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Autore: sonounaspugna    14/08/2011    4 recensioni
Non sempre il fulmine cade sull'albero giusto.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La ragazza con il neo.

 

    Lo so che potrebbe suonare alquanto stravagante, ma credo che già sapessi d’amarti prima d’incontrarti, penso d’aver sognato te nella vita, io già sapevo d’amarti prima d’incontrarti, sono stato ad attenderti tutta la mia vita.
(da I Knew I Loved You)

    

Lui.
Avevo sette anni la prima volta che la vidi.
Ero in quella fase del puro odio per il sesso opposto, come tutti i bambini della mia età d’altronde.
Ma lei, a differenza di tutte le altre, aveva attirato la mia attenzione. Per un motivo che non aveva nulla a che fare con l’ammirazione, ma di lei mi ricordavo sempre. Di anno in anno.
Cosa aveva di diverso?
Quel coso.
Una pallina rotonda, marrone e paurosamente sporgente sulla guancia sinistra.
Un neo.
 
Era come se tutti gli anni ci dessimo appuntamento.
Arrivava con la madre, il padre e la sorella più grande di qualche anno.
Quattro settimane e due giorni sempre sotto lo stesso ombrellone, l’F13, mentre io stavo al D13, due file avanti a lei.
Mi limitavo a guardarla da lontano, mai ebbi il coraggio di avvicinarmi.
Osservavo ogni suo movimento, curioso.
 
Gli anni passarono.
Lei crebbe, io crebbi.
A quattordici anni fui finalmente consapevole del perché ogni volta che vedevo quella ragazza ne rimanevo incantato. Me ne resi conto quando, quell’estate, non la vidi arrivare con il suo cappello di paglia, le infradito di gomma e il libro sottobraccio.
Aveva i capelli color del grano, ma non la si poteva definire bionda.
Aveva la pelle bronzea solo dopo pochi giorni di sole, ma non quel tanto scura da confonderla con i marocchini.
Gli occhi grandi, circondati da folte ciglia, non erano né cioccolato né azzurri, ma un intreccio di colori e sfumature tra il verde e il marrone.
Non era grassa, ma non le si vedevano neppure le costole.
Non era alta, ma neppure bassa.
Non aveva quel ‘troppo che stroppia’, era quella via di mezzo molto simile alla perfezione.
Era la cosa più perfetta che avessi mai visto in vita mia.
E poi passò un altro anno. Senza di lei.
Due.
Tre.
Quattro.
Al quinto anno sentivo ancora una dannatissima e insensata mancanza di quella ragazza.
Era ridicolo averla sempre in testa, assurdo passare la propria adolescenza a fantasticare su di lei, sul suo modo di scostarsi i capelli e mordicchiarsi le labbra.
Avevo diciannove anni, ormai.
Un illuso, sfigato e ingenuo diciannovenne.
La situazione era quasi comica, ma la mia testuggine mi impediva di reagire, così rimanevo attaccato a quei pensieri, all’immagine della ‘mia ragazza con il neo.’
Non era logicamente corretto innamorarsi di qualcuno che neppure si conosce.
-Andy, si può sapere che hai sempre per la testa?- Nonno Miles.
Ero coricato sul lettino e, da ormai tre ore, stavo fissando instancabilmente l’ombrellone due file dietro di me. Era vuoto.
O meglio, era occupato da una famiglia, madre, padre e due figli. Ma lei non c’era.
-Niente.- risposi in un sospiro, sperando non trapelasse troppo il mio misto tra dolore e depressione nato da una causa senza senso.
-Non insisto, ma io sono qui, se ne vuoi parlare.-
Miles (preferiva omettessi ‘nonno’) era l’unica persona che sembrava nutrire un’assurda fiducia in me. Assurda perché senza senso, assurda perché, di me, non c’era affatto da fidarsi.
Mi spalleggiava sempre, in ogni caso. Come quando avevo deciso di studiare psicologia all’università. I miei, inizialmente, mi erano venuti contro dicendomi che lavorare con dei pazzi per tutta la vita avrebbe reso tale anche me. Ma Miles se n’era uscito con: ‘Gli psichiatri curano i matti, lui vuole fare lo psicologo.’ e nessuno ebbe il coraggio di ribattere.
-Esiste il colpo di fulmine?- mi sfuggì.
Mi rispose in tono neutro, freddo e distaccato. Non parve per nulla sorpreso dalla domanda.
-Sta a te crederci o no.- Alzò le spalle.
-E te ci credi?-
Ci pensò su qualche attimo. –Sì, direi di sì. Anche se non sempre il fulmine cade sull’albero giusto, anzi, alle volte non vorrebbe neppure colpire. Ma accade.- disse con semplicità. –Accade e può essere disastroso, durativo o, come è arrivato, andarsene. Ma lascia sempre dietro di se una scia, una traccia. Una cicatrice, sempre e per sempre.-  
Chiusi gli occhi.
-Andy, è giusto che rimanga un segno.- continuò dopo poco.
-Giusto?- ero incredulo. Era un bene che facesse male? Era un bene che rimanessi segnato a vita da un maledetto fulmine che neppure aveva mai visto l’albero che aveva abbattuto?
-Mai dimenticare. Meglio soffrire e penare piuttosto che non essere più sensibili.- Scossi la testa.
No, era decisamente meglio diventare un cinico senza cuore piuttosto ch..
-Vuoi dirmi che ti piacerebbe dimenticarti di lei?- interruppe brusco i miei pensieri. –Vorresti non poter più riconoscerla? Guardarla negli occhi, un giorno, e chiederti ‘chi è?’-
Alzai il capo, per nulla sorpreso che avesse capito tutto. Anzi, probabilmente sapeva persino chi era la lei di cui ero perso.
Non so quali e quante emozioni mi attraversarono in quel momento.
-La cicatrice rimane, Andy. Ma tu devi essere forte, andare avanti. E un giorno, quando guardandoti allo specchio noterai il segno che ti ha lasciato il passato, non potrai fare a meno che sorriderne.- sorrise. –O forse il fulmine voleva colpire proprio te.-
Per un attimo la speranza si fece spazio, ma mi ero promesso che non avrei più perso tempo in illusioni. Mi aggrappai alla mia ragione, trascurando il cuore.
Non l’avrei rivista.
Mai più.
 
