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Autore: Seagullgirl    12/08/2011    4 recensioni
" Mi era bastato guardarla per capire che Jenny non era come le altre.
O perlomeno, io ero convinto che non lo fosse. Non apparteneva a nessuna categoria, perché non aveva regole fisse. Non si poteva dire “ è così “, perché lei cambiava ogni giorno, pur rimanendo sempre uguale "

Lui non aveva mai capito cosa mancasse alla sua vita, finchè non ci si è scontrato.
Sembrava tutto perfetto, ma non si era mai sentito così completo come dal giorno in cui aveva conosciuto lei.
E sarà nel donare un pò di se stesso, che capirà quanto invece sta ricevendo, senza neanche accorgersene.
" Il dono è quello che ottieni dando più di quel che ricevi "
                             
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ciao a tutti!

Dico subito che questa storia è un esperimento, per cui non so come finirà.
Può essere anche che la cancelli, oppure che mi venga anche fuori una cosa carina.
Sono stata indecisa fino all'ultimo se pubblicarla o no, e alla fine ho deciso di farlo.
Ci sono molto legata, perchè in effetti parla molto di me, e per questo ero curiosa di sapere cosa ne avreste pensato. :)
Spero vi piaccia, e anche in caso contrario, che vogliate lasciare un vostro parere! :)
Buona lettura.






 






