoni del fondo, che svolazzava ad ogni passo. Pantaloni scuri molto eleganti e una camicia a fronzoli. Svolazzava per le strade con una grossa borsa da dottore dei vecchi tempi in mano. Portava anche degli eleganti guanti bianchi, che gli facevano sembrare le mani scheletriche.
“chi è, chi è!?” chiese trepidante, appendendosi al suo braccio, seguendo e contando ogni passo dell’uomo, che avanzava tra le persone e i bambini a passaggio con grazia, quasi come un essere innaturale.
Alfred riconobbe subito l’uomo. Era un racconta storie di paura. Inizialmente, al “ghost walk” era nata a Brighton, una deliziosa località di mare, volta verso la Francia. Ma con passare del tempo era arrivata anche a Londra, appassionando molte persone. Deglutì nervoso, l’anno scorso Inghilterra l’aveva convinto a seguirlo nella sua passeggiata. Non aveva dormito per i tre giorni a seguire.
“è… un signore…”
“che racconta storie di paura in giro per Londra.”
Entrambi si voltarono, e videro Francis che li guardava divertito. Arthur gli ringhiò contro e sollevò il piccolo forcone, inviperito, mentre Alfred lo guardò malissimo.
“che ci fai qui rana!? Sparisci prima che ti scagli addosso legioni di demoni!” disse il bambino, suscitando la risata del francese. A quanto pare il piccolo inglese credeva che indossare quel costume gli desse anche poteri soprannaturali.
“sono venuto a godermi un po’ di Halloween, sapevo che vi avrei trovato in giro. Poi a casa mi stavo annoiano.” Disse avanzando. Era vestito da fantasma, a quanto sembrava.
“un fantasma di un signore.” Precisò, quando Alfred glielo fece notare, in effetti gli elegantissimi abiti del barocco lasciavano a intendere. Bianchi, con rifiniture viola, erano fin troppo raffinati per una serata a spasso. Quel tipo di abbigliamento avrebbe fatto un figurone alle feste esclusive, anche per le strade di Londra a dire la verità, risultando forse un po’ pacchiano. Solamente il panno posato sulla testa del francese e la lanterna che teneva in mano potevano lasciar intendere da che cosa fosse travestito.
“vattene, non sei il benvenuto!” gli urlò contro Arthur, picchiandogli la sua piccola arma sulle ginocchia, facendolo ridere di nuovo.
Francis agitò la lanterna che teneva nella destra e lo ignorò: “come mai non porti il piccolo Arthùr a sentire le storie di paura?  Sono sicuro che a lui piacerebbero.”
“non storpiare il mio nome!” strillò inviperito: “e che intendi con storie di paura?” chiese, cercando di mascherare il tono interessato sotto i baffetti alla Dalì, disegnato sotto il naso.
“mio piccolo diavoletto, quello che ho detto! Racconta storie di paura. Bisogna seguirlo, altrimenti lo perdete!”
Arthur si voltò speranzoso verso Alfred, supplicandolo con gli occhi, di seguire quel signore così interessante.
L’americano rifilò un’ultima occhiataccia al francese, che dal canto suo se la rideva della grossa, e sospirò: “se proprio ci tieni…” mormorò, prima che Arthur gli agguantasse le gambe, stringendole felice: “grazie!”
Sorrise anche lui, vedere Inghilterra  felice era il suo unico scopo.
 