Lei.
-è da quando ho cinque anni che veniamo in questo schifo di mare, mamma!-
-ma qui ci sono gli amici, tesoro.-
-Amici?- chiesi quasi disgustata. –Quelli non sono miei amici!-
-Sophie li trova molto simpatici.- si giustificò.
-Sophie, mamma. Sophie, non io. Sai, siamo due persone diverse.- l’attaccai con sarcasmo. –Sono tutti degli stupidi, idioti e bambocci come lei!-
-Non ti permetto di parlare in questa maniera di tua sorella, signorina!-
-Potrei dire anche di peggio.- dissi in un bisbiglio che, ovviamente, lei sentì.
-Un mese di bucato, per punizione. Siamo una famiglia, e ci rispettiamo. Vedi di stare alle regole.-
-Capirai.- sbuffai voltandole le spalle.
-..e niente libri.- aggiunse ancora più frustrata.
Feci spallucce, senza neppure rivolgerle uno sguardo. Sarei andata direttamente in biblioteca a leggere, no problem.
-Oh, quasi dimenticavo.-
A quel punto mi fermai, imprecando tra me.
-Voglio te e tua sorella insieme, unite per tutta l’estate.-
-Cosa? Devo sopportarla in inverno, e anche in primavera e autunno se vogliamo dirla tutta. E anche qui? Cos’è, una tortura?-
-Una punizione.- mi corresse acida. –Dato che l’astinenza dai libri e le ore di bucato non hanno mai un grande effetto, forse passare più ore con la tua terribile sorella ti faranno mettere la testa a posto.-
Grugnii.
-E poi non sarà così male.- sorrise appena e se la svignò.
Probabilmente se mia madre avesse avuto almeno una vaga idea delle abitudini nelle notti estive di mia sorella, non avrebbe mai permesso che uscissi con lei. Se davvero avessi fatto ogni cosa che aveva in mente Sophie, sarei tornata a casa sbronza, fatta e magari anche incinta.
Quindi, no grazie.
Per me, lei, non era un modello da imitare e che non sopportavo per invidia o gelosia. Era solo un impiccio, una gomma da masticare sotto la suola delle scarpe, una zanzara che ti sveglia la notte.
Odiare Sophie era naturale come respirare, non dovevo mettermi d’impegno.
-Zoey!- sentii imprecare, ma dall’intonazione capii che non ce l’aveva con me, non quella volta. Più che altro pensai che mamma avesse appena dato la notizia a Sophie. Io e lei, per l’intera estate.
Una porta sbattè al piano di sotto, sicuramente era in preda ad una sua crisi isterica.
Se non è chiaro, quella strana, in famiglia, non ero io. Almeno sapevo contenermi senza dare fuori di matto.
-Anche lei entusiasta di passare la vacanza insieme a me?- chiesi con un velo di sarcasmo a mia madre, che mi passò davanti.
-Per favore. Siete sorelle.- Mi guardò angosciata, per un attimo la pena mi pervase. Ma poi mi feci forte.
-Appunto, sorelle, mamma. Non amiche.- cercai di sembrare ragionevole. –Vedi, non è che non ci vogliamo bene, è solo che abbiamo una maniera tutta nostra di dimostrarcelo.- Mamma non ebbe nessuna reazione, non visibile a me, per lo meno. Così, continuai. –Siamo solo diverse, non puoi pretendere che andiamo d’amore e d’accordo. Ci piace fare cose differenti, vediamo il mondo da un’angolazione propria.-
-Zoey, basterebbe sforzarsi un po’..-
-Mamma, me la sono ritrovata in casa quando sono nata, non ho potuto scegliermela.  Non siamo amiche. Non lo siamo ora, ne mai.-
-Anche tra amiche ci sono differenze, quello che dici non ha senso. Potreste provare a instaurare un’amicizia, perché vi intestardite sul fatto che non sarà mai possibile?-
-Perché gli amici si scelgono e io, lei, non l’ho mai scelta.-
-Dovresti, invece. Vivete sotto lo stesso tetto, diavolo!-
-Finiremmo per detestarci davvero, mamma. Abbiamo bisogno dei nostri spazi.-
Aspettai qualche attimo lì, in piedi. Mia madre doveva assimilare tutte le informazioni, elaborarle e poi decidere sul da farsi. Meglio non metterle fretta.
-Ho capito.- ammise sconfitta.
-Grazie, mamma.-
-Avete la mente contorta, voi ragazzine.- sorrise amaramente. La decisione presa sembrava non soddisfarla, forse stava cercando di imitare una madre depressa e delusa dai figli. Beh, non è una brava attrice, comunque.
-Perfetto.- ignorai i suoi occhioni. –Ora vado!-
-Dove?-
-Spiaggia, sai, qui siamo al mare..-
-Fai poco la spiritosa, signorina. Chiama tua sorella e portala con te.- aggiunse con noncuranza.
-Ma..- mi interruppe immediatamente.
-Non so se ti ricordi, ma quella che vi ho dato è una punizione. Al di là di tutti i tuoi monologhi e spiegazioni, voi due passerete l’estate insieme.- sorrise trionfante, questa volta.
 
