Anime & Manga > Naruto
Ricorda la storia  |      
Autore: Nihal    12/08/2011    4 recensioni
«Vi do un po’ di anticipo. Scappate» ordinò.
«Shino, non ti sembra di esagerare?» domandò Kiba sconvolto. Hinata avrebbe voluto afferrare Kiba per un braccio e fuggire, ma lui non sembrava intenzionato a muoversi di lì. L’avvertimento di Shino era stato abbastanza esplicito, ma lui non si muoveva.
«Non ve lo ripeterò oltre. Andate, vi concedo un minuto» ribadì Shino più serio che mai.
«Shino si può sapere cosa ti succede?» domandò Kiba quasi arrabbiato. Più andava avanti e più anche lui si accorgeva che c’era davvero qualcosa che non andava in Shino.
«K-Kiba forse dovremmo fare come ci ha detto» pigolò Hinata, senza riuscire a distogliere lo sguardo dell’Aburame.
Genere: Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Hidan, Hinata Hyuuga, Kiba Inuzuka, Shino Aburame
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

High school of death




Prima di agire avevano aspettato che i tre ragazzi fossero entrati in classe. Si erano nascosti dietro l’angolo del corridoio, in modo che sarebbe stato impossibile individuarli almeno che qualcuno non avesse girato l’angolo. «E se ci scoprono?» chiese ad un tratto uno dei due.
«Chissenefrega scusa?» rispose l’altro, strafottente. Non era tipo da preoccuparsi di queste cose. Se aveva deciso di fare uno scherzo lo faceva e non si curava delle conseguenze. Come se avessero potuto fargli qualcosa, se lo scoprivano.
«Boh, poi magari ci sospendono…» azzardò l’altro. Il tono non sembrava preoccupato. Era più che altro una constatazione. Probabilmente aveva parlato più per noia che per altro.
«E allora?»
«Niente, niente… comunque come hai fatto a procurarti le chiavi?»
«Le ho fregate, no?» spiegò come se fosse ovvio.
«Comunque non appena abbiamo finito c’è ne andiamo, ok?» chiese vagamente scocciato. Era chiaro che riteneva la fissazione dell’amico per quei tre una totale perdita di tempo.
«Tu vattene se vuoi, io resto.»

***



Hinata, Kiba e Shino si conoscevano molto bene tra di loro. L’unica cosa che avevano in comune era il fatto di non essere mai riusciti ad integrarsi a scuola e questo li aveva uniti. Facevano sempre gruppo tra di loro e quindi erano oggetto di critica da parte degli altri membri della classe.
Hinata era quella timida. Non riusciva a parlare con nessuno e teneva costantemente gli occhi puntati verso il terreno, per paura di incontrare lo sguardo altrui.
Kiba era il selvaggio. Preferiva passare il tempo con i suoi cani piuttosto che con le persone. Una volta era riuscito a portare in classe di straforo il suo cane, Akamaru, con il risultato di attirarsi l’odio della ragazza più popolare della sua classe. Akamaru le aveva urinato sulle scarpe.
Shino era il solitario, anche noto come il collezionista di insetti. A causa della sua strana passione la gente lo evitava e a lui andava bene così.
All'inizio i tre ragazzi avevano fatto gruppo più per necessità che per altro ma poi, imparando a conoscersi erano diventati inseparabili sebbene fossero così diversi tra di loro. Ultimamente, però, alcuni ragazzi si divertivano a prenderli di mira, quindi la pace del loro gruppo solitario era stata turbata. Solitamente la loro attenzione si concentrava su Hinata. L’avevano presa di mira, quindi almeno una volta a settimana lei vedeva le sue cose sparire. All’inizio aveva lasciato correre, però Kiba e Shino avevano scoperto cosa stava succedendo, avevano rintracciato il colpevole e avevano tentato una rappresaglia. Da quel giorno tutto era degenerato e i tre erano diventati bersaglio di scherzi a volte anche abbastanza pesanti.
«Fammi indovinare. Di nuovo loro?» borbottò Kiba infastidito, sedendosi su un banco. Un ragazzo della loro classe era corso dietro ai tre, alla fine della lezione e gli aveva spiegato, con una punta di timore che lui li stava aspettando in classe. Kiba non se lo era fatto ripetere due volte ed era ritornato all’interno dell’edificio scolastico, pronto a scatenare una rissa in pieno stile. Shino lo aveva seguito svogliatamente, mentre Hinata si era affiancata ai due nel tentativo di fermarli. Si sentiva piuttosto in colpa per quello che stava succedendo dal momento che pensava che nessuno se la sarebbe presa con Kiba e Shino se lei non avesse raccontato loro cosa stava succedendo scatenando quindi una specie di faida che vedeva loro tre contro diversi ragazzi più grandi.
Quando i tre erano entrati in classe non vi avevano trovato dentro nessuno. Kiba si era sporto dietro la piglia per vedere se qualcuno si stesse nascondendo lì e, mentre l’attenzione di Hinata e Shino era catalizzata sull’amico, avevano sentito la toppa girare. Quando si erano voltati avevano visto che la porta era chiusa. Hinata aveva esitato prima di avvicinarsi e abbassare la maniglia perché aveva capito fin dall’inizio, quando quel ragazzo era andato a chiamarli, che sarebbero stati vittime di un altro scherzo.
Li avevano chiusi in classe e dal momento che entro poco i professori rimasti avrebbero lasciato la scuola loro sarebbero dovuti rimanere lì se non avessero trovato un modo per uscire.
«Adesso come facciamo?» domandò Hinata timidamente, osservando Kiba e Shino. Il primo non sembrava molto preoccupato. Seduto sul banco sembrava piuttosto ansioso di passare una notte in classe. Probabilmente per lui era come un’avventura.
Shino invece era appoggiato di schiena contro la piglia con le braccia incrociate al petto e, sebbene non mostrasse alcuna espressione, Hinata sapeva che non doveva essere particolarmente contento di trovarsi lì.
«Sfondiamo la porta?» propose Kiba con un sorriso canino.
«Non essere stupido Kiba» lo rimproverò Shino, prima di sprofondare di nuovo nel suo silenzio.
«Non possiamo telefonare a qualcuno?» propose Hinata esitante, mentre Kiba borbottava qualcosa che poteva essere un ‘io questa volta l’ammazzo’.
La proposta era rivolta più a Kiba che a Shino, dal momento che entrambi sapevano che l’Aburame detestava la tecnologia, quindi era sprovvisto di un cellulare. Sfortunatamente quel giorno Hinata il suo lo aveva dimenticato a casa, quindi l’unica speranza era Kiba.
«Sono senza soldi» rispose lui.
«Comunque tra poco tuo padre manderà più o meno una ventina di maggiordomi a cercarti, quindi non mi preoccuperei troppo» commentò ancora.