 
 
 
 
“e con un coltellaccio… gli staccò la mano di netto!” l’uomo vestito di scuro tirò fuori un coltello di plastica, artisticamente insanguinato, e lo agitò sul proprio polso.
Arthur rise e fece finta di spaventarsi e rintanarsi nella giacca di Alfred, che era sbiancato.
Francis, dopo averli accompagnati e appurato che il tizio parlava inglese, decise di lasciarli soli, alla ricerca di qualche bella turista francese. Sparendo come uno spettro tra le persone, canticchiando qualcosa in francese e dondolando cupamente la lanterna faceva voltare inquietate e affascinate le persone che incontrava, che lo fissavano come se fosse un’apparizione.
Così per Alfred era cominciata l’agonia. Purtroppo, essendo in autunno inoltrato, le giornate erano visibilmente più corte, e quindi la sera scendeva prima. Per questo rabbrividì quando passarono nel vicoletto tra due cupe case, dalle finestre scure come la pece. Aveva accettato solo per far felice Arthur, il quale, gioioso, beveva ogni lettera scandita dal racconta storie, facendo finta di spaventarsi come il resto del gruppo. Solo i bambini più piccoli e Alfred si spaventavano alle sue storie, ai manichini e agli oggetti finti che estraeva con gesti teatrali dalla borsa da medico.
Quando la passeggiata finì, Alfred trascinò un fin troppo entusiasta Arthur fino a casa, chiudendo la porta a doppia mandata e tirando giù le tapparelle, accendendo ogni luce che gli capitasse a tiro.
“che ti succede Alfred?” si voltò e vide Arthur, nel bel mezzo del tappeto del salotto, quello di fronte al camino, che lo guardava preoccupato, anche se alla luce della lampada del comò accanto al divano, gli donavano un’aria spettrale, oscurando metà del viso. Il costume da diavolo poi non aiutava.
Rabbrividì e scosse la testa: “n-niente, a-andiamo a dormire…” mormorò, prendendolo in braccio e avviandosi al piano superiore, accendendo le luci a suo passare e spegnendole solo quando furono entrambi pronti.
 
 
 