Potevo detestare a morte Sophie, ma non accusarla che fosse racchia. Anzi, era una delle ragazze più belle che avessi mai visto in vita mia.
Fisico slanciato, capelli lisci e biondi fino alla vita, occhi azzurri come lapislazzuli e ciglia molto scure, in contrasto con il colore della capigliatura.
Uno stereotipo di bellezza, con la pelle chiara e le gambe perfettamente dritte.
Tutte le ragazze desideravano essere come lei, e i ragazzi, avere una come lei.
Ma perché la stavo pensando? Ah, già. Minacciava di buttare giù la porta se non le aprivo.  
Ma quella era camera mia, proprietà privata. Così mi limitai a parlare:  -Cosa vuoi?-
-Questa sera si va in discoteca. Ho provato a contrattare con mamma ma è irremovibile, devo portarti con me.-
-Questo lo dici tu. Se io decido di stare a casa dovrai starci anche tu, con me.-
-Mi spiace, vince chi ha l’idea migliore, ha detto. Tu dici casa, io discoteca. Direi che ho stravinto io.- ribattè.
-Ma che fastidio do se rimango qui rinchiusa!- sbuffai.
-Oh, non a me. Anzi, mi toglieresti un peso. E ricordati che è solo colpa tua se ci troviamo in questa situazione. Te parli troppo, non avresti dovuto rispondere a mamma in quella maniera.-
-E te che ne sai? Stai zitta, che è meglio.-
Non la sentii ribattere, così mi alzai dal letto e aprii la porta. –Ah! Sapevo che se non ti avessi risposto saresti arrivata ad aprire!- sogghignò.
-Diavolo, che strategia.- ribattei sarcastica. –Chi siamo, questa sera?- mi misi il cuore in pace. Ci sarei arrivata a calci in discoteca, se non mi fossi adattata.
-i soliti e se me lo stai chiedendo per questo.. Sì, c’è anche Justin!-
-Justin?- ansimai. Sophie annuì vittoriosa sapendo di aver colpito il mio punto debole. –No, no, no. Io non vengo!-
-Perché?- chiese sinceramente confusa. – Non ti piaceva?-
-Assolutamente no. Mi tormenta, crede che io sia pazza di lui. Cerca di baciarmi tutte le volte e ci prova. Ci prova davvero, Sophie!- Probabilmente risultai un po’ isterica e disperata.
-E che cosa c’è di male! Lasciati andare, sorellina. Rilassati. Non lo devi portare all’altare.-
-io non sono pronta ad una simile cosa!-
-Oh, la verginella!- canzonò.
-E io, con te, potrei ribattere tutt’altro. Ti conviene tacere.- dissi dura, e il messaggio le arrivò forte e chiaro.
Rimase spiazzata qualche secondo, poi riprese come se non ci fossimo mai insultate.
-Beh, che ti piaccia o no, devi prepararti. Devi vestirti decentemente, sei Night, ricordalo.-
-Come se potessi farti fare una brutta figura.- storse il naso.
-Se fossimo a casa non mi preoccuperei. Posso dire che ti conci abbastanza bene quando siamo a Milano.- stentai a crederci, era la cosa più carina che Sophie mi avesse mai detto. Non potei trattenere un debole sorriso. –Ma qui vai in giro come se fossi in pigiama.- ed ecco la mazzata finale, ma già era un passo avanti. Non aveva cominciato ad insultarmi ad inizio frase.
-Quindi vuoi che mi vest..-
-Per favore, sii la ragazza che sei davvero. Non il topo da biblioteca che ti trasformi quando vedi il mare. L’estate ti dà alla testa.- Per favore?!
Io, in effetti, avevo una specie di doppia personalità. La ragazza chiusa e timida che d’estate che si rifugia in tomi  alti anche più di seicento pagine e quella invece più ribelle e sbarazzina. Quella più superficiale, quella che curava l’aspetto e difendeva l’orgoglio.
Chi ero io veramente? La via di mezzo, penso.
-Ok.- mi sentii dire. Era stato il per favore a farmi cedere, lo sapevo.
-Hai qualcosa di carino o hai lasciato tut..-
-Non ti preoccupare, qualcosa trovo.- 
Ammetto che tutti gli anni amavo partire lontano da tutti i miei amici perché, almeno per qualche settimana, potevo lasciar stare la me più perfetta, più bella, più forte.
Mi sembrava sbagliato far emergere quella parte, lì. Il mare, la spiaggia, quella casa, non mi avevano mai visto se non con pantaloni sformati e maglie larghe.
Insomma, in poche parole, ero molto simile a mia sorella. Altro che: siamo troppo diverse per andare d’accordo. L’unico vero elemento a cambiare era il limite. Sophie sembrava non averne.
Sorrisi, così, inspiegabilmente. Era come se mia sorella mi avesse dato il permesso di essere ‘me stessa’.
Ridicolo, lo so. Ma sorrisi.
Aprii l’armadio e, senza troppe cerimonie, scelsi un abito. Blu notte, tanto per non dare troppo nell’occhio.
Mi raccolsi i capelli castano chiaro, lasciando cadere sulle spalle solo qualche boccolo.
Con il trucco non esagerai, solo una tenue matita azzurra intorno agli occhi, perché ne risaltasse il verde.
Al collo la catenina d’oro bianco che zia Murriel mi aveva regalato alla Cresima, una ‘Z’ fine, di diamanti.
Pochette e scarpe tacco dodici sulla stessa tonalità di azzurro e il gioco è fatto. Pronta in soli sette minuti.
 
