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Autore: LeanhaunSidhe    12/08/2011    2 recensioni
"I morti non cercano qualcuno che li vendichi, ma che li ricordi" Con questa frase si dice che una semplice donna riuscì a entrare nel cuore di Death Mask
Genere: Romantico, Sovrannaturale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Cancer DeathMask, Nuovo Personaggio
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Ballata dei finti immortali'
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Aphrodite si affrettò a rimettersi impiedi e pulirsi il viso dalla terra. Corse dai due e chiese che fine avesse fatto il loro avversario.

“Fammi un favore, bellezza: tornatene dai tuoi amati fiorellini. Non abbiamo più bisogno di te.”

Cancer con un braccio cinse le spalle di Mnemosine e con l’altro spinse via l’amico. La ragazza, però, non era molto ottimista e la cosa non sfuggì al Santo dei Pesci.

“Ha detto che tornerà fra tre giorni. Dovremo essere pronti per allora.” Spiegò mesta.

Death Mask si arrestò.

“Ha ammesso anche che non ci finiva oggi perché insieme eravamo fuori dalla sua portata. Temeva la sconfitta. Significa che possiamo batterlo.”

“Tornerà di notte e sarà più forte.”

Il cavaliere l’attirò a sé.

Il cavaliere la osservò mentre dormiva. Giocò coi suoi capelli attorno alle dita. Ricordò di quando era apprendista e se le trovava tagliate o rotte.

Ora, però, non provava dolore. L’aveva lasciata dormire appoggiata a lui. Provò a non svegliarla e recuperò una vestaglia. Soddisfatto, prese un vassoio col pasto e tornò in camera.

C’era un silenzio strano alla quarta casa. Nessuno dei dannati si lamentava. Ammise a se stesso che Mnemosine era diventata forte.

“Perché devo vestirmi così?”

Mnemosine si grattò il braccio con le fasce. Non le piaceva la tenuta da apprendista.

“Sei più libera nei movimenti.”

“Ma io non devo tirar pugni!”

Cancer si fermò e la guardò serio.

“Non si può mai sapere.”

La guidò poi per la quarta casa, verso una maschera che già conosceva meglio delle altre e gli piaceva molto meno. Appena la vide, la ragazza si voltò verso di lui.

“Che intenzioni hai? Lui ti vuole morto.”

“Ha cercato di uccidere anche te.”

Si riferì truce alla prima apparizione di Imuen. La ragazza guardò in terra.

“E’ diverso. Quando mi teneva, avvertivo chiaramente che lo faceva contro la sua indole. Era Imuen che lo obbligava. Da quel che ho capito, quelli della mia razza di rango basso possono solo dare corpo agli spiriti.

Se si tratta di spiriti potenti, rischiano pure di esserne soggiogati. Imuen, al contrario, può manipolarli, farne i suoi burattini.”

Cancer ridusse le palpebre a due fessure.

“Tu puoi fare altrattento?”

“No. Tuttavia, penso di poter risvegliare le volontà di quelli che controlla, almeno di alcuni. Posso rendergli la vita difficile, insomma.”

Compiaciuto, il cavaliere le posò una mano sulla spalla, causandole un brivido.

“Liberalo: voglio vedere se è come l’ultima volta.”

Mnemosine si staccò da lui decisa.

“Impedirò a lui di farti del male, ma non sperare che conceda a te di farne a lui. Questo sia chiaro.”

Cancer iniziò ad alterarsi.

“Se non ti sta bene, combatti Imuen da solo.”

Il cavaliere alzò le mani in segno di resa.

“Come desidera la signora. Sarò un bravo bambino, d’ora in poi.”

“Ti conviene.”

Sibilò lei mentre alzava un leggero fumo, simile a nebbia.

Mentre il vento gli sferzava il viso, Imuen pensava. Un ritmo diverso nel vortice della neve gli annunciò che non era più solo. Si girò verso l’entrata della grotta, verso colui che avanzava con una fiaccola in mano. La luce delle fiamme rischiarò appena le rocce e la sua figura. Egli vestiva sempre di bianco e gli somigliava. Le spade appese al fianco tintinnavano a ogni suo passo.

“Posso sedermi?”

Osservandolo, Imuen restava sempre stupito di quanto si somigliassero e di quanto fossero diversi. Si commiserò. Da quando suo fratello lo cercava e gli chiedeva il permesso di qualcosa?

“Fa come ti pare. Se preferisci, puoi tranquillamente andare al diavolo.”

Haldir non sapeva essere ironico o sorridere. Si sedette e basta, con la sua solita faccia fredda e accigliata.

“Hai bisogno di aiuto?”