Mi era bastato guardarla per capire che Jenny non era come le altre.
O perlomeno, io ero convinto che non lo fosse. Non apparteneva a nessuna categoria, perché non aveva regole fisse. Non si poteva dire “ è così “, perché lei cambiava ogni giorno, pur rimanendo sempre uguale.
Ci eravamo incontrati la prima volta al Rockfeller Center, quando, cercando di non cadere, si era aggrappata a me con entrambe le mani.
« Oddio, scusa! » aveva esclamato con sguardo colpevole.
« Nulla » avevo semplicemente risposto io in un debole sorriso.
Dal momento in cui i nostri occhi s’incontrarono, capii che c’era qualcosa di magico in lei, qualcosa che nessuno riusciva a cogliere, tranne me.
Avevo ben presto scoperto che parlare era il suo passatempo preferito. Era timida, ma una volta presa confidenza diventava estroversa e solare, rivelando il suo vero carattere. Probabilmente la maggior parte delle persone avrebbero considerato questa sua loquacità un difetto, ma non io. Mi piaceva ascoltarla parlare, osservando come gesticolava con le mani quando l’argomento la coinvolgeva molto, come rideva al ricordo degli episodi divertenti che mi raccontava, o le sue espressioni, che variavano in continuazione, con un’abilità di mimica facciale straordinaria.
Solitamente ci incontravamo nella caffetteria dietro l’angolo di casa mia e ci sedevamo sempre allo stesso tavolo, in fondo e vicino alla finestra, un po’ isolato.
« Sai, è strano che io parli così tanto con te », disse mentre girava lo zucchero nel caffè.
« Perché? »
« Non mi capita spesso di farlo. Vorrei, ma so che le persone non amano ascoltare gli altri »
Scossi la testa, contrariato. « A me piace ascoltarti », dissi sinceramente.
Lei arrossì lievemente, come se le avessi fatto un grosso complimento.
In quel momento, forse per la prima volta da quando l’avevo conosciuta, notai quanto fosse bella. Il viso in alcuni momenti pareva di porcellana, né troppo tondo né troppo ovale; gli occhi – che erano la prima cosa che mi aveva colpito di lei – avevano quella forma perfetta che si vede nei cerbiatti: leggermente allungati alle estremità e tondi al centro. Il colore era uniforme, come se glieli avessero dipinti con il pennarello, e di un bel marrone lucido, come i vecchi mobili in legno della nonna.
La bocca era piena e ben modellata, di un rosso appena accennato. Le sopracciglia nere e folte, disegnate perfettamente. I capelli castano chiaro, ma che alla luce rivelavano riflessi dorati, le circondavano il volto in un’onda morbida.
Era strano come in una città grande e caotica come New York, due ragazzi possano sedere indisturbati ad un tavolo, sorseggiando un caffè e parlando della loro vita, senza che nessuno li noti.
Eppure, in quell’ora che ci ritagliavamo per noi ogni giorno, pian piano imparammo a conoscerci.
« Matthew è davvero un bel nome » osservò quella mattina.
« E’ molto comune »
Fece spallucce, sorridendomi leggermente « Lo so, ma mi piace »
« Anche Jennifer è carino »
A quell’affermazione fece una smorfia, arricciando il naso.
« Io lo trovo così antiquato. Preferisco Jenny »
« E io Matt » dissi con tono scherzoso.
Capitava che spesso nella conversazione ci fossero delle pause anche abbastanza sostanziose, ma non ne sentivo mai il peso. Non era un silenzio imbarazzante, era come quando due persone si guardano negli occhi e tutto il resto del mondo sembra fermarsi. Ecco, io mi sentivo così quando stavo con lei. Tutto sembrava più semplice.
« Sei figlia unica? » chiesi mentre aspettavamo l’ordinazione
« Più o meno », rispose con tono sarcastico ma duro.
Risi, involontariamente. « Come sarebbe “ più o meno “ ? »
Fece spallucce e addentò un pezzo della ciambella che aveva davanti.
« Ho una sorellastra che non vedo da quando avevo cinque anni » spiegò.
Rimasi sorpreso da questa notizia. Mi aveva detto che la sua era una vita estremamente anonima, senza colpi di scena.« Come mai? » chiesi curioso ma senza malizia.
Di nuovo, alzò le spalle. « Odia mio padre. Sua madre l’ha convinta che è uno stronzo e che l’ha abbandonata ». Bevve un sorso del caffè e parlò di nuovo.
« Lui c’è sempre stato per lei. Gli ha persino lasciato la casa che aveva comprato con i soldi risparmiati in anni e anni di duro lavoro » mentre parlava il suo tono si faceva sempre più acido, anche se non ero sicuro che se ne rendesse conto.
« Le ha sempre voluto bene. Ha lottato per lei ogni volta che sua madre gli impediva di vederla. E il suo ringraziamento quale è stato? Quando ha avuto diciotto anni l’ha portato in tribunale, gli ha fatto rinunciare alla patria podestà e si è fatta mettere il cognome del compagno di sua mamma » quasi sputò le ultime parole.
Io l’ascoltavo in silenzio, senza dire nulla, e anche quando faceva una pausa non facevo domande né commentavo, in attesa che dicesse veramente tutto.
« Ma la cosa comica è che ha anche provato a ricontattarmi. Non vuole più vedere mio padre, i miei nonni… però vorrebbe vedere me » rise, come fosse una cosa buffa.
Guardò fuori dalla finestra, e gli occhi le cominciarono a diventare lucidi.
« Ci siamo parlate su Facebook per due settimane, poi ha smesso di scrivermi »
Parlava di lei con rancore, rabbia, ma anche delusione. Profonda delusione.
« Perché non la vuoi rivedere? » chiesi, ma mi sentivo un po’ stupido.
In fondo, non credo che io avrei reagito diversamente da lei.
A quelle parole sembrò riprendersi. Si voltò verso di me e mi guardò male.
« Ha detto che lui non è più suo padre. Se lui non è più suo padre io non sono più sua sorella. Per cui perché dovrei voler rivedere un’estranea? ».
Quello fu il suo semplice ragionamento, ed effettivamente non faceva una piega.
Amava suo padre, e non riusciva a volere bene a qualcuno che lo odiava.
Se ci pensavo, era così anche per me. Per cui la capivo, e le davo ragione.
« Non posso darti torto. Anche io sono uno che porta rancore », ammisi.
Lei mi sorrise, e passò a parlare di cose più allegre. Mi raccontò di sua madre, suo padre, i suoi nonni. Dall’affetto con cui ne parlava capivo che la sua infanzia era stata tranquilla, felice. Per un attimo fui invidioso di quella beatitudine, quella fanciullezza che io non avevo avuto. Ma poi fui contento che avesse avuto quella possibilità. Almeno lei aveva avuto ciò che meritava.