Alzai il mento, sull’uscio di casa. Feci qualche passo e mi ritrovai sotto il cielo stellato. Ero pronta a far vedere a quei bambocci degli amici di mia sorella quello che ero davvero. Mi conoscevano come una pantofolaia pigra e timida, sarebbe stato un bel colpo vedermi così, no?
O forse quasi pronta.
 
Lui.
Mi sarei cercato un’avventura estiva. Basta, avevo deciso.
Qualsiasi ragazza sarebbe andata bene, tanto nessuna sarebbe stata al suo livello, non c’era competizione.
-Andy, stasera?- Ecco Drew, bagnino di terra.
Affittiamo una ragazza per luglio e agosto. Gli risposi mentalmente.
Era una cosa immensamente vergognosa.
Usare e gettare un cuore, lo trovavo di pessimo gusto.
Ma questo faceva parte del mio piano del ‘dimenticare’.
-Ci sono, come sempre.-
-Andiamo nel paese accanto, ci dovr..-
-Io preferirei andare in discoteca.- mi uscì dalla bocca prima che potessi fermarmi.
-Discoteca?- mi fissò senza capire. –Andy, stai bene?-
Era noto a tutti il mio odio per la musica a palla, l’alcool e le ragazze mezze nude, dovevo immaginare una simile reazione di sorpresa quando avrei proposto discoteca.
-Tutte le volte che ci siamo andati sei rimasto a casa!-
Feci spallucce con noncuranza. –Oggi ho voglia di fare qualcosa di diverso..-
-Beh, meglio prendere la palla al balzo, prima che cambi idea.- sorrise. –Ma.. perché?-
-Vorrei sballarmela un po’. Magari con una ragazza.- meglio avvertire che avevo intenzione di abbordarne qualcuna, così, forse, non mi sarebbero stati attaccati al culo tutta la serata.
-Oh, beh. Allora potremmo chiedere a James, lui conosce un tipo.. Justin, mi pare si chiami Justin.- disse ridacchiando.
-Non sono interessato a uomini, sai?!-
Mi guardò di sbieco, giocoso. –Ma questo tizio conosce molte tipe.- tossicchiò. –E bone, da quanto dice.-
Annuii. –Bene, ma non stare a strafare e organizzare incontri, me la trovo da me una ragazza.- Meglio non far nascere una Soap-opera solo perché volevo distrarmi un po’.
-D’accordo, non ci metterò le mani. Ma devo ammettere che sono sorpreso, non ti avevo mai visto interessato all’altro sesso. Mai un commento, un’occhiata a un cul..-
-Pensavi che fossi finocchio.- conclusi senza giri di parole. Ecco l’utilità nella vita di tutti i giorni di psicologia, la maggior parte delle volte sapevi dove la gente voleva andare a parare.
Ridacchiò. –Già, può sembrare ridicolo ma.. Beh, ad ogni caso ora posso stare tranquillo.-
-Tranquillo?- la voce ‘da gay’ non mi riuscì molto bene, ma l’idea era quella. –Tesoro, non vorrai mica scappare al mio fascino..- Arricciai le labbra, pronte per un bacio.
Cominciò a sghignazzare e si allontanò, lasciandomi lì, con la bocca all’aria, senza una metà a cui unirsi.
Una lacrima mi cadde sulla guancia.
Io ero solo.
 