Tra loro c’era sempre stato un rapporto di reciproca indifferenza. Da che ricordava, non una volta il fratello gli aveva offerto il proprio aiuto in tutti quegli anni. Non una volta che si fosse interessato a qualcosa di diverso dai fatti propri. Haldir era esattamente come il vento del nord che lo governava: freddo, solitario, tagliente e imperscrutabile. Andava e faceva ciò che voleva. Non era cattivo, ma del bene e del male non gli importava.

“Ti manda il vecchio?”

Capiva che, se era così, stava bollendo qualcosa in pentola. Quando mai loro due avevano sentito il bisogno del padre? Come si aspettava il gemello negò.

“Non lo sento da tanto. Mi occupo da solo della difesa.”

Altra cosa ovvia. Quella statua di ghiaccio neppure in punto di morte avrebbe permesso a qualcuno di mettere bocca sulle sue strategie di guerra. “Come mai sei così loquace stasera?”

Imuen provò a farlo alterare, almeno se ne sarebbe andato. Sapeva che era inutile. Il suo gemello era impermeabile a certe tecniche, ma lui era stanco anche per pensare.

“Ho perso nostra madre e ho un padre pazzo. Non voglio perdere anche mio fratello.”

Haldir era serio. Nei suoi occhi troppo chiari, le cui iridi quasi si perdevano nel bianco e grigio del vento, non c’era mai stata traccia di menzogna.

“Gli umani hanno risorse che neppure immagini.”

Imuen annuì. Per uno strano scherzo del destino anche lui aveva imparato a interessarsi agli uomini.

“Sai, un tempo ne avevo scelta una. Magari lo so, grazie.”

“Tu non sai!”

Il fratello aveva alzato la voce.

“Non sai, altrimenti non saresti stato così leggero. Ci sono esseri umani che possono anche distruggere dei. Quante volte dovrai vederlo per crederci?”

Che qualche essere umano lo avesse messo in difficoltà in un duello? L’avrebbe preso in giro a vita… Preferì tacere. “Come dovrei agire, dunque, secondo te?”

Haldir placò il vento. Era stato ascoltato. Tanto bastava.

”Ribellati. Torna quello che eri. Io e gli altri ti stiamo aspettando.”

Il demone dalle iridi color delle gemme spalancò gli occhi. Quasi balbettò.

“Ti rendi conto di quanto dici? Se gli olimpici sapessero…”

Il fratello impugnò la spada e mostrò l’elsa.

“Combatteremo. Ho un esercito pronto a seguirmi. Unisciti a me.”

Imuen negò di nuovo. Si alzò e gli diede le spalle.

“Tu sei sempre stato pazzo e tutti periranno con te.”

“Il vecchio è d’accordo. Tra pochi lustri i tempi saranno maturi. Le rune hanno parlato. Anche tu ci sei dentro.”

Sentendo nominare il padre, qualcosa, in lui, si riaccese.

“Cosa spinge il vecchio?”

“Il popolo. Non sopporta più di sentire i nostri nelle tenebre. Io sono con lui. Ci sei in mezzo pure tu, Imuen. E’ destino.”

Haldir si alzò e gli posò la mano sulla spalla.

“Se ce ne sarà bisogno, che tu lo voglia o no, sarò ad aiutarti.”

Parole che aveva pronunciato la prima volta da quando era nato. Spense poi la fiaccola e si avviò all’esterno. Allargò le braccia e il vento fece aderire il mantello al suo corpo. Dopo qualche attimo era sparito, come vento nel vento.

Imuen raccolse la fiaccola da terra. La riaccese. Ipnotizzato dalla fiamma, pensò. Nella mente, rivide suo padre e suo fratello, come era prima di Eli, cosa era divenuto dopo. A differenza di Haldir, a lui il destino era celato. Lui conosceva il passato. Aveva imparato una cosa, troppo a lungo dimenticata: se ci credi, a volte, un miracolo può accadere.

Recuperò l’ascia. Si specchiò nella foggia perfetta della lama. Da quanto non la usava? Eppure ricordava d’averla vista rossa di sangue, dello stesso colore dei suoi capelli. Quell’arma era stata forgiata dalle zanne di suo padre, protetta dalla magia di sua madre.

Non si sarebbe servito degli spiriti, ma solo della sua forza. Quella sua figlia gli avrebbe impedito di usare i soliti aiuti esterni. Lo avrebbe obbligato a usare non la magia, ma le armi.

Così, decise di combattere come un tempo, quando era ancora libero, quando poteva permettersi di amare un essere umano. Quello di Cancer sarebbe stato l’ultimo sacrificio. Promise che il prossimo sangue che avrebbe bevuto la sua arma sarebbe stato il sangue divino.

In un arco di tempo così breve Cancer non riuscì a fare di Mnemosine una guerriera, ma le diede abbastanza coraggio da sfidare la sorte e illudere lei e soprattutto se stesso, tanto da poter sperare.