Il tono di Kiba non era offensivo. Tutti sapevano che la famiglia di Hinata era molto ricca e a Kiba piaceva scherzarci su. Anche ad Hinata piaceva che Kiba lo facesse perché di solito la gente era intimorita dal nome degli Hyuuga e quello era un altro motivo per cui lei era sempre stata sola. Almeno fino a quando non aveva conosciuto Shino e Kiba.
«Non credo. Comunque non verrebbero a cercarmi a scuola» mormorò Hinata vagamente afflitta.
«Quindi siamo bloccati qui. Quando lo becco…» minacciò Kiba a vuoto.
La minaccia, però, fu imprevedibilmente accolta.
«Quando mi becchi cosa?» chiese beffarda una voce proveniente dall’altro lato dalla porta.
Kiba scese dal banco con un salto e in pochi secondi fu davanti all’uscio.
«Ti ammazzo di botte!» gli ringhiò.
Hidan Hie rise di gusto.
«Tu mi ammazzi di botte? Che cazzo dici?»
Hidan trovava sempre divertente stuzzicare l’Inuzuka che, dei tre, era il più impulsivo. Per quanto la sua attenzione fosse spesso rivolta ad Hinata – prima e principale vittima dei suoi scherzi – le rispostacce dell’Inuzuka erano ogni volta stimolanti.
Kiba batté un pugno con violenza sulla porta, giusto per fargli capire che se al posto della tavola di legno ci fosse stato lui gli avrebbe spaccato la faccia.
Non ci fu nessuna risposta volgare al suo gesto, segno che Hidan doveva essersene andato. Probabilmente si sarebbe fatto un giro per la scuola e poi sarebbe tornato. Se Hinata lo conosceva abbastanza – e dopo mesi di scherzi poteva dire di conoscerlo – sarebbe rimasto a scuola con loro.
Hinata lanciò a Shino e Kiba uno sguardo di scuse.
«M-mi dispiace. Se non fosse per me non sareste coinvolti in questi stupidi scherzi» si scusò. Come sempre quando era nervosa aveva balbettato.
«Non dire scemenze, non è colpa tua. È colpa di quell’idiota» fece Kiba, indicando con un vago gesto la porta oltre la quale poco prima si trovava Hidan.
Hinata scrollò le spalle. Non riusciva a togliersi di dosso la sensazione che, se lei non avesse raccontato degli scherzi, i suoi amici non sarebbero stati coinvolti.
Ad un certo punto Shino sussultò. Hinata e Kiba si voltarono di scatto, ma l’amico era nella stessa posizione di poco prima e sembrava non essersi accorto di nulla.
«Stai bene?» chiese Hinata preoccupata.
«Sto molto bene» rispose Shino con uno strano tono di voce.
Hinata aveva percepito un cambiamento nell’aria. Era come se ad un tratto fosse diventata più fredda. Rabbrividì impercettibilmente, pensando che l’ansia di essere stata chiusa in classe le stesse facendo brutti scherzi.
«A voi non vi verranno a cercare?» domandò ad un certo punto, per tentare di distrarsi.
Kiba fece cenno di no con la testa.
«Scherzi? Probabilmente i miei genitori penseranno che abbia deciso di dormire da qualcuno o roba del genere» asserì noncurante.
Hinata e Kiba si voltarono verso Shino che non aveva ancora risposto. Sentendosi addosso lo sguardo dei due, l’Aburame alzò lo sguardo.
«Non penso che si accorgeranno che io non ci sono» si limitò a rispondere.
Hinata decise di non indagare oltre. Lui non aveva mai parlato della sua famiglia. Hinata sospettava che fosse poco presente nella sua vita, ma non aveva mai chiesto nulla. Shino aveva fatto lo stesso con lei, non facendole domande sul padre e sulla sua esplicita preferenza per la sorella minore.
Hinata si affacciò ad una finestra che dava sul cortile interno, per controllare se qualche professore si fosse attardato in modo da poterlo chiamare per chiedergli di andare ad aprire la porta della loro classe. Purtroppo il cortile era deserto come tutto il resto della scuola. Lì dentro c’erano soltanto lei, Shino, Kiba e Hidan.
La Hyuuga prese posto su una sedia, chiedendosi vagamente dove avrebbero dormito.
Dal momento che Kiba sembrava molto preso dalla sua attività, che consisteva nel giocare con il cellulare senza soldi, e che Shino non sembrava in vena di conversare, Hinata si rassegnò e tirò fuori un libro dalla cartella in modo da impegnare il tempo che era obbligata a passare lì in modo costruttivo. Continuava a sentire quella strana sensazione di poco prima e pensava che se avesse fatto qualcosa forse sarebbe riuscita ad ignorarla. Per quanto le sembrasse stupido dare adito ad una sensazione – che, per altro, sembrava percepire solo lei – non riusciva proprio a sentirsi a suo agio.
Il tempo passava lentamente e pian piano il cielo oltre la finestra diveniva sempre più scuro.
«È quasi ora di cena» borbottò Kiba ad un certo punto e la sua affermazione fu sottolineata dal sonoro borbottio del suo stomaco.
Hinata alzò lo sguardo su di lui, accorgendosi solo in quel momento di avere fame. All’ora di pranzo il suo pasto era casualmente sparito dalla cartella, quindi non aveva ancora mangiato nulla quel giorno.
Chiuse il libro con un sospiro. In quel momento non riusciva proprio a studiare, quindi era inutile continuare a leggere.
Ripose il testo nello zaino e, abbassandosi, notò qualcosa nel ripiano sotto al suo banco. Il contenitore trasparente che conteneva i suoi onigiri stava lì innocentemente, come se non fosse stato spostato per tutta la giornata. Eppure Hinata era convinta di aver controllato sotto al banco, all’ora di pranzo…
«Ragazzi, se avete fame possiamo dividerci questi» propose quindi posando il recipiente davanti a lei.
Kiba non se lo fece ripetere due volte e, sceso dal banco su cui era seduto, afferrò l’onigiri che Hinata gli porgeva. Shino, invece, non si mosse dalla sua posizione.
«Tu non hai fame, Shino?» chiese Hinata titubante.
«No.»
Hinata notò di nuovo qualcosa di strano nel tono di Shino, non sembrava lui, ma dal momento che Kiba non sembrava essersi accorto di nulla pensò di esserselo immaginato.
«Puoi prenderne ancora se vuoi» incitò Kiba, dal momento che aveva già finito la sua porzione.
«Tu sei sicuro che non ne vuoi, Shino? Sono proprio buoni, eh» fece Kiba rivolto all’Aburame. Quest’ultimo fece cenno di no con la testa, prima di ritornare nuovamente immobile.