 
Non ero un predatore, non lo ero mai stato. Non ne ero capace, non ne ero tagliato.
Ma per quella sera dovevo cambiare, provarci, almeno.
Mi guardai intorno, alla ricerca di una ragazza. Doveva essere sola e possibilmente carina, queste erano le sole caratteristiche che mi interessavano. Possibilmente anche stupida e ingenua, ma meglio non chiedere troppo.
E poi la vidi.
Fisico slanciato, capelli fino alla vita, lisci, lucidi e biondi. La vita era tanto fine da far senso ed era bella. Bella? Che dico, bellissima.
Aveva lo sguardo indagatore di chi è abituata a stare in ambienti simili. Sorrisi fra me, forse non sarebbe andata poi tanto male. Forse avrebbe funzionato.
Non aveva l’aria di una che ama impegnarsi in storie lunghe e monotone, quindi faceva proprio al caso mio. In genere persone simili mi irritavano, buttare l’amore nel cesso è da persone senza cuore, ma ora avevo esattamente bisogno di questo e, considerando i miei programmi per quella serata, non ero proprio in condizioni di giudicare.
Mi allontanai da Drew che stava aspettando gli altri vicino al bancone, con una birra in mano. Gli feci cenno con la testa la tipa che avevo adocchiato, e lui alzò i pollici, in risposta.
 
Ed eccomi, davanti a lei. La pista da ballo non era ancora affollatissima, perciò le fu chiaro, una volta che mi vide, che ero lì per lei. Quando sollevò lo sguardo, mi sentii mancare il fiato.
La conoscevo. O meglio, l’avevo già vista. Non so né dove né quando, con i suoi occhi puntati addosso era difficile ragionare, capire chi fosse.
Le sopracciglia fini, gli zigomi eretti e le labbra. Quelle labbra erano come quelle d-
Mi si strinse il cuore. Le sue labbra erano esattamente come quelle della ragazza con il neo.
Chiusi gli occhi. Perché non potevo fare a meno che pensare a lei? Mi insultai mentalmente. Non avrebbe potuto essere lei, non sarebbe mai potuta essere lei!
-Allora? Non ti presenti?- fu quasi sbarbata, con una voce stridula da trapanarmi le orecchie.
Diventai una statua. -Sophie.- mi tese la mano, sorridendo nel vedermi impacciato. –e te saresti..-
Ero sotto shock. Mi sentivo bloccato.
Possibile che le ragazze mi facessero un simile effetto? Avevo quasi vent’anni, diavolo!
-Andy.- dichiarai in un bisbiglio.
-Bene. Balliamo, Andy?- Annuii piano, quasi impercettibilmente, e lei mi prese la mano, trascinandomi via con se.
La serata così decollò.
Io il palo e lei che ballava una specie di lap-dance attorno a me, e su di me. Gemeva ogni tanto, sentivo il suo respiro affannato sulla pelle. Ero rigido, teso. Mi maledissi per aver pensato che una ragazza qualunque avesse potuto alleviare i miei mali.
-Sophie.- sentii una voce strozzata chiamarla, ma non capii da dove proveniva. Insistette ancora, e dopo qualche istante, delle piccole mani scrollarono Sophie.
Una volta che la ragazza tra le mie braccia ebbe chiara la situazione iniziò a scannarsi con la ‘nuova arrivata’. –è mia sorella, lasciala perdere.- si giustificò Sophie.
Ma, una volta incontrati gli occhi di sua sorella, non fui più capace di staccarmene. Erano arrossati e piangeva, lacrime di paura, terrore, non semplice frustrazione o dolore.
Dopo qualche attimo si allontanò e la seguii con lo sguardo tra la folla. Aveva un abitino inguinale strappato e le si intravedevano le mutande.
Quella ragazza, aveva bisogno di aiuto.
 
Lei.
Un sorriso e due occhi carichi di ammirazione, orgoglio, almeno per una volta, per la sorellina ‘uscita male’.
Mi prese sottobraccio, portandomi con se. –Ora ti riconosco.- mi bisbigliò ad un orecchio.
-Senti, avrei bisogno di un favore.- l’atmosfera era buona, meglio approfittarne.
-Non cominciare a fare la palla al piede.- si lagnò.
-ho paura.- la ignorai. –Ho seriamente una fottutissima paura di Justin, So.-
-Justin? E che diavolo ti può fare?- Assunse quell’aria da superiore che mi faceva letteralmente andare fuori di testa. Mi trattenni, quella che aveva bisogno d’aiuto ero io.
-Non fare la ragazza con la puzza sotto il naso che non sei.- dissi tranquillamente, trattenendo i nervi. –E neppure la stronza, egocentrica ed egoista ragazzaccia. Ti conosco, Sophie.- Respirai profondamente.                     –Siamo solo noi due, niente amici a giudicarti. E io, ho bisogno di te.-
I suoi occhi dapprima distaccati parvero capire. La sua espressione accigliata mi fece ben sperare.
-Va bene.- rispose in un sussurro. –Ma esattamente, che potrei fare?-
-Da sorella, se ti accorgessi che qualcosa non va perché lui.. lui..-
-Ho capito.- mi accarezzò il capo. –Se qualcosa andrà male non ti abbandonerò. Credo che avresti anche potuto non dirmelo. Ti odio, ma con amore.- mi strinse a se sorridendo, e potei sentire il suo forte profumo di albicocca, il solito.
Per un attimo mi sentii a casa, e, se davvero la casa è dove sta il cuore, beh, allora Sophie ne faceva parte.
 