Alfred si svegliò di soprassalto, con ancora il peso spaventoso di un incubo nella testa. Gli fischiarono le orecchie per qualche secondo, prima che calasse il silenzio più completo. Respirò a fondo, cercando di fare il minor rumore possibile, terrorizzato dall’idea che qualsiasi cosa che sia annidasse sotto il letto, nell’armadio e negli angoli potesse sentirlo.
Riuscì a calmare il tremore delle mani con uno sforzo enorme, imponendosi di credere che non c’era niente nella stanza.
Un rumorino intermittente lo fece voltare verso la finestra. Come il picchiettio di un ramo (o di un’unghia) trapanava le orecchie del ragazzo. Non ci sono alberi da quella parte. Quel pensiero gli bastò per andare a far benedire tutto il tempo passato a tranquillizzarsi. Strizzò gli occhi e artigliò le coperte, tremando violentemente.
Se ci fosse stato Arthur… sia adulto che bambino, che dormiva placido nell’altra stanza. Non avrebbe avuto problemi a urlare il nome dell’inglese, o a buttarsi nel suo letto, cercando il suo abbraccio rassicurante. Ma adesso non poteva mostrarsi debole davanti a lui, non adesso che lo aveva preso come modello.
Raccolse ogni briciola del suo coraggio e si voltò, mettendosi di fianco, convincendosi a dormire.
Rimase tranquillo per un po’, riuscendo a captare i suoni più flebili e a individuarne la causa, terrena.
Quando sentì la porta scricchiolare però, decise che ogni cosa potesse anche andare dove diceva lui, perché non sarebbe stato fermo quando l’oscurità l’avrebbe afferrato con i cuoi artigli.
Cominciò a respirare affannosamente, mentre percepiva la porta spalancarsi. Stando di schiena dall’ingresso, poteva far finta di dormire, e forse la cosa che avanzava lentamente nella stanza se ne sarebbe andata.
Ma quando sentì una presenza alla proprie spalle, proprio ai piedi del letto, si zittì completamente, in ascolto. Trattenendo il fiato, riuscì a sentire solo il suo cuore che martellava frenetico contro il petto, rimbombando in gola e nelle orecchie.
Sentì che la figura smetteva di respirare e poi agire.
Quando la sentì atterrare su di sé urlò, trovandola consistente e pesante.
“ALFRED! Alfred calmati, sono io!”
Sentire la voce, anche se infantile, di Arthur, fu un enorme sollievo, tanto da fargli bloccare sul posto le braccia, che fino a pochi secondi prima si agitavano, cercando afferrare qualcosa davanti a loro.
Sentì il “clik” di una lampada e la calmante luce arancio dell’abajure sul comodino si riflettè negli occhi preoccupati di Arthur.
“ti ho sentito urlare.” Disse il bambino, arrampicandosi sul letto: “e quando sono entrato non respiravi più! Mi sono spaventato tantissimo!” gli disse in tono di rimprovero, ricordandogli tanto quello che usava quando era grande.
Alfred chiuse gli occhi e si lasciò cadere sul cuscino, respirando profondamente, avvertì le manine di Inghilterra poggiarsi sul petto, poco più sotto del collo: “tutto a posto?”
Il ragazzo aprì un occhio, sorridendo appena: “si, tranquillo… scusami se ti ho svegliato.” Mormorò scompigliandogli dolcemente i capelli.
Anche il bambino sorrise, molto più sollevato: “hai fatto un incubo?” lo spaventava la perspicacia di Arthur. Da adulto poteva esser normale, ma da bambino era leggermente inquietante.
Sentendosi improvvisamente tornato piccolo a sua volta, Alfred annuì mesto, facendo sorridere l’altro.
“ormai è tutto finito, sei sveglio e ci sono io, nessuno ti prenderà.” Gli disse.
America rimase sorpreso nel sentire le stesse parole che Arthur, ogni volta che il ragazzo si infilava nel suo letto, gli sussurrava prima di stringerlo e di cullarlo, finchè non si fosse addormentato.
“si… ci sei tu.” Mormorò sorridendogli a sua volta.
“starò qui finchè non ti riaddormenti, ho tanto da ripagare e non posso permettere che i mostri si portino via il mio cavaliere.” Disse allegro, girandosi e dandogli le spalle, sedendosi accanto a lui, con i piedi penzolanti.
Alfred lo guardò commosso, come quando aveva la febbre Arthur lo stava assistendo, nonostante avesse sì e no 6 anni. Si mise di fianco, in modo da par poggiare al bambino alla sua pancia, dandogli una confortevole poltrona.
Il biondo rise e si strusciò un po’, rannicchiando le piccole gambe al petto. Con la manina destra accarezzò la fronte di America, facendo arrossire.
“quando si ha un incubo è meglio accertarsi che la persona non abbia la febbre e stia delirando.” Spiegò: “ e in questo modo la si tranquillizza.”
Ad Alfred non poteva interessargli di più se fosse vero oppure no, lasciò che quel piccolo bambino lo soccorresse come meglio riteneva, finchè non si addormentò, affrontando la notte senza sogni né incubi.
 
 
 
 
 
 
 
Probabilmente starete pensando di impalarmi, e vi do ragione, molta ragione, si,si *intanto si allontana a passetti*
Mi dispiace tanto di esser così in ritardo, mi ci sono messa sotto ma le idee non venivano. Poi puff! Eccole tutte insieme, così adesso il prossimo cap è già mezzo pronto qui *indica testa* e lo sarà, spero, anche su carta. Quindi… PERDONATEMI! Ç___ç
Purtroppo non ho tantissimo tempo, e se non pubblico adesso mi dimentico… quindi vi ringrazio tutti, soprattutto la nuova arrivata ^^ Lok6grande, grazie mille, spero che i capitoli saranno di tuo gradimento ^^
Se ci sono errori è perché non trovo la mia beta reader, e anche lei è comunque occupata.
 
 
 
commentate! Perché i commenti sono il cibo per noi scrittori, non costiamo tanto e regaliamo sorrisi e risa, e anche qualche lacrima! Quindi orsù! Sfamate le bocche insaziabili degli artisti! *fa un inchino teatrale*
Ciaossu!
   
 
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