A quel punto Kiba si sentì autorizzato a mangiare anche la parte di Shino e quindi in pochi minuti il contenitore fu svuotato del suo contenuto e Hinata lo ripose nello zaino.
«Erano buonissimi» commentò Kiba.
«Sono contenta che ti siano piaciuti» rispose lei di rimando. Era sempre felice quando i suoi amici apprezzavano qualcosa che proveniva da lei. A casa sua non veniva gratificata spesso, mentre Kiba di solito era prodigo di complimenti, soprattutto per quanto riguardava il cibo. Sapeva che Hinata normalmente si preparava il pranzo da sola – non voleva che le cameriere le preparassero un pasto troppo elaborato – quindi ogni commento positivo si traduceva in un complimento per lei.
«Adesso però cosa facciamo?» domandò Hinata dopo qualche minuto, fissando la porta con intensità.
Non riusciva a spiegarsi perché ma voleva solo uscire da quella stanza il più presto possibile. Non che dormire lì o a casa sua le avrebbe fatto qualche differenza – anzi, preferiva di gran lunga passare del tempo con i suoi amici – ma quella sera sentiva che c’era qualcosa che non andava e la cosa la spaventava.
Inoltre il cielo era ormai diventato scuro e, sebbene il buio non la intimorisse, aveva la sensazione che ci fosse qualcosa di sbagliato in quell’oscurità.
«Non lo so» rispose Kiba, che intanto si era alzato per andare ad accendere la luce.
Hinata questa volta concentrò l’attenzione sull’Inuzuka. Sebbene all’inizio sembrava non avesse percepito la strana sensazione che aveva percepito lei, in quel momento sembrava avere un’espressione tesa, quasi nervosa.
«C’è qualcosa che non va?» gli chiese preoccupata.
Kiba le sorrise in modo rassicurante.
«No, nulla. È solo che di solito passo le mie giornate con Akamaru. È tutto il giorno che non lo vedo…» ammise con riluttanza.
«… inoltre di notte questo posto è un po’ spettrale. Magari c’è il fantasma di qualche professore» aggiunse con una risata per compensare la confessione di poco prima, guardando fuori dalla finestra il cortile buio.
Ad un certo punto si alzò di scatto e andò di fronte al banco dove era seduta Hinata.
«Me la presti?» chiese indicando la forcina che aveva usato per trattenere i capelli lontano dagli occhi. Hinata annuì e la sfilò dalla testa con dita incerte.
«Cosa ci vuoi fare?» chiese.
Shino squadrò Kiba con sguardo penetrante, mentre quest’ultimo sorrideva prima di avvicinarsi alla porta ed inginocchiarsi per avere gli occhi alla stessa altezza della serratura.
«Mi è venuto in mente quando ho parlato di Akamaru. Un giorno siamo rimasti chiusi fuori di casa, noi due, e ho scassinato la serratura con un pezzo di fil di ferro. Magari posso fare la stessa cosa» spiegò, iniziando ad armeggiare con la forcina.
Hinata sorrise alle parole di Kiba. Parlava di Akamaru come se fosse una persona. E per lui lo era. Era il suo migliore amico. Prima di conoscere lei e Shino, Kiba era sempre in giro per la città con il suo cane. Non lo portava a spasso passivamente come facevano molti, ma partecipava attivamente ai giochi dell’animale. Correva con lui e, quando gli lanciava la palla, invece di aspettare che gliela riportasse indietro la inseguiva insieme a lui e facevano a gara a chi arrivava primo. Hinata li aveva visti molte volte al parco, quando anche lei andava lì da sola a passeggiare per sfuggire un po’ al severo ambiente di casa sua.
«Certo che è tosta» commentò Kiba ad un certo punto, dando uno strattone alla forcina che sembrava essersi incastrata nella serratura. Hinata sentì un sonoro crac.
Kiba si girò e le sorrise con aria colpevole.
«Ehm, mi sa che te l’ho rotta! Mi dispiace» si scusò vagamente imbarazzato.
«Non fa niente» lo rassicurò Hinata.
«Non posso neanche più scassinare la porta» borbottò contrariato, riportando ad Hinata la forcina ormai inutilizzabile.
All’inizio sembrò che Kiba volesse tornare a sedersi, però poi cambiò idea perché si mise davanti alla porta e la squadrò con attenzione.
«Secondo voi che tipo di legno è?» chiese ad un certo punto, indietreggiando un po’.
«Non lo so» disse Hinata.
«Perché, cosa vuoi fare?» chiese poi incerta, dal momento che Kiba sembrava misurare con attenzione la distanza tra lui e la porta.
«Sfondarla. Non è che sia un genio in fisica, ma scommetto che se mi ci getto di peso la butto giù» affermò con un tono talmente logico che, se Hinata non avesse saputo che stava per compiere un’azione davvero stupida, gli avrebbe quasi dato ragione.
Evidentemente la proposta che aveva fatto qualche ora prima non era uno scherzo.
«Forse non è il caso» azzardò, guardando Shino in cerca di appoggio. Purtroppo l’Aburame non sembrava intenzionato a fare nulla se non stare appoggiato alla piglia, quindi Hinata dovette distogliere lo sguardo.
«Non preoccuparti, se rompo la porta poi la aggiusto» fece con spacconeria.
«Veramente io mi preoccupavo per te, non per la porta» protestò Hinata debolmente.
Kiba tendeva spesso a compiere azioni esagerate che spaventavano Hinata. Il suo era un modo per dimostrare la sua forza e forse per fare colpo sulla ragazza, ma Hinata avrebbe preferito che non lo facesse. Non le piacevano le cose pericolose.
«Hinata, tu ti preoccupi sempre troppo» affermò tranquillo prima di prendere la rincorsa.
«Kiba stai att…» mormorò la Hyuuga, ma non fece in tempo a terminare la frase che un rumore sordo le fece capire che la spalla di Kiba aveva cozzato contro la superficie di legno, sebbene si fosse girata per non guardare.
«Ahi» mormorò afflitto l’Inuzuka, reggendosi la spalla incriminata.
«Ti sei fatto male?» domandò Hinata ansiosa.
«No, no sto bene! Solo che la porta era un po’ più dura di quanto pensassi. Nei film di solito ci riescono» rifletté pensieroso, massaggiandosi la spalla.
Mentre andava a controllare la spalla di Kiba, Hinata si chiese perché l’Inuzuka avesse così fretta di andarsene. Qualche ora prima non sembrava così ansioso di uscire dalla classe. Forse anche lui percepiva quella strana atmosfera…
«È tutta rossa! Forse te la sei slogata» disse lei preoccupata.
Kiba sorrise.
«Figurati, sta benissimo!» minimizzò, facendo ruotare il braccio con un gesto dimostrativo. L’espressione dolorante che aveva sfoggiato al movimento, però, fece capire ad Hinata che non stava così bene.
«Domani dovresti andare dal medico» commentò lei.