-James, Justin, Kate!- salutò mia sorella.
-Sophie!- sorrisero all’unisono tutti, tutti tranne lui. Justin mi fissava, senza batter ciglio, come un depravato. Sussultai, ma non commentai.
-Vedo che hai portato un’amica.- fu la prima cosa che gli sentii pronunciare.
-Vedo che non mi hai riconosciuto.- La timida Zoey l’avevo dimenticata a casa, meglio tirare fuori le palle con gente simile.
Si formò una piccola ruga sulla sua fronte, segno di confusione. Non replicò, non a parole.
-Zoey? Non ci posso credere, sei tu.. Sei diversa.- James.
Gli sorrisi, leggermente imbarazzata.
-E sei bellissima.- Si complimentò Kate.
-Ti sei fatta carina. Davvero molto, molto carina.- Continuò James, sorpreso.
-Già, come molte ragazze, nella pre-adolescenza era goffa e tormentata da chissà quali e quanti problemi. C’è chi fiorisce prima.. e chi dopo.- Era cristallino come l’acqua che stava confrontando se stessa con me. Alzai gli occhi al cielo. –Vero, Sophie. E non stare a preoccuparti troppo, prima o poi toccherà anche a te a sbocciare, anche se non è mai bello farsi superare dalla piccola e patetica sorellina.- Odiosa, acida e pungente. Sogghignai.
Anche gli altri soffocarono una risata, ma Sophie mise tutti a tacere con uno sguardo omicida.
-Zo, vuoi venire dentro?- Mi si accapponò la pelle sentendo quel viscido nomignolo. Soprattutto perché a dirlo era lui.
-No.- fui secca e decisa. Mi sorpresi di tanta sicurezza, con Justin nei paraggi, in genere, non mi sentivo che piccola e indifesa, senza potere.
Non ebbi però la forza di alzare lo sguardo verso di lui.
-James, gli altri?-
-Tra poco arrivano e, a quanto pare, ci sono anche dei nuovi ragaz..-
-So, io vado in spiaggia prima di entrare.-
E, senza aspettare repliche, mi dileguai.
 
Mi tolsi le scarpe per poter sentire la sabbia fresca e umida della spiaggia. Sospirai, almeno ero sola.
Era troppo buio per vedere l’orizzonte, ma le sagome degli ombrelloni erano chiare accanto a me. Quella era l’ultima spiaggia del paese, la conoscevo molto bene. Anni prima erano quelli i miei bagni, i più vicini al campeggio in cui alloggiavamo.
Avevo l’ombrellone in un fila abbastanza infondo, lontano dal mare perché mia madre preferiva risparmiare. Era con quei soldi messi da parte (sommati all’eredità di nonno Ottavio), che avevamo comprato una villetta in centro, lontano da quella periferia che pullulava di turisti.
Attorno a me percepivo solamente le onde infrangersi sulla battigia, mi avvicinai al suono. Mi si bagnarono i piedi, l’acqua era gelata a contatto con la pelle. Fui travolta da un odore fresco, salsedine, e, in quell’istante esatto, fui solo Zoey. Non la Zoey noiosa che non può fare a meno di leggere, ma neppure la Zoey maniaca dell’estetica. Semplicemente la pura e naturale me stessa, spesso sotterrata dal mondo, dalla realtà di tutti i giorni.
Sorrisi fra me, pensando a quanto potessi sembrare ridicola agli occhi di un estraneo. Avevo le braccia aperte, i capelli che svolazzavano intorno al viso e gli occhi puntanti lontano.
Qualcosa mi toccò i fianchi, come a trattenermi.
Sussultai.
-Sembra di essere sul Titanic.- mi bisbigliò una voce nell’orecchio.
Cercai di divincolarmi, ma ormai le sue braccia mi avvolgevano e mi stringevano, quasi a soffocarmi.
-Mollami.- sussurrai minacciosa.
-Mai..-
Sentii le sue mani premere contro il mio corpo.
Per un attimo, poco prima, avevo pensato di essere troppo prevenuta nei suoi confronti. Mi ero detta che stavo gonfiando la situazione inutilmente, ma invece no.
No, avevo sempre avuto ragione.
Quello, era un maniaco. Un pazzo incontrollabile senza né ragione né scrupoli.
-Te lo ripeto ancora. Mollami, Justin.-
-Se no cosa mi fai, Zo?- mi provocò.
-Mollami.- ripetei. Sentivo le lacrime salirmi agli occhi.
Lui era troppo forte per me. Non sarei mai riuscita a contrastarlo, forse il massimo che sarei stata in grado di provocargli era un leggero solletico.
-Non fare la ragazzina.-
Mi prese il lembo del vestito e lo tirò, fino a sfasciarlo.
E quello fu solo l’inizio.
I minuti successivi non li ricordo, è tutto molto sfuocato, come se la mia mente si rifiutasse di rivedere. Ma una cosa che non avevo dimenticato fu il momento in cui percepii il suo respiro caldo sul mio viso. Avevo agito d’istinto, come se lo facessi tutti i giorni. La mia nuca contro il suo naso, con violenza, con tutta la forza che mi era rimasta in corpo. Un crac come segnale di K.O. e la fuga, lontano da quella spiaggia, lontano dal mio incubo.
L’unica emozione che riuscii a capire nel bel mezzo di quella mia interna confusione, fu la paura.
La paura che non fosse finita, che saltasse fuori da un momento all’altro e continuasse quello che aveva cominciato. Perché non aveva terminato, non era arrivato al sodo.
Fortunatamente.
Mi fermai con il cuore in gola sotto ad un lampione.
Mi strappai i brandelli di stoffa del vestito, ormai irrecuperabili. Meglio sembrare una ragazzina che ama mettere in mostra le proprie curve piuttosto che una appena scappata da un pazzo perverso da legare.
Non avevo più una spallina del reggiseno e l’abito era poco più lungo di una maglietta. Le scarpe erano ancora sulla battigia, decisamente meglio girare scalza piuttosto che tornare là.
Le lacrime mi rigavano il viso, probabilmente anche il trucco era andato a farsi fottere.
Avevo bisogno di Sophie, e sapevo fin troppo bene dove trovarla. Discoteca.
Mi avvicinai alla folla che era in fila per entrarvi, pregai di non sembrare troppo sconvolta.
 