L’aveva guardata, quel mattino dell’ultimo giorno, e non aveva riconosciuto niente della fanciulla che non parlava e si aggirava a Rodorio simile a un fantasma.

Aveva guardato se stesso, riflesso in uno specchio. Era un assassino. Doveva esserlo ancora per sopravvivere, ma aveva iniziato a far pace con qualche maschera alla quarta casa, almeno ci aveva provato, con quella senza occhi.

A quel fantasma Mnemosine aveva parlato. Era bastato informarne i cari della morte. Era sparito dal muro del quarto tempio e, pochi attimi prima che se andasse, il suo viso aveva brillato di una luce splendida, che non aveva visto in nessun uomo. Della persona che aveva ucciso non aveva riconosciuto neppure le fattezze. Mnemosine aveva compreso il suo stupore. Sorridente, gli aveva spiegato.

“Te l’ho già detto. I morti non cercano qualcuno che li vendichi, ma che li ricordi. I suoi cari ora sanno e lui ha pace.”

Aveva sbottato che se fosse morto lui, di certo lo avrebbero ricordato in molti, sicuro: avrebbero fatto la fila per ballare sulla sua tomba. Mnemosine gli aveva risposto che aveva un pessimo gusto e aveva arricciato il naso. Poi, all’improvviso, s’era fatta strana.

“Ci attaccherà qui, nel suo tempio.”

La ragazza aveva guardato tutti quei volti alle pareti, carezzato quelli accanto a cui era seduta.

“Imuen non è cattivo o malvagio per il gusto di esserlo come sei tu.”

Cancer inarcò un sopracciglio. “Ad ogni modo vuole farti la pelle.”

Le fece notare piccato, ma lei non ci badò.

“Ridarà la vita a tutti insieme. Ostacolare loro sarà la mia parte di condanna. Tu, invece, ti batterai con lui da solo, faccia a faccia. Sta saldo nel tuo cuore, perché lui lo è nel suo. Prega che la tua armatura sia robusta e prepara le armi. La parte più dura non sarà la mia, bensì la tua.”

Il cavaliere si sistemò vicino a lei.

“Che ne sai? Te l’ha detto la sua donna?”

Aveva colto nel segno. Fu informato che era stato usato qualcosa di simile quando a rischiare la testa era stata Athena.

“Dicono che il segno dei suoi artigli e della sua ascia sia ancora sulla parete degli appartamenti privati della dea, che Imuen colpì il braccio di Zeus, intervenuto a proteggere la figlia, restandone sfregiato. Imuen userà la stessa arma con te.”

Quali condannati che aspettano il carnefice, attesero la notte all’interno di quel tempio. Mnemosine aprì gli occhi, destata da strani rumori. Cancer esibì un ghigno. Schegge di pietra rotolavano sui pavimenti.

Le maschere vibravano nei loro loculi. La ragazza calciò via qualcosa che le toccava il piede: una mano. Ovunque, anche dal soffitto e dalle pareti, sbucavano arti che appartenevano a qualche maschera. Una moltitudine di fuochi fatui si accese a rischiarare l’ambiente di un lieve bagliore verdino.

A tutti i corpi emersi dalla roccia mancava qualche pezzo: ogni burattino era rappresentato nel modo esatto in cui era stato ucciso.

“Non sono più brutti del solito, tranquilla.”

Scherzò Death Mask per rincuorare la fanciulla. Dopo poco, si avvertì un’energia potente. Nella sua armatura nera, Imuen si palesò. Un fuoco fatuo gli sfiorò la spalla e fu riflesso, simile a una lucciola che si specchia in un lago, di notte.

Il suo viso era di un candore spettrale e i suoi capelli, ricci, lunghi e sciolti, sembravano bagnati e liquidi, adagiati sulle spalle e il mantello scuro che lo avvolgeva. L’asta che sorreggeva l’ascia sembrava alta quanto lui. Sul manico brillava una spirale incisa di arcani segni. La lama fu alzata per riflettere i raggi della luna.

“Inizia quando vuoi Mnemosine cara. Il mio esercito è qui per portarti con sé. Quanto a te…”

Con l’ascia fu indicato Cancer.

“La mia lama brama il tuo sangue.”

Il cavaliere dovette ammettere che lo ricordava più basso e gracilino. Una goccia di sudore gli colò giù per la tempia. Sentiva quel cosmo, diverso da tutti quelli che conosceva.

Era impressionante perché avvertiva dolore, rabbia, rimorso, tutte umane sensazioni che avrebbero reso debole e indeciso un guerriero. Dentro Imuen, invece, ardeva come un fuoco inestinguibile. In lui c’era qualcosa di unico.

Death Mask allontanò Mnemosine da sé e avanzò verso il suo avversario. Puntò l’indice verso l’alto a richiamare gli strati di spirito. Imuen piegò la testa di lato, curioso.