«Sì, sì, non preoccuparti.»
A Kiba non piaceva far preoccupare Hinata. La vedeva così piccola e fragile e aveva l’impressione che sarebbe potuta cadere a pezzi. Le piaceva proteggerla e odiava che qualcuno le facesse del male. Era per quello che se l’era presa così tanto quando Hidan e i suoi amici – di alcuni anni più grandi di loro – l’avevano presa di mira. Prima che si conoscessero Hinata aveva sempre gli occhi tristi e, quando erano diventati amici, Kiba si era detto che non avrebbe più vederla così.
Hinata, però, non era così fragile come pensava Kiba. Era per questo che, anche se lui cercava di nasconderle delle cose per non farla angosciare, continuava a preoccuparsi per lui. Ormai aveva imparato a capire quando mentiva.
«Ci dovresti andare davvero, però» protestò quindi al tono leggero di lui.
Kiba annuì e andò a sedersi nuovamente sul banco con lo sguardo rivolto verso Shino. Era chiaro che voleva trovare un pretesto per cambiare argomento.
«Shino, d’accordo che sei silenzioso, ma oggi non hai detto proprio niente» si lamentò.
«Non avevo niente da dire» si limitò a commentare.
Kiba alzò gli occhi al cielo e riprese il cellulare per terminare la partita che aveva iniziato qualche ora prima. Shino era strano e Hinata non sapeva perché. La cosa la preoccupava. Dall’Aburame emanava un’irrequietezza che la Hyuuga non sapeva a cosa attribuire.
«Shino, s-sicuro che vada tutto bene?» domandò titubante, dal momento che dopo il suo ultimo intervento l’Aburame aveva assunto una strana espressione. Sembrava che ci fosse qualcosa che lo turbava.
Per un attimo l’amico non disse nulla.
Poi all’improvviso parlò.
«Lo sapete perché qui di notte non ci viene nessuno?» esordì.
Ovviamente dal tono di voce con cui aveva posto la domanda si aspettava chiaramente una risposta negativa dai suoi ascoltatori.
Hinata scosse la testa e Kiba, che aveva di nuovo lasciato perdere il cellulare, fece la stessa cosa.
«Perché c’è una leggenda su questa scuola» spiegò lui quasi allegramente.
Shino solitamente non era una persona che si metteva a raccontare leggende. Sebbene sembrasse non prestare attenzione ai sentimenti altrui, l’Aburame si guardava bene dal ferire in qualsiasi modo i suoi amici. Sapeva che Hinata temeva il sovrannaturale ed era per questo che mai avrebbe iniziato a raccontare quella che aveva tutta l’aria di essere una storia dell’orrore. Eppure lo stava facendo.
Suo malgrado, però, Hinata aveva iniziato ad ascoltare interessata. Non si poteva dire lo stesso di Kiba che non sembrava affatto toccato dall’argomento. Anzi, all’affermazione di Shino aveva sbadigliato sonoramente prima di stiracchiarsi.
«Che leggenda?» domandò Hinata titubante.
«Una leggenda su un demone» rispose Shino, facendo un sorrisetto.
«Ah, davvero?» chiese Kiba poco interessato.
Era solo Hinata ad aver notato lo sguardo strano dell’amico?
«Sì, non volete sentirla?»
«Non particolarmente» fece Kiba ritornando al suo gioco sul cellulare.
«Io però vorrei proprio raccontarvela, quindi ti pregherei di mettere via il tuo telefono» lo invitò Shino, il tono divenuto freddo tutto d’un tratto.
«Per uno che non aveva niente da dire mi sembri abbastanza ansioso di parlare» commentò Kiba nervoso.
Sebbene l’Inuzuka di solito non fosse una persona che faceva subito ciò che gli era stato ordinato – anzi, spesso tendeva a contestare – quella volta ripose il cellulare in tasca con cura e si apprestò ad ascoltare Shino. Era chiaro che anche lui si era accorto che l’amico aveva qualcosa di strano.
«Sapete, il periodo Edo è stato un periodo di pace» iniziò, come se stesse tenendo una lezione di storia giapponese.
«I samurai, di solito abituati a combattere, dovettero cercare altri interessi quali la scrittura e la letteratura.»
«Ci stai facendo la lezione di storia?» chiese Kiba scocciato.
«Fammi finire.»
C’era un senso di impazienza in Shino che Hinata non aveva mai sentito. Era come se avesse aspettato qualcosa da tanto tempo e finalmente fosse giunto il momento di realizzarla.
«Prego, continua con la tua interessante lezione» concesse Kiba.
«In quel periodo c’era un samurai» continuò quindi Shino come se non fosse mai stato interrotto.
«Aveva una tremenda sete di sangue, ma purtroppo il suo signore non necessitava dei suoi servigi. Accadde per caso che una notte, quando la sua brama di uccidere era all’apice, capitasse nei pressi di un tempio buddhista» a questo punto Shino si fermò, come se stesse pregustando il resto del racconto. Hinata rabbrividì percettibilmente perché, inconsciamente, credeva di sapere come sarebbe andata a finire la storia.
Anche Kiba sembrava piuttosto interessato perché non aveva più interrotto il compagno che sembrava godersi quel silenzio carico di ansia.
«Quando entrò nel tempio un monaco fece l’errore di provocarlo, dicendo queste esatte parole: Questo è un luogo di preghiera, quindi ti invito a purificare la tua anima che al momento sembra smarrita. Al samurai non piaceva che qualcuno giudicasse lui o la sua anima, sapete?»
Shino sorrise.
«Il samurai, in preda alla rabbia, uccise tutte le persone in quel tempio, facendo un bagno di sangue. Purtroppo, però, qualcuno si era nascosto nell’ombra e, mentre il samurai era intento ad infierire sulla sua ultima vittima, lo colpì alle spalle con una statua del Buddha, uccidendolo.»
Shino fece una pausa e Hinata si rilassò sulla sedia.
«Wow» commentò ironico Kiba.
Shino sembrò contrariato dalla sua risposta, ma lo ignorò, ricominciando a parlare.
«L’anima del samurai rimase attaccata al luogo in cui era morto. Il suo unico desiderio era uccidere e quel desiderio si perpetrò anche da morto cosicché il suo spirito divenne un goryou
L’ennesimo wow di Kiba fu bloccato da Shino che gli fece cenno con la mano di tacere.
«Lo sapete cos’è stato costruito al posto di quel tempio?» chiese quindi.
Kiba e Hinata fecero un cenno di diniego, anche se Hinata sapeva dove Shino volesse andare a parare.
«Questa scuola.»
Kiba sbuffò spazientito.
«Pensavo chissà cosa volessi raccontare» si lamentò.