La musica a palla mi stava tormentando. Quindici minuti che cercavo Sophie, quindici minuti e di lei neppure l’ombra. Forse si era imboscata da qualche parte con qualche ragazzo, pensai, ma doveva pur sempre essere lì dentro.
Masse di ragazzi che si strusciavano uno sull’altro, certo non erano d’aiuto, ma l’affollamento era la cosa migliore per una ridotta nelle mie condizioni.
E poi eccola. Accoccolata ad un perfetto sconosciuto alto, castano chiaro. Sebbene fossi sotto shock mi accorsi di quanto lui fosse.. bello. Era semplice, raffinato, quasi. Non era come tutti i ragazzi precedenti di Sophie, lei in genere frequentava gente più rozza. Perché coglieva l’attimo, prendeva ciò che il mondo le riservava al momento.
Io, invece, aspettavo il principe azzurro.
E sì, lo ammetto, a sconvolgermi era il fatto che, quello, era il genere di ragazzo che frequentavo io.
Mi sembrava tutto tremendamente sbagliato, tutto invertito. Sentii la terra mancarmi sotto i piedi.
-Sophie.- Non mi sentì. –Sophie!- La scossi, costringendola ad alzare lo sguardo su di me, visibilmente scocciata.
-Ti sembra modo e momento?-
-Ho bisogno di te.- pregai che capisse. –Andiamo a casa.- Singhiozzai come una poppante.
-Sono occupata, non lo vedi?- ributtò le braccia al collo del ragazzo. –è mia sorella, una scocciatura.- spiegò a lui, che non aveva distolto lo sguardo, confuso, da me neppure un secondo.
Favoloso. Ti adoro, sorellina.
-Spazio gente, devo passare.- Urlai, quasi isterica.
Mi si aprì un varco, attraverso il quale uscii trionfante di scena. Peccato che, di trionfale, non c’era un bel niente.
 
Lui.
-Andy, non ti vedo molto sciolto!- la sua voce suadente mi bisbigliò nell’orecchio. Mi divincolai.
-Devo andarmene.- mi disgustava, quella ragazza.
-Come, così?-
-Sì, così.- risposi freddo.
-Ma..- mi prese un braccio e cercò di tirarmi a se.
-Non voglio avere a che fare con gente come te.- Le voltai le spalle, abbandonandola.
 
Lei.
L’aria della notte mi punse le guance sebbene fosse agosto. Singhiozzavo, tremavo.
-Aspetta!- una voce affannata alle mie spalle mi costrinse a fermarmi.
Ed eccolo. Camicia svolazzante, fuori dai jeans scuri. Capelli scompigliati, castano chiaro.
-Va da Sophie! Lei non è capace di aspettare, meglio che non perdi la sorella venuta fuori bene.- Gli urlai, acida. Che cosa voleva, quello, dalla mia vita?
-Fermati, ti ho detto!-
Continuai a camminare, ignorandolo.
Poi fu il suo tocco, la sua mano che avvolgeva il mio polso per trattenermi , a pietrificarmi. Sentii una scossa su tutto il corpo, al contatto con la sua pelle calda.
-Lasciami.- bisbigliai, ma non più molto convinta.
-So che non lo vuoi.- replicò troppo sicuro di se.
-Ti sbagli.- Ok, forse lo trovavo attraente, avevo sentito l’adrenalina a mille appena mi aveva sfiorato, ma non lo conoscevo, non avevo idea di chi fosse. Quindi davvero, era meglio se se ne andava.
-Rientra, stai lontano da me.- la voce mi si incrinò sul finale, ero ancora scossa dei singhiozzi e dal pianto. Perché le lacrime non si fermavano?
-Dimmi solo chi è stato, a lui ci penso io.-
 
Lui.
Mi fissò sorpresa che fossi riuscito a tirare le giuste somme da solo, con pochi indizi. Aveva gli occhi marrone-verde scuro impiastricciati dal trucco sbavato dalle lacrime, un viso contratto dal pianto e le labbra quasi sanguinanti dal tanto le mordicchiava.
Le assomigliava. E non intendo alla sorella, ma a Lei. Una versione più matura, certo, con le guance meno paffute e qualche centimetro in più.
Sorrisi al pensiero che potesse essere vero, peccato solo che la sua guancia sinistra fosse liscia, perfetta, senza imperfezioni.
Senza il neo.
 