« Ma parlami un po’ della tua, di famiglia », disse curiosa quando ebbe finito di parlare. « Sennò non vale »
Io feci spallucce, non sapendo da dove iniziare.
« Non c’è molto da dire in realtà. Sono cresciuto con mia madre, io e lei soli. Poi a diciotto anni me ne sono andato di casa e adesso vivo con un mio amico »
« E tuo padre? » chiese aggrottando le sopracciglia.
« Se n’è andato prima che nascessi » dissi semplicemente.
La sua bocca si aprì involontariamente in un’espressione di sorpresa.
« Ha abbandonato tua madre? »
Annuii. Era strano parlare di lui con qualcuno. Non lo facevo quasi mai, nemmeno con mia mamma. Eppure, con Jenny non facevo alcuno sforzo.
« Mi… mi dispiace, scusa, io… sono stata invadente » balbettò imbarazzata.
Scossi la testa, sorridendo « No, scusami tu. E’ che mi fa strano parlarne con qualcuno. Però in fondo è liberatorio », confessai.
Abbassò la testa, cercando le parole giuste, prima di rialzarla. « Ti manca? »
Ci dovetti pensare un po’ su, prima di risponderle. « No. O meglio, non è lui a mancarmi. Mi manca averlo avuto nella mia vita quando ne avevo bisogno », spiegai.
« Quando ero piccolo mia madre stava fuori tutto il giorno per lavoro, e molto spesso mi sentivo solo. Ed essendo figlio unico, quando ne avevo bisogno non c’era nessuno con cui potessi parlare, nessuno che mi aiutasse. Quando sono cresciuto, anche… c’erano cose di cui non potevo parlare con mia mamma, e avrei tanto voluto che mio padre ci fosse ».

Parlai guardando fuori dalla finestra, fingendo disinvoltura, e osservavo le sue reazioni con la coda dell’occhio. Si morse il labbro, osservandomi.
Le sue sopracciglia erano corrugate e il suo sguardo era un misto tra il triste, l’arrabbiato e il pensieroso. Normalmente odiavo essere compatito per la storia di mio padre, ma stranamente quella volta non era così. Perché la sua non era compassione, ma sincero dispiacere. Dopo un lungo silenzio meditativo, la vidi allungare la mano per posarla sopra la mia. Un gesto semplice, comune. Nulla di speciale.
Eppure, in quel momento mi fece sentire meglio, come nessuno era mai riuscito a fare, nemmeno con milioni di parole. Di nuovo, calò il silenzio.
« Matt », mi chiamò dopo una lunga pausa. « Sì? » risposi istintivamente.
Di nuovo una pausa. Si morse il labbro, guardò il tavolo e finalmente me.
« Per quello che vale, io ci sono. Non sei solo ».
Quelle parole mi colpirono come una freccia dritta al cuore. Dette da una persona qualsiasi sarebbero risultate false, dopo così poco che ci conoscevamo, ma non dette da lei. Non sapevo il motivo, ma nel profondo del mio cuore sentivo che era sincera.
In più, una sensazione strana mi aveva accompagnato sempre quando ero con lei, fin dal primo giorno.
Era come se una parte di me fosse irrimediabilmente attratta da quella misteriosa ragazza, che sembrava avere qualcosa di magico. Mi sentivo come se fossimo due calamite di polarità opposta, obbligate ad attrarsi. E c’era qualcosa di magico anche in quella sensazione.
« Anche io », dissi stringendo le sue dita tra le mie.

   
 
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