A Hinata fece piacere che Kiba non prendesse sul serio il racconto di Shino, perché se lo avesse fatto l’avrebbe reso più reale. Lei odiava quel tipo di storie e non capiva perché l’Aburame avesse voluto raccontarne una proprio in quel momento, quando erano chiusi da soli in una scuola deserta e per di più di notte. Sebbene si rendesse conto che la sua era una paura irrazionale, non riusciva a smetterla di guardarsi intorno, come se si aspettasse di vedere un demone spuntare da dietro la piglia.
«Hinata ci crede» si limitò a constatare Shino.
Il tono che aveva usato, cattivo, non era da lui. Era come se fosse felice che Hinata fosse spaventata. Shino non era così di solito.
Kiba si girò verso Hinata con in volto un’espressione un po’ preoccupata.
«Ci credi?»
Hinata fu colta alla sprovvista dalla sua domanda perché era intenta ad osservare Shino che ricambiava il suo sguardo, quindi sussultò leggermente.
«N-no, non ci credo» mentì.
Shino rise sprezzante.
«Sì, ci crede e dovresti anche tu.»
«Shino ma stai bene?» chiese Kiba, che non riusciva a capire perché l’Aburame prendesse così sul serio quella leggenda. Già gli era sembrato strano il fatto che l’amico avesse deciso di raccontarla di punto in bianco, poi il suo comportamento era cambiato.
«Adesso sì. Sai è difficile vivere da entità per tutti questi anni» spiegò.
Lo sguardo interrogativo di Kiba voleva dire che lui non aveva capito cosa stava dicendo Shino, ma Hinata sì e purtroppo non faticava a credergli. Quando si è terrorizzati da qualcosa è difficile essere scettici nel momento in cui essa vi si presenza davanti agli occhi. E in quel momento Hinata aveva davanti agli occhi ciò che più la terrorizzava.
«Vedi? Lei ha capito, non è ottusa come te» fece Shino indicando con un cenno del capo Hinata che fremeva sulla sua sedia.
«Io ho capito» borbottò Kiba.
«Ho capito che la scuola ti da’ alla testa.»
Shino si mosse impercettibilmente e Hinata cercò di non alzarsi dalla sedia. Continuava a ripetersi in testa come un mantra che si stava immaginando tutto e che era soltanto suggestionata dalla sua paura.
Poi l’Aburame si staccò dalla piglia e si avvicinò a grandi passi verso Kiba, ignorando Hinata che era come incollata alla sedia.
«Guarda che se cerchi di farmi paura con una storia di serie B non ci riesci» asserì Kiba con fare spavaldo, mentre Shino si fermava e controllava una delle sedie presenti in classe.
«Se ti uccido mi credi?» chiese.
«Shino, per favore smettila» mormorò in un flebile sussurrò Hinata che sembrava aver ritrovato la voce.
«Hinata, non ti spaventare, guarda che sta scherzando» la rassicurò Kiba, però si alzò e si spostò da dove si trovava in modo da poter essere faccia a faccia con Shino.
Shino ignorò sia Hinata che Kiba e prese tra le mani la sedia che aveva osservato poco prima, poi si avvicinò alla porta e la osservò per qualche secondo.
«Non sembra troppo resistente» affermò, prima di sollevare la sedia sopra la sua testa e scaraventarla più volta sulla superficie di legno, vicino alla serratura. Quando la sedia colpì la porta Hinata urlò per lo spavento e per la sorpresa e Kiba fece un salto indietro. La porta si aprì senza problemi sotto lo sguardo incredulo e spaventato di Hinata e quello sbalordito di Kiba. La serratura era ormai inutilizzabile, ma si poteva uscire.
«Vi do un po’ di anticipo. Scappate» ordinò.
«Shino, non ti sembra di esagerare?» domandò Kiba sconvolto. Hinata avrebbe voluto afferrare Kiba per un braccio e fuggire, ma lui non sembrava intenzionato a muoversi di lì. L’avvertimento di Shino era stato abbastanza esplicito, ma lui non si muoveva.
«Non ve lo ripeterò oltre. Andate, vi concedo un minuto» ribadì Shino più serio che mai.
«Shino si può sapere cosa ti succede?» domandò Kiba quasi arrabbiato. Più andava avanti e più anche lui si accorgeva che c’era davvero qualcosa che non andava in Shino.
«K-Kiba forse dovremmo fare come ci ha detto» pigolò Hinata, senza riuscire a distogliere lo sguardo dell’Aburame.
«Io non me ne vado finché Shino non mi dice cos’ha» si impuntò categorico.
«I-io non credo che quello sia più Shino» affermò quasi in un sussurro.
Shino sorrise, quasi a confermare l’ipotesi della Hyuuga. Kiba, però, non sembrava intenzionato ad andarsene né tantomeno a credere a quello che gli aveva appena detto Hinata. Lui non credeva nel sovrannaturale, semplicemente non era da lui. Era sempre stato un tipo pratico, a contatto con il mondo terreno. Semplicemente il sovrannaturale non rientrava nella sua visione delle cose.
Ma, purtroppo, si sbagliava.
«Hinata, non credo che Shino sia posseduto. Credo solo che si stia divertendo a prenderci in giro» chiarì con razionalità.
«E mi dispiace, amico, ma non ho intenzione di stare al tuo gioco, non ne ho proprio voglia» continuò, questa volta riferendosi a Shino, che sembrava sul punto di perdere la pazienza.
Si avvicinò a Kiba con fare minaccioso.
Kiba cadde a terra con violenza perché non si sarebbe mai aspettato che Shino lo avrebbe colpito davvero. Si rese conto di ciò che era successo solo per l’urlo di Hinata e per il rumore del banco che cadeva dietro di lui.
«K-Kiba vai via!» urlò Hinata con quanto fiato aveva in gola, vedendo Shino avvicinarsi all’amico.
Kiba si alzò in piedi di scattò e diede uno spintone a Shino, allontanandolo da sé.
«Ma sei scemo?» urlò, ignorando l’avvertimento di Hinata.
«Io ve l’avevo detto di scappare» gli ricordò Shino, prima di avventarsi su di lui e spingerlo verso la porta ormai aperta. Kiba tentò di opporsi, ma l’Aburame aveva una forza non indifferente che lui non sapeva spiegarsi. Hinata tentò di muoversi per andare ad aiutare l’amico, ma non sapeva cosa fare. Da una parte non voleva colpire Shino e dall’altra aveva paura che se si fosse messa in mezzo avrebbe soltanto intralciato Kiba.
Shino colse Kiba alla sprovvista e gli diede un pugno che lo fece andare a sbattere contro lo stipite della porta. L’Inuzuka perse l’equilibrio e il suo avversario ne approfittò per bloccarlo tra lui e l’uscio.