Lei.
I suoi occhi color cioccolato mi scrutarono e, per un attimo, mi chiesi perché.
Ehm.. giusto, vuole una risposta.
-Tu chi sei?-
-Andy.- notai sul suo viso comparire un sorriso, ma triste. –Te, invece, sei..-
-Zoey.- tirai su con il naso e, per sdrammatizzare, continuai. –E chiamami in qualunque maniera ad esclusione di Zo.-
-Potrei chiamarti anche.. Chiara, quindi?- Sorrisi, sentendomi appena più leggera. Era pessima, come battuta, diciamolo. Ma era proprio la pastiglia che necessita in quelle occasioni.
-Se ti va.- feci spallucce.  
Sentii in bocca sapore di ferro. Sangue. Mi tamponai le labbra con un fazzoletto, esageravo sempre con la mania di mordermi il labbro inferiore.
-Non dovresti torturarti in quella maniera.- fece cenno con il capo, indicando la mia bocca.
-Meglio le labbra che le unghie smaltate.-
Silenzio.
Lui mi guardava ed io lì, impalata. Chissà per quanto rimanemmo in quella posizione.
-Si chiama Justin,- mi sentii dire. Le lacrime ricominciarono a scendermi. –Ed è stato orribile.-
Silenzio.
Presi un forte respiro e seguii l’istinto.
Raccontai tutto.
 
Lui.
Mi turbò abbastanza, ma, dopotutto, me lo aspettavo.
Le presi una mano, cauto, mentre le parole le uscivano di bocca una dopo l’altra, liberandosi di quell’incubo appena vissuto.
Quando finì mi resi conto che la stavo abbracciando. Ero rilassato, niente tensioni né irrigidimenti, era la cosa più naturale del mondo averla tra le mie braccia, sul mio petto. E in tutto questo non c’era finzione né errore.
E neppure la ragazza con il neo.
La strinsi saldamente a me. La conoscevo da troppo poco, forse, ma dato che sapevo, eravamo legati da quella verità che l’aveva terrorizzata.
Probabilmente una volta che fosse finita la serata, che lei fosse stata in grado di superare quello che aveva subito se ne sarebbe andata e non l’avrei rivista mai più. Forse io ero solo un’ancora, una spalla su cui piangere e riprendersi. Ma non mi sentivo sfruttato, no, per nulla.
La ragazza con il neo suonava patetico ora che c’era Zoey.
Sollevò il capo verso il mio. Piangeva, ancora.
-Non piangere.- sussurrai accarezzandole i capelli.
-Oh!- tirò su con il naso. –Ti ho sporcato tutta la camicia con questo diavolo di trucco.- disse risentita.
-Capirai. Ma tu finiscila, basta lacrime..-
Mi sorrise impercettibilmente. –Sai cos’è la cosa buffa? Io non sto più piangendo per Justin, Andy.-
Che cosa?
-Ma perché non sono sola. Non più.- mi strinse ancora più forte e, incredulo, feci altrettanto.
Possibile che due ragazzi potessero entrare in sintonia in così poco tempo?
Verificalo, Andy. Provaci.
L’avrei fatto. Mi sarei preso uno schiaffone? Molto probabile.
Feci leva con l’indice sul suo mento, costringendola a guardarmi. Fu un attimo, un secondo. Mi sentii troppo pesante, con il cuore che batteva nel petto all’impazzata, e le nostre labbra entrarono in contatto. Lo stomaco era sotto sopra e, il colpo finale, fu quando sentii che rispondeva al mio bacio.
Quando ci staccammo mi accorsi che stavo sorridendo come un ebete. Ma non potevo farne a meno, ero felice e non ero solo.
La riavvicinai a me e, con il pollice, le asciugai le lacrime.
Passando il dito all’altezza dello zigomo sinistro percepii una leggera imperfezione. Mi bloccai. Era invisibile ad occhio nudo, ma al tatto avevo sentito..
-Che cos’è?- le chiesi quasi tremante.
-Oh, niente. Una volta avevo un neo, lì. Era orrido.- Il mondo attorno a me vorticò.
Svenni.
 
A volte il colpo di fulmine non vorrebbe colpire, ma alle volte sì.
A volte il fulmine sbaglia albero, ma alle volte no.
A volte il colpo di fulmine lascia una profonda e indissolubile cicatrice, ma alle volte attraversa il tempo e la lontananza.
Alle volte il colpo di fulmine è il vero amore? Beh, questo non so dirvelo, ma so che, quella ragazza, me la sposai.
   
 
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