Poi brandì la sua arma. Il cavaliere fu schiacciato dal calore di fiamme che non bruciano, scaraventato indietro, addosso al muro. Il coprispalla ridotto in pezzi. Pochi istanti dopo era già a terra, immobile.

“No!”

La fanciulla era corsa in mezzo a loro, dopo essersi liberata dai fantasmi che la trattenevano. Aveva aperto le braccia e offerto il petto per proteggere chi amava, ancora.

“No, ti prego.”

Urlò a pieni polmoni. Il carnefice ripose l’ascia solo un momento. Dagli spiriti, si era staccata un’anima: una donna. Appena aveva raggiunto la ragazza, le bruciature sulla sua pelle erano scomparse. Somigliava al cavaliere svenuto.

Il demone la seguì con lo sguardo finché non raggiunse le sue vittime. Sapeva benissimo chi fosse.

“La prima vittima di quel vigliacco è stata sua madre. Ti rendi conto di chi ti ostini a difendere?”

La donna parlò, implorò pietà per sé e per il figlio. Il demone abbassò il capo.

“Prenderò solo Cancer.”

Mnemosine negò di nuovo. Non si sarebbe spostata.

“Va via. Via ti dico.”

Quelle parole gridate con rabbia non la spaventavano. Sapeva che, nonostante tutto, chi aveva di fronte non era malvagio.

“Mai senza di lui.”

Cancer, finalmente rinvenuto, si alzò impiedi. Barcollando, le raggiunse.

Le sorrise beffardo e stanco, scansandola di lato. “Dagli retta. Via di qua.”

“Non me ne vado senza di te.”

Le tirò uno schiaffo. La superò. Si girò solo un’altra volta verso lei e sua madre.

“Solo tu potevi trovare qualcuno che teneva a me, tra tutti questi. Perdonami madre. Grazie mia cara.”

Strizzò l’occhio e sorrise, anche se aveva le ossa rotte. Imuen recuperò saldamente l’ascia. Il suo tono era di chi conosce ciò che è già scritto e non può cambiarlo, pur volendo.

“Sei potente, figlia mia. Ma queste anime sono centinaia e tu ne hai liberata una sola. Il tuo potere non basta, non ancora.”

Furono pochi attimi. La donna che la incitava, delicata, a dirigersi con lei verso l’esterno, non era abbastanza salda.

La ragazza si girò di nuovo. Cancer aveva buttato il coprispalla a terra, scosso il braccio per liberarsi del sangue che colava. Aveva alzato il dito, pronto a colpire. L’ascia di Imuen richiamava un’energia fuori da ogni immaginazione.

Lei lo sapeva che erano forze squilibrate, che chi amava avrebbe perso. Non voleva. Chiuse gli occhi e corse. Death Mask la vide. Fermò il proprio colpo. Imuen non fece in tempo. Il cavaliere si precipitò su di lei. Furono sbalzati via entrambi. Crollarono tre colonne.

Quando riuscì a muoversi, il custode dorato percepì che il battito cardiaco della sua donna quasi non esisteva. La sua rabbia esplose disperata, ceca. Gli strati di spirito mirarono Imuen e lo presero in pieno. Il demone fu scaraventato indietro per qualche metro, ma non ebbe tanti danni. L’ascia tagliò di nuovo l’aria e le fiamme divorarono il cavaliere. Egli non si muoveva, ma impedì al proprio corpo di cedere.

Negli ultimi istanti di lucidità, lasciò che Imuen raccogliesse la sua donna da terra. Le anime, una a una, tornarono ad essere semplici maschere. Poi, il nulla.

Si destò il giorno dopo, sul pavimento della quarta casa. Aphrodite era con lui e cercava di svegliarlo. Cancer gli chiese di Imuen e Mnemosine, ma Fish rispose che non ne sapeva nulla. Addirittura, l’amico negava di averli mai conosciuti. Ci rimediò due sonori ceffoni, ma non si smosse da quel proposito.

Cancer indagò per giorni, cercò il bibliotecario, i testi che aveva letto sul demone che l’aveva fronteggiato poco tempo prima. Era come se Mnemosine fosse vissuta davvero solo nei suoi sogni. Quasi dubitò della propria sanità mentale.

Poi, passando per la quarta casa, notò un posto vuoto. Lì, dove era sempre stata la maschera di sua madre, quella di cui solo lui, quello che gli aveva rotto le ossa e la donna che amava potevano sapere.

Sospirò. Fuori era il solito Death Mask. Dentro, concordò con Imuen, certe cose sono e devono restare segrete.

Ho provato a migliorare il finale, ma per me la versione definitiva è la prima.Chiudo così definitivamente la storia.Spero non faccia troppo ribrezzo. Ciao!

   
 
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