Hinata presagì cosa stava per fare, ma l’urlo che avrebbe voluto lanciare quando Shino richiuse la porta sulla testa di Kiba non uscì. Emise solo un gemito strozzato quando vide l’amico accasciarsi sulle ginocchia mentre Shino infieriva su di lui continuando ad aprire e chiudere ritmicamente l’anta della porta che ogni volta che colpiva Kiba emetteva un suono cupo. Hinata seppe che Kiba era morto molto prima che Shino ridesse. E ridesse ancora.
«Adesso scappa» ordinò.
Ma Hinata era pietrificata e continuava a guardare il corpo inerte di quello che era stato il suo migliore amico e che era morto senza una reale ragione. Sapeva che doveva scappare. L’istinto di sopravvivenza le diceva di mettere un piede davanti all’altro e di uscire da quella classe. Di urlare e urlare finché non le si sarebbero lacerate le corde vocali. Di lasciare lì Kiba, di lasciarlo a terra, morto in una classe.
Ma c’era una parte di lei che avrebbe voluto accasciarsi vicino al suo corpo, abbracciarlo e piangere. Morire con lui, perché quel dolore straziante al petto era troppo per lei. Era come se le mancasse l’aria per respirare.
Ma lo sguardo bramoso di sangue di Shino la colpì con forza e vinse l’istinto di sopravvivenza.
Uscì dalla classe con foga sperando che ciò a cui stava assistendo fosse solo un sogno. Corse per i corridoi bui, alla cieca, mentre la luce che proveniva dalla sua classe si faceva sempre più flebile.
Doveva relegare la paura e il dolore da qualche parte dentro di lei, altrimenti non si sarebbe mai salvata.
Arrivata al limitare del corridoio svoltò l’angolo, ma in questo modo neanche la fioca luce che prima la aiutava a proseguire poteva illuminare la strada. Iniziò a rallentare perché il suo cervello le diceva che se fosse caduta probabilmente non si sarebbe più rialzata. Camminava voltandosi continuamente indietro, perché non riusciva a togliersi di dosso la sensazione che Shino – anzi, il demone che lo possedeva – fosse lì vicino, pronto ad abbattersi con la sua furia su di lei, uccidendola.
Avanzava a tentoni perché neanche le grandi finestre che ci affacciavano sulla strada potevano aiutarla. Le imposte erano state tutte chiuse e il buio la opprimeva.
Ad un tratto sentì un rumore di passi. Avrebbe voluto urlare, ma sapeva che non poteva.
In preda all’ansia ricominciò a correre, ma non si rese conto che stava andando direttamente incontro al rumore che aveva sentito.
Quando si ritrovò a terra si rese conto che era caduto su qualcosa di morbido. Ricominciò a respirare alle urla della persona che si trovava sotto di lei. Non era Shino.
«Che cazzo fai? Alzati mi stai schiacciando!» urlò Hidan.
«T-ti prego non urlare» lo supplicò Hinata in un sussurro, troppo preda della paura per provare soggezione di lui, quella volta.
Si alzò in piedi e tentò di allontanarsi ma Hidan, che si era alzato a sua volta, la afferrò per un braccio. Hinata cercò di divincolarsi perché un senso di urgenza la opprimeva. Shino stava per arrivare e lei non poteva rimanere lì. Probabilmente con l’urlo di Hidan aveva anche localizzato la loro posizione.
«Come hai fatto a uscire?» domandò, più curioso che altro.
«P-per favore, dobbiamo andarcene!» protestò lei, ignorando la sua domanda.
Il rumore di passi che proveniva dall’altra parte del corridoio le diede la forza per staccarsi dalla presa di Hidan e ricominciare a correre. Lui la inseguì irritato.
«Ti faccio tanto paura?» chiese con un sorriso strafottente mentre si affiancava a lei nella corsa. Quella parte di corridoio era illuminata dalla luce della luna perché qualcuno aveva dimenticato di chiudere le imposte delle finestre.
«Ti vuoi fermare?» le chiese irritato, dal momento che la ragazza continuava a correre non accennando a fermarsi.
Una volta arrivati davanti all’imboccò delle scale Hinata dovette trattenersi dal gridare. La porta era stata sprangata e quindi non c’era verso di uscire.
Ormai l’aveva capito. Lei sarebbe morta come Kiba. Il demone era un sadico, si stava solo divertendo.
«Chi cazzo ha chiuso la porta?» domandò Hidan, senza preoccuparsi del pallore di Hinata che probabilmente era in procinto di svenirle davanti.
«L-lui» disse solo Hinata.
«Lui chi?»
«Shino. Ha ucciso Kiba e ora ucciderà anche me» si sorprese lei stessa per la sua voce terribilmente calma. Accettare di dover morire era più facile che continuare a scappare.
«Non sparare cazzate» fece Hidan sprezzante.
Ma Hinata lo ignorò, continuando ad andare avanti. Sebbene credesse che non le importava morire c’era ancora qualcosa dentro di lei che la spingeva a fuggire, a percorrere quel corridoio in eterno se fosse stato necessario per salvarsi la vita. L’istinto di sopravvivenza continuava ad avere il sopravvento sui suoi ragionamenti.
«Non ci credo che il collezionista di insetti abbia fatto fuori il cane» commentò con una risata, dal momento che Hinata non sembrava voler partecipare alla conversazione.
Ma la Hyuuga non aveva bisogno di convincerlo. Quando si rese conto che tutta quella luce era innaturale ormai era troppo tardi per tornare indietro e non vedere la testa di Kiba che sporgeva nel corridoio fuori dall’aula illuminata.
Lo vide anche Hidan e fece un balzo indietro.
«E quello chi cazzo è?»
Hinata passò velocemente davanti alla classe, senza guardare. Temeva che Shino fosse tornato lì dentro dopo aver sprangato la porta e inoltre pensava che se si fosse fermata a guardare l’amico non avrebbe più trovato il coraggio di muoversi. L’istinto di sopravvivenza non l’avrebbe aiutata un’altra volta.
«Quello era il cane?» chiese Hidan cercando di mantenere il suo solito sprezzante.
Hinata annuì con un debole cenno e andò avanti, svoltando l’angolo e sprofondando nuovamente nell’oscurità. Sentiva Hidan camminare dietro di lei. Per quanto non fosse una presenza gradevole si sentiva rassicurata dal fatto di non trovarsi da sola. Sapeva che, se non ci fosse stato nessuno con lei, prima o poi avrebbe ceduto al terrore di essere uccisa e si sarebbe rintanata in un angolo in attesa della morte.
«Perché lo ha ammazzato?» domandò Hidan ad un certo punto rompendo il silenzio, senza dimostrare alcun tatto nei confronti della Hyuuga.
«C-credo che sia possedu…»
Hinata si bloccò perché aveva sentito un rumore. Si voltò ma era inutile. Intravedeva appena Hidan, quindi era impossibile vedere oltre di lui.
Anche Hidan si fermò un secondo. Poi prese Hinata per un braccio e la spinse contro il muro. Per un attimo la Hyuuga fu schiacciata tra lui e il muro, talmente vicini che sentiva il suo respiro sul collo, poi Hidan mosse un braccio e il muro si aprì, rivelandosi una porta. Spinse dentro Hinata ed entrò anche lui, chiudendosela dietro.
Hinata non sapeva dov’erano, ma Hidan evidentemente sì. Aveva aperto quella porta a colpo sicuro, anche al buio, quindi doveva avere una chiara idea del punto della scuola in cui erano. Hinata, in preda alla paura, non aveva fatto caso a dove stava andando e sebbene avesse girato in tondo nello stesso corridoio non avrebbe saputo dire in che parte di esso si trovava.
«Dove siamo?» chiese in un sussurro, temendo che Shino potesse sentirli e capire dove si erano nascosti.
«Nel cesso» borbottò Hidan sedendosi da qualche parte. Probabilmente sulla tazza del bagno.
«Adesso mi spieghi ‘sta storia» aggiunse, senza preoccuparsi di tenere bassa la voce.
Hinata gli spiegò tutto dall’inizio. Sebbene odiasse rivivere ciò che era appena successo preferiva raccontarglielo piuttosto che rischiare di essere scoperta a causa delle urla di Hidan. Adesso che aveva riacquistato un po’ di calma tutta la disperazione per la morte di Kiba le era caduta addosso, così faticava anche a pronunciare il suo nome.
«Sì, sì, l’abbiamo capito che ha ammazzato il cane, adesso vai avanti» le venne in soccorso Hidan con fare annoiato dal momento che Hinata si era bloccata e non riusciva a proseguire.
La Hyuuga terminò il racconto praticamente in lacrime. Hidan non sembrava particolarmente spaventato, comunque.
«Adesso cosa facciamo?» domandò Hinata cercando di riprendersi e di trattenere le lacrime che ancora non avevano smesso di solcare il suo viso.
«Lo ammazziamo» propose Hidan, come se stessero parlando del tempo.
Hinata protestò. Lei non voleva uccidere Shino! Sapeva che ciò che stava accadendo non era colpa dell’Aburame. Era una vittima anche lui, usata dallo spirito del samurai per soddisfare la sua brama di sangue.
Inoltre la sola idea di perdere un altro amico le bloccava il respiro. Sapeva che, se fosse successo, non sarebbe più uscita dalla disperazione che già in quel momento la assaliva ad ondate.
Cercò di spiegare ad Hidan perché non potevano uscire, ma lui non sembrava capire.
«Allora vuoi farti ammazzare?» sbottò con veemenza.
«N-no» pigolò lei, presa alla sprovvista dal suo tono irato.
«Qui la questione è uccidere o essere uccisi, non so se mi spiego. I deboli muoiono. A me non interessa se tu vuoi morire, io però non ho intenzione di farmi accoppare da un demone del cazzo» chiarì.
Hidan si alzò dalla sua postazione e si avvicinò con cautela alla porta seguita da Hinata.
«C-come facciamo a sapere che non è qua fuori?» chiese.
«Che ne so» borbottò lui, socchiudendo la porta.
«Non si vede un cazzo» si lamentò, questa volta a bassa voce, cercando di spiare dalla fessura che aveva aperto.
«Beh, io esco» disse sprezzante alla fine, aprendo la porta di scatto e uscendo. Hinata dopo un primo spiazzamento lo seguì e si ritrovarono di nuovo fuori nel corridoio. La Hyuuga sentì il ragazzo cercare rumorosamente qualcosa in tasca. Uno scatto e una piccola fiamma le fecero capire che aveva tirato fuori un accendino. Per un secondo pensò che volesse usarlo per dare fuoco a Shino, ma poi si rese conto che gli serviva solo per farsi un po’ di luce e proseguire. Hidan, però, andava avanti molto piano e camminava praticamente attaccato al muro; sembrava quasi cercare qualcosa.
«Trovata!» esclamò trionfante ad un certo punto.
«Tienimelo» ordinò poi, passando ad Hinata l’accendino che si spense prima che la Hyuuga lo riaccendesse. Lui si sfilò la felpa e la usò per coprirsi la mano destra. Il vetro si frantumò senza problemi quando Hidan gli tirò un pugno deciso. Schegge di vetro caddero per terra tutto intorno a loro.
Afferrò l’ascia senza troppi problemi e fece cenno a Hinata di seguirlo. Lei spense l’accendino perché pensava che con tutto quel rumore avevano attirato fin troppo l’attenzione di Shino che probabilmente si nascondeva da qualche parte. L’idea che li stesse osservando indisturbato la atterrì.
«Ma se colpisci Shino lo spirito non lascerà il suo corpo per poter entrare in quello di un altro?» domandò Hinata.
«Dove l’hai sentita ‘sta cazzata? Gli spiriti possono possedere solo un corpo» affermò secco, come se lui conoscesse l’argomento a fondo.
All’inizio Hinata non volle chiedergli come facesse ad esserne tanto sicuro ma poi, mentre camminavano, si disse che se doveva morire tanto valeva essere un po’ più coraggiosa.
«C-come fai a saperlo?»
«A te piace studiare e a me piace l’occulto. Problemi?» chiese sulla difensiva, continuando a camminare con l’ascia sfoderata davanti a sé.
«Adesso tanto lo ammazzo» continuava a ripetersi come una mantra mentre avanzava nel corridoio buio. La Hyuuga si chiese come riuscisse a mantenere quel sangue freddo, perché lei era sicura che entro poco sarebbe crollata. Il terrore che Shino fosse dietro di lei appostato nell’ombra e che la stesse seguendo, attendendo il momento giusto per toglierle la vita, le logorava i nervi. Ad ogni scricchiolio delle scarpe da ginnastica di Hidan lei sussultava, per poi darsi mentalmente della stupida. Se voleva coglierla di sorpresa Shino avrebbe fatto tutto in silenzio. Avrebbe dovuto essere l’assenza di rumori a preoccuparla.
Svoltarono per l’ennesima volta l’angolo.
Shino era in fondo al corridoio e li osservava. Qualcuno aveva aperto le imposte anche lì, rendendo più facile distinguere il suo volto al chiarore della luna.
Hidan si bloccò tanto in fretta che Hinata quasi gli cadde addosso. Fece qualche passo in avanti sollevando l’ascia. Sicuramente avrebbe tentato di attaccare Shino, quindi Hinata chiuse gli occhi, perché non voleva guardare. Non poteva vedere un altro amico morire.
«’Fanculo, io scappo» gridò Hidan lasciando cadere l’ascia davanti a sé e afferrando la Hyuuga per un braccio, trascinandola quasi di peso dalla parte opposta a dove si trovava l’Aburame.

***



Hinata si trovava di fronte all’Aburame e Hidan era di fianco a lei. Alla fine non era servito scappare, il loro inutile girotondo era servito soltanto ad allietare la caccia all’antico samurai.
La Hyuuga lanciò uno sguardo all’ascia che si trovava poco dietro Shino: era quella che Hidan aveva lasciato cadere.
«Ti propongo un affare» la voce di Hidan ruppe il silenzio e Hinata sussultò.
Dopotutto non era sorpresa. L’Aburame sorrise per l’insolenza di quel ragazzino che voleva dettare condizioni. Ma poteva stare a sentirlo, dopotutto che fretta aveva?
«Sentiamo questo affare» lo incoraggiò.
«Tu stavi cacciando lei, non me, io sono solo finito in mezzo a questa merda» borbottò. «Quindi facciamo che io ti lascio Hinata e tu mi fai andare via. Mica male, no?» concluse, come se il suo discorso avesse una logica schiacciante. Hinata cercò di bloccare il tremore che l’aveva colta alla sua proposta. Tanto avrebbe dovuto sapere cosa aspettarsi, no? Perché adesso tutto d’un tratto pensava che avrebbe dovuto esserci un altro modo che non implicasse il suo sacrificio?
«Accetto la tua proposta. Puoi andartene» gli concesse.
Tanto dopo lo avrebbe ucciso comunque.
Hidan fece qualche passò indietro, lasciando Hinata sola di fronte a lui. Lei sapeva che non sarebbe potuta scappare, lo aveva capito nel momento stesso in cui Hidan aveva formulato la proposta.
«Allora vieni tu qui o vengo io lì? Voglio farla finita, questa caccia inizia ad essere noiosa» la sbeffeggiò, facendole cenno con la mano di avvicinarsi.
Lei si disse che dopotutto quella era la cosa migliore. Entro poco sarebbe finita, doveva solo mettere un piede davanti all’altro e procedere. Così fece e in pochi secondi la distanza tra lei e Shino divenne pari a zero.
«Farò in fretta» le sussurrò all’orecchio in quella che secondo lui voleva essere magnanimità.
«Sei carina, mi dispiacerebbe se ti macchiassi troppo di sangue. Credo che ti soffocherò» continuò, mentre Hinata teneva gli occhi serrati per evitare che sfuggissero delle lacrime. Sentiva il suo cuore battere all’impazzata e si disse che se Shino non l’avesse uccisa probabilmente lei sarebbe morta comunque, perché non riusciva a reggere quell’ansia.
Lo spostamento d’aria vicino al suo collo le fece presagire il tocco leggero della sua mano. Però le sue dita non si strinsero mai attorno al suo collo.
Hinata sentì un gemito e poi un forte odore di ruggine. Con uno sforzo immane aprì gli occhi e vide che l’Aburame era crollato a terra e il sangue sgorgava a fiotti dalla ferita che l’ascia gli aveva aperto nella schiena.
Hinata si spostò di lato alzando gli occhi da quella visione e puntandoli negli occhi color ametista di Hidan.
«P-pensavo che te ne saresti andato davvero» gli disse.
«E dove cazzo me ne andavo? Dopo averti ammazzato sarebbe venuto a cercarmi. Poi il piano era troppo figo per sprecarlo» si giustificò.
«Come hai fatto a farti il giro del corridoio così in fretta?» domandò.
«Quando ti stai cagando addosso dalla paura corri veloce» si limitò a rispondere lui.
La consapevolezza di essere salva le fece crollare addosso anche tutto il senso di colpa per la morte dell’amico. Stava tranquillamente parlando con Hidan mentre lui era accasciato a terra di fianco a lei, morto. E lei, in un certo senso, aveva contribuito ad ucciderlo, sebbene non avesse partecipato praticamente.
«Guarda che non devi sentirti in colpa. Te l’ho detto che se non lo facevamo fuori quello ci ammazzava» le spiegò Hidan con tono freddo, in un suo personale tentativo di consolarla, forse immaginando cosa le stava passando per la testa.
Ma Hinata non riusciva comunque a sopportarlo. Si accasciò contro il muro, quanto più lontano possibile da Shino, e iniziò a piangere, dando sfogo a tutto il dolore e tutta la paura di quella sera. Le lacrime solcavano il viso copiose, fino a finire nei vestiti. Ad un tratto quando sentì di non avere più lacrime, smise di piangere. A poco a poco anche i singhiozzi cessarono e rimase solo lei, svuotata di tutto il resto, a fissare il nulla.
Quando sentì una presenza calda di fianco a lei si rese conto che Hidan si era seduto lì vicino, anche se guardava rigorosamente da un’altra parte.
«Grazie» gli mormorò con voce roca.
«Che cazzo ti ringrazi? Mi sono seduto perché mi ero rotto di stare in piedi.»
Ma a Hinata non importava perché lo aveva fatto. Non le importava più di nulla ormai.
Non sapeva cos’avrebbe raccontato l’indomani alla polizia, sapeva soltanto che quella era la fine della vita come lei l’aveva conosciuta fino a quel momento. Non aveva la minima idea di come avrebbe fatto ad andare avanti d’ora in poi.
«Che vita di merda però, eh.»
«G-già.»
Ma almeno non era sola.


Fine





Questa storia partecipa all’iniziativa ‘Dedico il giorno a…?’ del forum L’Akatsuki dietro l’angolo.

Doverose spiegazioni: il goryou è uno spirito umano che dopo la morte, per un desiderio di vendetta resta attaccato alla terra e si trasforma in uno spirito malvagio. Più o meno. Almeno questo è quanto ne so io!xD Non ho voglia di controllare gli appunti di letteratura giapponese!u___ù
Bene. Mi rendo conto che Shino è OOC, ma visto che è posseduto passatemelo!xD Per gli altri personaggi lamentatevi pure!^^ Il cognome di Hidan appartiene ad Hi Ban ma io, da brava sorella, l’ho fregato per questa storia. Ho rischiato seriamente la morte.
Diciamo che scrivere questa storia è stata un’impresa abbastanza ardua, perché come si potrà notare questo non è proprio il mio genere!xD
Ma che ci volete fare, se prima non ci provavo come facevo a saperlo?xDxD
Comunque, devo affermare con orgoglio che questa è la oneshot più lunga che abbai mai scritto!u___ù
Passiamo ai dettagli poco importanti: mi pare che ci sia un anime con un titolo vagamente simile a quello della mia storia. Beh, comunque come avrete potuto notare non c’entrano niente l’uno con l’altro. Non l’ho neanche visto!xD Però il titolo – insensato – mi ispirava!^____^
Eh… boh, spero che vi piaccia!^^

  
Leggi le 4 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Naruto / Vai alla pagina dell'autore: Nihal